Mortificazioni

E’ stato da poco pubblicato in Italia, per i tipi di Guanda, Le umiliazioni non finiscono mai traduzione di Mortification: Writers’ Stories of Their Public Shame, raccolta di scritti curata dal poeta scozzese Robin Robertson.
Ve lo dico di cuore: è semplicemente, e tragicamente, esilarante.
Robertson ha chiesto a 70 romanzieri, poeti, scrittori, giornalisti (Welsh, Doyle, Palahniuk, Coe, Atwood, Lethem, etc… tutti autori, ovviamente, di lingua inglese), di raccontare in un paio di pagine a quali mortificazioni sono dovuti sottostare nel nome della loro “arte”.
Si legge di tutto: gente che perde i pantaloni durante un reading, o che vomita davanti al pubblico, o che aspetta invano, dietro una pigna del suo ultimo lavoro in un centro commerciale, che qualcuno si faccia firmare almeno una copia. Poi i viaggi assurdi, in giro per promozione, le invidie per i successi altrui. La scrittrice di “genere” all’ottavo romanzo alla quale chiedono quando scriverà “un libro vero”, presentatori televisivi che sbagliano il titolo del romanzo, il tema e il nome dell’autore, poeti che perdono una capsula durante la lettura di una poesia…

È un testo rigenerante. Perché, diciamolo, il detto “mal comune mezzo gaudio” funziona. Crollano miti decennali. Andare in un paesino disperso in culo al mondo dove verranno in due a sentirmi parlare non mi farà più dire: “queste cose succedono solo in Italia, all’estero la cultura è considerata ben diversamente.” Non è così, è chiaro ormai.
Proporrei il volume come libro di testo per ogni scuola di scrittura creativa. Per desacralizzare, deromanticizzare l’idea che chi scrive è bello e maledetto. E maledettamente bello e di successo. La vita dello scrittore, è, alla fine, una continua, allucinata, inevitabile, mortificazione.
Gli anglosassoni, almeno, sanno raccontarcelo, e riderci sopra. Mi sono chiesto se molti dei tromboni italici avrebbero il “coraggio” di spiattellarlo in pubblico. Vi dirò: mi propongo fin d’ora curatore dell’eventuale antologia italica. Il mio editore ancora non lo sa. Ma sono certo che apprezzerebbe: sulle sfighe degli altri si fanno sempre un sacco di soldi.

Sta di fatto che l’Ufficio Stampa di Guanda (grazie Valentina!) mi ha dato il permesso di pubblicare su NI un esempio (uno dei tanti). È la testimonianza di Simon Armitage, poeta inglese nato nel 1963. La traduzione è di Eva Kampmann. Ridete pietosi, ve ne prego.

«di tutte e trentasei le alternative, la fuga è la migliore.»
proverbio cinese

La letteratura offre infinite opportunità di imbarazzo e umiliazione perché opera su quel confine dove il pensiero privato incontra la sua reazione pubblica. Gli eventi letterari dal vivo costituiscono la prima linea, l’interfaccia umana tra scrittura e lettura.
A volte questi due elementi si mescolano, altre volte cagliano, e altre volte ancora resistono come l’olio e l’acqua, risoluti e avversi. Tengo almeno cento reading l’anno. Nessun singolo incidente va al di là dell’aneddoto, ma se si considerano tutti insieme…
Al treno mi viene a prendere una donna estremamente nervosa con una macchina a noleggio che sta generando calore in quantità termonucleari, e non riesce a trovare il comando di disappannamento sul cruscotto. In una nuvola di condensa raggiungiamo un ristorantino dove lei riduce la mia scelta di pietanze entro i limiti del budget che le hanno autorizzato. Ho dimenticato di portare qualche libro. Vado nella libreria del quartiere per acquistare una copia del mio libro Poesie, e l’uomo alla cassa mi riconosce. Non dice niente, ma assume un’espressione piena di pathos.
La sede dell’evento è un prefabbricato situato in un parcheggio. Il sistema di amplificazione è un impianto per il karaoke della Fischer-Price. Mi presentano come colui il cui «nome è sulla bocca di tutti: Simon Armriding». Un ragazzo solerte che fa volontariato per i non udenti (non ce n’è nemmeno uno tra il pubblico) si offre di tradurre nel linguaggio dei segni.
Rimane piantato alla mia sinistra per tutta la sera, esibendosi in un’imitazione discreta di Ian Curtis che balla al ritmo di She’s Lost Control Again e alla fine perde i sensi. Cinque minuti prima dell’intervallo, una gentile signora delle Indie Occidentali va nel cucinotto sul retro per dare inizio alle operazioni per la preparazione del tè. La mia ultima poesia della prima parte è accompagnata dal mormorio, simile al suono di un organo, di uno scaldabagno a muro che lentamente raggiunge il punto di ebollizione. Non ci sono bevande alcoliche, ma che ne direbbe di una tazza di brodo caldo? Dopo la pausa, un vecchietto seduto davanti si addormenta e scoreggia durante una poesia sulla morte / sofferenza / autocommiserazione ecc. Poi, non ci sono libri in vendita, ma un’anima gentile mi chiede di firmarle la sua copia di Summoned by Bells di John Betjeman.
L’autista che mi è stata assegnata, la donna radioattiva, mi trasporta con la sua sauna mobile a un ristorante indiano sulla strada principale. Lei è allergica al curry (presumibilmente teme un melt-down), così mi aspetta in macchina mentre io trangugio cibo per un valore non superiore alle cinque sterline (bevande incluse) pagato con un buono pasto. Alloggio in periferia, dall’anziano signor Scoreggia. Lui è andato a casa per far prendere aria al letto pieghevole e preparare una scelta di sue poesie da sottoporre al mio giudizio, la prima delle quali, «L’anatra selvatica» inizia così: «Tu, oh, monarca dell’argine». «Dormo» completamente vestito su un lenzuolo infestato di peli pubici.
Da villano, e con aria furtiva, lascio la casa prima dell’alba e m’incammino per viali deserti e sconosciuti puntando vagamente verso gli edifici più alti all’orizzonte. Mancano tre ore al primo treno diretto a casa. Faccio colazione insieme agli ubriaconi e ai tossici in un McDonald’s. Mentre ammazzo il tempo nei paraggi, in un cassonetto sul marciapiede davanti al negozio di beneficenza trovo una copia di uno dei miei primi libri. Il prezzo è dieci pence. È una copia firmata. Sotto la firma, è scritto di mio pugno: «A mamma e papà».

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21 Commenti

  1. “poeti che perdono una capsula durante la letture di una poesia…”; “un vecchietto seduto davanti si addormenta e scoreggia durante una poesia sulla morte / sofferenza / autocommiserazione ecc.”; queste sono veramente esilaranti (vorrei dire anche significative:-) ).

    Bart

  2. Armitage non è certo l’ultimo arrivato.
    Cento reading all’anno però mi sembrano un’industria.
    “Armiriding”, più che dettato da un inconsapevole intento di mortificazione, potrebbe essere un tentativo di descrizione realistica. Fatto in un contesto diverso da un circolo letterario esclusivo e presuntuoso.
    Evviva gli indiani, d’occidente e d’oriente! :-)

  3. A dir poco spassoso! Gianni, ora ti tocca fare da apripista e rivelare tu per primo almeno una mortificazione di cui sei stato vittima. Saluti, Emma

  4. Nell’Era del porco ce ne sono alcune semplicemente deliranti.
    Forzamorozzi!!!

    Big Raul, bentornato in questi lidi!

  5. A proposito di libri e dediche respinte al mittente, c’è quella storiella divertente di Raymond Queneau che spedisce un suo libro a George Perec : “Avec les homages de Raymond Queneau”. Passa del tempo, Perec non scrive nemmeno mezza riga di risposta. Un anno dopo Queneau va in giro per bouquinistes e trova una copia di quel libro. Anzi, trova QUELLA copia di quel libro. Lo compra, apre il frontespizio, e sotto, prima di spedirlo di nuovo a Perec, scrive: “Avec les homages *réitérée* de Raymond Queneau” :-)

  6. Non c’entra quasi niente ma mi ha sempre fatto impazzire questo aneddoto che ho trovato su un Diario Jacovitti credo nel ’67 (avevo otto anni!).
    Un giovane aspirante drammaturgo manda un manoscritto a GB Shaw chiedendogli disinvoltamente un parere. “Ah, maestro,” aggiunge, “devo anticiparle che ho un grosso difetto: non so usare bene la punteggiatura. Per questo, come noterà, le ho mandato il mio testo senza né punti né virgole. Le spiacerebbe metterli lei?” Qualche tempo dopo, Shaw rimandò il manoscritto al giovanotto, commentando: “Amico mio, la prossima volta facciamo così: lei mi mandi solo la punteggiatura, che alle parole ci penso io”.

    Una cosa che non tutti sanno (siamo passati dal Diario Vitt alla Settimana Enigmistica, come vedete) è che quando Moravia scrisse in ospedale Gli indifferenti davvero non sapeva usare la punteggiatura, per cui si accontentò di mettere delle lineettte per separare grossolanamente frasi e periodi. Il libro venne pubblicato a sue spese e un redattore provvide alla punteggiatura.
    In effetti la punteggiatura di Moravia rimane un po’ strana, quasi spiazzante, anche nelle opere successive.

  7. Caro Raul,

    sono molto contento che tu sia tornato a commentare su Nazione Indiana.
    Tuttavia, io sono certo di interpretare il pensiero di tutti dicendo che, innanzitutto, sarebbe opportuno, direi anzi doveroso, che tu ci spiegassi nei dettagli, una volta per tutte, che cosa intendi davvero tu per “comunità”…

    No…

    Raul…

    fermo…

    cosa fai…

    stavo scherzAAAARRRRGGGGHHHH!!!!!

  8. Ti risponderò, esimio, con una parola TOTALE secondo il modello del Finnegan’s Wake:
    communitporkchecazzmicisondiocristzibaldvaffanduepalldestat2003gustavparadisbastacosì!

    PS Noto che comunque, fingendovi contenti di fare due chiacchiere con me, avete evitato tutti di spiegarmi perché diavolo un uomo ammazza il tempo frugando nei cassonetti. Se devo dirla tutta, il pezzo citato da Blondell mi sembra un tantino letterariamente iperbolico, ecco.

  9. Raul,
    Be’, è un atteggiamento ossessivo-compulsivo che a me non è affatto sconosciuto. Faccio fatica, tutte le volte che butto la spazzatura, a non dare un occhio al bidone della carta.
    Se poi tieni conto che mancano tre ora al tuo treno, è mattina presto e non hai un cazzo da fare…

    ;-)

    p.s. comunque ti chiederò, appena mi libero da impegni inderogabili, la tua mortificazione. Ho deciso che la faccio veramente l’edizione patria. Siete già tutti arruolati!!!

  10. Te la dico subito: un attacco fulminante di cagarola a Concorrezzo, prima di una disputa letteraria con Tiziano Scarpa.
    Era il 26 maggio, c’era un bellissimo tendone all’aperto, grande concorso di folla, e dovevamo fare un match letterario pro (io) e contro (lui) i Promessi sposi, terza replica di una formula già sperimentata con gran successo.
    Non so com’è stata, forse avevo bevuto qualcosa di freddo, ma mi è venuta una crisi di diarrea acuta, spaventosa, esattamente mentre l’arbitro del match stava spiegando le regole e il primo gongo era atteso di lì a un minuto, forse mezzo.
    Sono corso a rifugiarmi in un cesso all’aperto di quelli rossi trasportabili tipo adunata della gioventù cattolica, talmente vicino a dove erano seduti quelli del pubblico che loro sentivano i miei rantoli come io sentivo le spiritosaggini dell’arbitro, che cercava di gestire a mie spese l’imbarazzo del momento. E la cosa che mi dava più fastidio era che pensassero quello che state pensando voi adesso, cioè che mi cagavo sotto all’idea di dover dibattere con Tiziano! I primi due match li avevo vinti io, quella sera abbiamo pareggiato. Però quando sono uscito dal cesso ho capito che la bionda in prima fila me l’ero giocata per sempre.

  11. Dato che per la versione italiana del film ci vorrà del tempo, perchè non iniziate a raccontarci le vostre mortificazioni qui su NI?

  12. mi pare doveroso non negare il mio modesto contributo a questa edizione patria delle mortificazioni…perciò si, ebbene confermo attendibilità e veridicità dell’aneddoto riportato da Raul…
    d’altra parte, ricordo che la disputa sui Promessi Sposi è stata comunque entusiasmante e certo Raul si è dimostrato all’altezza della sua fama di autore dotato di passionalità letteraria… viscerale….

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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