Appunto veloce su ieri e sui cani

di Giorgio Vasta

Giorni fa, il 4 ottobre, mentre tornavo a casa percorrendo via Mazzini, ho visto che davanti alla chiesa con il timpano neoclassico e il colonnato di marmo bianco sotto il quale nel pieno dell’inverno nel pieno della notte vanno a dormire i barboni nelle loro pagode di cartoni, e dove nel pieno dell’estate e sempre nel pieno della notte per non farsi vedere vanno a pisciare birra le persone giovani timide che escono dai locali lì intorno, locali i cui bagni, devo dedurre, sono evidentemente a pezzi e dunque inutilizzabili, e l’effetto di tutte queste consecutive pisciate sotto il colonnato di marmo è che l’ammoniaca dell’urina si mangia il pavimento, lo crepa e lo spella, e quindi già all’inizio di settembre avevo visto una specie di similscalpellino con la tuta blu e in mano dei detersivi e degli oggetti rigidi che se ne stava ginocchioni a manovrare con il petto parallelo al suolo e la testa schiacciata giù a tre centimetri sopra quel pavimento rigato dagli schizzi e tutto disegnato arabescato punteruolato, e non so quale sostanza chimica stesse provando per fare qualcosa, si accaniva, sembrava scartavetrasse più col naso vicino vicino al pavimento che con gli oggetti rigidi, ma, pensavo, è ancora troppo presto, l’inizio di settembre, fa ancora caldo e le persone giovani la sera staranno ancora nei locali e per strada e i bagni dei locali saranno ancora seviziati e inutili e quindi ci sono ettolitri ed ettolitri potenziali di birra-urina non ancora urinata, stipata fino alla più dolorosa tensione delle membrane in decine e centinaia di vesciche, che ancora si abbatterà dura contro quel pavimento, grandinante e assassina, rigandolo, e finirà come nel fantasma di Canterville ma a ruoli invertiti, con il fantasma che ogni notte macchia il tappeto davanti al camino con il suo liquido verde di fantasma avvilito, se non ricordo male, e la famiglia americana, il padre o il figlio, che ogni mattina ripulisce tutto con il superpotente smacchiatore americano mortificando sempre di più il fantasma e sprofondandolo nel pozzo buio della depressione dei fantasmi, qui invece ogni notte le persone giovani a colpi di getti appuntiti scaveranno il pavimento sotto il colonnato con la loro ammoniaca naturale e ogni giorno il similscalpellino si accanirà pancia a terra a ripristinare il pulito impossibile, insomma un lavoro inutile, una cosa da Sisifo, ma tant’è, il similscalpellino se ne sta là, qualcuno ce l’avrà mandato, il comune, il quartiere, e lui ginocchioni è molto compreso da questa sua missione del pulire impossibile e forse è giusto così, l’impossibile è meta ammirevole, anzi sicuramente è giusto così, il suo poi è un lavoro sicuro perché di pulito impossibile ce n’è e ce ne sarà sempre e l’urina da rimuovere è dappertutto – e mentre dunque giorni fa tornavo a casa percorrendo via Mazzini ho visto che davanti alla chiesa, o meglio all’ingresso della chiesa, nella zona compresa tra il piazzale la scalinata e l’androne della chiesa, c’erano tantissimi cani, davvero tantissimi, decine e decine di cani, decine che facevano centinaia di cani, non da soli ma con i loro padroni, e tutti questi cani si guardavano in giro come spesso fanno i cani, sfrenati e perplessi, famelici e semiimpazziti, con le teste che annusando a casaccio e con disperazione si attorcigliavano elicoidali al guinzaglio, e sembrava lo facessero apposta, fare una treccia con il loro collo e il guinzaglio, una specie di tentativo di autoincaprettamento, un bondage tutto confuso, allora i padroni intervenivano, facevano due passi strategici indietro e srotolavano guinzaglio e cane, l’intruglio si disfaceva e il cane subito con un nuovo indispensabile affanno si chinava a cercare l’odore potente di urina minerale mescolata sedimentata inspiegabile, a scrutarla col nasomuso, a interrogarla, tutti ceffo a terra a ricalcare le rigature invisibili, gli arabeschi, a domandare e tu chi sei?, che pisciatina sei?, a qual giovane vescica umana appartenesti?, di quale storia sei latrice?, strofinandosi sempre più voraci e credo sbucciandosi smerigliandosi un poco le mucose scure dei nasimusi e un poco, per il vorticare elettronico dei corpi e di questi nasimusi assorbenti, scontrandosi tra loro con testate potenti e nuovi guinzaglieschi viluppi ed ennesimi orgiastici intrugli di pelo e di mi scusi, mi scusi, mi si è tutto eccitato, ma le pare.
Restando fuori mi sono tirato su sulla punta dei piedi, ho stirato il collo e ho cercato di guardare all’interno della chiesa illuminata. Ho visto che anche lì dentro c’era un’infinità di cani, per lo meno tutti i cani del quartiere Centro, forse anche qualche cane di San Salvario, non escluderei cani di Santa Rita e Mirafiori e financo di Nichelino e di Barriera, uno sproposito di cani centrali e periferici pieni di tensioni e di complessi e di tic fugaci della testa e degli occhi, cani che muovevano la testa a scatti come Totò nei film, segmentando il movimento in una serie di fulminei nevrotici conati muscolari, e cani che si stropicciavano di continuo gli occhi ma senza mani senza nocche, solo con gli occhi, inghiottendoseli nelle orbite pelose e impiastricciandoli tutti come fossero davanti a dei flash fotografici, stravolti dal magnesio e dalla chiesa psichedelica e da tutti questi amichetti mai visti, e c’erano cani che sembravano stare per piangere, un po’ attoniti un po’ accorati, il labbro inferiore tremolante sfrigolante, commossi come dive del muto nel primo piano strettissimo finale, quando è da testimoniare l’orgasmo sentimentale, il lavorio dell’inquietudine, tutti questi cani melodrammatici con le facce sollevate verso i padroni incerti, il capo del guinzaglio per la preoccupazione di una fuga due volte avvolto intorno alla mano tra palmo e dorso, e serrato, strattoni verso l’alto e laterali a calmare, a riordinare la postura e il pensiero canino, questi cani adoranti e sgomenti, con l’espressione d’appendice di chi ha appena scoperto di essere un illegittimo, che gli è morto poco fa il padre, che lui stesso cane è morto, e ci sta male.
A quel punto sono entrato nella chiesa, mi sono aggiunto alla folla e non si poteva camminare, forse a quattro piedi avrei trovato un varco, come del resto facevano i cani residenti in quel momento nella chiesa, ma non l’avrei fatto mai di mettermi a quattro piedi, in jeans maglione e giacca, mi avrebbe troppo imbarazzato, considerato anche che ho i jeans pericolanti, sono jeans sensibilissimi a ogni movimento, per quanto larghi, impazienti di riempirsi ancora di nuovi occhielli e di giovani squarci attraverso i quali il mondo potrà entrarmi a fiotti nelle gambe, non potevo sicuramente sforzarli accovacciandomi, quindi mi sono mosso un po’ a biglia di flipper, rimbalzando piano piano contro tutti, ma si deve immaginare una biglia immersa in un flipper pieno di corpicini stipati stipati, lo spazio cancellato, ogni movimento che si porta dietro pezzetti di indumenti altrui e un malleolo, un angolino di spalla, un gomito troppo sporto in fuori, la testa intera inebetita di un cane di grossa taglia che mi si è impigliata non so come nella tracolla dello zainetto e stavo per impiccarlo, ho sentito il peso e la trazione e ho sfilato la testa del cane dalla tracolla ed era ancora completamente inebetita, somigliava a Christopher Walken verso la fine del Cacciatore, quando ha la testa piena di droga e se la fa saltare con la pistola, gli occhi socchiusi e di vetro, e quel cane mi ha dato un senso di nichilismo, mi guardava come se dicesse la vita è un orrore, la vita è un orrore e non ci si può fare niente, sembrava anche Kurtz, in effetti, e comunque ho raggiunto l’imbocco della navata centrale e anche quella, l’intero corridoio, era gremita di cani al guinzaglio, ogni guinzaglio stretto nella mano di un padrone, sicché ogni complesso padrone-guinzaglio-cane dava luogo a una specie di ideogramma di carne e pelo, come una ipsilon rovesciata o meglio ancora un triangolo scaleno dove la testa del padrone era il vertice, il suo corpo in piedi era un lato, il suo braccio prolungato nel guinzaglio era l’altro lato, e il terzo lato era composto dal corpo del cane e dall’interstizio d’aria che separava il corpo del cane dalle gambe del padrone, tanti triangoli uno accanto all’altro e dietro e davanti all’altro, in fondo a tutto ciò l’altare e il prete che celebrava. Allora ho chiesto, non potevo non chiedere, mi perdoni lei, signora triangolo, che cosa ci fanno tutti questi cani qui, e la signora triangolo, cogliendo l’occasione di questa risposta per risistemarsi la borsa nell’incavo del braccio, e così disgregando per un momento il suo triangolo, mi ha detto oggi è san Francesco, san Francesco voleva bene ai cani, questa è la chiesa di san Francesco, adesso il prete benedice i cani, io ho ringraziato e sono stato ancora a guardare e ho visto dei cani ultras, lì davanti a me, che tiravano in avanti verso il culmine della navata, sfondavano tutti, passavano in mezzo all’aria contenuta nei vari triangoli, andando veloci e rapaci verso l’altare, e sembrava volessero attaccare l’altare, saltare sopra all’altare e scompaginare la tovaglietta bianca con i ricami, che ancora mi ricordo con memoria di vecchio chierichetto, ma non so perché ai miei tempi si diceva ministrante, cambiavano tutti i nomi di tutte le qualifiche, mi ricordo, dicevo, essere la tovaglietta piuttosto dura, cartapecora come consistenza però liscia e inamidata, astratta, facendo rotolare tutti i piattini e le bottigliette, un vero e proprio commando attentatore, obiettivo finale il tabernacolo, frugare con i nasimusi nella scodellina d’oro con le ostie consacrate, divorare le ostie, impiastricciarsi la bocca con i pezzetti di ostia sbriciolata insalivata semisciolti sulla lingua tra i denti le gengive, fino all’osceno singulto perigastrico, al ruttino, cani psicotici inammissibili che, mi sono detto, verranno adesso repente sedati dai loro padroni e ricondotti presso i banchi e inginocchiati e indotti al penso e alla meditazione profonda a capo chino e al pentimento per il peccato prossimo eventuale, ma poi mi sono accorto che tutto questo spasmo in avanti dei cani ultras che io immaginavo essenzialmente eretico e profanatore era invece semplicemente lubrico e adoratore, essendo ingenerato dalla contemplazione ansiosa di una specie di similcagnetta piccola striminzita e mi pare anche piuttosto storpia, somigliante più a un pipistrello peloso che a un canide, accucciata sorda e pressoché ignara di tutto subito sotto l’altare, non immediatamente percepibile dagli occhi umani a causa dell’oscurità gettata sotto l’altare dai lembi penzolanti della tovaglietta, ma evidentemente nota se non persino notoria ai cani assembrati al suo bisogna dire deprimente cospetto, eppure per qualche inimmaginabile ragione suscitatore di brutali attrazioni, o forse a valere non era tanto l’inconcepibile venustà di detta similcagnetta ma la sua specifica, di quel momento, collocazione, questo suo dimentico e quasi provocatore sonnecchiamento sotto l’altare di una chiesa umana in un dominio umano, fatto che in sé, e posso capirlo, per un cane terrestre di adesso e probabilmente cane un po’moderno e sacrilego può risultare parecchio eccitante, leggendo egli nell’illegalità patente di un accoppiamento sottoaltarino, tra le scarpe del prete, durante la benedizione canina, nel brusio dolce delle voci dei padroni e dell’aria che filtra chiara attraverso i triangoli in sbuffetti, un incontenibile plus di gioia sessuale potenziale esperibile, una cosa solo di testa, atmosferica, psicologica, allo stesso modo di chi nelle interviste dice io l’ho fatto nel bagno dell’aereo nella tratta intercontinentale per il Canada, a parte il fatto che evidentemente, pur non essendomi mai trovato nelle evenienze specifiche di essere sessualmente eccitato su un aereo, è chiaro che io devo aver sempre preso gli aerei sbagliati, perché se penso alle dimensioni dei bagni degli aerei da me frequentati non posso neppure immaginare il tetris di membra necessario a stabilire lì dentro un patto fisico intenso e felice, un amplesso di corpi acceso nel pozzo artesiano di quei bagni – e riguardando la similcagnetta non ho potuto che persuadermi definitivamente che la corolla di eccitazione canina che io dapprima avevo supposto essere un bieco furor terrorista era determinata davvero solo dal contesto perché la similcagnetta era proprio da escludere, somigliando anche a Grattachecca dei Simpson, nonostante poi Grattachecca sia un gatto, ma lo sguardo insistentemente autolesionista, specialmente adesso che si era alzata, stiracchiata e avviata immotivatamente impettita di lato verso qualcuno nel mucchio, era lo stesso di Grattachecca.
Il mucchio nel quale la similcagnetta si è a questo punto allogata era palesemente difforme dal resto dell’uditorio animale, quasi un enclave di banchi a parte, perimetrati, un piccolo ghetto nei limiti del quale erano confluiti tutti i padroni di cani malfatti, dotati di evidenti tare fisiche e forse, non si può mai dire, mentali, dopotutto questo era inverificabile, un nido di cani nani e gobbi, con le gobbe dromedarie sul dorso ma alcuni anche sulla pancia, come una sacca di carne dura prolassata che strofinava a terra, certi persino lateralmente, come se portassero una sella di materiale sconosciuto sviluppato sul fianco, una borraccia di malattia grumosa tumefatta sulla quale il pelo era presente a chiazze, e poi cani con una zampa che non c’è, i più ilari e violenti nell’attesa di tutto, magari del ritorno della zampa transfuga, e almeno due cani senza addirittura due zampe, quelle posteriori, o se non esattamente mancanti però strane, rattrappite, due zampe-prugne microscopiche e inutilizzabili, tanto che i loro padroni o forse un veterinario-meccanico aveva montato al loro posto, tenute su da un’imbracatura agganciata sopra la coda con delle bretelle elastiche, delle rotelline, di quelle delle carrozzine per neonati, il bordo di gomma biancogrigia e l’interno con i raggi metallici sottili, così che questi cani disabili a tutti gli effetti deambulavano utilizzando le zampe davanti come traino per le rotelline dietro, dei cani a trazione anteriore che muovendosi facevano anche un bel fruscio e l’incanto dei raggi leggeri che diventavano bianchi e poi trasparenti girando velocissimi nelle rotelline, quando uno di questi cani preso dal ghiribizzo è scappato, ha trovato un corridoio libero e si è messo a suo modo a correre. C’erano anche cani con disturbi dell’abbaio, e questo si capiva subito dal loro uggiolio irreale, un chioccolante falsetto da personaggio cattivo di Manzoni, o dalle emissioni di aria biascicata mezza addentata e sfatta, ai limiti dell’afonia, come i cani all’inizio di Mondo Cane 2 di Gualtiero Jacopetti, dove si vede una carrellata di cani ai quali sono state tagliate le corde vocali, i cani hanno la gola fasciata e dalle fasciature affiorano goccioline di sangue, abbaiano contro la macchina da presa ma dalle loro bocche viene fuori solo un rumore fioco, un soffio rauco, che però non li stupisce e non li fa desistere ma anzi si incaponiscono e abbaiano e abbaiano e abbaiano. Alcuni cani avevano problemi di pelle perché erano tutti escoriati, non solo il pelo ma l’intera superficie canina, sembravano delle carte geografiche a quattro zampe e sui corpi di questi cani escoriati, forse erano sopravvissuti a un incendio o a una pericolosa malattia infamante, si potevano andare a cercare le terre e gli stati, non so se quelli della terra umana ma più probabilmente quelli di una ideale terra canina, e nelle parti in cui le vene del cane affioravano più forti blu e verdi si potevano vedere anche i fiumi che attraversavano le terre, e certe esplosioni irraggianti di capillari rossastri potevano somigliare a dei boschi, le ecchimosi viola a dei laghi, così come la linea regolarmente frantumata in vertebrine delle spine dorsali era una vera e propria cordigliera, una prepotente catena montuosa che segnava confini netti tra un territorio di geografia corporea e l’altro, e mi sono detto che questi cani escoriati, nell’economia sociale dei cani malfatti, dovevano avere il loro prestigio, per quanto non proprio belli da vedere, perché comunque utili se non indispensabili, essendo l’equivalente dei nostri mappamondi, ma appunto con le zampe. Ho poi visto un cane con la bocca storta, piegata completamente di lato, sembrava Luciano Salce, come se un calcio gliela avesse disassata, e un cane senza nessun dente con le gengive piene di schiuma e anche un cane senza occhi e al posto degli occhi due palline di pongo, una rossa una blu. C’erano anche cani con le bombole per l’ossigeno e i respiratori e circa tre cani con i corpi collegati da tubicini a un unico impianto mobile tutto metallico che ho immaginato fosse una specie di depuratore del sangue o delle vie linfatiche, e questi circa tre cani erano tutti molto compunti, se ne stavano seduti composti e non facevano niente, fissavano il prete che con l’aspersorio a questo punto si era avvicinato a tutti i gruppi e li benediceva facendo fumare l’incenso nell’aria, e in quel momento sono stati molti i cani che hanno fissato non tanto più il prete quanto l’incenso benedetto che si disegnava lento e anamorfico nell’aria, e per alcuni istanti anche frattalico perché l’incenso faceva delle simmetrie, e poi dopo un po’ non c’era più, e lo sguardo di tutti i cani era di amore deluso, non doveva finire così.
In tutto questo ho visto che la similcagnetta, acciambellata in un posto d’onore tra i cani di questo lazzaretto per ragioni in parte estetiche e sicuramente per un suo disagio psichico che come abbiamo detto non era possibile indagare approfonditamente ma che risultava inequivocabile solo guardandola, era ancora assediata dai cani voluttuosi, come se di cane femmina lì dentro ci fosse solo lei, e qui mi sono detto che è chiaro che i cani maschi o sono fondamentalmente indifferenti alle regole della cosmesi e di conseguenza a quelle dell’attrazione, oppure non vanno troppo per il sottile e anzi amano perversamente abusare dei loro simili svantaggiati. Però adesso la similcagnetta sembrava avere cominciato ad accorgersi di qualcosa, come un presentimento di pericolo, e ha gettato uno sguardo verso su alla sua padrona, una ragazza magra magra con i capelli rasta, uno sguardo che diceva be’, se andassimo…?, e la padrona rasta ha a sua volta ricambiato lo sguardo della cosa là sotto di lei e l’ha chiamata per nome, Rama, ha detto, anche se all’inizio io avevo capito Drama, o Dramma, e mi sembrava anche un nome plausibile, ironicamente critico e motteggiante ma oggettivo, mentre invece era Rama, proprio Rama, adesso noi si va, ma questo devono averlo capito anche i cani voluttuosi tumultuosi che hanno preso a tirare in avanti con il fuoco negli occhi facendo tendere allo stremo i guinzagli e le braccia dei padroni e stringendo Rama e la padrona rasta contro la navata laterale proprio sotto una stazione indecifrabile della via crucis, quasi una nota a margine della via crucis stessa, il sacrificio della similcagnetta, Rama violata nel tempio, così per dire, e adesso Rama aveva dei grandi lacrimoni di terrore nello sguardo e in quel momento io e credo tutti abbiamo pensato adesso finisce male, non solo Rama ma anche la chiesa verrà adesso profanata da questi cani peccatori incivili e pulsionali e sembrerà di essere nel Cattivo tenente di Ferrara, nella scena sessuale e cruenta nella chiesa, ma senza Harvey Keitel e con la similcagnetta Rama più che evidentemente non all’altezza della situazione, ma mentre io e credo tutti stavamo pensando questo si è aperta una porticina nella navata laterale, come un’altra nota, una porticina-asterisco, ha fatto capolino il sacrestano e con un cenno ha detto alla padrona rasta di approssimarsi e di salvare così l’ignoranza o se vogliamo l’ingenuità della similcagnetta, cosa che è avvenuta, avendo la padrona rasta tratto Rama in salvo oltre la porticina-asterisco. I cani voluttuosi ci sono rimasti malissimo ma il loro tumulto si è disintegrato in una serie di uggiolii invero poco seri per cani ex tumultuosi come loro e in una batteria di frettolosi scodinzolamenti piuttosto ipocriti per rassicurare i padroni e dire non è successo niente è tutto a posto andiamo a casa che tanto qui adesso non c’è più niente da fare.
Tutti si sono avviati all’uscita, considerato che anche il prete aveva finito di spruzzare fumo, aveva detto fine, ciao e se n’era andato via dal fondo della chiesa, e io mi sono accodato. Passando ho visto di nuovo il cane Christopher Walken, sempre più assorto in un suo vuoto abissale personale, sempre più vitreo e rinunciatario, e non solo io ma anche gli altri cani abbiamo distolto lo sguardo perché era davvero inquietante. Sbucato dall’androne ho visto che i padroni dei cani parlottavano e si salutavano mentre i cani avevano ricominciato a seguire le piste in circolo come se fosse la cosa più urgente del mondo, con negli occhi l’ansia dell’imprescindibile, star dietro a molecole di urina varia che come la coda di una cometa potrebbe portare a una natività, a un nuovo esordio del mondo al quale non si può mancare. Ed è così che i cani si sono salutati tra loro, senza salutarsi, ognuno impegnatissimo nell’esplorazione olfattiva del vuoto che gli si allungava davanti.
Io sono rimasto ancora un minuto lì, stava facendo buio. Le ultime scie animali sono sparite nelle strade, dove non si vedevano più, e un metro accanto a me c’era la padrona rasta con Rama. Dovevano avere aspettato che la situazione si calmasse per abbandonare incolumi la sacrestia e uscire fuori. La padrona rasta parlava con la sua similcagnetta, le faceva la vocetta, e le mostrava un manifestino formato A4 incollato a una centralina dell’energia elettrica. Vedi Rama, noi si è state alla benedizione dei cani in chiesa, c’è scritto qui. Tu sei un cane cattolico, forse un giorno ti convertirai, scelte tue, specialmente dopo certe esperienze, forse suggestionata dalla mia pratica yoga che per quanto laicamente intesa ha di certo i suoi addentellati buddhistici, ma per adesso è giusto che familiarizzi con gli altri cani cattolici, che dopotutto per quanto a volte un po’ impetuosi sono pur sempre cani dabbene, prevalentemente probi seppur dotati di una qual esuberanza che, lo scoprirai crescendo, è comunemente intesa il sale della vita.
Detto ciò la padrona rasta si è girata su se stessa e si è allontanata verso il fondo di via Mazzini, mentre Rama sempre attonita le scutrettolava accanto.
Io allora ho pensato al similscalpellino Sisifo, al suo lavoro sicuro e necessario, ai detersivi e agli oggetti rigidi.
Sono andato a casa.

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8 Commenti

  1. Impossibile leggerlo a video, mi sentivo come quei cani poco educati, che, continuamente distratti, da suoni o rumori, propri o altrui, specie quando gli è stato promesso un gioco, contravvengono all’ordine di stare “seduto”.
    Indispensabile una puntuale impaginazione per leggerlo. All’inizio, ma per un tempo giusto, quasi misurato con il bilancino, viene da dire: “vediamo questo dove vuole andare a parare”, non vuole parlare certo di birra-urina, non per la scabrosità dell’argomento, ma perché, nonostante ci perda trentasei righe, sai che non è di quello che vuole dire.

    Bello, ma faticoso, ci sono dei momenti in cui vai avanti per affetto.

  2. Sì, anche io ho dovuto stamparlo, ma ne è valsa la pena.
    Ogni volta che leggo un pezzo di Giorgio Vasta mi chiedo: “Ma questo qui quand’è che si decide a pubblicare un libro tutto suo?” (Intendo dire un libro di narrativa: racconti, romanzo, meditazioni romanzate, racconti meditanti…)

  3. All’inizio sorridevo, poi gli angoli della bocca hanno cominciato a curvarsi verso il basso, ho cominciato a grattarmi la testa (strano che nessuno dei cani si grattasse, fra l’altro). Non so se l’ho capito bene, anche perché ho sonno, ma mi è sembrato tristemente allegorico. Concordo sul faticoso, ma non mi lamento, dev’essere stato molto più faticoso scriverlo. Ciao.

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Andrea Raos
andrea raos ha pubblicato discendere il fiume calmo, nel quinto quaderno italiano (milano, crocetti, 1996, a c. di franco buffoni), aspettami, dice. poesie 1992-2002 (roma, pieraldo, 2003), luna velata (marsiglia, cipM – les comptoirs de la nouvelle b.s., 2003), le api migratori (salerno, oèdipus – collana liquid, 2007), AAVV, prosa in prosa (firenze, le lettere, 2009), AAVV, la fisica delle cose. dieci riscritture da lucrezio (roma, giulio perrone editore, 2010), i cani dello chott el-jerid (milano, arcipelago, 2010), lettere nere (milano, effigie, 2013), le avventure dell'allegro leprotto e altre storie inospitali (osimo - an, arcipelago itaca, 2017) e o!h (pavia, blonk, 2020). è presente nel volume àkusma. forme della poesia contemporanea (metauro, 2000). ha curato le antologie chijô no utagoe – il coro temporaneo (tokyo, shichôsha, 2001) e contemporary italian poetry (freeverse editions, 2013). con andrea inglese ha curato le antologie azioni poetiche. nouveaux poètes italiens, in «action poétique», (sett. 2004) e le macchine liriche. sei poeti francesi della contemporaneità, in «nuovi argomenti» (ott.-dic. 2005). sue poesie sono apparse in traduzione francese sulle riviste «le cahier du réfuge» (2002), «if» (2003), «action poétique» (2005), «exit» (2005) e "nioques" (2015); altre, in traduzioni inglese, in "the new review of literature" (vol. 5 no. 2 / spring 2008), "aufgabe" (no. 7, 2008), poetry international, free verse e la rubrica "in translation" della rivista "brooklyn rail". in volume ha tradotto joe ross, strati (con marco giovenale, la camera verde, 2007), ryoko sekiguchi, apparizione (la camera verde, 2009), giuliano mesa (con eric suchere, action poetique, 2010), stephen rodefer, dormendo con la luce accesa (nazione indiana / murene, 2010) e charles reznikoff, olocausto (benway series, 2014). in rivista ha tradotto, tra gli altri, yoshioka minoru, gherasim luca, liliane giraudon, valere novarina, danielle collobert, nanni balestrini, kathleen fraser, robert lax, peter gizzi, bob perelman, antoine volodine, franco fortini e murasaki shikibu.
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