Articolo precedente
Articolo successivo

Prima che crolli il palazzo

di Helena Janeczek

Anche a me piace vederla come Raul, Nazione Indiana: come una casa. Una casa che possa accogliere molti inquilini e ancora molti più ospiti. E’ questa la specificità, l’unicità di Nazione Indiana come blog letterario. E’ questo, inoltre, che rende Nazione Indiana un luogo d’azione che si oppone fattivamente all’isolamento e alla marginalizzazione degli scrittori e della letteratura.

– Pubblichiamo poesie quando pubblicarle su carta, non a pagamento, per un poeta non affermato è diventato qualcosa che rasenta l’impossibile. Lo stesso vale persino per le riviste, le quali, per di più raggiungono un pubblico infinitamente più piccolo di quello della rete.
– Proponiamo saggi di traduzione di quel che fanno saggisti, scrittori e poeti in ogni parte del mondo, mentre editoria e pubblico sono ancora principalmente orientati verso l’ambito anglo-americano.
– Riusciamo a mettere in contatto con un clic persone che scrivono in ogni parte d’Italia, contribuendo a rompere assurde, ma persistenti divisioni geo-culturali.
– Uscendo dalla rete, siamo riusciti a riempire un teatro nella città inospitale di Milano e, soprattutto, a portarvi a nostre spese alcuni dei più importanti testimoni di un giornalismo di inchiesta libero e coraggioso.
Ci sarà ancora altro, in più è solo l’inizio, ma io mi fermo qui. Tanto mi basta per fare il punto.
Una casa esige che gli inquilini sappiano convivere e richiede ancora di più che gli ospiti vengano trattati con il riguardo conforme al loro ruolo. Non è una questione cosmetica di bon ton borghese (ma a me andrebbe bene anche quello), perché la sacralità dell’ospite è cosa molto più antica, un fondamento di qualsiasi civiltà. Altrimenti, darwinianamente, vince, sbrana, ingrassa il più forte o il più violento.
Filippo la Porta e Giuseppe Caliceti (non conosco personalmente nessuno dei due, il primo non ha mai parlato di un mio libro) sono venuti a dire la loro su un tema che NOI avevamo sollevato e non sono stati trattati come si deve: oltre a un po’ di insulti personali (che, in quanto personali, mi sembrano paradossalmente più emendabili) hanno ricevuto risposte polemiche e, quel che è peggio, poco attente a quanto loro avevano detto. Sono stati criticati pesantemente senza essere stati ascoltati attentamente.
Nessuno, neanche se è invitato a farlo, è tenuto a rispondere in un luogo pubblico se pensa che le sollecitazioni di chi gli si rivolge siano per lui insensate o semplicemente poco interessanti. Ma se invece accoglie la sfida, deve misurarsi con esattamente quelle domande o quelle tesi. Questo, a mio giudizio, è l’atteggiamento consono a chi crede nel ruolo di una critica militante.
Qualcuno ha risposto alle domande formulate da la Porta o almeno motivato perché non aveva intenzione di rispondervi? Qualcuno ha chiesto a Caliceti che cosa intendesse esattamente per marginalità o ha cercato di dimostrare che gli scrittori non sono marginali?
Io vedo una certa quantità di retorica – appassionata e in questo sincera – al posto di un argomentazione rispettosa ma anche radicale.
Così non va, amici. Così siamo- per dire- molto ma molto al di sotto del livello di Fortini o Pasolini (che non erano né mammole né sempre avevano ragione). Così stiamo distruggendo la credibilità guadagnata presso i nostri lettori e frequentatori e stiamo tradendo la responsabilità che ci siamo liberamente assunti per creare spazi qualificati di dibattito e di incontro. Non è così che si combatte la “restaurazione”, ma anzi si dà ma forte alla parcellizzazione darwiniana del nostro piccolo ecosistema culturale, si rischia di promuovere la decadenza. E inoltre, come si vede, una di quelle piccole guerre fra tribù che finirono per completare il genocidio operato dall’uomo bianco.Genocidio: come Andrea Inglese trovo- da tempo e per ragioni non solo biografiche- che “genocidio culturale” sia un’espressione infelice visto che ce ne sono ancora in atto di quelli veri, ma temo che di questo passo potremmo arrivare al “suicidio culturale“, almeno al nostro.

Print Friendly, PDF & Email

15 Commenti

  1. Gentili dottori,
    per prima cosa vorrei pregarvi di non sgomitare in questo modo e continuare a sfidarvi a colpi di sempre nuove home-page. Davvero non si riesce a tenere il ritmo e si ha anche altro da fare, nella vita.
    Per seconda cosa vorrei ricordarvi che state discutendo di un falso problema. Non saranno certo i turgori di Moresco, o gli afflosciamenti di Caliceti a decidere il posto della cultura. Certo, tutti vorrebbero che stesse al centro, ma il posto centrale è da sempre occupato, si sa, dai fastidiosi bisogni primari: mangiare, bere, dormire, evacuare…
    Il bisogno di affabulazione e tutto il resto vengono dopo.
    Chiedersi dove mettere la cultura, se spingerla verso il rumoroso centro o sistemarla in una tranquilla zona di periferia è perdere tempo.
    A seconda dei periodi, la cultura trova ogni volta da sé il posto che si merita.
    Il compito dello scrittore è produrre buone opere e contribuire come può al miglioramento del mondo.

  2. sono un assiduo frequentatore di questo spazio web anche se raramente intervengo. condivido molte delle cose dette da Helena Janeczek, e voglio farvelo sapere perché può tornarvi utile un punto di vista ESTERNO.
    non è una questione di galateo, non me ne frega niente del volume e del tono delle voci. anzi. apprezzo la passione di moresco e benedetti. e ne apprezzo l’intelligenza e la sensibilità: divoro ogni loro intervento, bevo i loro libri. ma mi resta l’impressione che abbiano mosso critiche pesanti a interventi che però non avevano ascoltato attentamente.
    e mi sembra che a queste critiche iniziali, appassionate ma un po’ fuori bersaglio, siano a catena seguiti interventi sempre più urlati e sempre meno mirati.
    ovviamente si tratta di una impressione generale, e vi ho spiegato perchè ci tengo a farvela arrivare.
    grazie,
    luigi

  3. Cara Helena,

    a chi ti rivolgi quando dici “Così non va, amici!”.
    Ti riferisci ai nostri ospiti? A Filipo La Porta che nella sua risposta al pezzo di Moresco sulla restaurazione mi collocava tra gli esempi di “narcisismo diffuso” e “autreferenzialità”? A Caliceti che ha detto che il discorso di Moresco sulla restaruazione suona come un tentativo di riscatto generazionale?
    Oppure ti riferisci a Aldo Nove che ha dato del coglione a La Porta? O a Giulio Mozzi che, in preparazione dell’incontro di Torino sulla restaruazione, organizzato da Nazione Indiana, ha definito il pezzo di Moresco sulla restaurazione “una profezia”?
    Ti riferisci a qualcuno di questi discorsi poco costruttivi, a qualcuno di questi attacchi personali, volti a delegittimare la persona di chi parla, o comunque a non prenderla sul serio, evitando di entrare nel merito di ciò che dice?
    Ti riferisci a chi, sempre in preparazione di quell’incontro sulla restaurazione organizzato da Nazione Indiana, scrive che Nazione Indiana è un luogo di potere?
    Ti riferisci a Raul Montanari che in preparazione di questo incontro sulla restaurazione non tollera che si facciano obiezioni dure a chi sostiene che gli scrittori farebbero meglio a starsene sereni nella marginalità, invece di agitarsi a fare tanti discori sulla restaurazione (che del resto sarebbero solo riscatti generazionali camuffati)?

    Oppure ti riferisci a me e a Moresco, gli unici ad aver risposto energicamente a chi ci dice che faremmo meglio a tacere, visto che siamo narcisi, autoreferenziali, frustrati in cerca di risarcimento?
    Sì, Helena,vorrei proprio capire a chi ti riferisci con questa reprimenda generalizzata e senza nomi.
    A chi ti rivolgi con questa paternale, con questo strano tono (che stento a riconoscere come tuo), il tono di chi si mette al di sopra delle parti per dare bacchettate generiche a tutti?
    Però, a ben vedere, la tua paternale è meno generale di quel che sembra a prima vista.
    Tu dici infatti che gli attacchi personali si possono anche tollerare, che sono più scusabili di altri. Qindi, visto che io e Moresco siamo i soli a non esserci lasciati andare ad attacchi personali (non abbiamo dato né del coglione né del narcisista a nessuno) ne deduco che è proprio a noi che ti riferisci.

    Sì, deve essere proprio così.

    Rileggo quello che hai scritto:
    “Filippo La Porta e Giuseppe Caliceti sono venuti a dire la loro su un tema che NOI avevamo sollevato e non sono stati trattati come si deve: oltre a un po’ di insulti personali (che, in quanto personali, mi sembrano paradossalmente più emendabili) hanno ricevuto risposte polemiche e, quel che è peggio, poco attente a quanto loro avevano detto. Sono stati criticati pesantemente senza essere stati ascoltati attentamente”.
    Sì, siamo proprio io e Antonio!

    Leggo ancora un altra frase del tuo pezzo:
    “Qualcuno ha chiesto a Caliceti che cosa intendesse esattamente per marginalità o ha cercato di dimostrare che gli scrittori non sono marginali?”

    E allora ti pongo anch’io due domande:
    Qualcuno ha chiesto a La Porta cosa intendesse dire con “narcisismo diffuso” e “autoreferenzialità”? Qualcuno ha chiesto a Caliceti cosa intendesse dire con “risarcimento generazionale”? Qualcuno a chiesto a Biondillo cosa intendesse dire con “luogo di potere”? Nessuno, Helena. Neanche tu, che ora vieni a dirci che “siamo …molto ma molto al di sotto del livello di Fortini o Pasolini”.
    Poiché io non credo di essere in questo basso livello in cui tu ora indistintamente mi collochi assieme a Moresco, ti prego di rispondermi con chiarezza. Dimmi, cosa ti dà il diritto di paragonare la discussione anche aspra che si è aperta in questi giorni su Nazione Indiana a “una di quelle piccole guerre fra tribù che finirono per completare il genocidio operato dall’uomo bianco”? Cosa ti spinge addirittura a prognosticare il nostro “suicidio culturale”!
    Accidenti, e tutto questo lo avremmo porvocato io e Moresco, con le nostre risposte a La Porta e Caliceti?

    Sono molto triste per le cose che hai scritto. Molto più che per le cose che ha scritto Raul, perché nel suo pezzo si riconosce un’impulsività(che del resto lo caratterizza). Ma tu, addirittura una paternale ragionata! Come se fossimo degli scolaretti indisciplinati che hanno fatto a botte con i compagni! Ricordo a tutti che stiamo organizzando un incontro sulla restauarzione! Che sarà il 9 maggio alla Fiera del libro di Torino, alle 16.30.

  4. Cara Carla, se continui a definire i miei interventi come frutto di impulsività (che del resto “mi caratterizza”) o come manifestazioni di uno che “non tollera” ecc., fottendotene di quello che ho detto davvero e di tutte le reazioni che ci sono state, simili a un tappo che finalmente salta, mi costringi a dirti che sei in pura malafede.
    Mi dispiace: non ho il carattere dolce di Giuseppe Caliceti, che ha ingoiato l’amarezza e a furia di precisazioni, aggiustamenti, chiarimenti è quasi (quasi!) arrivato a una autosconfessione pur di trovare il massimo della consonanza e ridurre al minimo la dissonanza; questo è il modo in cui uno come Giuseppe mette in pratica ciò che lui stesso teorizza di voler fare: combattere sommessamente, di fianco a voi e a noi, senza troppi proclami. Io gli voglio bene e lo ammiro anche per questo.
    Non ti invito più a rileggere quello che ho scritto e la quantità di questioni che ho sollevato, perché vedo che non lo fai. Sopravvivrò. E soprattutto sopravvivranno le idee, anche se non amplificate dal megafono.
    Sono molto felice, peraltro, che tu abbia deciso di rispondermi pubblicamente (anche se accusandomi di volerti censurare e altre idiozie del genere, insomma travisando costantemente, pervicacemente, non le mie intenzioni ma la LETTERA delle mie parole, cosa grave per una CRITICA LETTERARIA), e non in modi più indiretti, diciamo, come è successo anche di recente.
    Preferisco così: almeno tutti possono leggere e giudicare. E mi pare proprio che abbiano letto e giudicato.

  5. Scusa, Carla, se oggi non ce la faccio davvero a risponderti. Ma lo farò, con calma, non appena possibile.

  6. Cara Carla,
    no, non intendevo riferirmi solo a te e Antonio, ma anche a chi, come in questo caso Aldo Nove, è passato all’insulto reiterato e non sono stata abbastanza chiara.
    Penso di aver sbagliato a mettere l’inciso sugli insulti “paradossalmente più emendabili”, perché capisco che se ne può dedurre che ritengo gli insulti meno gravi (“più scusabili” scrivi tu) delle risposte articolate. Non è così.
    Continuo a trovare inqualificabile la frequenza degli insulti personali su un blog come il nostro, indifferentemente se li esprime Aldo Nove, Raul Montanari o l’ultimo dei troll, il quale, dato che frequenta NI, immagino come una persona che frequenta la letteratura e il pensiero.
    Riprendo qui un commento che mi ha fatto male:
    “Sono capitata qui tra voi per caso e con un certo stordimento sono poi passata da un post all’altro, avevo deciso di non commentare, perché mi era sembrato inutile, ma poi ho pensato che sarebbe stato in un certo senso “incivile” non farlo, come non andare a votare, una forma di qualunquismo. All’inizio mi avere irritato, poi ho provato noia e poi sgomento. Siete quasi tutti, Moresco a parte che ha la mia età, la generazione dei figli o dei fratelli minori, e mi chiedo, abbiamo prodotto questo? Questo urlio indistinto, questa aggressività, queste posizioni che non potranno dialogare né confrontarsi mai perché producono essenzialmente frastuono? Non voglio fare nomi perché non è il singolo intervento che mi ha colpita, ma lo stile (lo stile, che ha a che fare con la letteratura di cui tutti parlate). Che cosa fa di voi qualcosa di diverso da un reality? Ve lo chiedo con vera curiosità, qualcuno ha parlato di centralità dello scrittore, ma questo blog la smentisce, mi sembra piuttosto la dimostrazione che il modello televisivo ha vinto, che ha perso la radio, ultimo baluardo di civiltà, e ha vinto la televisione nei suoi format più trash. Citate Kafka, l’uomo più mite che abbia vissuto su questa terra, sarebbe scappato inorridito all’idea di avere alcuni dei lettori che ho visto rappresentarsi qui. Tornate in voi, vi prego, non voglio pensare che il futuro sarà questo, e un grazie a tutte le voci pacate e civili che hanno preso la parola ogni tanto. Silvia Bortoli”
    Non credo che ha davvero vinto nelle nostre menti il format reality, ma che ne abbiamo introiettato qualcosa, qualcosa che agisce non solo sui decibel degli enunciati, ma sull’ubiqua commistione di una critica personalizzata ( sull’intollerabilità dell’accuse di “narcisismo” e simili, ti do assolutamente ragione) a una critica rivolta all’oggetto. Attacco e contrattacco sul piano personale, emotività esibita e tradotta in retorica (mi ci metto dentro anch’io, guarda). Di questo l’insulto pare il primo grado e il suo unico vantaggio è di presentarsi come tale. Banalità: di un insulto ci si può scusare. Ma non si può discutere con un insulto. Per questo il pezzo era rivolto soprattutto a voi due che avete risposto senza insulti.
    Mi sono riletta con calma tutti gli scambi e ho costatato che la mia reazione è avvenuta per accumulo, secondo la logica della goccia che fa traboccare il vaso. Continuo a trovare incomprensibile il fatto che Antonio e soprattutto tu avete interpretato il pezzo di Caliceti come un attacco delegittimante alla discussione partita dal pezzo “la restaurazione”. Sulla questione “marginalità” c’è stato, a mio avviso, un grande equivoco (anche se alla fine NON siamo tutti d’accordo). Stranamente la Porta con il suo intervento molto più provocatorio, ha ricevuto risposte più circostanziate e meno offese: il che è forse psicologicamente comprensibile, ma crea risultati sballati.
    Io sono l’ultima ad esigere una critica a-emotiva, finta oggettiva: ma per essere credibile, dev’essere il pensiero ad incanalare la passione, l’emotività. E penso che legittimando troppo l’esibizione in pubblico della suscettibilità soggettiva, rischiamo di aiutare i più loschi cantori dell’incomunicabilità insuperabile, del relativismo, dell’irrazionalismo. In pratica: della restaurazione.

  7. Mi dispiace ma io proprio non riesco a non dirlo… ho trovato la lettera della signora Bartoli veramente banale e pure un po’retorica; benché scritta in quella che formalmente si potrebbe definire “buona fede”.

  8. Ma chi è la signora Bartoli? E com’è che qualcuno viene chiamato solo per nome, e un altro, anzi un’altra, “signora”?

  9. mi è scappata una “a” al posto della “o”, chiedo scusa. Bortoli, quindi: è la firma del post citato da helena.
    Mi è venuto di chiamarla “signora Bortoli” perché il suo è un commento (onesto e sincero ma- a mio avviso- banale) fatto da una persona che fa riferimento ad una generazione che non è la mia anche se vicina. Insomma non era un riferirmi a lei con un “signora” per prendere le distanze; forse semplicemente una forma di “scolastico” rispetto. Tutto qui.

  10. Forse non sono la persona più adatta a rispondere, ma credo che con un bel nome tutto italico come il tuo almeno sul lato etimologico le cose sarebbero più comprensibili. Ci penso.

  11. silvia bortoli è una notevole scrittrice e traduttrice (per ulteriori informazioni c’è “google” o il catalogo metaopac). peccato che invece di scrivere qualcosa, magari non nello spazio “commenti”, se ne sia andata!
    SN

  12. Liberatevi dei narcisi maximi – benedetti e moresco – e questo luogo sarà molto più interessante e accogliente. Ecco quello che intendeva dire, neppure tanto nascostamente, La Porta. Un’altra cosa: io se fossi un editore, non mi sognerei mai di stampare moresco. E non mi sento affatto una restauratrice. Semplicemente Moresco con canti del caos non è ancora maturo per la pubblicazione. Bye bye.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Di quale “cancel culture” si parla in Italia?

di Bruno Montesano e Jacopo Pallagrosi
Negli Stati Uniti, a un anno da Capitol Hill, si continua a parlare di guerra civile. Questa è la dimensione materiale della cosiddetta...

L’orso di Calarsi

di Claudio Conti
«Da una parte l’Impero ottomano, dall’altra la Valacchia. In mezzo il Danubio, nero e immenso». Lara è sul fianco e ruota la testa all’indietro, verso Adrian. Rimane così per un po’, con la reminiscenza del suo profilo a sfumare sul cuscino.

Amicizia, ricerca, trauma: leggere Elena Ferrante nel contesto globale

L'opera dell'autrice che ha messo al centro l'amicizia femminile è stata anche veicolo di amicizia tra le studiose. Tiziana de Rogatis, Stiliana Milkova e Kathrin Wehling-Giorgi, le curatrici del volume speciale Elena Ferrante in A Global Context ...

Dentro o fuori

di Daniele Muriano
Un uomo faticava a sollevarsi dal letto. Un amico gli suggerì di dimenticarsi la stanza, la finestra, anche il letto – tutti gli oggetti che si trovavano lì intorno.

Un selvaggio che sa diventare uomo

di Domenico Talia Mico, Leo e Dominic Arcàdi, la storia di tre uomini. Tre vite difficili. Una vicenda che intreccia...

Soglie/ Le gemelle della Valle dei Molini

di Antonella Bragagna La più felice di tutte le vite è una solitudine affollata (Voltaire) Isabella Salerno è una mia vicina di...
helena janeczek
helena janeczek
Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: