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La Sfida e il Riscatto

Giuseppe Caliceti risponde a Antonio Moresco

Calicet.jpgCaro Antonio,
ho letto con attenzione e partecipazione La restaurazione: il primo contributo all’incontro che i redattori della rivista letteraria Nazione Indiana stanno organizzando per il mese di maggio alla Fiera del libro di Torino sull’editoria e, più in generale, su quello che sta succedendo in questi anni nel campo della cultura e delle sue proiezioni.

L’intervento è appassionato, coraggioso. Ne condivido parte dei contenuti e lo spirito di sfida. Ma non posso fare a meno di riscontrare, almeno nel tono, anche uno spirito di riscatto (generazionale?) che non credo giovi a un sereno confronto e che personalmente non mi appartiene. E non credo appartenga neppure alla maggior parte degli scrittori miei coetanei o più giovani di me.

Mi viene da dire: tutti probabilmente al mondo abbiamo conti in sospeso, ma mi pare di intuire che i tuoi non sono i miei. Anzi, li sento vecchi. A volte più vecchi addirittura di alcuni conti in sospeso di alcuni cosiddetti neoavanguardisti del passato (che pure non mi appartengono), ma che hanno accettato serenemente un loro ruolo, nella vita pubblica italiana, marginale: penso allo stesso Edoardo Sanguineti. Ma potrei fare il nome anche di tanti, tantissimi altri poeti. E di differenti scuole o correnti poetiche. Perché? Perché per me questo, da tempo, non è più il mondo (anche letterario) dei soggetti e degli oggetti, dei buoni e dei cattivi, degli intelligenti e dei furbi, degli editori e dei lettori/scrittori, ma dei rapporti e delle reazioni che ne generano e ne regolano la co-emergenza.

È vero, molti dei più grandi scrittori del Novecento (italiani o non italiani), oggi probabilmente non sarebbero pubblicati per esempio da Feltrinelli o da Garzanti e passerebbero per semisconosciuti, e questo è triste e grave. Ed è giusto denunciarlo. Ma magari, in Italia, avrebbero potuto non essere stati pubblicati neppure in passato. O non meno di oggi.

Ora, una domanda. Nel tuo intervento hai citato solo autori stranieri, perché?

Una seconda domanda. Ammesso che la società letteraria in cui è nato Kafka – che se non sbaglio, non era neppure uno scrittore di professione ma un impiegato – sia meglio di quella di oggi in Italia, come credi abbia o avrebbe dovuto reagire il signor Kafka? Fregandosene il più possibile “di copie vendute e di tirature e di decisioni economiche superiori” e continuando a scrivere o facendo qualcos’altro? E cosa?

Il tuo attacco è frontale e a tutto campo. Scrivi: “Se si parla della vergogna politica e del disonore cui è sottoposta l’Italia dall’attuale lobby di governo, sono tutti pronti a indignarsi e non hanno difficoltà a vedere come stanno le cose. Ma se si passa a parlare di logiche affini che attraversano quasi senza distinzioni di connotazioni politico-culturali il campo dell’editoria e il cosiddetto mondo della cultura, lì non esisterebbe una pesante restaurazione”. È in buona parte vero, ma sai pure che non sei il solo a pensarla così.

Io credo che ci sia nel tuo intervento una sorta di nostalgia verso un ruolo centrale dello scrittore e dell’intellettuale che non credo ci sia mai stato, almeno nel recente passato. Né fuori dall’Italia, né – tantomeno – in Italia. Qui da noi, non c’è almeno da alcuni secoli.

A proposito del suo intervento, parli di sfida e non di lamento. Questo mi fa piacere e lo condivido. Ma qui, credo, non si tratta né di sfidarsi né di lamentarsi, ma di accettare serenamente – cercando anche di reagire, certo, è auspicabile, ma mantenendo però sempre un lucido senso di realtà – un ruolo di “marginalità” che oggi la letteratura nel mondo (e soprattutto in Italia) ha da almeno alcuni secoli. Cosa che credo facciano nel mondo e forse anche in Italia, molti più scrittori – magari più poeti che narratori, mi permetto di dire… – di quanto credo possa pensare tu. Come? Continuando a scrivere libri importanti, almeno per se stessi. Perché è lì che si gioca la partita numero uno, anche sul piano culturale e politico, per uno scrittore. O no?

Questo non significa “disimpegno”. Questo, almeno per me, sai che non significa che uno scrittore debba pensare solo a scrivere i suoi libri e non debba partecipare a dibattiti, organizzare convegni, scrivere articoli, collaborare con vari segmenti del mondo editoriale e culturale. Ma a un “mondo parallelo migliore”, ti confesso che sono stanco di pensare.

Penso, per esempio, che a metà degli anni Novanta in Italia la visibilità data a una nuova generazione di giovani scrittori, per merito anche di una manifestazione come Ricercare, sia stato qualcosa di cui poche altre generazioni di scrittori italiani abbiano “usufruito”: come ha vissuto e cosa ne ha fatto ognuno di loro è un’altra faccenda.

Penso che sono stanco delle “guerre tra poveri”, quando si parla di Letteratura e di Scrittura in genere. E che lo scrittore, checchè se ne dica, sia oggi una figura (anche politica, anche sociale), importante. Nonostante i caratteri spesso “individualisti” (?) degli stessi, legati in Italia soprattutto a un mito romantico della creatività solitaria duro a morire. Come dice Tiziano, gli scrittori sono forse le persone più autocritiche che esistano. Sinceramente, caro Antonio, pur condividendo buona parte della tua analisi, mi sento più ottimista di te sull’oggi e sul futuro. E credo che troppo pessimismo e/o autocritica, possa risultare di diventare un fatale autogoal che il mondo della lettura e della scrittura in Italia, in primis gli scrittori, rischino di fare innanzitutto a se stessi.

Un caro saluto, Giuseppe

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19 Commenti

  1. C’è una contraddizione: a Moresco hanno pubblicato sia le ‘Lettere a nessuno’, sia i ‘Canti del caos’, e mica dopo morto (o presso editori a pagamento), ma adesso, nel pieno di questo pesante clima di restaurazione… Chissà se ai tempi di Kafka si sarebbero accorti di lui:-)

  2. Tendo a sentirmi più in sintonia con Caliceti, se non altro per la pacatezza. Anche se c’è della generosità dietro il tono di Moresco, mi pare sia molto (troppo?) legato alla sua biografia, tra l’altro, a dispetto di quel che dice, una magnifica biografia, piena di incontri felici e molti libri pubblicati, anche se lui evidentemente ancora la patisce. Ma fuori dalla biografia credo che il tono di Moresco, l’allarme che lo spinge ad attribuire una nefandezza disumana alle logiche editoriali ecc., sia forse un allarme che ha altre radici, la consapevolezza che la scrittura, e dunque gli scrittori, non sono più centrali, che la letteratura non è più centrale e spesso è meno capace di sentire il polso del mondo (non parlo dello Zeitgeist, una specie di mostriciattolo buono solo a far danno) di quanto non sia un video, una istallazione, un edificio, un giornale. E soprattutto in un paese tra i più ricchi, ma tra i meno centrali e mobili del mondo, come il nostro. Perché se vado a vedere cosa succedeva “prima” di Moresco, vedo Delfini, Tozzi, Morselli, il povero Pizzuto che sconta ancora il favore di Contini, e Manganelli? dovrei controllare, ma mi sembra che Hilarotragoedia abbia venduto all’inizio 85 copie (tanto per fare i nomi degli italiani, come giustamente chiede Caliceti) E quindi c’è qualcosa che non quadra nei discorsi di Moresco, una memoria labile, e senza memoria è difficile discutere.

  3. Caliceti dice “Ammesso che la società letteraria in cui è nato Kafka – che se non sbaglio, non era neppure uno scrittore di professione ma un impiegato – sia meglio di quella di oggi in Italia”, e scrive di sentire come “vecchi” quelli che sono definiti conti in sospeso. Io li leggo come esempi. E credo che questi esempi riportati da Antonio Moresco fossero legati indissolubilmente a un discorso di pubblicazione, ovvero viene detto che i testi di questi stessi autori “d’antan” vengono preferiti dagli editori di oggi a scapito dei contemporanei IN QUANTO già riconosciuti come vendibili.

    Scrive infatti: “quasi tutti gli scrittori più grandi del Novecento (Kafka, Proust, Joyce, Musil, Faulkner, Beckett…) oggi non verrebbero più pubblicati dagli editori e dai loro funzionari (che pure continuano a venderli nelle edizioni economiche e a ricavarne profitto). “

  4. Ma gli editori devono fare profitti, altrimenti chiudono, e se la collana non funziona il funzionario viene mandato a casa, prima o poi; anche di questo semplice dato di realtà bisognerebbe tener conto, o no? Un po’ di sano materialismo, quando gli editori hanno pensato che ormai Moresco, per una ragione o per l’altra, (letteraria, polemica, di vero valore, non sto a sottilizzare) qualcosa avrebbe venduto, lo hanno pubblicato. Persino i più idealisti tra i microscopici editori di poesia devono pagare la luce. Sono un po’ semplici queste battaglie “ideali”, molto autoreferenziali, e se va avanti così alla fine anche noiose. A meno che non si stiano schierando le truppe (Moresco mi sembra troppo ingenuo e in buona fede per farlo) per fare una bella polemica, per riempire le giornate vuote e noiose, per fare lobby, per non sentirsi soli, per perdere tempo, come sto facendo io. Arrivederci

  5. Volevo precisare che non mi sono fermato alla foto, ho letto anche il pezzo, e l’ho apprezzato.

  6. Se la precisazione è rivolta a me e hai creduto che polemizzassi scusami, non intendevo farlo, parlavo in generale

  7. Ma Moresco chi è? Quello che l’Imam vestito da Imam nell’ineffabile soap scritta dall’ineffabile Genna dall’ineffabile titolo”Suor Jo”? Roba da pazzi! Un uomo così serio, uno scrittore impegnato che fa l’attore delle soap di Genna.
    Ma sono certo che mi sbaglio. Dev’essere un caso di omonimia…
    Arto

  8. Moresco non è mai stato pubblicato, da nessun editore, perché questo si aspettava che vendesse.
    I libri pubblicati perché si crede nella loro importanza e nel loro valore artistico non sono ancora scomparsi. Non perché viviamo nel migliore dei possibili mondi editoriali, ma perché cose sono un bel’ più complicate dell’assunzione (abborrita o giustificata) che “oggi conta solo il mercato”. Scusate, se annoto solo questo, ma in alterniativa dovrei scrivere un pezzo di almeno quattro pagine.

  9. Te le sintetizzo io:
    1) L’editore è ricco di suo e pubblica ciò che gli piace senza aspettarsi particolari guadagni. Un po’ come il miliardario con la passione per l’archeologia.
    2) L’editore vuol far quadrare i conti: pubblica un po’ di spazzatura che si venda bene e qualche libro che gli dia prestigio. Un colpo al cerchio e uno alla botte. È la tendenza prevalente.
    3) L’editore, se se lo può permettere, tende a coprire tutta la possibile domanda libraria: libri di ricette, narrativa, saggistica, libri neri sul comunismo, libri rossi sul fascismo, libri bianchi sulla repressione dei veri genî eccetera. Vedi Mondadori & Associati oggi.

    Ma il problema vero è la distribuzione (oggi in parte controllata da vere e proprie mafie) + l’accaparramento dei limitati spazi espositivi nelle librerie (molti librai se li fanno pagare a parte, mettendo in crisi i piccoli editori, che non possono accollarsi anche questa spesa suppletiva). Pubblicare un libro di altissima qualità senza preoccuparsi di farlo uscire dai depositi o di farlo conoscere in giro (altrimenti nessuno lo richiede) in qualche modo è puro velleitarismo editoriale.

    Ma l’editoria è piena di non-editori.

  10. Ma discutete sempre così? Con la pelle sollevata? Comunque, io non so come siano andate le cose per Moresco, sono contenta che alla fine gli siano andate bene, ma se per anni non ha pubblicato e poi lo ha fatto vuol dire che era cambiato qualcosa, forse ha trovato il lettore o il momento giusto, chissà, non voglio entrarci, ma che gli editori debbano fare profitti è un banalissimo fatto e editori che non vogliono vendere i libri pubblicati non ne esistono, se li conoscete sarei curiosa di berci un gotto insieme. Ma sono d’accordo con Un fake (?) il problema vero è la distribuzione, quella sì che è la piaga, e la non grandissima professionalità dei piccoli editori alcuni dei quali pensano, o sperano, perché a volte c’è anche una simpatica ingenuità, che stampato il libro il più sia fatto, e invece è fatto il meno.

  11. Sì! Gli scrittori hanno un ruolo sociale molto importante! Io di questo sono sicuro! Sennò non li inviterei dove sono. (Forse quando ci si lamenta della manzanca di ruolo sociale, peso politico, etc., ci si lamenta della mancanza di soldi – della pecunia, ‘nzomma – quindi si cade nella regola economiscistica che fa girare il mondo da secoli: sono quel che guadagno. Guadagno poco, conto poco (espressione che non fa una grinza a pensarci)). Ma, io, e non solo io, noi giovani (lasciamo stare per questa volta le virgolette e l’imbarazzo dell’etichetta “giovane”) vogliamo linguaggi alternativi e nuove forme di rappresentazione della realtà: e questo gli scrittori e i poeti e i filosofi, possono offrire.

    Pensiamo all’ottimo lavoro di Lucarelli in televisione (quello è un programma fatto “a regola d’arte”; non è un semplice programma di successo) oppure al recente Busi, che parla di libri, e lo fa bene – con creatività.

    Credo che gli scrittori in futuro avranno più peso.

    Le Università hanno rotto il cazzo e ormai si è capito che sono una perdita tempo. Chi si laurea non trova lavoro – laurearsi non è trovare occupazione. Oltrettutto si studia tutti le stesse cose e si sta lì tronfi e tromboni a bearsi beotamente di quel che si è studiato dai libri – si parla “come libri stampati” senza capire, poveri imbecilli lobotomizzati, che proprio questo è il guaio.

    Io per protesta, ma già da anni, mi viene di fare guerra totale al nozionismo accademico (e non ditemi che chi si laurea non ottiene solo nozionismi – e dopo due anni è buono solo per i telequiz di jerry scotti), e alla sintassi, e di ‘sbagliare’. Tanto a cosa serve fare giusto? A cosa serve studiare Socrate, Platone, Zizek, se poi vai a fare il lavoro di un geometra in una impresa? (E guai al mondo se cambi l’impostazione del lavoro – se porti “più cultura”: ti ridono in faccia e ti sbeffeggiano… Altro che laurea in filosifia permette duttilità, ti fa imparare ad imparare. Gran cagata imperiale! Spottone universitario dei miei coglioni! Imparare ad imparare un cazzo! Tu arrivi sul lavoro e l’unica cosa che capisci è che, nonostante lauree e master, devi stare zitto e mosca e imparare che la laurea non ti è servita a niente!).

    (Sì, Valentina Maran, sono sicuro che sei pronta a dirmi: questa sarà la tua esperienza, a me la laurea è servita… Già: ma non è che uno deve per forza essere una testa da novanta per procurarsi mille euro – o ottocento – per lavorare! Che poi è tutto da dimostrare che una testa da novanta trovi il lavoro. La laurea serve non per trovare il lavoro, ma quando stai lavorando)

    I giornalismi hanno fracassato i coglioni – sono un ron ron preconfenzionato, marchettaro, politicizzato, servile. Chi ci crede più nel giornalismo?

    Persino le Editorie hanno fracassato. Le due case editrici rimaste pubblicano pettegoli che fanno vento fritto preciso come in televisione o altro. Non offrono alternative reali (con le dovute inosservatissime eccezioni) – però a prezzi altissimi… vabbé, questi discorsi li fate meglio voi su NI, io dico solo la mia impressione.

    Nei prossimi anni gli scrittori faranno il bum, perché ci vuole un linguaggio di rottura (“rottura” sia detto senza isterismi – io non ci vedo tuta questa differenza tra restaurazioni e rivoluzioni: ci sono scrittori che si occupano di riaffermare antichi valori dimenticati e scrittori che capovolgono luoghi comuni e punti di vista sclerotizzati, e bla bla… la lenzioncella insomma… Ma, sostanzialmente, qual è la differza tra un rivoluzionario e un restaurazionario? Boh…) e questo gli scrittori possono darlo.

    Moresco è uno scrittore acutissimo: il suo sguardo scova particolari piccolissimi e leggerissimi (c’è una qualità migliore per essere scrittori?). Ecco abbiamo bisogno di questi sguardi… anch’io voglio avere questo sguardo.

  12. vorrei che Caliceti ritornasse su questa frase che ha scritto:
    “…per me questo, da tempo, non è più il mondo (anche letterario) dei soggetti e degli oggetti, dei buoni e dei cattivi, degli intelligenti e dei furbi, degli editori e dei lettori/scrittori, ma dei rapporti e delle reazioni che ne generano e ne regolano la co-emergenza.”
    e me la spiegasse.
    per dire.

  13. “Io invece” vorrei che Caliceti mi spiegasse la sua ultima frase, che mi sembra un capolavoro di comicità involontaria. Dall’ortografia claudicante, all’ “autogoal che si fa a se stessi” (?), per finire col “rischino”. E si potrebbe continuare con la storicizzazione della stronzata del “ruolo centrale degli intellettuali, che non c’è mai stato né in Italia né fuori dell’Italia almeno da alcuni secoli”; ma è tardi e ho sonno.

  14. Caro Marco, io trovo perfino commovente quello che dici, tutta la fede che esprimi, e posso solo augurarti(/mi) che tu abbia ragione!
    Non ho capito bene il passaggio sulla laurea e su Valentina Maran. Fra l’altro Valentina non è laureata, non le è servito per essere quella che è: una fantastica copy writer e una scrittrice che turba (conturba, perturba) nel profondo.

  15. Confermo. Non sono laureata. E non mi sono mai neanche iscritta all’università.
    Ho fatto solo il liceo artistico (neanche il classico…).
    Non ho capito perché vengo chiamata in causa…
    Torno a mangiarmi la mia piadina e a pensare alle mie pubblicità.
    (bacio a Raul e grazie dei commenti affettuosi!)

  16. La fede c’è, sì… (Come mi ha scritto una volta Davide Bregola per e-mail – “tutti ti conosciamo per quel gran tifoso della letteratura che sei”)

    Per Valentina Maran era solo un modo per attirare l’attenzione… Se fai un nome e un cognome (anche sbagliando tutto; anzi, a maggior ragione) ecco che tutti si interessano.
    (Almeno secondo le mie studiatissime teorie di rimorchiare ragazze attraverso quel che si scrive).

    Un’ultima cosa: un po’ di tempo fa sono stato a Reggio Emilia a parlare con Caliceti. E durante la conversazione mi ha consigliato il libro Esordi di Moresco, mi ha raccontato la storia del libro (dei dodici rifiuti, mi pare, ma potrei sbagliarmi) e ha parlato benissimo di Moresco.

    Se la storia dei dodici rifiuti è vera, vedendo come scrive Moresco (e cioè non come uno che si è meritato i suoi dodici rifiuti, ma proprio tutto l’opposto), mi dico che è inevitabile (quasi comprensibile) il suo furore.

    Per quel che vale la mia impressione, sulla base delle parole che ho sentito a Reggio Emilia, non credo che Caliceti sia contro Moresco.

    (ps: Valentina, a tortona ci sarà un corso gratuito di scrittura creativa, tenuto da Mozzi, dove si esaminerà anche un testo Montanari… se vuoi venire… è il 31 Aprile-01 Maggio… se vieni porta anche le piadine e le pubblicità…).

  17. Qui a Nazione Indiana, come pure nel nostro meraviglioso paese, ci sono tanti scrittori (troppi) e pochissimi lettori. E’ troppo facile dichiararsi scrittori, possono farlo tutti, può farlo anche chi non riesce affatto a campare con la sua scrittura. Moresco, per esempio, di che cosa campa se i suoi libri non vendono un’emerita minchia? Kafka oggi pubblicherebbe eccome! E anche Proust! State tranquilli! Ve lo dice il fatto che pubblica Moresco. Ve lo dice il fatto che pubblica il cinghialetto Sebaste, o Caliceti coi suoi suini e vagine! Ragazzi, pubblicano cani e porci!!! E cinghialetti!

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