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I fumi dell’illusione

di Lea Melandri

Quando la tifoseria si carica di valenze e simboli politici e la politica assomiglia sempre più a una partita di calcio, e quando entrambe vanno a perdersi in una interminabile messa solenne, officiata indifferentemente da cardinali, conduttori televisivi, attrici, giornalisti non sospetti di tanta devozione, cosa succede a tutti quelli che non riescono a pensarsi né come “fedeli”, né come “tifosi”, né come “militanti” di un partito o di un altro, ma che neppure sanno stare nella posizione comoda e mortificante di semplici spettatori? Che ne è del cittadino che non riesce a farsi coinvolgere facilmente nella passione agonistica e neppure nell’infervoramento religioso, che rifugge dalla “condivisione di intimità”, divenuta ormai la molla principale dei fenomeni di massa, che si tratti di principesse o di Papi? Che cosa può pensare una donna, consapevole della sorte toccata storicamente a un sesso e all’altro, quando sulla scena pubblica, amplificata e servita alle ore dei pasti in ogni famiglia italiana, dove bene o male convivono ancora madri e padri, figlie e figli, passano quasi esclusivamente corpi maschili, idee e linguaggi maschili, anche se mascherati dietro una neutralità che ha ancora tanto fascino per entrambi i sessi?

Sul comignolo della Sistina, da cui si aspetta la fumata bianca che annuncia il nuovo Papa, sono puntati gli sguardi più diversi: delle telecamere italiane e straniere, di giornalisti noti e semplici cronisti, di giovani che si sono portati i libri di studio come se il sagrato di San Pietro fosse il salotto di casa, di politici di passaggio pronti a sfoggiare l’identikit del nuovo pontefice, di “vaticanisti” improvvisati che, non potendo essere dentro il conclave, continuano a ripassare immaginariamente ogni paludamento cardinalizio, ogni fase del rituale nei suoi mutamenti storici, ogni piccolo cenno tra gli illustri ospiti che faccia pensare a manovre note della politica.
Ultima sponda di un “risveglio” che non sembra fare più distinzione tra sacrifici del mondo e immolazione divina, tra pacificazione dei popoli e resurrezione delle anime, la fumata che si attende, se anche non portasse, come pensa un laico, il segno dello Spirito Santo, è già diventata, per una moltitudine che sta smarrendo il senso della propria umanità, la Provvidenza benevola che può sanare i mali del mondo. Mentre i politici si contorcono nella combinatoria infinita di mosse prevedibili, il popolo italiano, a cui fanno sporadici e pomposi accenni, appare più che mai distratto, o, forse sarebbe meglio dire, occupato a districarsi dentro questioni che la politica ha sempre considerato marginali, perché lontane dai grandi poteri che decidono le sorti del mondo, o perché, al contrario, troppo vicine alle radici corporee, psichiche, biografiche, di ogni singola persona.
Non importa se questo “altrove” -corpo, sessualità, sofferenza, nascita, morte, ecc.- sta oggi ribaltando gerarchie che sembravano “naturali”, imponendo all’agenda politica delle maggiori potenze priorità inusitate, sorprendenti, come la legge ad personam che Bush ha fatto approvare per il caso di Terri Schiavo.
Il mondo è sottosopra, il clima impazzito, la natura sempre più minacciosa nei confronti del vivente che vorrebbe ricrearla con le sue onnipotenti tecnologie, i legami privati e pubblici sono più sfilacciati e precari che mai, eppure, finchè non si sa dove andrà a collocarsi Follini, tutto passa sullo sfondo, cornice sfocata, inesistente, palude in cui si agitano anonimamente solitudini massificate, individui che mal si sopportano quando i loro corpi si sfiorano in un tram affollato, ma che non esitano ad accalcarsi, sfiniti da lunghe code e da ore di attesa, nei luoghi pubblici dove è atteso un qualche riscatto, una qualche Epifania.
Se non fosse per la televisione, trapano infaticabile capace di aprire le pareti domestiche più solide e più restie a lasciarsi attraversare, di quel rumore di spade affilate, tranelli, sortite improvvise di cui sono fatte le crisi politiche, arriverebbe al “paese”, alla “gente”, anche a quella più attenta alle sorti comuni, solo un’eco attutita, l’impressione di un geroglifico per pochi iniziati. Mai, come in questa stagione di riscoperte liturgie, religiose e mediatiche, di sospirati ritorni alla solidità dei miti tradizionali, degli antichi codici di comportamento, è parsa così vicina la “fine della politica”, e, soprattutto, l’impotenza di quei parlamenti democratici che finora hanno fatto da sbarramento a possibili regressioni totalitarie. Quando il Palazzo è assordato dai suoi litigiosi abitanti, e la piazza idealmente esaltata dalla promessa di amore e felicità ultraterreni, viene da chiedersi, per non sprofondare nel grigiore di una rassegnata estraneità, dove sono tutte quelle forze politiche non partitiche che in questi anni hanno manifestato vistosamente il loro impegno, dove si è annidata la cultura prodotta da movimenti che avevano tentato di ridefinire le categorie di una politica separata dalle passioni esistenziali, e cioè da una parte tutt’altro che trascurabile dell’umano. Gli appelli alla responsabilità collettiva hanno sempre la debolezza di ogni “dover essere”, per cui l’unica strada da percorrere, fuori da aristocratici isolamenti e da infervoramenti di massa, resta quella di interrogare le vite, le esperienze singole, nel tentativo di ritrovare il piacere e il desiderio dell’agire comune, i momenti, sia pure rari, in cui tornare a condividere qualcosa.
LIberazione, 21.4.2005

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4 Commenti

  1. Perché ri-postare alle 22,57 un pezzo già postato alle 22,45? La Melandri bussa sempre due volte?

  2. Perché Lea Melandri non firma i suoi pezzi ma si limita a postarli?
    Perché Lea Melandri non usa fotografie e immagini a corredo del pezzo?
    Perché Lea Melandri non interviene nelle discussioni di Nazione Indiana ma si limita a postare i suoi articoli usciti su Liberazione?

  3. “Il mondo è sottosopra, il clima impazzito, la natura sempre più minacciosa nei confronti del vivente che vorrebbe ricrearla con le sue onnipotenti tecnologie, i legami privati e pubblici sono più sfilacciati e precari che mai…”
    Benché il pezzo qui sopra parli di molto altro (e concordo su parecchie cose), mi soffermerei su questa frase per sottolinearne la generica apocalitticità, che a me sembra coincidere, fatto tutto il giro, con le posizioni dei cattolici conservatori, con l’antiscientismo misticheggiante e approssimativo de massa, eccetera, che dispiegherà probabilmente tutta la sua geometrica potenza in occasione del prossimo referendum sulla fecondazione assistita.
    Chissà: forse Melandri scorda che sono almeno duecento anni, se non di più, che “il mondo è sottosopra” (come diceva mia nonna) e i legami pubblici e privati sono “sfilacciati”, eccetera, e, infine, che la natura siamo noi.
    Un tempo lo si chiamava, forse schematicamente, “capitalismo” e si mormorava che generasse “alienazione” e altri sgradevoli effetti collaterali sugli individui, ma sono convinto che non sia mai esistito un tempo in cui i legami pubblico-privati non fossero quantomeno sfilacciati, rispetto all’idea, del tutto astratta, di un tessuto socio-affettivo integro e uniformemente solido.
    Qui mi fermo, sono terreni scivolosi e vasti e non di mia competenza…

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