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La restaurazione – risposta a Filippo La Porta

di Antonio Moresco

(Ripropongo qui la risposta che Antonio Moresco ha scritto alcuni giorni fa nella finestra dei commenti al contributo di Filippo La Porta sulla restaurazione in atto. T. Scarpa)

Caro Filippo,
ti rispondo in ritardo, perché ero via da casa. Ma cercherò di farlo con la stessa franchezza e confidenza che tu hai usato con me. Come spesso mi succede leggendo le tue cose, ho trovato nella tua risposta al mio pezzo sulla restaurazione una compresenza di preoccupazioni reali, serie e condivisibili e di argomentazioni generiche e moralistiche che rendono difficile un confronto reale e profondo.

L’uso che fai, astratto e disincarnato, delle parole “narcisismo”, “autoreferenzialità”, “spettacolarizzazione” ecc. sono come antibiotici a largo spettro che consentono (a te) atteggiamenti e posture di presunta superiorità morale e comportamentale ma che non vanno mai, umilmente e radicalmente, a un incontro e a un confronto con le opere reali e con le loro specifiche e diversificate e urgenti tensioni e forme. E questo mi sembra grave per chi si sia proposto anche come critico letterario e non -per dire- come direttore spirituale o confessore degli scrittori e delle loro debolezze umane (e forse non alieno da quel “narcisismo” che tu vedi invece profuso in altri e solo in altri). Sembra che tu abbia ormai assunto una postura preconcetta ossificata (scrittura saggistica -non a caso quella che pratichi tu- superiore a quella narrativa, ecc…) e che sulla base di questo e simili assiomi che mi paiono incredibilmente miopi, separatistici e lobotomizzanti, fondi gran parte del tuo discorso, delle tue elaborazioni psicologiche ed esistenziali e delle tue idiosincrasie.

Io non disistimo e non considero affatto secondaria la scrittura cosiddetta saggistica. Ma bisogna vedere caso per caso. E forse in questi anni stanno succedendo molte cose che la tua postura ti impedisce di vedere e incontrare. Non è la prima volta che la critica del nostro paese non riesce, non può o non vuole incontrare ciò che vive sotto il suo naso e anzi lo allontana da sé attraverso posture moralistiche o culturalistiche o storicistiche o sociologiche o di altro tipo. Persino Croce non andava più in là di Carducci, neppure Pascoli gli andava bene, per non parlare di Rimbaud e compagnia bella.

Mi piacerebbe confrontarmi con te, ma come fare se tu agiti genericamente criminalizzazioni moralistiche e insiemistiche buone per tutti gli usi invece che confrontarti veramente e radicalmente con quanto sta succedendo in questi anni e con le opere e le vite di chi le mette al mondo? Come se questo ti esentasse dallo sforzo di incontrare, di penetrare, di comprendere ciò che si muove a dispetto di tutto in una situazione così difficile e intossicata.

Pensa a cosa sarebbe successo se tu fossi stato contemporaneo di tanti scrittori e poeti del passato -anche grandissimi e che magari oggi non hai difficoltà ad apprezzare- e ti fossi accostato ad essi con questa annichilente postura e con quest’unico metro.

Io non sottovaluto affatto la radicalità etica e anche spirituale in un artista (chissà quanti damerini del pennello sapevano dipingere meglio di Van Gogh, eppure è anche e indissolubilmente per la sua intransigenza spirituale e la sua libertà che Van Gogh è riuscito a fare quello che ha fatto), ma non puoi esaurire tutto in questo né puoi ignorare che ci sono stati anche artisti e pensatori grandissimi e fecondativi che erano però umanamente più deboli o addirittura dei figli di puttana.

Di cosa si può discutere se tu vedi gli scrittori di questi anni come una banda di piccoli vanesi unicamente vittime dei meccanismi spettacolarizzanti descritti come invincibili e totalizzanti? Se riduci l’amicizia e la comune passione che si può stabilire -oggi come nel passato- tra persone che condividono nella loro breve vita comuni aspirazioni e passioni a mero consociativismo e spirito di bassa congrega? Se banalizzi e ridicolizzi esperienze personali di dolore e di resistenza con battute estemporanee e cabarettistiche? Se di fronte al bisogno di “aprire” la realtà di questi anni (che non si presenta più come negli anni Cinquanta) per renderla ancora leggibile ed eloquente e abrasiva mediante un contromovimento artistico, spirituale e di conoscenza ci vedi solo ipertrofia linguistica? Ecc, ecc…

Provo simpatia personale nei tuoi confronti, ma mi pare, a torto o a ragione, che in questi anni tu e altre persone intelligenti e sensibili non abbiate retto -anche umanamente- lo scontro, abbiate indossato la maschera della terminalità e del rancore e dell’identificazione moralistica con l’aggressore piuttosto che assumervi lo sforzo di esplorare, incontrare, inventare, salvare. Vi siate resi ciechi, vi siate messi in un vicolo cieco e che -stando così le cose- l’unica vostra “speranza” è che sia così per tutti e che il gioco sia chiuso. E questo è un vero peccato, uno spreco di intelligenza e di umanità che addolora.

Pare che una parte consistente di ciò che una volta veniva chiamato “critica” abbia paura di incontrare la cosa in sé, a meno che non sia immediatamente riconoscibile rispetto alle proprie configurazioni e tipizzazioni. E che anche questo atteggiamento (narcisistico e autoreferenziale non meno di quello di cui si vorrebbe vittima il resto del mondo) abbia a che vedere con la pesante restaurazione -anche culturale- che stiamo vivendo.

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Pubblicato originariamente nei commenti il 1 aprile 2005.

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1 commento

  1. Credo che il drappello formato da Andrea Bajani, Sergio Baratto, Carla Benedetti, Benedetta Centovalli, Federica Fracassi e Renzo Martinelli di (I)ndiscipline Teatro Aperto, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Jacopo Guerriero, Giovanni Maderna, Raul Montanari, Antonio Moresco, Giulio Mozzi, Aldo Nove, Piersandro Pallavicini, Christian Raimo, Michele Rossi, Tiziano Scarpa, Giorgio Vasta, Dario Voltolini… farebbe meglio a parlare di RESTAURAZIONE nel Darfour, dove a tanti piccoli ***talenti*** (ne nascerà pure qualcuno anche là, no?) non viene data alcuna possibilità di esprimersi (per poi magari venire restaurati), né – soprattutto – di raggiungere la maggiore età:-/

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