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Vomitorium (8)

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di Gianni Biondillo e Helena Janeczek

GIANNI BIONDILLO
Va bene, Helena, portami a casa. Io ho mal di testa. Poi non ho neppure la patente, quindi è meglio che guidi tu.

HELENA JANECZEK
Sorpresa: ci tocca il metrò. Neanche io guido.

G.B.
Già che siamo per strada… una volta al telefono mi hai parlato della prova E.R.: se un libro riesce a farsi leggere anche se stanno trasmettendo una puntata di E.R. in tivù allora è un libro veramente interessante. Per me questo significa, fra le altre cose, che guardi la tivù senza pregiudizi. Ti rendi conto, in pratica, del potenziale enorme del mezzo. Potenziale soprattutto “narrativo”.
Ken Loach lo diceva oltre 10 anni fa che non bisognava guardare la tivù con disprezzo ma come un mezzo espressivo da utilizzare.
Una volta in uno scambio di lettere Giuseppe Genna mi scrisse che gli piaceva l’idea di lavorare con Squizzato, anche se, alla fine, girava un prodotto televisivo che avrebbe raggiunto a malapena il 12% di share. Ma il 12% di share, gli ho risposto, significa circa 3 milioni di persone. Faletti con il suo romanzo ne ha raggiunte 2. Certe volte le dimensioni contano, no?
Insomma la tivù c’è. C’è. E bisogna farci i conti. A questo aggiungi che le nuove tecnologie (la digitale terrestre, etc.) metteranno in campo un ventaglio enorme di opportunità: Dario Fo è anni che ci prova a farsene una di tivù, forse è la volta buona che ci riesce.

H.J.
A parte il destino condiviso di conoscere a memoria i dialoghi di Nemo e tutte le canzoncine di Winnie the Pooh, ovvero di aver visto e rivisto in questi anni cassette e dvd di cartoni (per fortuna spesso bellissimi) negli orari prime time, io in realtà anche prima guardavo poco la televisione: film, dibattiti politici, un po’ di calcio, un po’ di satira finché c’è stata. Tutto molto banalmente in linea con i supposti gusti di una supposta intellettuale. Poi, per curiosità, mi capita di guardare una puntata o due di Carabinieri, o circa un terzo di una del Grande Fratello. Perché se ho la sensazione di buttare via il mio tempo, me ne infischio dell’ipotesi che bisognerebbe capire cosa tiene davanti al televisore i proverbiali “milioni di italiani”. Detto questo non mi sogno di pensare che chi invece segue certe trasmissioni sia un deficiente alienato.

G.B.
Be’, se è per questo, io ho un rapporto con la tivù abbastanza pacificato. La guardo molto raramente, quando capita. Tra l’altro ormai mi accorgo che l’informazione, per me, passa per il web. Il telegiornale lo guardo sempre meno.
Mi interessa, però, il fatto che, per quanto orrende che siano, le fiction di produzione italiana sono da un cinque anni a questa parte, una sorta di palestra dove si sta creando una categoria di tecnici, attori, registi, segretarie di edizione, etc. che non esisteva più da anni, da quando, in qualche modo avevamo delegato ai prodotti esteri tutto il reparto della fiction. Che poi, purtroppo, facciamo prodotti di basso livello me ne rendo conto. Ma cerco sempre di capire come, in ogni caso, tutto questo possa diventare un humus, un terreno di semina per ottenere un salto qualitativo del prodotto. E.R., me ne rendo conto, è un prodotto alto perché può essere esportato in tutto il mondo. Ma questo non significa che non si possa pensare a una tivù differente anche in Italia.

H.J.
E.R. invece è l’unica fiction che per un certo tempo ho cercato di vedere. Non è una serie così indiscutibilmente artistica com’è stato Twin Peaks di Lynch, ma rappresenta un salto di qualità. Sceneggiatura, recitazione, definizione e sviluppo dei personaggi, montaggio, ritmo hanno un livello per nulla inferiore a quello del buon cinema, ma sono al tempo stesso ultratelevisivi. In più vengono trattati in maniera certo “fictionalizzata”, ma assai poco kitsch, temi come la malattia, la morte, la fragilità e complessità dei rapporti umani (nelle famiglie e nelle coppie e anche sul lavoro) aggiungendoci problemi sociali e persino politici di ogni sorta. Per questo è venuta fuori questa cosa della “prova E.R” riferita ai libri. Quel che ne ho tratto, è che fra i libri che hanno retto meglio, ci sono le grandiose macchine narrative come i romanzi ottocenteschi o contemporanei americani, (mettiamo Roth e DeLillo), ma anche molti libri in cui non c’è plot e non succede un tubo, come quelli di W.S. Sebald. Perché fra letteratura e tv (ma anche cinema) non c’è partita. Noi abbiamo altri ritmi, molto ma molto più lenti e un mezzo espressivo in toto più indiretto. Insomma la letteratura deve continuare a lavorare con i suoi mezzi, scavare con i suoi mezzi. Perché dovrei investire ore e ore per leggere in solitudine un romanzo, se mi becco la stessa storia in maniera molto più spettacolare nella durata di un film o una puntata di fiction, dove per giunta posso condividere la visione con altri? Noi possiamo ottenere un’analoga forza di coinvolgimento (più una complessità maggiore), ma giocandoci la nostra specificità e questo secondo me vale per TUTTA la narrativa: di genere e no, difficile o “popolare”. Altrimenti la letteratura diventa ancilla televisionis ed è un disastro. Uno scrittore può anche volersi ispirare a una soap o far parlare i personaggi in modo televisivo, ma deve sapere perché e come farlo. Oppure se ne può fregare allegramente di come narra la tv. Non vedo nessuna necessità che la letteratura debba per forza farci i conti.

G.B.
Certo che no. Ma io parlavo di “scrittura” più in generale. Fermo restando le autonomie indiscutibili, c’è stato un periodo dove la collaborazione fra scrittori e registi ha saputo produrre in Italia cinema di vera qualità. L’idea un po’ malsana, per un certo periodo, mi pare sia stata quella che cercava di dividere nettamente questo rapporto, fra chi le storie le sapeva pensare e chi le sapeva girare. Ovviamente quando scrivi per un media differente avrai una scrittura differente. Non mi sognerei mai di dire: scrivete come se fosse ovvio che quello che fate diventi necessariamente cinema o tivù…

H.J.
Questo è solo sollevare la questione, ma se ci entriamo il discorso si farebbe così lungo che non riuscirei più a prendere l’ultimo treno per Gallarate. Magari approfondiamo un’altra volta…

G.B.
D’accordo… e al paio di questo ci metterei un discorso fatto da Tiziano: riprendiamoci spazi dimenticati o sottostimati. Ad esempio il teatro. Com’è che nessuno scrive più pensando al teatro? Nelle mani di chi lo abbiamo lasciato?
E in effetti la sua performance groppi d’amore nella scuraglia mi sembrava un bell’inizio, no?

H.J.
Da studente andavo spesso a teatro; lo facevo anche, prima col gruppo del liceo, poi in qualche altra forma amatoriale. Ho anche fatto dei lavori di traduzione e altre cosette per il teatro. Ormai saranno anni che non vedo più uno spettacolo, ma trovo sempre che lo spazio di un teatro sia qualcosa di magico.
Ora possiamo dire che chi continua a fare un teatro di ricerca come i nostri amici del Teatro I, si trovano ad affrontare delle difficoltà nei confronti delle quali noi altri scriventi siamo ancora veri signori: di necessità economica, di scarso sostegno ecc. Quindi spero che il fatto di ospitare le iniziative di NI, possa giovare anche a loro.
Di certo questo scambio o, per usare una parola programmatica di Nazione Indiana, questa vasocomunicazione, giova a noi. C’è un salto palesemente enorme fra, metti, la lettura di Tiziano di groppi d’amore nella scuraglia e una presentazione standard alla Feltrinelli. Ma anche una lettura per nulla spettacolare come quella di Ivano Ferrari dentro il quadro di un teatro riceve una ben diversa intensità. Infatti, anche se non abbiamo certo i potenti mezzi dell’ufficio eventi Feltrinelli, nelle nostre serate, di pubblico ne avevamo sempre parecchio. Per non dire del convegno eroicamente autofinanziato su Giornalismo e Verità che ha riempito il teatro per tutta la giornata.

G.B.
C’era ancora una cosa che forse non ho ancora chiarito. Un concetto che una volta abbiamo già discusso: “il luogo di potere”. Nazione Indiana lo è? La mia, lo sai è una domanda retorica, perché ho già la mia risposta, ma preferisco che la sviluppi tu per me.

H.J.
No, la domanda retorica non vale. Sarebbe un’occasione sprecata.
“Luogo di potere” che vuol dire? Non ti pare che sia un’espressione così ricorrente, proprio perché così indefinita. Ci metto poco ad identificare un “luogo di potere”, tanto non devo specificare di che tipo di potere sto parlando. Persino le consuete accuse di mafietta/cordata/ consorteria/lobby ecc.(che hanno come bersaglio non solo NI, ma qualsiasi altro raggruppamento di scrittori e simili che “si frequentano”) sono meno vaghe.
Almeno lì capisci che si ha in testa l’associazione tesa ad aumentare e consolidare tramite mutuo sostegno e favori reciproci il potere di ciascuno, (o magari più dei supposti boss che dei supposti picciotti), ma che comunque l’incremento di potere prodotto grazie all’associarsi è il fine ultimo. Che NI non sia né nata con questo spirito, né diventata una cosa del genere, mi pare abbastanza facile da dimostrare.Ci siamo dati delle regole fra cui c’è quella di non lodarsi e imbrodarsi a vicenda. Quando esce un libro di uno di noi, NON se ne parla su NI, con effetti se vuoi quasi tragicomici perché ormai siamo così tanti che non parlare dei libri di caio o tizio significa tagliare fuori dal dibattito sul blog una bella fettina di letteratura italiana contemporanea. Quando Tiziano ha pubblicato la sua recensione-saggio su Fiona così approfondita e stimolante, giuro che ho pensato “menomale che Covacich non è di NI, altrimenti non la scriveva”. Perché mai dovremmo darci una regola del genere se fossimo finalizzati sull’autopromozione?
E il dibattito degli ultimi giorni? Cos’è stata, una lotta interna per il potere, la nostra Guerra di Secondigliano? Ma se alla fine restiamo sempre le stesse persone dotate dello stesso potere operativo, cioè quello di postare direttamente in homepage, a che cosa è servita?
Infatti, secondo me, non è stata una lotta per il potere, ma l’articolarsi di posizioni divergenti il cui fine è stato quello di chiarire dove NON si è tutti d’accordo e, credo, ritrovare in questo modo aperto la base comune (di cui fa senz’altro parte la fiducia nella “non mafiosità” degli altri). Questo certo non avviene né nel Soviet e nemmeno al congresso dell’Ulivo dove si tratta di capire quanto potere attribuire alle singole componenti in base al consenso ottenuto. Avviene, forse, nel movimento no-global che riesce a fare delle cose nonostante la diversità anche enorme di chi vi partecipa.
Voglio ricordarti che NI è nata soprattutto da un’idea di Tiziano Scarpa, il quale, pur essendo il più celebre di tutti, non aveva nessuna voglia di mettere su un bel sito personale, ma vagheggiava un luogo dove insieme ad altri poter scrivere e pubblicare quel che gli pare. E’ questo, in primo luogo, il potere di NI, quello esercitato da ciascun indiano.
– Poter scrivere liberamente, senza commissioni, tagli, standard di battute, su qualsiasi argomento si scelga, in qualsiasi forma.
– Poter ripubblicare pezzi usciti sui quotidiani, relazioni tenute a convegni ecc. rendendoli accessibili a un pubblico molto più vasto.
– Poter pubblicare interventi mandati da terzi e anche poterli rifiutare (lo dico per maggiore trasparenza).
– Poter, come qualsiasi frequentatore, lasciare un commento ai pezzi altrui.

G.B.
In effetti ammetto che la mia domanda, posta così aveva un grado di ambiguità un po’ troppo ingovernabile. Speravo in una reazione orgogliosa nei commenti, ma evidentemente ho sparato un po’ a casaccio, in modo antipatico. Insomma ho sbagliato.
Io credo, eccome, in Nazione Indiana come luogo del “poter fare”, un po’ come dici tu. Nessuna accezione negativa, ma una aderenza al significato da vocabolario: “facoltà, capacità, possibilità concreta di fare qualcosa, di raggiungere uno scopo.” Il problema è, alla fine, etico: questo scopo da raggiungere per alcuni può essere il mantenimento dello statu quo. In questo consesso, è, invece, il desiderio di essere fattivi, operativi, spendendo di tasca propria, con entusiasmo, dedicando tempo, voglia, formulando sogni.

H.J.
Vi si aggiungono, ed è importante, le iniziative al Teatro I e quella che stiamo preparando per Torino. A me, ad esempio, che giravo con la cassa dei soldi raccolti per rimborsare treni e aerei ai relatori, il convegno Giornalismo e Verità ha dato un forte senso d’orgoglio.
Cercavo senza successo un commento di Elio che paragona NI a un sistema di caste (prima gli “indiani” più celebri e prestigiosi, poi gli altri e infine quelli che scrivono commenti) salvo poi ammettere che il parallelismo non regge del tutto. No, non funziona: tu, Franz e Gabriella, da assidui frequentatori dei commenti siete diventati “indiani titolari” e credo che ad esempio uno come Roberto Saviano che ha venticinque anni e all’inizio era noto a pochi, si sia giustamente conquistato gli allori sul campo. E’ strano che proprio laddove c’è poca struttura gerarchica (con tutti i rischi che questo comporta), saltino all’occhio le differenze ineliminabili, ma nient’affatto immodificabili.
Come ricorda anche Caliceti nel suo ultimo pezzo, l’unione fa la forza. Anche la forza che deriva da ogni singolo animale solitario da scrivania quando intreccia relazioni coi suoi simili, relazioni basate sul voler fare insieme, sullo scambio di idee e anche sull’affetto. Per uno che scrive è vitale avere degli amici che fanno lo stesso, amici di cui ti fidi (sia della sincerità che della competenza) quando ti dicono che sbagli ma anche quando ti incitano a superare crisi e difficoltà.
Per ora può bastare, anche perché mi piacerebbe passare la palla ad altri, alle loro domande, critiche, specificazioni… I commenti sono qui per questo.

G.B.
Helena, lo sai, lo dico spesso, anche un po’ scherzosamente… tu hai sempre ragione! È il mio assunto di base. Quindi, sinceramente… spero tu abbia compreso che cosa ho cercato di fare in queste mie “pippe personali in luogo pubblico”.
Mi guidava una massima del testo sapienzale cinese, il Chuang Tzu (che però conosco nella traduzione romana di Paolo Morelli: Er Ciuanghezzù (ner paese der Gnente) hai presente?): “La rete è bbona pe pijà li pesci: l’hai pijati, la rete te la scordi”. Ecco: io mi sono concentrato, per una volta, sulla rete. Più sul cantiere che sull’opera.
Ora dimmi: ho sbagliato? Ho subito il fascino dell’autoesposizione, ho perso tempo, dovevo giungere in fretta alle conclusioni, non dovevo mettere in luce il percorso, dovevo mantenere un tono più alto, una scrittura più controllata, sono stato poco furbo, poco diplomatico, troppo diplomatico?
Accetto la tua risposta come vera. Come sincera. Come io ho cercato di essere, in fondo, fin ora.

H.J.
A me non dispiace l’idea del “processo in atto” e soprattutto mi piace la struttura dialogica, l’antica prassi del percorso fatto insieme ad altri. Però è anche vero che con questo procedere a puntate, specie qui sul web (per non parlare di tutte le cose successe fra questa e la penultima), si rischia di non vedere il senso dell’insieme.

G.B.
C’è, però, un problema reale. Leggere decine e decine di pagine, sul web, diventa improponibile. Manca, per dirla come uno del mestiere, di usabilità. O si decide di creare un link dove scaricare tutto il pezzo, per poi leggerselo con calma, oppure non so… Non potevo mica postare otto puntate una dietro l’altra, avrei intasato il sito. In effetti questo è un problema tecnico che io non so risolvere. Non è il primo che ci capita a Nazione Indiana, e, come ben sai, stiamo cercando di attivarci per riformulare il blog. In effetti, avere la possibilità, ad esempio, con un click, di scaricare tutte le Scimmie di Dario potrebbe essere una buona cosa… ma torniamo a noi…

H.J.
Penso che abbia ragione Tiziano quando ti rimprovera l’eccesso di messa in scena da bar in apertura del primo Vomitorium che fa bere (al bar si beve, no?) al lettore l’idea del cazzeggio in libertà, mentre tu un tuo percorso ce l’avevi bene in mente, anche se restava da costruire insieme ad altri e dunque parzialmente imprevedibile. Mi va benissimo l’understatement o, se preferisci, l’atteggiamento di chi non se la tira, ma non quando offusca la vista sugli obiettivi veri.
No, tu non hai voluto fare “pippe personali in luogo pubblico”, ma usare i tuoi chiodi fissi, le tue preconcezioni e percezioni come leva per sollevare domande nient’affatto solo personali. E anche questo chiamarsi dentro per andare oltre al proprio punto di vista, mi pare lodevole. Un’ultima cosa: mi rendo conto che non è facile per un narratore trovare un suo stile, una sua modalità di esprimersi quando passa a interventi più saggistici. Per quel che mi riguarda, sento di aver questo problema. Ci sono testi di questo genere in cui sento un’alienità nella forma di ciò che dico, non nel contenuto. Così sulla fine ci affacciamo sui fondamentali: cos’è lo stile? E se immaginiamo che il nucleo irriducibile del lavoro di uno scrittore non coincida solo col suo stile, allora da dove viene, che cos’è? Sì, sono bastarda anch’io, a volte. Perché fra pochissimo mi tocca davvero correre all’ultimo treno.

G.B.
E allora ti lascio andare. E anch’io, sinceramente, è ora che la smetta. In tutti i sensi. Confesso di essere abbastanza stanco.
Ho inseguito da un anno e mezzo questa cosa credendoci dal profondo. Come lettore prima, come scrittore poi, come indiano ora. Non che non ci creda più, tutt’altro. Ma è ora che anch’io mi disintossichi un po’. Mi sono lasciato prendere la mano. Ho sempre cercato di evitare la rissa, di stemperare i toni, di attenermi “al pezzo”, di profondere vero entusiasmo. Ho avuto risposte arricchenti, ho conosciuto persone che solo questo mezzo mi avrebbe permesso di conoscere. E parlo di ragazzi di Fidenza, di librai di Bergamo, di lettori di Rimini, amici di Napoli, scrittori di Roma, etc. etc. ma questo basta a sopportare l’insulto continuo, l’aggressione sistematica? Basta, semplicemente, non rispondere mai alle provocazioni gratuite, come se nulla fosse, cercando di mantenere sempre la calma, di non lasciarsi sopraffare dalla voglia di restituire gli insulti? Di credere talmente nel mezzo a disposizione da accettare tutto, olimpicamente?
Certe volte queste prove generali di democrazia diretta mi sembrano un’occasione sprecata. Al posto di scrivere, rispondere, confutare, replicare, tutto però sul piano delle idee, dei contenuti, sembra che tutto quello che si faccia sia un continuo scaricare la tensione nervosa, un po’come fossimo ad una riunione di condominio, dove c’è chi sta zitto e non interviene mai e, di contr’altare, ci sono quelli che si scannano per delle inezie, per delle virgole. Come se “il bene comune” fosse indifferente.
Io non credo di averne più la forza. In effetti ciò dimostra la mia debolezza, in fondo.
Sono partito dicendo che ero, per condizione sociologica, il meglio sulla piazza. Mi riscopro un debole.
Sipario.

(fine)

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19 Commenti

  1. Insomma, fate fare questa fiction con le sbobbe di Biondillo e così finalmente si leva dai c., no?

  2. Gentile Gianni, io credo che il bene comune sia “esserci veramente nella discussione”… è questo il senso di quella DEMOCRAZIA…il confronto, per quanto inutile alle volte, fatto anche di cose spiacevoli e fastidiose e divagazioni…
    che poi alle volte è così difficile farlo correttamente… beh su questo ti capisco… ed anche scaricare la tensione nervosa è democratico… non trovi?è soprattutto umano…
    mi piacerebbe sapere cosa ne pensa di Helena…

  3. Geme Biondillo: “… ma questo basta a sopportare l’insulto continuo, l’aggressione sistematica? Basta, semplicemente, non rispondere mai alle provocazioni gratuite, come se nulla fosse, cercando di mantenere sempre la calma, di non lasciarsi sopraffare dalla voglia di restituire gli insulti?”

    Per farmi perdonare, dedico a Biondillo, umile lavoratore della vigna della letteratura, la mia delicata poesia “Dicono che posi”:

    DICONO CHE POSI

    Alcuni
    dicono
    che posi
    solo perché
    qualche volta
    mi hanno visto
    trasfigurare
    il volto
    imporre
    alle narici
    travagli
    estenuanti
    roteare
    gli occhi
    digrignare
    i denti
    urlare
    e mandare
    la voce
    fuori registro
    aggrapparmi
    a cuscini
    e tendaggi
    scivolare
    fremente
    lungo
    i muri
    e
    infine
    arruffarmi
    i capelli
    con inorridite
    mani…

  4. Gianni, a me i Vomitoria sono piaciuti. Ogni tanto mi perdevo qua e là, non riuscivo a seguire il filo, ma alla fine sono riuscito a farmi un “adorniano” quadro d’insieme. Grazie per le sbronze che ti sei dovuto sorbire e per le idee che hai tirato a galla. Inoltre mi sembra che i Vomis con l’attuale dibattito sulla restaurazione abbiano rimesso in moto il meccanismo di nazione indiana, vivacizzando forme di dibattito apparentemente sopite. Infine per la prima volta confesso di aver riso ad una battuta di Angelini, quell’ umile lavoratore della vigna della letteratura non è niente male considerando che la tua foto che circola sul web è una dove sei avvolto di sciarpa rossa alquanto cardinalizia…

    vins gallico

  5. Lucio a me ha fatto ridere in diverse occasioni, anche la poesia la trovo divertente ed è valida per molti, forse per tutti, quindi anche per lui…;-)
    D’accordo con Vins, i Vomitoria hanno dato un po’ di colore a queste nostre grigie, pesanti giornate di umili lavoratori (spesso a gratis) della vigna della letteratura, di missionari della parola scritta…
    Comunque, questa è stata la puntata più interessante.

  6. Manca ancora qualche passo e una cinquantina di interventi, ma ormai ho quasi finito la lettura.
    E solo ora riesco a sentirne gli inizi,come una parabola che nel mezzo si perde, si amplifica, si gonfia, ma di un peso che rischia di cadere nel vuoto.Un vuoto che il commento è riuscito a svuotare ancor di più.
    Invece quest’ultimo post e quello precedente di Franz mi pare che finalemtne rientrino -uscendone- nel vivo della questione. E la portino a noi con un respiro più ampio,un respiro che ,forse è vero, un po’ si è rotto le palle ,ma che proprio per questo comincia a mostrarsi nella sua nudità. Tutto sommato non cancellerei nemmeno le belle stronzate, le accuse vuote, l’offesa ridicola:spesso è necessario smontare il corpo, annullarlo quasi, per tornare a sentirlo.
    Ma che questa non diventi una buona scusa all’autoperpeutazione della merda: meglio la goffaggine che si muove in terreni fertili, che non l’eleganza a tutti costi che danza – e si danza e si guarda e si riguarda- nella palude, no?

    Ora vado al primo vomitorium:comincio davvero ad affezzionarmi, a questa nazione.

  7. carmelobene@tin.it
    Ragazzi, ma siete disinformati, o lo fate apposta?

    BIONDILLO dice:
    “…riprendiamoci spazi dimenticati o sottostimati. Ad esempio il teatro. Com’è che NESSUNO scrive più pensando al teatro? Nelle mani di chi lo abbiamo lasciato? ”

    Ragazzi, ma non lo sapete che tra voi c’è uno scrittore che s’è già ripreso questo spazio da un 7 anni almeno, che ha scritto cose bellissime per il teatro? Per esempio “La santa”, rappresentato al Teatro Argentina nel 2000! E’ il primo testo di Antonio Moresco per il teatro, magnifico, magistrale, lodato anche da Franco Quadri (non che me ne freghi qualcosa di Franco Quadri, ma ve lo dico tante volte fregasse a voi!). E dopo ha scritto anche altri testi per il teatro, alcuni rappresentati, altri non ancora! Molti registi lo cercano, gli chiedono pezzi. Lo so perché lavoro nel teatro anch’io e certe cose circolano. E poi lo so perché sono un ammiratore di Moresco. Ho letto tutto quel che ha scritto. E vorrei anch’io mettere in scena un suo testo.

    Ma mi ca è il sono in Nazione Indiana. C’è anche Dario Voltolini che si misura da tempo col teatro?
    E Tiziano Scarpa ha scritto anche lui per il teatro diverse cose. Già prima di questo “Groppi d’amore nella scuraglia”, che tu dici essere “un bell’inizio!

    Cazzo Biondillo, prima di parlare informati! Non sai nemmeno cosa scrivono i tuoi amici di Nazione Indiana. Se fossi stato loro ti avrei fatto l’esame prima di ammetterti.

    HELENA JANECZEK dice:

    “C’è un salto palesemente enorme fra, metti, la lettura di Tiziano di groppi d’amore nella scuraglia e una presentazione standard alla Feltrinelli. Ma anche una lettura per nulla spettacolare come quella di Ivano Ferrari dentro il quadro di un teatro riceve una ben diversa intensità. Infatti, anche se non abbiamo certo i potenti mezzi dell’ufficio eventi Feltrinelli, nelle nostre serate, di pubblico ne avevamo sempre parecchio. Per non dire del convegno eroicamente autofinanziato su Giornalismo e Verità che ha riempito il teatro per tutta la giornata.”

    Brava! Sta ricordando TUTTE le iniziative di Nazione Indiana al teatro i. Sì stai lodando il tuo gruppo, ma non ne frega niente. Invece noto che hai dimenticato Moresco.

    Al teatro i, Moresco ha letto “L’insurrrezione”. Una sceneggiatura per un film sul “Risorgimento”, su musiche di Verdi. A me che ero lì, imbambolato, è parso un capolavoro. Peccato che non è per il teatro, senno farei le corse per metterlo in scena. C’è il Pisacane, Leopardi che scorreggia. Un delirio!

    E guarda caso è l’unica che Janeczek dimentica. Cos’è, un lapsus, una rimozione? Moresco è troppo “insurrezionale” per te e Biondillo? Avete paura di nominarlo?

    Moresco, se per caso riscrivi “Lettere a nessuno”, le prime due lettere mandale a Biondillo e a Janeczek.

  8. Stia calmo, fan. Qui tutti, più che mai Helena e Gianni, abbiamo passione per le cose che scrive Antonio.

  9. Forse Helena non l’ha citato perché quella sera non c’era? forse che Helena e Gianni non stimano Moresco? Dobbiamo sempre interpretare invece di leggere?
    Senza contare che di NI fanno parte un regista e un’attrice teatrale… forse Biondillo faceva un discorso in generale, o no?
    Seminar zizzania è uno sport molto diffuso!
    un’indiana con la passione per le cose che scrive Moresco

  10. Mi hanno detto in molti che “l’insurrezione” è stata una cosa fantastica, ma io quella sera non ho potuto venire.C’era meno pubblico, a sentire Antonio Moresco, ed è anche per questa ragione che non ho citata quella serata. Doppiamente dispiaciuta, avevo proposto una replica, cui Antonio rispose, “ma figurarti..”
    E dimenticavo: sì,lodo il gruppo.

  11. p.morsecarmelobene@tin.it
    RIMOZIONI SIGNIFICATIVE

    Ragazzi, ma a chi la volete dare a bere. Biondillo stava facendo un discorso generale quando ha scritto che “NESSUNO scrive più pensando al teatro”?
    Non lo sa che alcuni dei suoi amici di Nazione Indiana scrivono per il teatro? Moresco, Scarpa, Voltolini …sono NESSUNO per lui? Se fossi loro mi offenderei non poco.
    Biondillo informati prima di fare discorsi generali!

    E Helena Janeczek si scusa dicendo che non ha ricordato la lettura di Moresco, in quell’elenco in cui nominava TUTTE le iniziative di Nazione Indiana (tutte tranne una), perché lei quella sera non c’era, e poi perché le hanno detto che c’era meno pubblico che alle altre. Ma sono spiegazioni queste?
    A me sembrano rimozioni belle e buone. Magari inconscie ma significative.

  12. genuflesse, ragazze ! qui mica si scherza ! e per penitenza, per tre mesi non postate senza l’imprimatur del “fan”.

  13. rimozioni! si, rimozioni! qvi si rimuove! forza, schnell, dopo la benedizione del sankto patre, tutti e tutte da me per una seduta kolletiva di psikoanalisi! significative rimozioni inkonscie! tremendo!

  14. Perché non la lapidiamo Helena, signor fan di Moresco? Vuole il sangue per questo grave affronto? Rimozioni? si faccia curare lei che mi sembra leggermente paranoico; le assicuro che Antonio Moresco non ha bisogno dei suoi servigi!
    Vuole la testa di Biondillo? si cerchi una Salomé che danzi senza veli e quando l’avrà trovata faccia un fischio… roba da matti, manco fossimo ai tempi di baffone!

  15. Nel 2001, a Maratona di Milano, c’erano tre testi di futuri indiani, Scarpa, Montanari e Nove. Molto belli tutti e tre, in mezzo a molta spazzatura. Maratona di Milano era uno spettacolo teatrale che durava 24 ore, ogni ora un testo diverso, attori diversi. Una bella iniziativa, l’avevano già fatta nel 2000, aveva molte repliche. Credo che questi testi siano anche reperibili in rete, diverse persone che erano con me quel giorno me lo hanno detto, li hanno letti. Scarpa ha fatto Popcorn e altre cose, basta vedere il suo ultimo libro di racconti per trovarle. Montanari ha anche lavorato molto con uno dei miei registi di teatro preferiti, Antonio Syxty, non so se fossero copioni suoi o traduzioni. E’ solo per dire che almeno questi tre di teatro ne hanno fatto.

  16. Biondillo, hai visto i tre gruppi identificati da Roberto Carnero sull’Unità, nella sua inchiesta se sia possibile sbarcare il lunario facendo lo scrittore? A me pare di averli visti nel primo vomitorium…

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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