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Intervista a due cassintegrati

di Aldo Nove

mani.jpgArmando ha cinquantadue anni. E’ in cassa integrazione dal 2003. Sposato, con un figlio che fa il terzo anno delle scuole superiori. E’ entrato in Italtel nel 1969. Lui è la sua famiglia vivono con mille euro al mese.
Angelo ha quarantasei anni. E’ in cassa integrazione dal 2003. E’ single. Vive con 820 euro al mese. E’ entrato in Italtel nel 1974.
Questa è la storia di due ex operai di una ditta prestigiosa che nel corso degli ultimi decenni ha attraversato intemperie che sono anche riflesso di una storia (di tante storie) che hanno portato l’Italia a dove si trova oggi.

E’ la storia di migliaia di licenziati e cassa integrati che non sanno come tirare avanti. Che non arrivano alla pensione ma non possono piazzarsi sul mercato.
E’ la storia di un sogno di emancipazione nato negli anni Settanta e morto nel nuovo millennio.

E’ la storia di qualcuno che non ce l’ha fatto e si è suicidato. E la storia di chi invece vuole continuare a sperare.
E’ la nostra storia.

Armando: Non si parla molto di noi. 1.500 persone senza prospettiva di lavoro. Non interessiamo ai giornali, alla televisione.

Non siete mica le Lecciso…

Angelo: E neanche Al Bano, in effetti. Però in altri casi, come ad esempio quello di Postalmarket, che vedeva molti meno dipendenti in pericolo, se ne è parlato. Ma il problema è che l’informazione non c’è più..

E allora facciamola. Partiamo da voi, dagli anni Settanta…

Armando: Quando sono entrato in fabbrica, nel 1969, l’Italtel era la più grande realtà italiana, ma non solo italiana, di telecomunicazioni.

Angelo: Io sono arrivato un po’ dopo, nel 1974. Dopo la scuola professionale ho fatto un anno di apprendistato e poi ho fatto l’operaio in Italtel.

Armando: Erano anni estremamente vitali. 25.000 persone che alla fine dei Settanta sono diventati oltre 30.000, quando è iniziato il declino che ha portato allo stato attuale. Di sfacelo.

Angelo: Io mi ero specializzato in elettroacustica, ho sempre avuto una grande passione per la musica. Allora, negli anni Settanta, vivevi un grandissimo fermento, nel mondo delle fabbriche. C’era davvero la fede nella costruzione di un mondo migliore. Non egoistico. Di mutua solidarietà. Di aiuto reciproco. Di vita dignitosa. Di quella cosa che si ricomincia a sentire…

Armando: Che un altro mondo è possibile?

Angelo: Sì. Anzi, che lo stavamo facendo, un nuovo mondo.

Cos’altro mi raccontate, di quegli anni?

Armando: Allora, nel mondo della fabbrica, vivevi le conquiste che il decennio successivo abbiamo incominciato a perdere. Erano anni di lotta. C’era il P.C.I. e c’erano i movimenti. Le stesse Brigate Rosse, che prima che iniziassero a impazzire e a ammazzare erano molto radicate nel mondo della fabbrica. E con il declino demente delle B.R., con l’assassinio di Moro ma già prima, con il compromesso storico, con l’insorgere delle grandi confusioni, la strada era segnata. Ogni anno di più. E in modo più concreto. Ad esempio nel 1982, quando ci fu il referendum sull’idennità di contingenza, quando sapevamo che i nostri diritti li stavamo perdendo, come se tutto si sgretolasse. Fino ad arrivare ad oggi, dove il pane che ci siamo guadagnati con anni di lotta lo abbiamo progressivamente perso del tutto. E’ una storia, la nostra, di diritti conquistati e poi persi per sempre.

Angelo: Una parabola discendente, che proprio nel momento in cui sembrava che ci potesse essere un riscatto ha mostrato di essere alla fine.

Armando: L’inizio della fine è arrivato nel 1999, con la privatizzazione. Quando Italtel è stata privatizzata ed acquistata da Mario Mutti, ex socio Parmalat, ex tante cose, che prima di capirle tutte ce ne vorrà, di tempo.

Angelo: E qua non si capisce più niente. Anzi, si capisce molto, sotto certi aspetti. Ma bisognerebbe andare agli intrecci tra Parmalat e Cirio, a quello che è successo nelle aziende del Gruppo Parmalat aperte in Sudamerica, bisognerebbe tornare a quando amministrazioni dissennate hanno incominciato a distruggere una realtà florida e prestigiosa, di 30.000 dipendenti, oggi ridotti a centinaia, per svenderne pezzi.

Gli anni Novanta, dunque…

Armando: Gli anni delle illusioni e della catastrofe. Degli entusiasmi per il passaggio dell’elettromeccanica alle nuove forme di comunicazione elettronica. Come di fronte a una nuova economia che pareva miracolosa ma di cui non si sapeva niente. Con le grosse reponsabilità del governo Prodi che per adeguare l’Italia all’Europa ha aperto alle privatizzazioni selvagge sul corpo degli operai. E questo lo posso dire, perché sono sempre stato di sinistra, io.

Angelo: Nel 1999 sembrava che la privatizzazione della fabbrica dovesse portare alla sua rinascita. Italtel, che nel frattempo si era trasformata in Tecnosistemi, con l’ingrresso di Mutti era diventata Tecnoeudosia (dalla fusione di tecnosistemi e di un altro suo gruppo, Eudosia), fino a trasformarsi in Tecnosistemi Group…

Armando: Con l’acquisizione di altre società anche fantasma. Ad esempio di una società costituita da un’unica persona, con un sistema di scatole cinesi con cui mi sembra si sia fatto strada una personalità della politica che ha avuto molto successo, fino a diventare capo del governo…

Angelo: Ma anche con la promessa di commissioni sicure fino al 2002, che in effetti ci sono state. Fino al 2002. Poi c’erano assunzioni di megadirigenti che poi erano tutti figli di e amici di. Che noi non abbiamo mai visto. Che non sapevamo nemmeno se lavorassero, se esistessero. Di certo, erano pagati…

E voi?

Armando: E noi… la crisi era nell’aria, da parecchio. Comunque, da marzo 2003 hanno incominciato a saltare gli stipendi. Dapprima sono iniziate le casse integrazione a rotazione, vissute anche con una sorta di solidarietà finalizzata a salvare la fabbrica ma che partiva dal basso. Erano gli operai in prima linea a fronteggiare la crisi. Eravamo noi a difenderla, di tasca nostra, spesso, mentre sopra di noi si speculava senza pietà.

Angelo: Con il tempo, le forniture finivano. Finiva letteralmente il lavoro. Non ho idea di che pasticci abbiano fatto i dirigenti. O forse lo so. Chi difende il capitale non difende la sua vita. Chi difende il suo posto di lavoro difende l’esistenza materiale sua e dei suoi cari. Sono mondi che non hanno punti d’incontro.

Armando: Tornando a noi, dicevamo, sono iniziate le casse integrazioni. E i licenziamenti. Tutto questo, nello smembramento del gruppo, nella sua liquidazione. Sono arrivati i commissari, a metà del 2003. E nel dicembre dello stesso anno siamo andati in amministrazione straordinaria. Ora ci sono trenta persone, assunte ancora nella Tecnosistemi Group. Altre trecento circa, con stipendio decurtato e trattativa singola, sono passate o passeranno a Sirti, sempre nell’ambito della progettazione e realizzazione di reti di comunicazione. Non so se hai notato. Continuano a cambiare i nomi, i nomi delle società, delle società che ne divorano delle altre e così via. Noi i nomi non li cambiamo. Cambiano gli stipendi.

Angelo: Anzi, spariscono.

E quali sono, adesso, le vostre prospettive?

Armando: la disperazione. O meglio. La calma. Quella che ci hanno detto di tenere i sindacati fino a che tutto non è andato allo sfacelo. Una calma che ci ha portati all’assenza di prospettive. Ma chi lo assume oggi un cinquantaduenne? A cosa serve il mio curriculum? Ho provato ad andare in un agenzia interinale. Ero io a dover spiegare loro in cosa consistesse il mio lavoro, le mie specializzazioni un tempo molto ricercate.

Angelo: C’è un capo del governo che dice che gli italiani sono in gamba e con qualche lavoretto in nero, in qualche modo, arrangiandoci, poi alla fine si tira avanti…

Armando: E’ allucinante che un capo del governo inviti alla delinquenza per risolvere i problemi di una nazione.

Angelo: Sopravviviamo. Che è diverso da vivere.

Com’è il rapporto con i vostri famigliari?

Angelo: Io sono single. Cerco di non far preoccupare i miei genitori, che sono anziani. Mio padre ha fatto il muratore tutta la vita. Era del P.S.I., ma non è che di politica si occupasse molto. Pensava a mantenere la famiglia. Mia madre è casalinga. Certo, ogni tanto mi chiede: ma i sindacati cosa fanno? E io non so cosa risponderle. O meglio, lo so: niente.

Armando: Mia moglie è stata un’“emigrante”. Da piccola è andata in America Latina e poi è tornata in italia. Parla perfettamente lo spagnolo. Fa parte di tutte quelle persone oggi dimenticate che sono italiane e che hanno vissuto l’odissea degli extracomunitari oggi da noi. Anche se noi, io, oggi, sono nelle loro stesse condizioni, e non sono così meschino da pensare che odiando loro si possa risolvere qualcosa. Mettere i deboli contro i deboli fa molto bene ai padroni. I loro interessi non vengono toccati, e noi ci si scanna tra noi. Con mio figlio parlo poco di politica e della realtà in cui mi trovo. Vorrei che restasse protetto da questo mondo il più possibile. Non so se è giusto, ma come padre ne sento il bisogno. Anche se qualcosa ha capito. Ha capito che le Nike non si comprano. Ci vuole mezzo stipendio per comperare le Nike. Anche se bisogna dire che durano molto, sono delle buone scarpe, adesso me ne ha passate un paio e le ho da più di un anno, vanno benissimo. Comunque l’altro giorno, quasi per caso, abbiamo discusso della riforma Moratti. Mio figlio diceva che la professoressa sosteneva quanto era giusta ma lui si era arrabbiato perché gli sembrava orribile. Ed aveva ragione. Ma di solito, di politica non parliamo.

Cosa votate?

Armando: Io ho votato prima P.C.I e dopo quasi a destra, cioè D.S.

Angelo: Io P.C.I., poi con il compromesso storico sono passato a democrazia Proletaria e adesso voto Rifondazione.

Armando: Io non so se alle prossime votazioni voto.

Angelo: Fai male.

Armando: Se qualcuno mi dimostrasse che votare Prodi è votare a sinistra.

Angelo: Certo, si vota per il meno peggio. Ma lasciar perdere non è giusto. Anche senza entusiasmi.

Ma attualmente, non c’è qualcuno che vi piace?

Armando: No. Prodi no di certo. D’Alema… è di destra. Ma poi… Cosa sta succedendo? Questa cosa dell’alleanza con Pannella… Pannella è sempre stato di destra, speriamo che resti fuori. Chi lo vuole? Io ho l’impressione che non si capisca più nulla. E non è una mia impressione che il governo Prodi non si è certo interessato dei problemi dei lavoratori.

Angelo: Io voterò Rifondazione.

Se poteste dire qualcosa, direttamente, a Prodi?

Armando: Niente.

Angelo: Niente.

E a Bertinotti?

Angelo: Io gli direi di non andare più a Porta a porta, in mezzo a quei mostri… Quella lì non è politica.

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Pubblicato su Liberazione, marzo 2005.

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4 Commenti

  1. Volevo anch’io ringraziare Aldo Nove per queste interviste che fanno da promemoria all’Italia che ci sta sempre sotto gli occhi e di cui ci accorgiamo sempre meno. Un tasso di disoccupazione come quello italiano qui in Australia suona quello di un paese sottosviluppato. A pensarci, fa amarezza.

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