The Horror

di Helena Janeczek

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1. genocidio remix

Mai più mai più mai più mai più mai più si ripete si ripete si ripete mentre il Lago Vittoria si copre di cadaveri, mentre i cadaveri ingrassano i pesci, mentre le televisioni filmano e i giornali scrivono, mentre le cifre aumentano ma divergono, mentre apprendiamo che trattasi delle etnie hutu e tutsi che continuano a trucidarsi con il machete, con il machete, con il machete, con il machete (con il machete? però…certo hanno ancora un fegato, sti negri), mentre l’Onu non interviene, mentre i governi occidentali non intervengono, mentre nessuno scende in piazza, mentre i persici nutriti di cadaveri diventano grandi come balene, (Oggi in offerta speciale: filetti di persico, decong., orig. laghi afric., 5 euro!), mentre il papa prega, mentre nelle chiese ruandesi vengono rinchiusi e massacrati da preti e suore uomini donne e bambini, mentre tutti si guardano bene dal pronunciare o scrivere o lanciare soltanto come ipotesi la parola genocidio.

(Persico?-Viene dall’africa, signora.- E come lo cucino, sempre burro e salvia, come il nostro?- Anche al forno, una spruzzatina di vino bianco, due pomodorini.- Ah, grazie.), mentre trattasi senz’altro di rivalità tribali esasperate da molteplici cause storiche economiche politiche sociali, oops! rivalità etniche, tribali non si dice, etniche, tribali non si dice, tutsi e hutu, hutu e tutsi, tutsi e hutu, hutu e tutsi, tutsi e hutu, hutu e tutsi, ripetete con me, alltogheter now! tutsi e hutu, hutu e tutsi, vai, avanti cosi! fino a quando non si capisce più un cazzo, fino a quando si confondono vittime e carnefici, carnefici e vittime, oops! hutu e tutsi, tutsi e hutu, come once again!, una musica world, un ritmo rave, rave che fa dimenticare, fa dimenticare la sensazione che questo film io l’ho già visto, questo film io l’ho già visto, questo film io l’ho già visto, solo che era tutto in bianco (checché ne dicessero gli ariani), mentre questo è tutto in nero, in nero, in nero, in nero…

2. Madre del Verbo

Kibeho è un villaggio del Sud del Ruanda, nella prefettura di Ginkongoro; la diocesi interessata è quella di Butare. La storia di Kibeho cominciò alle 12.35 di un sabato del 28 novembre 1981, in un collegio gestito da suore, frequentato da poco più di un centinaio di ragazze della zona. Un collegio rurale, povero, dove si impara a diventare maestre, o segretarie. La prima del gruppo a «vedere» fu Alphonsine Mumureke (il suo cognome significa «Lasciatela stare»), nata nel 1965…”

“E il numero dei veggenti continuava a crescere, anche all’esterno del collegio: prima Stephanie Mukamurenzi, e Vestine Salima, nata da genitori musulmani, poi anche un ragazzo di 15 anni, un pastorello illetterato, Emmanuel Segatashya, che era pagano, figlio di genitori pagani.”

“A Kibeho la Donna si è autodefinita «la Madre del Verbo», un termine molto bello, teologicamente, ma quasi sconosciuto all’epoca in Ruanda. Come era difficile per i ragazzi descrivere i luoghi «visitati», così l’impresa di rappresentare verbalmente la Vergine appariva impossibile. La sua pelle aveva un colore indefinibile, non era quella né di un bianco, né di un nero e nemmeno di un mulatto.

“Quattro giorni più tardi, il 19 agosto 1982, la Donna appariva ai veggenti di turno. Il suo volto era triste, sembrava contrariata; ad alcuni ragazzi parve addirittura che fosse in preda alla collera. Alphonsine disse di averla vista in lacrime. E il comportamento dei ragazzi fu altrettanto straordinario: piansero, tremarono, batterono i denti dalla paura. Le apparizioni furono eccezionalmente lunghe, ebbero una durata complessiva di otto ore; e le cadute a corpo morto, segnale di sofferenza, furono numerose e ripetute. Le immagini delle visioni furono tremende: «Un fiume di sangue, persone che si uccidevano, cadaveri abbandonati senza che nessuno si curasse di seppellirli, un albero immerso nelle fiamme, un abisso spalancato, un mostro spaventoso, teste mozzate». C’erano molte persone, ad assistere alle visioni del 19 agosto: circa ventimila.”

3. Lettera all’Inglese a Parigi

Caro Andrea, so qualcosa, ma non abbastanza sul genocidio ruandese e le sue terribili conseguenze su tutta l’area dell’ex Congo belga: colpa francese, preparazione ideologica, formazione delle milizie “genocidaires”, “Radio delle colline”, armi da fuoco pronte nei depositi (col cazzo che erano solo macheti)ecc ecc.
Ma per qualcosa, credo, basta. Basta per pensare che ciò che è morto definitivamente in Ruanda è l’idea che la quantità e qualità del Male inflitto dipende dalla quantità e qualità della tecnologia applicata per attuarlo: quanto o persino più che dall’ideologia. Che solo i nazisti fossero in grado di compiere quel tipo di genocidio, perché erano tedeschi, cittadini di una nazione al culmine dello sviluppo tecnico-scientifico dei tempi. Ci vogliono soldi, organizzazione e know-how per costruire campi di sterminio dotati di camere a gas e crematori, per convogliare verso di loro i treni ecc. ecc. Bisogna essere evoluti, capaci, bravi
La natura originariamente “genocidaire” di quel che stava succedendo ed era successo in Ruanda veniva dunque celata con la massima naturalezza da questo Luogo Comune implicitamente razzista. Gli africani non erano all’altezza di diventare nazisti. Dunque non potevano che essere barbari che si ammazzano fra loro, come era sempre successo nella storia sanguinaria del mondo. Le truppe di Genghiz Khan non trucidavano forse chi trovavano per strada, disseminando di un numero di vittime esorbitante,stimabile per sola approssimazione la loro conquista? Eppure nessuno si sogna di tacciare l’Orda d’Oro di genocidio.
E’ invece l’ideologia, la merce più pericolosa, la più facilmente esportabile, quella che nessun ispettore ONU potrà mai chiedere di ispezionare, né tantomeno che venga distrutta. Ormai c’è: circola come un virus, si adatta, muta. Insegna il Ruanda: basta un numero sufficiente di armi di diversa provenienza, funzionanti quanto basta, una radio, un’organizzazione paramilitare e molta molta martellante propaganda in cui le vittime designate vengano ripetutamente chiamate “scarafaggi”, “parassiti” et alia. che si può replicare ovunque un perfetto genocidio NAZISTA.
Il Ruanda insegna: non adorerai la Teconologia nemmeno come demiurgo malvagio. Ciò che viene compiuto è sempre opera degli uomini, e vale per tutti, parla del cuore di tenebra uguale per tutti e ciò che irreversibilmente iscrive nella nostra storia non lasciando nulla come era prima.

Tocca a te, ora.

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(Citazioni da Marco Tosatti, “Le nuove apparizioni”, Mondadori 2002, pp.61-67)

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8 Commenti

  1. l’hai visto gina? è arrivato in Italia e dintorni? è uno dei migliori documentari visti in questi anni…

  2. Philip Gourevitch “Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie. Storie dal Ruanda”, Einaudi 2000. se ne è sentito parlare poco, ma io credo valga davvero la pena di leggerlo.

  3. A milano lo danno ancora, se non cambiano programmazione proprio oggi, al cinema di via Osoppo.

  4. credo che andrea si riferisse a darwin’s nightmare. A proposito, le vie del signore sono infinite:). Credo che in italia si sia visto di recente allo human rights festival. Nei dintorni francofoni gira ora.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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