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Preterizione

di giuliomozzi

lourdes.JPGAvevo pensato di iniziare questo intervento dicendo: il testo di Antonio Moresco La restaurazione è indiscutibile. Si può forse discutere una profezia? Non mi pare. E io il testo di Antonio Moresco appartiene (non ho dubbi) al genere letterario profezia. Non argomenta, non dimostra, non analizza, non prova: enuncia, e stop. L’unico argomento che trovo nel testo è un periodo ipotetico dell’irrealtà: se “Kafka, Proust, Joyce, Musil, Faulkner, Beckett” scrivessero oggi, non verrebbero più pubblicati “dagli editori e dai loro funzionari”: il che non può essere né dimostrato né smentito. Io, essendo cristiano cattolico, credo ai miracoli e alle visioni; e sospetto (se qualcuno pensasse di trovare dell’ironia in questa frase, si sbaglia) che Antonio Moresco abbia vista la Restaurazione più o meno come Bernadette a Lourdes vide la “signora vestita di bianco”. La visione di Bernadette si può discutere? No. Si può dire che Bernadette era pazza, si può ricostruire la cultura del luogo e del tempo per spiegare come la probabilità che una ragazzina prima o poi si sognasse di avere le visioni fosse piuttosto alta, eccetera: ma questo non è “discutere la visione”; questo è negarla, e stop.

Poi avevo pensato di cominciare questo intervento dicendo: il testo di Antonio Moresco La restaurazione rifiuta ogni discussione. E in effetti, verso coloro che si arrischiassero a proporre un discorso non profetico, cioè discutibile, cioè non radicalmente fondato sulla sua stessa radicalità, scatterebbe subito l’argomento ad personam, la delegittimazione, l’accusa di parlare “per pigrizia, per spirito di cordata e di gruppo, per conformismo, per paura di restare isolati, perché anche loro si sono trovati ormai il loro piccolo ruolo negli ingranaggi di questa macchina o dei suoi spazi residuali, perché, dopo averla inseguita per molto con la lingua fuori, sono arrivati finalmente ad avere la loro fetta di potere all’interno e se la tengono stretta”; e l’unica risposta ricevibile sarebbe un: “Marameo!”. [Come spiega bene Carla Benedetti: “Dire che chi scrive è un narcisista, un coglione, un pezzo di merda, un invidioso, un poveraccio, un risentito, uno che parla così solo perché deve rifarsi delle frustrazioni subite, sono […] argomenti ad personam, volti a delegittimare chi parla (magari senza nemmeno entrare nel merito di ciò che dice, e evitando ogni confronto sulle idee espresse)”].

Poi avevo pensato di iniziare questo intervento dicendo: Il testo di Antonio Moresco La restaurazione non può che essere preso così com’è; o lo si accetta o lo si nega (non argomentando, ma smarameandolo); ma accettarlo non significa essere in accordo con Moresco. Io, se provo ad accettare questo testo, devo dire: la mia posizione, nella visione che Antonio Moresco offre, è esattamente quella di chi “ha trovato ormai il suo piccolo ruolo negli ingranaggi di questa macchina o dei suoi spazi residuali”, è “arrivato finalmente ad avere la sua fetta di potere all’interno”, e “se la tiene stretta”. Non è questo il mio vissuto della cosa; non è così che io percepisco la mia condizione; ma questo è, indubbiamente, il posto che posso trovare nella visione offerta da Antonio Moresco. Quindi: se accetto la visione di Antonio Moresco, non posso che considerare Antonio Moresco mio nemico (il che non corrisponde ai miei sentimenti; ma non è di sentimenti che si tratta, qui).

Invece, alla fine, ho deciso di non entrare nella discussione. Lavoro da qualche anno con un editore. Il mio lavoro è molto impuro. Sono disponibile al compromesso. Compio talvolta gesti ruffiani. Uso l’ambiguità. Ho i miei alibi. Posso esibire più di “qualche buon libro che pure ho pubblicato”. Non ho la sensazione di “conoscere molto bene” il “funzionamento generale della macchina” nella quale mi trovo. Non credo che “il peggio di me” abbia preso il sopravvento, ma mi rendo conto che c’è il pericolo (d’altra parte: quando succede, chi se ne accorge?).

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19 Commenti

  1. E va bene oggi ci sta. Consideratemi un troll! Dopo aver riletto quello che Moresco ha scritto, riportato letterale da Mozzi -le cose riportate assumono sempre un altro sapore – “Oggi Kafka, …non sarebbero pubblicati”, ho avuto un sussulto. Ma vivaddio, se ha pubblicato Moresco, se pubblico io – dickensiana, ma tant’è? – perchè non dovrebbe pubblicare Kafka?

  2. Lavoro da dieci anni per il più grande e potente editore. Il mio lavoro è molto impuro. Sono disponibile al compromesso. Compio talvolta gesti ruffiani. Uso l’ambiguità. Ho i miei alibi. Posso esibire “qualche buon libro che pure ho pubblicato”, ma quelli cui tengo davvero sono soltranto tre e usciranno fra un po’. Non ho la sensazione di “conoscere molto bene” il “funzionamento generale della macchina” nella quale mi trovo. Non credo che “il peggio di me” abbia preso il sopravvento, ma mi rendo conto che c’è il pericolo (d’altra parte: quando succede, chi se ne accorge?).

  3. Gentili dottori,
    per prima cosa vorrei pregarvi di non sgomitare in questo modo e continuare a sfidarvi a colpi di sempre nuove home-page. Davvero non si riesce a tenere il ritmo e si ha anche altro da fare, nella vita.
    Per seconda cosa vorrei ricordarvi che state discutendo di un falso problema. Non saranno certo i turgori di Moresco, o gli afflosciamenti di Caliceti a decidere il posto della cultura. Certo, tutti vorrebbero che stesse al centro, ma il posto centrale è da sempre occupato, si sa, dai fastidiosi bisogni primari: mangiare, bere, dormire, evacuare…
    Il bisogno di affabulazione e tutto il resto vengono dopo.
    Chiedersi dove mettere la cultura, se spingerla verso il rumoroso centro o sistemarla in una tranquilla zona di periferia è perdere tempo.
    A seconda dei periodi, la cultura trova ogni volta da sé il posto che si merita.
    Il compito dello scrittore è produrre buone opere e contribuire come può al miglioramento del mondo.

  4. Ho riletto tutti gli interventi di questo acceso dibattito, dalla “Restaurazione” di Moresco – con i successivi post – fino a questi ultimi contributi (come sempre molto istruttivo quello della Benedetti) – con relativi post, per ora scarsi ma immagino destinati ad aumentare vertiginosamente: incollati e ben impaginati passerebbero per un’ottima tavola rotonda. Rotonda, e non quadrata (dove tutti vanno d’accordo e non si produce pensiero come spesso capita in molti convegni, conferenze stampa, incontri pubblici, festival e quant’altro), perché ormai mi pare evidente, e secondo me DEVE essere riconosciuto prima che sia troppo tardi, che Nazione Indiana NON E’ UNITARIA. E forse è scissa.
    Da una parte, c’è chi vive il proprio stato di intellettuale come in un perenne “stato d’assedio”, dall’altra parte c’è chi non si sente affatto minacciato in maniera radicale e incontrovertibile nel proprio ruolo di intellettuale, e pur condividendo molte delle analisi e delle congetture degli “assediati”, non può, non vuole, non accetta di essere catalogato come integrato, quando non addirittura integrante!, del Sistema solo perché non rinuncia ad una spesso motivata, ragionevole, anche storicamente, forma di ottimismo della volontà. O, perché no!?, di sano e sacrosanto individualismo.
    Tutto qui.
    Ora tocca a Nazione Indiana decidere se questa è una convivenza possibile (e guardate che non è scontato, e se si decidesse di “cacciare” gli uni piuttosto che gli altri lo considererei autenticamente democratico, perché il relativismo è la parodia della tolleranza e l’anticamera dell’indifferenza) oppure se è il caso di dirsi “ciao” come ha ipotizzato Montanari.
    Secondo me, c’è qualcosa che non va se dopo due anni di blog vi ritrovate in questo pantano, con questa aggressività (è aggressività, eh.. parliamoci chiaro, non discussione…) e con questa sensazione di inconciliabilità. Perché tutto sommato si sarebbe dovuto affrontare presto e definitivamente la questione, e DA LI’ partire per parlare, discutere (ora sì!) di letteratura. LETTERATURA, dico, e non QUEL CHE GLI STA ATTORNO. Ad esempio voi. Voi, intendo tutti coloro che lavorano per o nell’industria culturale, siete ovviamente influenzati dalle dinamiche editoriali, perché sconcertati – come darvi torto..?! – dalle logiche meschine che talvolta governano scelte, strategie che hanno importanti ricadute culturali delle quali il Paese è solo in minima ma non trascurabile parte informata. E’ giusto, quindi, parlarne, arrabbiarsi, immaginare scenari alternativi, lavorare in altri sensi, opposti a quelli che vanno – stancamente – per la maggiore. Testimoniare. E accettare, dunque, anche le altre testimonianze. E poi..? Dopo..?.. mettiamo pure che si lavora in tal senso, che certi discorsi (proclami?) siano coerenti, forti, convincenti, che la chiamata alle armi riscontri molti iscritti. E qualche renitente. Va bene. E poi..? Dopo..?
    Dopo bisognerebbe produrre senso, operando ognuno nel suo ambito (narrativa, poesia, saggistica, ecc.) per incarnare questo modello, per farlo stare in piedi e portarlo LA’ FUORI. E qui avvengono le prime difficoltà. Qualche soldato nicchia, qualcuno non si dimostra all’altezza. Qualcuno ci resta pure secco. Qualcuno comincia a dire che la guerra non gli piace, da sotto la tenda scrive lettere alla fidanzata, che l’’Esercito per la Distruzione del Best Seller a Tavolino” malsopporta. Però intanto la guerra continua, non se ne vede la fine, ma sembra inaccettabile una resa, nemmeno una tregua. La vittoria della MonoCultura segnerebbe il destino di troppe persone. Bisogna combattere, e avere chiaro che il nemico è solo uno, quello lì. Tutti uniti, niente chiacchiere, niente mediazioni. O si vince o si muore. Se qualcuno pensa che la Guerra non sia l’unica soluzione è pregato di andarsene. Così come è sgradito chi dice di essere d’accordo ma poi non imbraccia il fucile, anzi! È stato anche beccato, durante una licenza, mentre prendeva un caffè con un’editor sospettata di essere una spia dell’’Esercito per la Managerializzazione della Cultura”. Eh, no… così non si fa!
    Tra mille difficoltà, comunque l’’Esercito per la Distruzione del Best Seller a Tavolino” serra le fila e tiene duro, continuando a scrivere testi-bomba da scagliare sul Mercato delle Lettere. E’ in verità una tecnica che alcuni considerano troppo violenta: far esplodere un testo al mercato, proprio quando c’è tutta quella gente… c’è addirittura qualcuno che già spinge – sicuro della vittoria dell’’Esercito per la Managerializzazione della Cultura”, com’è noto più grande e potente, anche se meno preparato del suo avversario – per giudicare come criminale di guerra Antonio Moresco: forse il soldato più coraggioso e pericoloso di tutto l’’Esercito per la Distruzione del Best Seller a Tavolino”, un uomo all’apparenza tranquillo,ma capace di pratiche terrificanti quali l’uccisione tramite consumazione con carta vetrata.
    Nessuno sa quanto durerà questa guerra, e chi vincerà. Ma chi ha la fortuna di essere neutrale – anche se si chiede per quanto ancora – può assistervi e raccontarlo, e un giorno, quando tutto sarà finito, potrà affermare con orgoglio “io c’ero”.

  5. ho letto quasi tutti gli interventi e mi sono appassionato molto a questo dibattito. A un tratto mi sono un po’ preoccupato per la piega che stava prendendo la discussione con l’intervento dello scrittore aldo nove contro il critico La Porta e sono brevemente intervenuto. Ho apprezzato molto l’intervento di Giulio Mozzi, mi è sembrato sinceramente, insieme a quello di Raul Montanari, molto onesto. Ecco, io credo che la restaurazione (che c’è eccome) di cui parla Moresco potrebbe essere combattuta dagli scrittori con l’onestà e un pizzico di modestia che – se non sei Proust – è sempre consigliabile. Saluto tutti con affetto, anche Aldo Nove, le cui intemperanze non erano in fondo malevole (gli interventi successivi lo hanno domostrato). Dunque, ripeto, ONESTA’ INTELLETTUALE e un pizzico di MODESTIA. Arrivederci a tutti.

  6. Ah, dimenticavo: fra un mese uscirà per l’editore Gaffi un mio libro sulla narrativa italiana degli ultimi anni che si chiama “Botte agli amici”, con alcune stroncature di “intoccabili” se non di “restauratori”. Scusate questa piccola parentesi pubblicitaria.

  7. Gli scrittori che parlano tra loro di sé e del loro posto nel mondo, alla lunga annoiano a fanno anche un po’ senso, se non riescono, come mi pare accada in questo caso a centrare almeno un tema generale, cioè che interessi anche i lettori.
    Nella fattispecie ce ne sarebbero parecchi, a cominciare dalla domanda se ancora esista o meno un qualsivoglia ruolo per l’intellettuale nel mondo occidentale contemporaneo e/o, addirittura, se esista ancora una tale figura o se invece non sia molto cambiata e non si sia trasformata in qualcos’altro.
    Altra questione è il mutamento dei moduli narrativi conosciuti (il libro come ”opera” finita e corposa, non sempre di agevole lettura, frutto di annate di lavoro e però intensamente problematica, oppure capace di assumersi profondi temi contemporanei e disagi, tesa al raggiungimento dello status di opera d’arte, eccetera) e l’affacciarsi sulla scena di quelle scritture veloci, frammentarie, non paludate e webbiche, la lettura delle quali occupa una buona parte del nostro tempo non lavorativo, così che quando pigliamo finalmente il Libro in mano siamo sfiancati e demotivati.
    Oggi più che a una sequenza di spot culturali più o meno intensi, di colpi ben assestati e magari memorabili unica, vale a dire delle Opere di cui sopra (delle quali si sente, forse giustamente, la mancanza – e però siamo davvero sicuri che non se ne scrivano più?), siamo esposti, dicevo, ad una sorta di Vento Narrativo Multimediale (VNM) che ci investe come invece un continuum e ci impegna e ci culla senza sosta, facendoci dimenticare non solo di leggere magari Dostoevskij o altri del suo calibro, ma anche quegli scrittori meno importanti, più vicini a noi, forse ancora capaci di aprirci squarci di verità sul presente, ma per i quali non troviamo più il tempo, l’attenzione, la concentrazione, la disponibilità, eccetera.
    Si direbbe dunque, lo dico essenzialmente da lettore, che siano cambiate le condizioni esterne, quelle che si situano al contorno dell’atto di scrivere e dell’operazione di pubblicare, le quali condizioni sembrano dettare (ripeto: sembrano) anche alle case editrici un modo diverso di valutare il pubblicabile, e non solo in termini di ritorno economico. Vedi i libri assottigliarsi, atteggiarsi, svuotarsi, smaterializzarsi. Vedo i libri venire avanti distratti, fischiettando, ancheggiando, per farsi vedere, sfogliare, notare tra gli altri. Vedo strati su strati di questi libri vaporosi come carta igienica nascondere e soffocare il resto, un resto che interessa sempre di meno, di cui siamo in pochi ad aver bisogno e voglia, esposti alla furia crescente del VNM e quasi travolti.

  8. Caro tashtego, la tua notazione mi trova d’accordo, ma allora vedi anche tu che un problema reale c’è, non è mica solo questione di scrittori che si parlano addosso.

    Lo dimostra la mole di partecipazione, seria appassionata serena ad alta voce anche critica o puramente sarcastica, che sta avendo questa discussione, sebbene si tratti di una discussione anarchica e a tratti sfilacciata, difficile da seguire (ma preferireste il preside che dirige il trafffico? Non era questo, il bello della rete? La libertà, la spontaneità comunicativa: o no?). Segno che un disagio reale c’è, e che Antonio Moresco ha colto una cosa vera, concretissima, sebbene poi arrivi l'”elio” di turno a spiegare a tutti quanti che si tratta del solito assalto alla visibilità del gruppuscolo di scribacchini affamati di posticini al sole. Un’insofferenza, un non poterne più generali ci sono eccome, si tratta di analizzarne i motivi e le responsabilità, fuori e dentro di noi. Se poi ogni tanto ti annoi, mi dispiace e mi scuso con te a nome di Nazione Indiana. Alternative di “metodo” non ce ne sono, per ora: ci siamo dati a vicenda la libertà di intervenire quando necessario, se ieri e oggi questa necessità ha mosso una inconsueta quantitàò di interventi significa che la cosa ha toccato delle corde a molti.

  9. caro tiziano, in questa discussione anarchica, appassionata e sfilacciata – come dici tu – mi sembra verificato con evidenza che “lo stile è l’uomo”. un’affermazione questa in base alla quale chi ha seguito con interesse (a volte costernato interesse, devo dire) ha sicuramente tratto i suoi personali giudizi. a margine (mi si passi il termine ;-D), vorrei notare che in questa discussione – la quale banalizzando potremmo riassumere: la letteratura deve stare solo al centro perché al margine muore? – è completamente assente non dico in carne ossa ma anche in specie ideale il destinatario di questa richiesta, aspirazione, lotta per la centralità. e cioè il lettore. ma questa centralità, in fondo, a vantaggio di chi dovrebbe essere? a a vantaggio di noi lettori (mi ci metto di gran carriera, perché prima che lavoratrice del libro io mi sento lettrice tout-court) o per “voi” letterati, scrittori, critici ecc. perché se la risposta è la seconda, accidenti ho solo perso del gran tempo…

  10. Cara Paola, non mi sembra affatto che il lettore sia assente. Antonio Moresco ha fatto la sua analisi (o, come dice Giulio, la sua profezia) sulla restaurazione anche come lettore, anche come consumatore o acquirente di un’offerta culturale. E a questa discussione stanno partecipando anche non pochi lettori, mi pare. (Anche se, ti faccio notare che alcuni dei partecipanti nella finestra dei commenti, cioè di coloro che alla fine sono interessati a prendere la parola perché questa discussione li “tocca”, sono persone in un modo o nell’altro coinvolte nelle professioni che riguardano i libri e l’editoria: vorrà pur dire qualcosa, no? E alcuni altri sono dichiarati aspiranti scrittori inediti, ecc.). Se poi mi stai dicendo che i contributi dei lettori non sono in home page, be’, la rete ormai ha libero accesso, bastano pochi minuti per aprire un blog e venire qui a segnalare con un link o la trascrizione di un indirizzo http con un intervento.

  11. ciao Tiziano, grazie dell’ospitalità, concordo assolutamente con te sulla necessità e originalità di questo dibattito.

  12. >sebbene poi arrivi l'”elio” di turno a spiegare a tutti quanti che si tratta del solito assalto alla visibilità del gruppuscolo di scribacchini affamati di posticini al sole

    Dio quanto mi stai antipatico!

  13. helena e giulio, è una domanda senza ironia e sincera che vi faccio; e non dovete per forza risponermi subito, o qui; siete nell’editoria, siete in qualche modo quei personaggi “ibridi” di cui parlavo (di cui si parla); ovviamente non so se abbiate mai ammazzato dei capolavori; ma credete, voi, dal di dentro, eppur ancora marginali rispetto al funzionamento della macchina, ma certo molto meno marginali di me, ebbene… credete che vi sia un nemico della letteratura radicale (della grande letteratura, come diavolo vogliamo chiamarla…)? C’è o non c’è? Avete almeno dei sospetti? Oppure c’è, ma non è identificabile? O è una somma di gesti o dimenticanze, che migrano da uno all’altro, o ancora, come direbbe Musil, è il risultato globale nefando di tanto individuale e volonteroso agire? Davvero, fino in fondo senza ironia. Secondo voi c’è un nemico? Mi interessa il vostro personale parere.

  14. Caro Andrea: no, non credo che sia “un nemico”; sì, credo che ci siano “molti nemici”; sì, credo che “tanto individuale e volonteroso agire” (anche il mio agire) possa produrre “risultati nefandi”.
    Spero di pubblicare sabato mattina – avrò qualche ora libera dall’ossessionante lavoro – un intervento positivo.

  15. Per una volta sottoscrivo le parole di Mozzi dell’ultimo post. Non c’è “un nemico”. Sviste, innamoramenti non corrisposti, umane miserie.
    Kafka oggi avrebbe la stessa difficoltà a pubblicare che ebbe al suo tempo, così come Proust cercava di farsi pubblicare a pagamento.
    I best seller occupano il mercato dei best seller, non quello di altri libri. Quello degli altri libri è sempre più eterogeneo e vivo. Continuo a non leggere in questi interventi i nomi dei grandi scrittori osteggiati dalle case editrici (a differenza dei nomi fatti dalla Benedetti coraggiosamente in altre occasioni), come se tutti sapessero di chi si sta parlando. Io lavoro in una grande casa editrice e non lo so di chi si sta parlando.

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