Articolo precedente
Articolo successivo

Il Papa eliminato dalla Casa

di Salvatore Toscano

funeralipapa.jpgEcco: parte una canzone degli Aerosmith (magari quella usata in Armageddon), oppure, che ne so, Tiziano Ferro, una qualsiasi hit del momento, o roba un po’ più sofisticata, insomma qualunque stronzata ritenuta capace di far salire la temperatura emotiva del pubblico.
Allora, la situazione è questa: abbiamo appena visto Sempronio del Grande Fratello, o Caio de La Fattoria, uscire dalla Casa acclamato come un Papa a Carnevale da figuranti che si fingono esseri umani. Sempronio del Grande Fratello è stato raccolto dal presentatorino fighetto che si finge un essere umano, è stato infilato in una bella automobile e portato in studio. In studio lo hanno riacclamato e abbracciato, qualcuno ha pianto, gli altri usciti dalla Casa nelle settimane precedenti sono così belli e luminosi che il nuovo arrivato fa fatica a riconoscerli ma li abbraccia lo stesso come vecchi amici, ci sono persino i familiari pure loro belli come a un matrimonio e – non c’è niente da fare, dispiace ammetterlo – hanno tutta l’aria di aver fatto un corso intensivo per imparare a fingersi esseri umani.

In genere funziona così: l’eliminato esce dalla casa, arriva in studio e la presentatrice dopo qualche commento fa partire una clip di un paio di minuti in cui si mostrano tutte le gesta di Sempronio nella Casa. Non rara è la comparsa di un piccolo riquadro in un angolo del teleschermo che documenta l’emozione del protagonista in studio mentre si rivede nella clip.

Ora, restiamo al Grande Fratello che è l’esempio perfetto per dare un’idea della sproporzione che c’è – in vari sensi, ma in particolare dal punto di vista emotivo – tra la realtà vissuta all’interno della Casa e la clip di due minuti. Per convenzione ci tocca far finta di potere etichettare ciò che accade nella Casa come “realtà” in contrapposizione alla clip che possiamo etichettare come “puro concentrato di televisione” o, per brevità, “televisione”.

Nella Casa, come in quasi tutte le case del mondo, la vita, se proprio ci costringiamo a osservarla per passare un po’ di tempo libero, è francamente noiosa e molti microeventi interessanti che si vedono nelle case normali non sono consentiti dal regolamento o sono ottusamente ritenuti di scarso appeal. Certo, ogni tanto gli autori si fanno venire in mente giochini da villaggio turistico, ma tutto sommato si assiste al lentissimo e noiosissimo scorrere di quintalate e quintalate di tempo. Quindi anche se gli ideatori del programma non se ne sono accorti e non l’hanno fatto apposta, il format del Grande Fratello dà vita a una specie di enorme installazione di arte contemporanea dedicata al tempo.

Facciamo un veloce zapping dalla Casa alla clip. Ci troviamo al cospetto di sconfinate quantità di tempo e noia messe al confronto con una strabiliante clip di due minuti in cui tutta una vita è sintetizzata ed elevata a evento televisivo.

Nella Casa per lo più si chiacchiera, si sta sdraiati sul divano, si fuma, si cucina, c’è un vago e molle intessersi di relazioni umane tra aspiranti ospiti di Buona Domenica che si fingono esseri umani, un po’ di competizione e poco altro di rilevante: credo che nel giro di un mese ci siano sì e no la metà dei colpi di scena che ci sono in una singola puntata di Beautiful.

Ritorniamo con un salto velocissimo alla nostra clip di due minuti che, va sottolineato, è messa insieme con lo stesso materiale video poco brioso che arriva dalla Casa. Allora, stabiliamo una volta per tutte che la colonna sonora la fanno gli Aerosmith, la canzone è commovente, non dobbiamo dimenticare che si tratta di I don’t want to miss a thing pensata per Bruce Willis che muore salvando il pianeta dalla imminente collisione con un gigantesco meteorite. Nel montaggio il bel Sempronio del Grande Fratello entra nella Casa con la valigia, poi ride in mezzo agli altri, poi è avvolto nel rosso del confessionale con il suo belvedere di pettorali depilati, poi se ne sta seduto sul divano con i piedi nudi poggiati sul tavolino e lo sguardo pensoso, la musica sale, ecco Sempronio al rallentatore (in verità quasi tutto è al rallentatore ma solo adesso ne prendiamo coscienza) che corre sul tapis roulant, il montaggio dettaglia in uno spolverio di secondi l’inizio di una storia d’amore, poi Sempronio si tuffa nella piscina con lei, poi è in bagno si fa la barba e lei lo abbraccia da dietro, poi è al buio, sotto le coperte con lei in un’inquadratura che ricorda le immagini notturne dell’attacco americano in Iraq, la musica naturalmente non può far altro che continuare a salire, se è possibile tutto si fa ancora più rallentato e patinato, i ragazzi della casa si fanno scherzi con la panna spray per dolci e nessuno ha mai avuto in vita sua amici come questi, Sempronio la bacia, si amano, è evidente che si amano come a pochi altri al mondo è capitato di amarsi, Sempronio è in palestra a rimpinzare i bicipiti mentre una goccia di sudore scende al rallentatore sulla tempia destra scavalcando una vena azzurra in rilievo… E niente è mai stato così irripetibile e perfetto, un po’ come l’urlo di Tardelli al mondiale del 1982 ma progettato a tavolino in ogni minuscolo dettaglio.

E quanto tempo è passato? Quanto dura tutto questo? Per quanto tempo le nostre espressioni facciali sono state telecomandate dalle immagini sullo schermo?

Due minuti.

Spero di aver reso la sorprendente sproporzione tra la nullità della vita nella Casa (che poi si elegge a metafora di tutte le case dato che ci sono la “C” maiuscola e l’articolo determinativo) e la smagliante bellezza della clip, perché è in questa sproporzione che sta il nocciolo della faccenda.

In realtà questa doveva essere solo una premessa, forse mi sono allargato un po’.

Volevo parlare del Papa, e di quello che ha fatto la televisione con lui, di quanto è stato dopato l’evento, di quanto è stato potente il ruolo della televisione nel moltiplicare le masse che lei stessa inquadrava. Volevo parlare di Bruno Vespa che alla fine della diretta del funerale usava come unità di misura dell’evento la quantità di telecamere presenti: “cinquantuno, faccio televisione da quarant’anni e non ho mai visto una cosa del genere”. Forse mi sarebbe piaciuto parlare anche dell’aumento del numero di telecamere negli stadi. Proprio qualche settimana fa l’ex arbitro Graziano Cesari a Controcampo faceva notare che gli errori degli arbitri oggi sono più evidenti non per via della loro incapacità, ma perché ci sono molte telecamere in più rispetto a qualche anno fa. E avrei fatto notare che per lo più gli arbitri e il funerale del Papa non c’entrano un bel niente e ci distraggono dalla verità, dal nocciolo della questione che, ripeto, resta in quella formidabile sproporzione emotiva tra la clip di due minuti e il fiaccume che regna nella Casa, e sembra regnare nelle nostre case e nelle nostre vite.

Cinquantuno telecamere, per noi spettatori, non significano moltiplicare la nostra presenza e migliorarne la qualità, non significano essere più presenti, ma essere più manipolati, non significano essere più vicini, ma essere più lontani, messi a debita distanza dalla finzione organizzata da un regista libidinoso tutto immerso nella sua orgia audiovisiva. Cinquantuno telecamere significano inquadratura larghissima di piazza San Pietro, dettaglio della campana che suona a lutto, inquadratura degli uomini con la divisa della protezione civile che distribuiscono bottiglie d’acqua ai “pellegrini”, significano bandiere che sventolano sulle teste dei “pellegrini”, inquadratura di gente con il turbante, il presidente Ciampi che stringe varie mani, il vaticanista che commenta con le cuffie sulle orecchie, collegamento con Circo Massimo, schermi giganti in Polonia, inquadratura di Bush con moglie padre ed ex avversario… Il tutto, si badi bene, non metabolizzato e donato alle nostre capacità pensanti come può fare un DeLillo in Underworld o in Mao II (cito DeLillo perché in alcune sue scene di massa la tecnica della moltiplicazione dei punti di vista è la stessa) ma scaraventato con violenza propagandistica sulle nostre nudità di esseri, condizionati da un’inevitabile formazione cristiana, in preda all’emozione e veicolati dalla incessante parlantina esaltata di chi commenta.

E nel calcio. Nel calcio oggi abbiamo tantissimi primi piani, vediamo la faccia di Totti, di Del Piero, o Ronaldo. Non so quante volte ho maledetto il regista che indugiava su un primo piano facendomi perdere una bella azione di gioco. E tutto questo perché il primo piano è necessario, è più importante della partita, nessuno può rinunciare al primo piano che è uno dei più fertili strumenti della mitopoiesi praticata dalla televisione.

Si tratta di gente che sa governare l’oscura grammatica della manipolazione, solo che, porca puttana, non è oscura per niente questa grammatica. I mezzi a disposizione sono tanti e ipertecnologici, ma il linguaggio è elementare, persino rozzo: pensiamo al film The Passion di Mel Gibson con l’abuso di rallenti e di sottolineature musicali che tentano di comandare a bacchetta i nostri stati d’animo. È così evidente e dozzinale, tutti noi li vediamo quei merdosissimi programmi televisivi pieni di stronzate ma formalmente impeccabili e persino interessanti per gli intelligentoni che li studiano e fanno della televisione una scienza, lo sappiamo benissimo come ci si dimentica presto dei personaggi del momento anche quando il primo piano e il momento durano qualche anno… È così chiaro che questi qui il loro mestiere lo sanno fare bene, solo che non sempre è chiarito che il loro mestiere è far credere a noi che guardiamo che quelle cose sono fondamentali, imperdibili, che in televisione c’è tutta roba molto più insostituibile di noi e delle nostre vite e che saremmo dei coglioni se spegnessimo il televisore per restarcene nel mortificante silenzio della nostra casa con la “c” minuscola.

Robert Bresson nelle Note sul cinematografo scriveva che “la televisione è una scuola di disattenzione” ed era vero in un tempo in cui esistevano da una parte il mondo e da una parte la televisione. Oggi però i confini si fanno più sfumati, le cose si ribaltano e la televisione si impone come mondo. In base a questa logica è il mondo stesso (quello che non sta nel video) a diventare una scuola di disattenzione e quindi va combattuto perché ci allena e fortifica nella disattenzione, ci distoglie dalle cose importanti, ci distoglie dalla televisione.

Ecco, io non giudico questo Papa, non è a me che compete, non ne ho gli strumenti e non sono interessato a farlo… E poi come potrei adesso che mi hanno rimbambito per giorni con questa interminabile clip di due minuti andata in onda su tutti i canali per l’uscita del Papa dalla Casa?

La clip è partita: il Papa è in Africa, il Papa è sugli scii, il Papa trema con la testa piegata di lato vinta dalla forza di gravità, il Papa giovane fa l’attore, il Papa prende in braccio un bambino, il Papa si accascia perché gli hanno sparato, il Papa con la colomba che non vuole saperne di volare via, il Papa nella Papamobile… Il Papa è stato eliminato e i figuranti che si fingono esseri umani lo hanno acclamato attirando un numero spropositato di esseri umani veri subito ribattezzati “pellegrini”, c’è stata un’esplosione demografica di presentatorini fighetti, e… Non so, non me la sento nemmeno di continuare, mi sembra scorretto, persino troppo facile: a questo punto il Papa eliminato dalla Casa del Grande Fratello non è altro che la solita trovata furbetta. Io però sono davvero incazzato perché mi fa male vedere le persone a cui voglio bene prese per il culo in questa maniera. Mia madre ha pianto per la morte del Papa, le sarebbe piaciuto essere a Roma, era stupefatta dalle cifre, dal numero dei “pellegrini”, dalla portata dell’evento che ha costretto addirittura la protezione civile a spedirle un paio di sms sul cellulare per invitarla a starsene lontana dalla capitale, è sinceramente colpita dalla faccia trasfigurata dal dolore di gente come Cucuzza o Mara Venier, e se solo provo a discutere tende a chiudersi perché è sicura che il problema si riduca a questo: lei è una credente mentre io sono solo un presuntuoso che gioca a fare l’ateo.

Il fatto è che mia madre è una persona ingenua come le donne che stavano davanti al televisore con David Foster Wallace l’Undici settembre 2001: “A nessuna delle presenti verrebbe in mente neppure per un attimo di notare che forse è un po’ strano che i cronisti di tutti e tre i telegiornali siano in maniche di camicia, che i capelli arruffati di Rather non siano un fatto al 100% casuale, o che certe sequenze spettacolari vengano ritrasmesse ininterrottamente nell’eventualità che i telespettatori si siano appena sintonizzati e non le abbiano ancora viste. Nessuno pare accorgersi che gli strani occhietti spenti di Bush sembrano progressivamente avvicinarsi l’uno all’altro durante tutto il suo discorso registrato, né che certe sue frasi suonino identiche e quasi al limite del plagio rispetto a quelle pronunciate un paio di anni addietro da Bruce Willis (nella parte, notate bene, di un fanatico estremista di destra) nel film Attacco al potere. Né che almeno una parte del trauma delle ultime due ore derivi dalla precisione con cui varie inquadrature e scene ricordino indifferentemente la trama di Die Hard, Air Force One o del romanzo Debito d’onore di Tom Clancy. Nessuna di esse è abbastanza sarcastica e sofisticata da proporre l’ovvio, perverso richiamo postmoderno: Questo L’Abbiamo Già Visto. Al contrario, l’unica cosa che fanno è star lì tutte sedute insieme a sentirsi malissimo e a pregare.” (La vista da casa Thompson nel volume Undici settembre, pubblicato da Einaudi).

Non è un problema di cultura o di istruzione, ce lo dobbiamo ricordare, per la maggior parte siamo soltanto ingenui, non ignoranti, non stupidi. Abbiamo gli occhi chiusi, o la testa girata dall’altra parte, ci lasciamo frastornare dalle clip di due minuti, ma non siamo ciechi, i nostri occhi funzionano ancora e ce lo dobbiamo ricordare.

Print Friendly, PDF & Email

10 Commenti

  1. È un bel pezzo, anche se ormai su Papa & Circo mediatico era già stato detto abbastanza tutto.

  2. oh io no capito, scusi, io no capito bene italiano figurare toscano, perchè contro papa, perchè polacco? io sempre deto ave gloria, no capiscie questa cosa papa uguale grande fratelo, io no capiscie questa cativeria contro papa, metere steso piano tv spazatura funerali papa credo cazata, scusi, io deto la mia voi deto la vostra.
    saluti da Polska

  3. concordo sul rischio che la realtà ci distragga dalla televisione.
    opportuno dunque il riassorbimento mediatico di ogni evento, in modo che finisca per assomigliare ai format di fiction/reality correnti.
    la realtà è in discussione da tempo, almeno tra i filosofi: la sua negazione “dal basso” (ma qui come si fa il corsivo?) è una novità storica, oppure c’è sempre stata?
    propendo per la seconda ipotesi, visti gli esiti della storia, a tutt’oggi.
    bel pezzo, toscano.

  4. da due anni e mezzo non ho più la tv. Non dico che la mia sia la scelta giusta (può anzi darsi che sia sciocca, come la maggior parte degli integralismi), ma tutto sommato sono molto più contenta così.
    (anche se non seguo più programmi che mi piacevano e che ritengo ancora fatti molto bene – tipo Report)

  5. Il pezzo è molto bello.
    La mortuaria espressione “tutto è stato già detto” squalifica già di per sé in modo radicale chi la pensa/pronuncia.

    Per Milo: io non ce l’ho più da quattro. Chi l’ha detto che è una scelta sciocca? E soprattutto, chi l’ha detto che è un integralismo?
    So che – almeno una volta – le inchieste di Report venivano via via trascritte e riportate sul sito ufficiale della trasmissione.

  6. Per Baratto: se mi fai avere il tuo indirizzo privato, vorrei inviarti circa 700 nuovi articoli sul papa e sul circo mediatico che si è scatenato intorno alla sua agonia & esequie. Tutto il già detto, è vero, può sempre essere ri-detto in nuove forme. Epperò c’è anche il problema della saturazione tematica, almeno nell’immediato aftermath di un evento. Quanto alle squalifiche radicali, sono tipiche dei tromboni.

  7. “Io però sono davvero incazzato perché mi fa male vedere le persone a cui voglio bene prese per il culo in questa maniera. Mia madre ha pianto per la morte del Papa, le sarebbe piaciuto essere a Roma, era stupefatta dalle cifre, dal numero dei “pellegrini”, dalla portata dell’evento che ha costretto addirittura la protezione civile a spedirle un paio di sms sul cellulare per invitarla a starsene lontana dalla capitale, è sinceramente colpita dalla faccia trasfigurata dal dolore di gente come Cucuzza o Mara Venier, e se solo provo a discutere tende a chiudersi perché è sicura che il problema si riduca a questo: lei è una credente mentre io sono solo un presuntuoso che gioca a fare l’ateo.”

    La rabbia che tu hai provato o la tristezza che tua madre ha vissuto per la morte del Papa restano autentici.. questo e’ cio’ che conta, che il ns. cuore non sia contaminato dalla sete di potere e del successo.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Commiato

di Antonio Moresco Cari amici, vi comunico la mia decisione di uscire da Nazione Indiana. Negli anni in cui ci siamo...

Cosa è successo nel frattempo?

(Risposta a Giulio Mozzi) di Antonio Moresco Caro Giulio, vorrei dire alcune cose sui tuoi interventi a proposito della "Restaurazione": ...

Risposta pacata

di Antonio Moresco Vedo che in Nazione Indiana è salita la febbre, che c’è fermento e anche scontro, e questo...

Marginalità o libertà

(Risposta a Caliceti) di Antonio Moresco Caro Caliceti, ho letto il tuo pezzo sulla “Restaurazione”, sia quello su Nazione Indiana che quello...

La restaurazione

di Antonio Moresco Nazione Indiana sta organizzando per il mese di maggio, alla Fiera del libro di Torino, un incontro...

Omaggio a Bellow

di Antonio Moresco E’ morto Bellow, uno scrittore americano che ho cominciato a leggere da ragazzo e che amo in...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: