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Risposta a Antonio Moresco

di Giuseppe Caliceti

Caro Antonio,

mi spiace che l’abbia presa così. Per la tristezza, intendo. Ho cercato di contribuire anche io a quel “dibattito” che mi pareva avevi lanciato. A un dibattito si partecipa, no?

Forse non ho usato le parole giuste e sono stato frainteso, forse no. Non l’ho capito.

A ogni modo, un confronto è un confronto e il mio intento era solo questo. Con tutti gli errori e le omissioni che posso avere fatto. E le semplificazioni e tutto il resto di negativo.

Ti ringrazio comunque per avermi scritto. E spero che tu risponda ancora. A me e a altri.

Certo avrò frainteso anche io più di una cosa e “letto” troppo superficialmente quello che tu hai scritto. Ma ripeto, io, oltre a quel positivo spirito di “sfida”, nel tuo pezzo ho sentito qualcosa in più che non mi pare mi appartenga. E te l’ho voluto semplicemente far sapere.

Forse il “pessimista” sono io, hai ragine. Ma non credo di teorizzare “per lo scrittore una marginalità introiettata e accettata (e tutto quello che viaggia in controtendenza sarebbe solo frutto di isolato romanticismo duro a morire). Da secoli”, alzi addirittura il tiro”.

Ma che tiro, Antonio? E che introiettamento?

Non ci siamo proprio capiti.

Capita.

Dici: “Tutti quei poveri coglioni e quei poveri illusi come Leopardi che non si accontentavano di vivere una letteratura (come qualsiasi altra cosa) solo giocabile dentro uno spazio marginale e non si rassegnavano a trarne le conseguenze e a scrivere piccoli libri proporzionali a questa visione, ma pretendevano invece di prendersi tutto il respiro e tutta la libertà della mente e del cuore e di volare alto, o dove cazzo gli pareva. E, anche fuori dall‚Italia e durante tutto il Novecento, quanti poveri coglioni e quanti illusi, persino in situazioni di oppressione e di terrore dispiegati e di marginalità assoluta! Scrittori e poeti che -persino allora- non hanno cessato di assumersi tutte la responsabilità e libertà. Qui invece, e ora, si dovrebbe accettare questa piccola dimensione terminale, storicistica, sociologica e formalistica e questa pochezza di orizzonti e magari farci convegni sopra. A te va bene così? A me no”.

Neanche a me, Antonio.

Credo che tu lo sappia.

Quello che ho cercato di dire io è questo: COME QUESTI GRANDI SCRITTORI CHE TU CITI E CHE ANCHE IO AMO E AMMIRO DIMOSTRANO, NON C’E’ NESSUNO CHE VIETI A UNO SCRITTORE DI VIVERE UNA LETTERATURA GIOCABILE IN PIENA LIBERTA’ E NON SOLO DENTRO UNO SPAZIO MARGINALE.

In ogni epoca.

In ogni Paese.

Detto questo, se sulla parola “libertà” e sulla responsabilità dell’accettazione di questa libertà (anche creativa, si capisce) mi pare che ci siamo quasi capiti, sulla parola “marginalità” non credo proprio. Per me “marginalità” (in questo tessuto sociale odierno, diciamo goffamente così…), come cercavo di spiegare al termine della mia precedente lettera, non è affatto accettare, da parte di uno scrittore, dimensioni terminali, rinunciatarie, segaiole, merdaiole e via dicendo. Anzi!

Ancora, per evitare equivoci e offese. Alcune tue enunciazioni, ripeto, le ho trovate “vecchie”, ma non volevo offendere proprio nessuno. E mi spiace se tu nelle mie parole hai potuto “leggere” delle offese. Ho letto e apprezzo i tuoi libri non da oggi. Lo sai. Per me hai scritto libri importanti. Decisivi. E sono felice perchè so che ne scriverai altri altrettanto importanti.

Però, per concludere, caro Antonio, te lo dico francamente, per scambiarsi delle opinioni e anche dei giudizi, magari anche fraintendendosi inevitabilmente un poco, magari anche sostenendo idee differenti (perchè siamo, se Dio vuole, diversi!, felicemente diversi!); per dibattere, insomma, come si pensava, se non ho capito male, al Salone di Torino, penso che non si possa fare tutte le volte tanta fatica.

Cazzo.

Calma e tranquillità, ragazzi.

Parliamo.

Stiamo parlando.

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6 Commenti

  1. Per parlare occorre avere almeno la certezza del vocabolario. Cerco la parola “marginale” sul vocabolario. Ecco la definizione: “del margine; che è collocato all’orlo, al margine: fig. di poco conto, non essenziale, secondario”.

    Ecco invece la definizione di Caliceti:
    Per me “marginalità” (in questo tessuto sociale odierno, diciamo goffamente così… non è affatto accettare, da parte di uno scrittore, dimensioni terminali, rinunciatarie… Anzi!”

  2. GLI INCURABILI

    Quando il tuo risentimento non riesce ad essere dialogico e fecondo (ah, il grande e dolente Paolo Volponi…), clicca Nazione Indiana: se capiti nel giorno giusto, scoprirai che c’è chi sta peggio – mooolto peggio di te.

  3. ferdy, che vuoi, qui si espongono coraggiosamente i panni sporchi e i sogni colorati. Discutere può essere anche molto polemico. Farlo in pubblico può voler dire non avere paura di fare anche brutta figura, nel caso. L’importante sono i contenuti. La rete è costruzione di democrazia, di comunità dialogante. Il dialogo può essere dissenso. Che questo dialogo non sia fecondo aspetta a dirlo: è ancora in corso, mi pare. Quanto al resto, c’è sempre chi sta peggio. Stare meglio o peggio non è indice di statura intellettuale o morale o artistica. Molti autori di capolavori, molti scienziati geniali stavano mooooolto peggio di tutti noi, stavano malissimo

  4. Hai ragione, aspetto. E non intendo fraintendere la mia perplessità con qualsivoglia giudizio di qualità o statura, intellettuale o morale o artistica. Solo trovo sbagliato aggredire gli interlocutori, anche quando crediamo che la stiano sparando grossa. Forse è solo una questione di stile, ma scusa se è poco.

  5. @ Il post sotto è di Liperratura, che è la mia casa abituale, ma volevo che Caliceti lo leggesse. Così. :-)

    Tanto per restare nelle fole dell’infanzia, ma come genitore, parafrasando Benedetti, una che deve insegnare al proprio figlio, “Piuttosto che marginale figlio mio la lotta?” Non lo so. Sarò,come al solito scema e dickensiana io, signori miei, ma tutta la cultura “undegorund”, dove la mettiamo? Con questo non sto dicendo che uno debba ricercare – l’under – la marginalità a tutti i costi, ma vivvaddio, godersela, visto che non si ha da “gestire un potere”, no, eh? Mai. Sempre a proposito di fole e d’infanzia, direi che “Amore, prima di tutto fa quel che ti piace! Se sai che ti costerà fatica e sudore della fronte, pensaci, perchè potresti non reggere! Psico e fisicamente!”. E non di certo, “Conquista gli avamposti del potere, e se qualcuno ti mette i bastoni fra le ruote, prima di tutto dì, ‘Ecco il mio nemico! ‘, grida. Così, quello che ha detto Caliceti mi è parso convicente. Lippa, questo è OT? se sì, scusatemi tutti.

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