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Ancora su Edward Lewis Wallant – 2

di Leonardo Colombati

Edward Lewis Wallant iniziò a scrivere a trent’anni. Morì appena sei anni più tardi, nel 1962, per la rottura di un aneurisma. Fece in tempo a vedersi pubblicati due romanzi (The human season e The pawnbroker) e a lasciarne altrettanti, inediti, ai posteri. Si sa, però, che questi ultimi tendono ad essere generalmente distratti: perché perdere tempo con uno scrittore ebreo-americano prematuramente scomparso, quando si hanno a disposizione Bellow, Roth, Mailer e Malamud? Il pubblico e i critici americani si dimenticarono presto di lui.

Per i lettori italiani, Wallant è un oggetto ancor più misterioso. The pawnbroker fu pubblicato nel 1967 da Garzanti come L’uomo del banco dei pegni; tre anni prima ne era stato tratto un film di discreto successo con Rod Steiger, per la regia di Sidney Lumet, dove per la prima volta Hollywood entrava in un campo di concentramento nazista, attraverso i ricordi di un sopravvissuto che non riesce a scacciare i propri fantasmi.

Dopo anni di purgatorio, il nome di Wallant è ricomparso alla ribalta letteraria nel 2003, quando l’inedito The tenants of Moonbloom è finalmente uscito con una prefazione di Dave Eggers, il sedicente “formidabile genio” e direttore della rivista di culto McSweeney’s.
Il mio scarso amore per Eggers mi ha messo sulla difensiva quando ho iniziato a leggere la traduzione italiana del libro di Wallant (uscirà a giorni per Baldini Castoldi Dalai, con il titolo Gli inquilini di Moonbloom). Ma già dalla prime pagine, mi sono reso conto che ciò che avevo fra le mani era un ottimo romanzo, miracolosamente scampato a quarant’anni di oblio.

Il tour de force di Wallant ribadisce il particolare talento di cui i moderni scrittori ebreo-americani dispongono nel creare personaggi indimenticabili, laddove i gentili (si pensi a Barth, a Pynchon, a De Lillo, giù giù fino a Vollman) sono piuttosto dei costruttori di complicate macchine narrative, all’interno delle quali i “caratteri” finiscono per essere incidentali. In questo senso, Norman Moonbloom – il protagonista del romanzo – se non è forse degno di sedersi a tavola con Augie March, Alex Portnoy e la Signorina Cuorinfranti, può essere considerato un loro affascinante fratello minore. Già nel primo capitolo lo troviamo “frustato dal filo del telefono (…), vittima della sua tendenza alla goffaggine”. È nel suo ufficio, tra mobili-archivio ammaccati, dietro una scrivania di vernice che si squama “come pelle morta”. Sul vetro si può leggere: “IMMOBILIARE I. MOONBLOOM – NORMAN MOONBLOOM, AGENTE”; una scritta a caratteri cubitali, neri, che sembra racchiudere il senso di tutto il libro: quella “i” puntata sta infatti, per Irwin, il fratello per cui Norman è costretto a lavorare. Nella conversazione telefonica fra i due, che apre il romanzo, sentiamo già tutto il peso della differenza fra i due Moonbloom: “Dio sa se io posso pensare a sciocchezze simili”, si lamenta Irwin dopo che Norman gli ha appena fatto il punto della situazione riguardo ad uno stabile sulla 13^ Strada (topi ovunque, gabinetti intasati, ringhiere pencolanti). “A te tocca soltanto la responsabilità di quelle quattro case… riscuotere gli affitti, curare pochi aspetti amministrativi”, prosegue Irwin. “Io invece sono al centro di transazioni molto più complesse… non posso certo rubare tempo a quelle cose, che sono molto più importanti, per occuparmi di scarafaggi e di latrine, ti pare, Norm?”.
Su e giù per l’Upper West Side, a sollecitare inquilini morosi e a ricevere le loro confessioni: ecco la giornata di Norman Moonbloom. Arnold e Betty Jacoby gli offrono una scatoletta di minestra Campbell, del caffè istantaneo e una scipita commedia matrimoniale. Marvin Schoenbrun lo fa accomodare mentre si tampona una ferita sulla guancia appena rasata e si lamenta dell’impianto elettrico antiquato. Stan Katz, trombettista jazz che convive con un batterista nero omosessuale, lo riceve con un sorriso “dipinto con abili ombreggiature a trompe-l’oeil”, in un ambiente pregno dell’odore di birra rovesciata e portacenere non svuotati: “una bacchetta di batteria si ergeva da una bottiglia di whisky vuota come l’albero di una nave, incappucciata da un profilattico”. Il signor Hauser non accetta di dover corrispondere l’affitto ogni settimana, mentre la moglie si mostra più accondiscendente, fasciata in un vestito ornato di perline che le dà un’aria vagamente pornografica. L’ultracentenario Karloff – “una gigantesca creatura estinta” – ha trasformato il suo appartamento in un bidone dell’immondizia e osserva lo spettacolo tracannando shnapps. Il signor Basellecci si lancia in uno sgangherato elogio del caffè italiano prima di mostrare a Norman il muro gonfio e imputridito della stanza da bagno: “Mi siedo lì e guardo quell’orrenda ‘osa gonfia. Non riesco a rilassarmi. Il mio sfintere è paralizzato dal terrore. Fra poco mi ammalerò sul serio, e allora vi chiamerò al tribunale. Lo dovete aggiustare!”.

Del campionario di inquilini collezionati dall’Immobilare I. Moonbloom fanno parte anche un ragazzo cinese che racconta a Norman nei dettagli le proprie avventure erotiche, un insegnante di inglese che declama versi di Eliot – “quel Vecchio Possum!” –, un clown che fa l’ambulante sui treni che partono dalla Grand Central Station, un boxeur che studia arte drammatica, uno “gnomo ebreo” che vive nel sottotetto… Tutti questi personaggi sembrano delle marionette caricate a molla: entrano in funzione soltanto all’arrivo dell’agente, gli mostrano scarafaggi, lavandini otturati ma anche le miserie più intime e i sogni più privati. Raramente le visite di Norman si concludono con il contante nella tasca dei calzoni; è costretto a dare molto più di quanto riceve: a dare vita, appunto, e per il solo fatto di star lì ad ascoltare. Il premio è un’afflizione crescente (se si tralascia l’inevitabile avventura con una giovane inquilina): chi è, lui, se non uno di loro? La sua solitudine si riflette nei caseggiati posseduti dal fratello come in una miriade di specchi, sui quali gli inquilini ricambiano il suo sguardo. Come spiega Eggers nella sua prefazione, “a poco a poco Moonbloom si piega sotto il peso delle necessità degli abitanti degli stabili. La pressione lo raggiunge e, mentre tenta di non eccedere i limiti del risicato budget del fratello e implora la pazienza generale (…) deve decidere se davvero, come ripete spesso, lui è ‘solo un agente’, o ha una personale responsabilità nel riscatto, sia pur minimo, delle vite dei suoi residenti”. Deciderà, infine, di cimentarsi in una personalissima crociata; a proprie spese: “A seguito di un’altra telefonataccia di Irwin, Norman ritirò duemila dollari dal suo conto personale e spedì al suo datore di lavoro un assegno vistato per quella cifra. (…) Per febbraio aveva completato i tre quarti dei lavori previsti per gli stabili. Aveva usato un lago di vernice, una montagnetta di cemento, e abbastanza filo per andare e tornare da New York alla sua città natale”. Quando un inquilino osserva: “Tu stai cambiando, paparino. Cos’hai?”, Norman gli risponde: “Cambiando? Oppure diventando? (…) Non so che cosa sia, ma sono contento, praticamente felice”.

Finite le duecentosettanta pagine del romanzo, condividiamo gli stessi sentimenti del suo protagonista. La qual cosa lascia adito ad un dubbio: è, questo, un libro che mette allegria; ma è un’allegria che evapora in due minuti perché è al netto della malinconia che avrebbe dovuto abitare nell’animo di Norman Moonbloom non solo nelle intenzioni dell’autore e di quel tanto di cattiveria in più con cui non ci sarebbe spiaciuto vedere ritratti i suoi inquilini. Manca, insomma, un po’ di mordente, che avrebbe potuto rendere Gli inquilini di Moonbloom un libro meno dimenticabile. Se si dovesse affiancare Wallant ad uno dei suoi fratelli maggiori, si potrebbe scegliere il Nathanael West di Signorina Cuorinfranti; ma a Wallant difetta la ferocia di quest’ultimo. In compenso, in molte pagine echeggia un certo umorismo à la John Fante, un gojm – per giunta italiano – cui l’autore di Gli inquilini di Moonbloom somiglia notevolmente. L’augurio è che, così come è stato per Fante, per Wallant scocchi finalmente l’ora di una rivalutazione postuma.

(Pubblicato su Il Giornale – 15.09.2005)

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88 Commenti

  1. Al contrario del post sopra, penso che Colombati sia bravo, e che pubblicare un suo testo qui, non equivalga ad abbonarsi coattivamente al Giornale, quindi qual è il problema?

  2. Il lettore tipo ischitano, con un euro, tutti i giorni (anche quando i giornali veri scioperano) riceve tre “fogli”: un locale, un regionale e un nazi-anale. Pur leggendo tanti quotidiani, da sempre, non mi considero un lettore tipo e nemmeno un ischitano tipo (tra l’altro a me non serve una carta igienica così rudimentale e non sono neanche avaro: prediligo i giornali che costano 1 euro e 10, dal martedì al venerdì e 2 il sabato e ogni 15 del mese!) Non conosco Colombati e non desidero conoscerlo: praticamentein Italia nasce uno scrittore al secondo, i lettori diminuiscono e mancano buoni ematologi: provate a cercarne uno per me, e non sto scherzando!)
    Trovo disgustoso, e nauseante quel bollettino privato di Arcore. Conosco (fisicamente) quei poveracci che dalle mie parti lo leggono e non li stimo….

  3. Ciao Giorgio,
    chi legge Colombati (anche i suoi saggi, che appaiono regolarmente su Nuovi Argomenti) sa che è un giovane studioso di riguardo. Ricordo sempre con piacere il suo saggio su Pinocchio. Tacciarlo di fascista è un’ingiuria che non merita.

    Non ha fatto niente per meritarla. Non credo che scrivere anche su Il giornale lo accrediti automaticamente di fascista. Io metto sempre al primo posto il rispetto della persona e del suo lavoro, e Colombati, almeno fino ad ora, lo merita, eccome.

    Mi dispiacerebbe che si levasse contro di lui (un po’ come i napoletani hanno fatto, a torto, contro la tua cara amica Anna Maria Ortese) un coro di riprovazione che è frutto solo di un’allucinante fantasia.

    Con affetto e stima.

    Bart

  4. Seguendo il ragionamento di “Compagni su Marte” e di Giorgio, negli anni ’70 non bisognava leggere gli articoli di Pasolini perché li scriveva sul giornale del padrone (e che lui, ovviamente, era un fascista).
    D’altronde si sa che Enzo Siciliano (caro amico di Pasolini) è un fascista impenitente, altrimenti non si capisce perché tiene in redazione a Nuovi Argomenti uno come Colombati.

  5. Giorgio, io non ho nessuna simpatia per colombati come scrittore (e neppure per lui come persona , se mi devo basare sulle due o tre battute scambiate nel suo blog auto-promozionale) quindi di me puoi fidarti: COLOMBATI NON E’ FASCISTA.

    “Il giornale” è un giornale infame ma si vede che non tutti pensano come noi, e molti bravi “intellettuali” (forse perchè pagano bene) ci scrivono sopra indipendentemente dalle loro idee politiche (sempre che ne abbiano perchè “francia o spagna ….) .
    Una volta ho trovato, nello stesso giorno, dello stesso autore, due articoli uno sul giornale e uno su liberazione :-).
    E’ una cosa buffa ma quando governa la destra (che tende a silenziare l’opposizione) può capitare che nelle pagine culturali di destra ci sia più libertà che altrove. Questo perchè la destra NON ha quasi mai intellettuali degni di questo nome, e quindi li compra a sinistra. Io preferirei che questo non succedesse, ma è così e non ci si può far nulla.

    Biondillo il tuo esempio fa acqua da tutte le parti quando Pasolini scriveva sul Corriere era direttore Ottone uomo di rara intelligenza … mi ricordi per piacere chi sia l’attuale direttore del Giornale? ;-)

    Ad ogni modo hai ragione tu, Colombati non è fascista, però sarei curiosa di sapere come mai si sia ridotto a scrivere sul Giornale, eppure, da quello che ho capito, ha un suo lavoro ben retribuito e potrebbe anche scegliere dove scrivere, no?
    Va beh, non sono affari che mi riguardino, a me di solito importa solo il contenuto e non l’involucro.

  6. Ripeto. Non conosco e non voglio conoscere Colombati. Mi riferivo alla fogna che ospita lo scritto postato (e che mai leggerò). Non ho definito “fascista” nessuno. Leggevo (e conservo quintali di ritagli) di e su Pasolini, sul Corsera, sul “Mondo”, su “Paese sera” e ricordo (e conservo) anche le risposte banali, scontate e scomposte, sguaiate e isteriche di Dallamano, Ginzburg, Casalegno, Calvino, Pampaloni (Pasolini ha torto anche quando ha ragione). Paragonare il Corsera di Ottone a quello attuale o al “Geniale” è pura follia. Per quanto riguarda “il banalino di coda” (secondo Flaiano) ognuno è libero di scegliersi i propri miti. Anch’io sono un caro amico di Anna Maria Ortese e sono anche stronzo. Ma che dici, Biondillo?

  7. Ho riletto il mio post di ieri. Ho definito “nazi-anale” quel fogliaccio ma il fascista dove diavolo l’avete letto?

  8. Allora, con calma.
    E’ “Compagni su marte” che ha parlato di fascisti.
    il “Nazi-anale” di Giorgio suggerisce un sacco di cose: nazionale, nazista-anale, etc.

    Conosco personalmente un sacco di gente che vota comunista (ho detto COMUNISTA) e lavora al Giornale. Per la pagnotta? Forse, non lo so. Io non ci lavoro.

    Il Corrierone degli anni ’70, per quando diretto da un signore come Ottone, era considerato dai compagni “duri e puri” il giornale del padrone. E a Pasolini fu detto di tutto perché ci scriveva sopra.

    Io non difendo il Giornale, che reputo un orribile quotidiano.
    Però, però…
    vi sembrerà demenziale ma (Georgia quasi lo suggerisce) fra le migliori pagine culturali dei quotidiani italiani non ho problema a metterci quella del Giornale.
    La faziosità che leggo e la “parrocchietta” dei recensori e recensiti che vedo su molti dei quotidiani a me vicini politicamente (vedi Manifesto, Liberazione, Unità) non esiste sulle pagine culturali de Il Giornale.
    Una volta ho chiesto ai suddetti amici giornalisti (COMUNISTI) come fosse possibile. La risposta è stata allucinate ma sensata: “Al direttore interessano solo le pagine politiche. Quelle culturali non interessano a nessuno e allora noi facciamo quello che ci pare. Tanto manco ci leggono”.

    Ora: io non leggo e non compro il Giornale (e mai lo farò). Ma di molti che ci hanno scritto ho un profondissimo rispetto per la preparazione e la cultura.

    E comunque, come diceva Gramsci, “se vuoi dirottare un aereo devi entrarci dentro”.

  9. Cari amici, posso dirla la verità? Tutta la verità! Senza offendere nessuno?
    Ecco: sono uno dei pochissimi che non ha un manoscritto nei cassetti e non desidera pubblicare.

  10. beh non credo che a nessuno interessi dirottare il Giornale.
    Sarei curiosa di conoscere la provenienza della citazone di gramsci perchè lui non dirottò nulla e dentro ci stette parecchio.
    Ora non vorrei che con l’aria che tira si facesse passare gramsci per un terrorista e dirottatore di aerei … vero biondillo?????;-)
    Il discorso che ti hanno fatto i tuoi amci “Komunisti” veramente è un discorso ormai vecchissimo anzi credo che per primo lo avessero attribuito a treves (direttore dell’Avanti!) riguardo alle vignette e proprio per questo scalarini disegnò le più belle vignette anche sotto la direzione mussolini, poi però mussolini non lo perdonò e gli fece passare quasi tutto il ventennio al confino e gli fu proibito di disegnare e pubblicare.
    Non c’entra nulla questo, ma solo per dire che quello che ti hanno detto quei fessi (i fessi sono ovunque) è un vecchio topos per i direttori di giornali ;-)ma soprattutto in questo caso non è vero o se fosse vero sarebbe forma di libertà che rende perchè io trovo la pagina culturale di Liberazione e del Manifesto ottime, quella dell’unità decente. Poi naturalmente dipende da cosa cerchi, un mio amico filosofo preferisce quella del sole 24ore, perchè è quella che parla di pù di filosofia ecc. Si al momento il Giornale dedica molto spazio agli scrittori giovani (e un po’ meno giovani) perchè la sua è una politica di fiancheggiamento alla mondadori, einaudi, bompiani ecc (cioè quasi tutta l’editoria che è dello stesso personaggio) e chiaramente per farla non del tutto sporca, recensiscono anche altri delle piccole case editrici. Quindi sembra una cosa eccellente ma non lo è ;-), ad ogni modo pagano bene ;-) quasi quanto al corriere.
    P.S
    I tuoi amici che votano comunista, lavorano al giornale come giornalisti o altro? Perchè capisci da solo che la cosa è un tantino dfferente vero?
    Come giornalista sarei curiosa di sapere chi sia che vota comunista, si nasconderebbe molto bene quando scrive :-)))))).
    Una cosa è pubblicare un articolo ogni tanto e una cosa lavorarci proprio :-). Anche se nel settore kultura vige più libertà;-)
    Io a volte compro e leggo il Gionale ed è vero che ci sono persone fornite di una certa cultura cosa che sta diventando sempre più merce rara ed è da apprezzare.
    Ma quelli che non sono forniti di questa cultura … beh quelli sono proprio disgustosi.
    Il vignettista pur essendo ferocemente di destra è molto bravo, ma … c’è ancora?
    geo

  11. scusa biondillo avevo letto male ;-)
    credevo fossero i tuoi amici comunsti di liberazione ecc ad averti detto la frase, e la cosa non mi tornava, invece erano quelli del giornale :-)))))) pur rimanendo un topos che dicono spesso perchè nei giornali di partito della cultura non importa nulla, mi torna di più anche se ho miei dubbi su tutta questa libertà.
    Allora diciamo che sono convinta che loro possano recensire tutto quello che vogliono, ma sono anche sicura che non possano rifiutarsi di fare una recensione ordinata. E hai ragione a dire che lì non c’è parrocchietta infatti lì c’e solo monarchia ;-) Quando si combatte tutti precettati, nei periodi di calma facciano quello che credono e ognuno si faccia pure la parrocchietta sua ;-) , anche sotto il fascismo era così.

  12. No, infatti. Le pagine “culturali” dei quotidiani di sinistra sono blindatissime, dato che è tradizione di sinistra che la cultura sia importante anche politicamente.
    E quindi, spesso, sono pagine ideologiche, niente affatto libere (ho detto “spesso” non “sempre”, ovviamente).

  13. Se ho preso la parola, l’ho fatto per il timore che Colombati, visto il primo commento, fosse oggetto di riprovazioni e di discriminazioni che non merita.

    L’intervento di Giorgio Di Costanzo, persona che ho imparato a stimare, fortemente critico verso Il giornale su cui è apparso l’articolo di Colombati, mi ha fatto pensare che una deriva di questo tipo si profilasse all’orizzonte per il bravo Leonardo.

    Tutto qui. Io non desidero entrare in discussioni politiche, perché ho le mie idee, sempre più confuse, invero, con il passare degli anni, e sono portato a non credere ormai più a nessuno di coloro che, seduti in parlamento, sono convinti di rappresentarci. Ormai è quasi un anno che non ascolto più i tg e da qualche anno in più che non compro alcun quotidiano, tanto meno i periodici politici. Se accade qualcosa, me lo raccontano mia moglie o mio figlio a tavola. Spesso faccio loro un cenno generico e dirotto subito dopo su altri argomenti.

    Rinnovo qui la mia stima, ovviamente, per Giorgio, se in qualche modo l’avessi offeso, e chiedo scusa.

    Bart

  14. colombati non ti avevo letto prima , l’ho fatto ora.
    Sinceramente non ti ho letto tutto perchè sono rimasta un po’ interdetta, è la prima volta che mi imbatto in una categoria letteraria definita “gentili” e ci sono rimasta un po’ di merda :-)
    Mi viene da farti una domanda, io capisco che possa servirti, per spiegare che, e che tu inserisca il tuo scrittore nella categoria letteraria dei moderni scrittori ebreo-americani, penso possa essere utile farlo (anche se generalizzare è sempre pericoloso e poco utile) perchè mi spiegava un mio amico ebreo che il contatto continuo fin da bambini con la parola della bibbia porta (sempre che uno sia poi uno scrittore) ad avere una marcia in più come scrittore, e infatti sembra strano ma i più grandi narratori sono stati o ebrei o protestanti.
    La stessa cosa mi dicono succeda oggi con l’informatica, non tanto per la bibbia quanto per la cultura dell’analizzare e interpretare ogni frase ecc.
    Però scusa ma mi sembra un po’ esagerato che tu definisca gli altri “gentili” insomma o la tua è critica religiosa oppure qui c’è un briciolo di razzismo.
    Scusa vale solo per gli americani o dovrò ascrivere a tale scuola (dei gentili) anche pasolini e bondillo (tiro a caso naturalmente)? e ben Jalloun dove lo mettiamo?
    Ma che tempi ci tocca a vivere.

  15. “sembra strano ma i più grandi narratori sono stati o ebrei o protestanti”
    Ora come lo spieghiamo a Joyce o a Tolstoi? ;-)

  16. che buffo biondillo.
    Io credo che il tuo sia un luogo comune.
    Sai che ho trovato sempre grandi scrittori di destra sulle pagine di Liberazione del manifesto, e (anche se meno) anche sull’unità.
    Ma sempre più raramente trovo grandi scrittori di sinistra sui giornali di destra.
    In realtà diciamo che non ci trovo grandi scrittori se non per parlarne malino e deriderli un po’.
    Però forse è solo colpa dei comunisti che lavorano nei giornali di destra ;-)
    Berlusconi lo dice sempre che la sinistra ha in mano tutta la stampa e la comunicazione :-)))))))

  17. e pasolini e biondillo?

    ma ce lo spiegherà colombati spiegandoci per bene cosa sono i gentili io sinceramente in letteratura non riesco proprio a capire che cavolo voglia dire gli scrittori gentili (anche perchè, per lo più, sono veramente poco gentili)

  18. Forse stiamo dicendo cose diverse, Georgia.
    Io dico che su “il giornale” le pagine culturali sono gestite da persone dichiarataemnte di sinistra. E ci scrivono persone dichiaratamente di sinistra. Ma questo NON perché la destra sia pluralista, ma semplicemente perché:
    a) la destra italiana NON ha cultura (ho specificato “italiana” non a caso) né esponenti validi che la rappresentino (e quando ci sono scrivono sul corrierone, ovviamente)
    b) e per ciò non ha nessun interesse alle pagine culturali. Sono di ornamento o poco più.

    Ciò da molta libertà di movimento a chi le gestisce rispetto chi invece scrive sulle pagine dei quotidiani di sinistra dove l’attenzione è più alta e quindi anche il controllo ideologico è più alto (e, anche, le epurazioni, purtroppo).

    Tutto ciò non lo dico solo io (che NON scrivo né di qua né di la) ma anche molti giornalisti e scrittori che scrivono sia di qua che di la.

    Poi alle domande rivolte a Colomati risponda, come è giusto, Colombati.

  19. Dovresti chiederlo a Ennio Flaiano. Esiste perchè è esistito Moravia, e poi Pasolini, Morante, Penna, Bertolucci, Bellezza… Era un “segretario di redazione” e origliava i discorsi dei grandi…. Ora dirige (con altri 4 soggetti) un feto (di rivista) malriuscito….

  20. ah ah ah ah ah ah aha…..
    :-)))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))
    é vero sei un amico della ortese, ma sei anche uno stronzo ;-)
    georgia

  21. come contenti voi?
    la battuta erasplendida e noi abbiamo riso, mica avrai pensato che ti abbia dato di stronzo sul serio vero? mi rifacevo ad una tua battuta precedente. Lo sai che ti adoro ;-)
    georgia

  22. Voi ridete, invece io sono abbastanza sorpreso e forse anche un po’ preoccupato.
    La mia sorpresa nasce dal sentirmi la fotocopia di Giorgio da Ischia, infatti come lui posso dire:
    “sono uno dei pochissimi che non ha un manoscritto nei cassetti e non desidera pubblicare.”
    E ancora, come lui, sono uno che “frequenta” scrittori contemporanei italiani.
    A questo punto posso prevedere il mio futuro, tra vent’anni entrerò nei litblg sostenendo un po’ piccato: eh ma una volta c’erano Mozzi, Voltolini, Biondillo, Inglese, ecc ecc (nel mio discorso ci sarete tutti, ma proprio tutti, perché quello che producete mi sembra straordinario).
    Quindi generazioni future preparatevi, arriverà Andrea da Forlì!

  23. Contenti voi era riferito alla pagina “cul” turale del “Geniale”. Certo che i vari supplementi lasciano a desiderare… Brevemente: “ttl” di sabato recensiva una scrittora (o scrittoressa, come diavolo si dice) napoletana che, secondo Bruno Quaranta “…di Anna Maria Ortese è una sicura eco…”. Ma lo scorso anno non lo si era detto anche a proposito di Valeria Parrella? Sono curioso di sapere fra qualche mese chi sarà la nuova Anna Maria Ortese? Le fischieranno troppo le orecchie alla giovane pronipote Anna Maria Ortese (figlia di Mario) residente in Germania…. Sul “Sole 24 ore” di ieri peggio che andar di notte (Fofi segnalava testi di fantascienza); Aldo Nove, Cassano e Piperno ripetevano, su “Queer-Liberazione” le rituali scemenze di ogni anniversario (che vanno sempre bene, in ogni occasione).
    “Repubblica” era inguardabile e oggi non è nemmeno arrivato il n. 65 de “Lo Straniero”….

    Per Andrea Barbieri: benissimo! Si potrebbero aggiungere Roberto Saviano, Maurizio Braucci, Pino Montesano e un austriaco barocco, ridondante e non tradotto… Meglio così! Da parte mia, vorrei precisare che non vi è stata premeditazione. Avvicinavo artisti che leggevo e amavo e desideravo conoscerli meglio. Sarebbe stato meglio non farlo: gli scrittori mangiano, bevono, evacuano e assumono farmaci come noi, comuni mortali: che delusione!

  24. andrea la battuta non è male, ma … come fai a sapere cosa succede domani?
    E poi l’omicidio del passato e per giunta premeditato sarebbe una aggravante in più.
    Ad ogni modo giorgio ha frequentato un tipo di scrittore come ortese, moravia, morante, penna, rosselli, ecc. che obbiettivamente non esiste più, rimpiangere non sempre è un atto da passatisti, a volte, in situazioni particolari, è un atto profondamente culturale e rivoluzionario. Gli scrittori da te nominati appartengono ad una nuova era di letteratura e scrittura (non so quanto durerà, ma immagino molto) quindi non ti toccherà rimpiangerli così presto, perchè ne avrai a disposizione, se non loro, altri di molto simili.
    Forse quando discutiamo di letteratura non ci rendiamo conto che, ci piaccia o meno, è avvenuto un cambiamento profondo. Questo non vuol dire che chi scrive oggi sia migliore o peggiore di chi scriveva ieri, ma, obbiettivamente lo fa con spirito e scrittura diversa e spesso anche con fini diversi.
    Questo come io dico sempre non vuol dre che dobbiamo mandare al macero la grande scrittura di ieri, anzi la dobbiamo conservare e studiare ma prendendo atto che per il momento quel tipo di scrittura non ci toccherà, nè come lettori, nè come scrittori. Ecco perchè giorgio non sta facendo dell’antiquariato, ma bensì un’opera di resistenza che io condivido in pieno, mentre se tu, caro andrea, lo farai tra venti anni, non farai resistenza, ma solo arkadia. Perchè non credo che la scrittura di oggi sarà messa in crisi tra vent’anni (sarebbe sintomo di fallmento) anzi semmai si assesterà e maturerà.
    Invece mi preoccupa la kritika, che vedo messa veramente male, ma questo è un altro discorso e sprattutto è un discorso più politico.
    georgia
    P.S
    Io sono qui che aspetto incuriosita, ma aspetterò invano perchè penso che colombati abbia grosse difficolta a spiegare la sua integralista polarizzazione (un po’ razzista) tra scrittori ebrei e scrittori gentili.
    Colombati non rsponderà, ma forse c’è qualcuno in lista che mi può spiegare la categoria critica dei “gentili”. Cosa si intende per scrittore gentile? uno scrittore laico? mmmmm sarebbe veramente troppo generico, uno scrittore cattolico o protestante? non credo. I gentili esistevano secoli prima dei cattolici. Un non ebreo? non credo, non posso pensare che colombati veda tutti i non ebrei uno identico all’altro come i cinesi o le formiche. Quindi cosa intende?
    Voi non ci crederete, ma sono veramente interessata perchè è la prima volta che mi imbatto (sulle pagine di un giornale non parrocchiale) in una recensione che definirei di “militanza religiosa”.
    Ma so che non mi si rsponderà e forse mi si prenderà pure per una “gentile poco gentile”
    georgia

  25. In occasone del Trentennale della partenza di Flannery O’Connor (lo confesso, è un grande scrittore; odiava Capote e CARSON MC CULLERS e anche i beat, per razzismo clericomofobo) ma ha scritto due romanzi e tanti racconti notevoli, belli quasi come quelli di Capote e Cheever, “Il Geniale” pubblicò un inedito della scrittrice fondamentalista. Si trattava di (udite! udite!) un’introduzione alle memorie di una santa (sic!) dodicenne. L’ho letto, allora, “Il Geniale”. Nella stessa pagina vi era anche un ritratto critico di O’Connor firmato Doninelli Luca (titolo redazionale: “Sintesi miracolosa di letteratura e fede cristiana”). Lo stesso Doninelli Luca aveva firmato la postfazione a “La saggezza nel sangue”, letteralmente vomitevole. Non ho detto che “Il Geniale” generalmente pubblica interventi vomitevoli, ma il 3 agosto 2004, a pag. 24, si, senz’altro!

  26. da http://www.perceber.com
    Su Nazione Indiana, senza che io ne sapessi nulla, è stato ripubblicato un mio articolo sullo scrittore americano Edward L. Wallant apparso sul quotidiano il Giornale, per il quale collaboro. Nei commenti qualcuno ha scritto: “Non vogliamo i fascisti del Giornale su Fazione Indiana”. E tale Giorgio Di Costanzo gli è andato subito dietro precisando: “Non conosco Colombati e non desidero conoscerlo” (me ne farò una ragione) per poi definire “il Giornale” un foglio “nazi-anale”.
    Ringrazio Georgia, Gianni Biondillo, Andrea Barbieri e Bartolomeo Di Monaco per aver preso le mie difese. Gianni, tra l’altro, ha ricordato il fatto che io sia anche redattore di “Nuovi Argomenti”. Il che ha dato adito al signor Di Costanzo di parlar male anche di Enzo Siciliano, che della rivista è direttore.
    Dal canto mio, voglio solo dire che sia “il Giornale” che “Nuovi Argomenti” mi hanno finora concesso la libertà di scrivere sulle loro pagine quello che mi pare.

  27. Carissimo Reporter, credo di interpretare il pensiero di tutti, a NI se dico che la couleur annunciata da alcuni commenti era grigio, piuttosto che nero. Di quel grigio- i francesi la chiamano grisaille- che ti lascia un vuoto dentro, un certo disagio. Non capisco Giorgio di Costanzo quando si fa abitare dal livore, o peggio da un certo ideologico senso. A me il Giornale sta sui coglioni, certo, e credo che siamo tutti d’accordo, anche, Reporter, nemmeno troppo in fondo quando parla di libertà, come se non fosse evidente. In questi casi ho sempre a mente la lezione di George Orwell – anarchico conservatore, si definiva- e invito lettori peraltro necessari come Giorgio Di Costanzo, che custodisce anime letterarie fragili del passato, a una “common decency”. Sul giornale credo ci scriva, o ci scriveva, Affinati Eraldo, che considero come dalla nostra parte. Eh già, dalla nostra parte
    effeffe
    ps
    ottimo pezzo!

  28. Si, “Il Geniale” (definizione di Fortebraccio, sapete chi era, no!) è una fogna a cielo aperto! Garantista con i ladri (quelli veri!) e giustizialista (con i “ladri” di polli. Si può collaborare al “Borghese” o “Candido”, “Lo specchio” e altri fogliacci fascisti del genere e anche al “Geniale”, una fogna degna dei suoi lettori e collaboratori.

  29. Gentile sig. Di Costanzo,
    come si permette di dire che sono degno di una fogna?
    I suoi insulti stanno oltrepassando il limite. La pregherei, pertanto, di sfogare il rancore che ha nei miei confronti con un livello minimo di buona educazione. E ricordi che sotto le maniere forti si cela molto spesso un pensiero debole.
    Cordiali saluti

    Leonardo Colombati

  30. Ringrazio infinitamente Leonardo Colombati del pezzo che ha scritto. Coraggioso, interessante, documentato. Ho molti amici che lavorano al Giornale, non hanno alcun bisogno che io offra loro una patente di supposta libertà intellettuale. Sono bravi e capaci. Gli insulti a cui è stato sottoposto Leonardo Colombati sono a mio giudizio degni di nessuna attenzione. Ma che stupidate..

  31. Di Costanzo, sta francamente esagerando… Chieda scusa a Colombati (e, come ricordava Francesco Forlani, a Eraldo Affinati, e a Elena Stancanelli, e a Marco Vichi, scrittori e collaboratori delle pagine culturali del Giornale) e finiamola qui con questa imbarazzante pagliacciata.

  32. Marco vichi ha scritto un articolo quasi contemporaneamente (e sullo stesso argomento) sia per il Giornale che per Liberazione. :-)))))
    Si chiama flessibilità-interinale ideologica o qualcosa del genere;-)

    Però anche colombati cosa si indigna tanto, anche giorgio avrà il diritto di pensare come gli pare no?
    Se lui considera un giornale una fogna non è tenuto ad essere elestico come noi nel giudicarne i collaboratori.
    Ognuno è libero di scriverci sopra, che diamine, ma non può pretendere il plauso di chi ha il diritto di rimanere intransigente se lo vuole.
    Io ho amici che giudicano una fogna anche la Repubblica che io compro tutti i giorni, e conosco persone (che non sono miei amici) che considerano una fogna il Manifesto (e non sono persone di destra)
    Il mondo è vario cerchiamo di apprezzarlo proprio perchè è vario ;-).
    ‘Sta suscettibilità che vuol uniformare il mondo ed eliminare ogni conflitto ideologico, solo perchè NON sa più dialogare con l’altro, a me spaventa veramente un po’, anzi a me fa proprio orrore :-((((((, altro che imbarazzante pagliacciata ;-)

  33. Colombati non si indigna; si incazza se lo chiamano fascista o fogna, come mi incazzarei io, e credo anche tu, georgia. Di Costanzo può pensare quello che gli pare del Giornale, può urinarci sopra o usarlo per raccogliere i riccioli intestinali ancora fumanti del suo cane, non è questo il punto. Il punto è che, fermo il suo diritto di pensare quello che gli pare, non può invece chiamare fogna chi collabora al Giornale, a meno che non abbia prove concrete, fatti, elementi oggettivi che dimostrino incontrovertibilmente che un collaboratore del Giornale è una fogna. L’intransigenza è una cosa; altra cosa è l’offesa gratuita. Se poi pensi che il conflitto ideologico consista tutto nel chiamare “fogna” quelli del Giornale e “latrine” quelli di Liberazione…

  34. insomma siamo qui, ad offenderci, e non per la strada, se siamo qui è chiaro che le motivazioni sono diverse dal puro spirito di sfogo o offesa, e che quello che cerchiamo è il dialogo.
    Prima di prendersela sempre come delle mammole indignate e offese cerchiamo di dialogare.
    Berlusconi non è, obbiettivamente solo uno che ha governato male, è uno che ha usato per i suoi interessi privati il nostro parlamento, i nostri soldi, la nostra costituzione, prender la cosa troppo alla leggera non so se sia giusto.
    Uno che collabora al Giornale ed è berlusconiano … ok non accetti la provocazione e tiri diritto per la sua strada, ma se è un tantino più sensibile può anche capire le ire di giorgio il quale assolutamente non ce l’ha con leonardo in particolare, che neppure conosce.

    Ad ogni modo, e questo fuor di polemica, invece di continuare su questo piano a me farebbe piacere se colombati accettasse il dialogo e mi rispondesse sul significato degli scrittori “gentili”, sul serio la cosa mi ha stupito moltissimo, ma anche interessato, non lo nego, e mi piacerebbe discuterne.
    Premetto che Leonardo si è già incavolato con me (poi non sono mai più andata su percebar a cui ero arrivata tramite il blog di mozzi) perchè criticavo il sistema di pubblicizzare per un intero anno un libro come fosse una scatola di detersivo, e ha pensato subito che ce l’avessi con lui, ….. un po’ suscettibile il ragazzo lo è veramente, ma … non è fascista e neppure di destra, è solo un po’ vittima del conformismo marziale ;-)

  35. Ritiro e CHIEDO SCUSA “collaboratori” dal mio post delle 18.10.
    Sui lettori, lo affermava perfino un fascistissimo e spregevole girandola per tutte le stagioni (e sempre prono e al servizio del padrone di turno; riuscì a negare, perfino l’uso dei gas nelle avventure coloniali dell’Italietta, molto ben documentato nei testi di Angelo Del Boca) come Montanelli (i lettori del mio “Geniale” sono più a destra della redazione), detto da un servo dei padroni di tale risma. …!!!

    Per Jacopo: non dubito (credimi) dell’onestà intellettuale dei collaboratori (che neanche conosco) da te citati. Certamente il denaro non puzza e tutti (tranne Giorgio Di Costanzo “c’hanno” famiglia…). Mi riesce difficile (se non impossibile) credere che sia possibile recensire sul “Geniale” 2, la vendetta, organo semi-ufficiale di una fazione di un’ -organizzazione- “politica” , di uno qualsiasi dei libri pubblicati dalla Casa Editrice KAOS (che so, a caso, davvero, la storia del Marchese Camillo Casati Stampa da Soncino (cito a memoria, non ho il libro sottomano, ma posso cercarlo in cantina), della moglie Anna Fallarino, dell’amante di lei, il militante dell’M.S.I. Massimo Minorenti, di una delle loro anguste e sobrie dimore, di un giovane avvocato, di un parlamentare del P.L.I. e di un’orfanella)….

    Permettimi di avere qualche dubbio (soltanto qualche dubbio) che uno qualsiasi dei collaboratori citati possa pubblicare tale recensione…

    Sul “pensiero debole”: ma io non ho alcun pensiero, sono incapace di articolarne…. E quale rancore potrei nutrire nei confronti di chi neanche conosco? Ragazzi, qui ci stiamo prendendo troppo sul serio (iniziando da me…)

    Su Marco Vichi (chi è?) che pubblica un articolo sul “Geniale” e su “Liberazione”, giornale comunista, sullo stesso argomento non so cosa dire. Una cosa è certa: rispetto molto i lettori (e militanti) di quel quotidiano; molto meno la direzione editoriale e politica.

    Chi è Piero Sorrentino che intima (ne ha facoltà?) di interrompere le pagliacciate?

  36. Marco Vichi è un bravo scrittore di Firenze. Non ho letto gli articoli uguali su due giornali diversi (ma siamo sicuri siano poi così diversi?) e mi chiedo: cosa caspita c’entra se Colombati scrive sul giornale(minuscolo tassativamente)? ben venga un pezzo decisamente interessante su qualsiasi giornale, ma saranno fatti di Colombati dove scrive o no? A me interessa il contenuto, poi Colombati può anche vivere sopra un albero, sono fatti suoi. O in quest’epoca da grande fratello dobbiamo per forza fare i voyeurs a tutti i costi? Sapere quante volte andava a orinare Petrarca(così non si offende nessuno) cambia qualcosa della lettura del Canzoniere? E poi siccome non leggo il quotidiano in questione per motivi politici, ringrazio NI che mi dà l’opportunità di leggere un bel pezzo! E scusate la banalità del mio commento.

  37. beh cara gabriella l’unica che ha chiesto di discutere sul contenuto sono io :-)
    Ma,, sembra fatto apposta, nessuno mi caca nemmeno e io rimarrò con la curiosità di sapere chi cacchio siano gli scrittori gentili e che cacchio di genere di narrativa portino avanti, ad esempio Vichi sarà uno scrittore gentile nonostante il suo commissario si chiami, poco gentilmente, Bordelli?

  38. Cara Georgia, visto che “gentile” è un termine biblico per indicare chi non è giudaico, traine tu le conclusioni… Vichi è un uomo gentile nel senso di dotato di gentilezza anche se, come ricorderà Gianni, non è un gran lettore dei testi altrui! Ciao.

  39. Georgia,
    scrivi privatamente a Colombati. Mica ti posso rispondere io, no?

    Quella di Gabriella era una battuta, ovviamente. La casa di Marco Vichi straborda di libri. E li legge di continuo. Gli unici che non legge sono i miei (ma questo è un gioco che abbiamo fra di noi, che è un po’ lungo da spiegare qui).

    Direi, a questo punto: “Peace and Love” a tutti quanti.

  40. Gabriellina ha proprio ragione. Grazie a Franz abbiamo potuto leggere un pezzo che altrimenti non avremmo potuto leggere. Limpida e semplice verità, insomma pura.
    effeffe
    ps
    libertà per il compagno Colombati e grazie a lui

  41. beh gabriella cosa vuol dire gentile nella bibbia lo so bene ;-).
    Io contestavo la divisione netta (nettissima) fatta da colombati tra scrittori ebrei e scrittori gentili (cioè TUTTI gli altri).
    E chiedevo delucidazioni sul generico termine “gentili” all’interno della critica letteraria
    Beh io sono laica, e vorrei rimanerlo (se me lo permetteranno in questo mondo sempre più di merda) ma mettiamo che sull’onda della nuova moda conformista-religiosa-mariziale io decidessi di tornare alle origini e dichiarassi che la mia più che legittima scelta religiosa è diventata anche una categoria critica, una delle funzioni principali della critica e iniziassi a scrivere: ” Va dove ti porta il cuore della tamaro ribadisce il particolare talento di cui i moderni scrittori cattolici dispongono nel creare personaggi indimenticabili, di vecchie nonne (il cui archetipo è la nonna di cappuccetto rosso) laddove i katecumeni (i non battezzati, gli infedeli, o come diavolo volete chamarli, io non ne ho idea l’importante è che il termine stia a significare TUTTI gli altri “I LORO” neppure i VOI che come ho già spiegato pur essendo conflittuale presuppone sempre un dalogo) sono piuttosto dei costruttori di complicate macchine narrative, all’interno delle quali i “caratteri delle nonne” finiscono per essere incidentali”

    Beh, come minimo mi chiedereste che cavolo di categoria critica-letteraria sia katecumeni o no?
    E sono sicura che interverreste tutti a rispondere e non solo io;-).
    georgia
    Ad ogni modo non scriverò in privato a colombati, se voleva rispondermi lo avrebbe già fatto. ormai ci sono abituata i militanti (di tutte le religioni) in rete non mi rispondono mai, sono sei mesi che aspetto una risposta da Hamza piccardo e so che non mi risponderà mai, ormai il sistema è questo, passa, fai propaganda, fai pubblicita a qualcosa e non farti disturbare dai provocatori che sono quelli che cercano il dialogo il perchè, quelli son tutti troll;-)

  42. Statemi bene attenti: io sono ebreo. Count Basie è ebreo. Ray Charles è ebreo. Eddie Cantor è gentile. L’associazione giovanile mondiale B’nai B’rith è gentile; l’Hadassah è ebraica.
    Se vivi a New York o in una qualsiasi altra grande città, sei ebreo. Non importa che tu sia cattolico: se vivi a New York, sei ebreo. Se vivi a Butte, Montatam anche se sei ebreo sarai per forza gentile.
    Il Kool-Aid è gentile. Il latte evaporato è gentile anche se l’hanno inventato gli ebrei. Il cioccolato è ebraico mentre il fudge è gentile. La macedonia di frutta è ebraica. La gelatina di lime è gentile. La bibita al lime è MOLTO gentile.
    Tutte le merendine della Drake’s Cakes sono gentili, nessuna esclusa. Il pumpernickel è ebraico e, come sapete, il pane bianco è molto gentile. Il purè istantaneo è gentile. La gazzossa all’amarena è molto ebraica, gli amaretti sono *totalmente* ebraici.
    I negri sono tutti ebrei, gli italiani sono tutti ebrei. GLi irlandesi che hanno rinnegato la propria religione sono ebrei. La bocca è molto ebraica. E i seni. La ragazze pon pon sono gentili.
    La biancheria intima è assolutament gentile. Le palle sono gentili. I capezzoli sono ebraici.
    Celebrare è una parola gentile. Osservare è una parola ebraica. Il signore e la signora Walsh celebrano il Natale con il maggiore (in pensione) Thomas Moreland dell’Aeronautica militare, mentre il sigore e la signora Bromberg osservano Hanukkah con Goldie e Arthur Schindler di Kiamesha, nello stato di New York.

  43. Cara Georgia,
    non ti ho risposto finora perchè la tua domanda mi sembrava (e mi sembra) senza senso. Ma visto che insisti… Ho usato la definizione di “scrittori gentili” parlando dal punto di vista degli scrittori ebrei-americani. La contrapposizione, nel panorama della letteratura americana del dopoguerra è non sono legittima ma pure necessaria, vista l’importanza ed il peso assunti dagli scrittori di origine ebraica all’indomani dell’uscita de “Le avventure di Augie March”. Tutto qui.
    Per il resto, non sono un “militante” di alcuna religione, visto che sono ateo, e sono solito rispondere a tutti. Nei tempi e nei modi che mi sembrano opportuni.

  44. Oh Georgia, così l’avevo inteso il Colombati leggendolo: come si è spiegato da se steeso! A volte tu parti in quarta con ragionamenti che faccio fatica a seguire, questo era uno di quelli. :-))
    Gianni, la mia battuta si riferiva alla biblioteca in giardino dell’anno scorso, ricordi? Nel senso che Vichi aveva letto male(perché senza occhiali) le pagine del tuo libro… un abbraccio!

  45. scusa ma … protestanti, cattolici, indu, animisti, musulmani, laici, atei, e tutti quelli delle varie sette sparse negli Usa beh tutti quelli sarebbero “i gentili” contrapposti alla letteratura ebraica.
    Scusami leonardo (che ora che hai risposto mi stai più simpatico) ma c’è un briciolo di teo-megalomania in tutto ciò.
    Io in letteratura eliminerei proprio il termine gentili, che poi la letteratura ebraico americana abbia prodotto opere eccelse questo nessun lo nega, e non solo negli usa, ma non è un motivo per creare un ridicolo schieramento NOI/LORO definendo tutti gli altri gentili. Insomma il mondo è un oceano in movimento non può essere ridotto alla bibbia (per quanto grande quel libro sia), così sei peggio di Buttiglione ;-)

  46. lenny bruce?
    :-)))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))
    hai dimenticato la doccia e il bagno e le scarpe da ginnastica.
    Le scarpe da ginnastica sono ebree o gentili;-)

  47. gabriella scrive:
    Oh Georgia, così l’avevo inteso il Colombati leggendolo: come si è spiegato da se steeso! A volte tu parti in quarta con ragionamenti che faccio fatica a seguire, questo era uno di quelli. :-))

    Beh gabriella tu come la stragrande maggioranza degli italiani sei occidente-centrica, per te la cultura, la letteratura,la civiltà ecc. è solo europa + usa (solo i bianchi però)
    per me no, ecco forse perche sono più sensibile a certe sfumature. Vedi tra l’altro io ho il dubbio che colombati non solo abbia fatto una divisone bipolare tra ebrei e gentili (cosa che a me sinceramente non piace perchè io culturalmente mi sento sia ebrea che gentile), ma che abbia fatto di peggio, perchè intorno a quella polarizzazione c’è, come un fantasma con occhi fondi che attrae: la stragrande maggiornanza del mondo (e anche degli usa) che non è ebrea e neppure gentile (nell’accezione di colombati). A meno che il colombati non sia così approssimativo di mettere tutto nello stesso calderone dei gentili, bianchi rossi gialli e neri.
    Colombati dice che la mia domanda era senza senso mentro io insisto che la sua divisione, da stagno, è assurda è senza senso, e segue dei meccanismi di pensiero molto simili a quelli dei vecchi colonialisti europei
    Il razzismo inizia quando all’altro si nega una precisa caratterizzazione che manteniamo invece solo per noi. Gli altri (indistintamente) ci servono solo per meglio definire noi stessi.
    Posso tollerarlo allo stadio, ma non nella vita e tanto meno in letteratura.
    Ma i tempi sono quello che sono … e peggioreranno … ma io continuerò a dire che le cose che non mi vanno, perchè … Gramsci non è solo quello della pseudo-citazione di Biondillo ;-)
    georgia

  48. Scusa, se io facessi un discorso sulla tal scrittrice afro-americana confrontandola con una tradizione peculiare di scrittura afro-americana femminile e accennando a una differenza con i modi narrativi delle scrittrici americane bianche, farei sempre del razzismo? E come dovrei farlo, l’accenno a queste altre scrittrici: chiamarle “bianche” è generico, dunque razzista? Chiamarle non-afroamericane? Parafrasare con “le scrittrici originarie di qualsiasi altro gruppo etnico, in primo luogo quelli risalenti al ceppo causasico”?
    Ma se l’esempio fosse ancora troppo centrato sull’Occidente, posso proporti un paragone fra gli scrittori indiani di minoranza (e tendenzialmente neanche musulmani)- parsi, sikh- e quelli di origine induista.

  49. ok, c’è una parentesi che non va..Così imparo a fare clic senza rileggere bene.
    In breve: i musulmani stanno in una posizione intermedia, perché la loro rappresentazione andrebbe confrontata anche con quella degli scrittori originari del Bangladesh e del Pakistan, sia quelli che lì si sono formati, sia quelli immigrati altrove o figli di immigrati. Hanno in comune le tematiche di islamizzazione vs.assimilazione e quelle legate alla tragedia della divisione dell’India coloniale.
    Quelli appartenenti alle minoranze “minori”, invece, sembrano spesso avere paradossalmente uno sguardo più globale sull’India contemporanea (penso al parsi Rohinton Mistry o al sikh Vikram Chandra), molto critico ma stilisticamente più distaccato e oggettivante (mi viene in mente il paragone con l’agguerrita Arundathi Roy). Sono osservazioni non profondissime da lettrice, ma c’è gente in gamba che queste cose le studia seriamente

  50. beh scusa helena ma a me fa ridere e la trovo critica-etnocentrica poi fai tu.
    Se io studiassi moravia ginzburg bassani svevo, che sicuramente hanno delle caratteristiche ebraiche chi per un verso chi per un altro e li paragonassi a tomasi di lampedusa vittorini pavese fenoglio ortese penna ecc e per farlo chiamassi quest’ultimi gentili, a me (ma anche a loro tutti) scapperebbe da ridere visto che abbiamo tutti la stessa lingua, lo stesso suolo la stessa aria e la stessa costituzione.
    In base ai nomi che ti ho fatto sopra, sarebbe una autentica follia dividere in schieramenti quegli scrittori italiani e tutti si rivolterebbero nella tomba (perchè durante il fascismo veniva fatto).
    Insomma è quella di colombati una maniera (per me ) nuova di fare critica letteraria e permetterai che mi stupisca (spiacevolmente) e chieda lumi.
    Di questo passo domani un critico leghista mi dirà recensendo Gadda che i padani scrivono così a differenza degli italici che scrivono cosà (e io che sono fiorentina mi domanderò cosa cavolo siano gli italici ;-) pur riconoscendo che Gadda ha indubbiamente peculiarità milanesi.
    Guarda che io non contestavo la definizione ebreo-americano. Definivo razzista (nel senso di divisione da TUTTI gli altri, bianchi rossi gialli e neri, senza distinzione) l’uso di gentili come altro polo ;-), poi …. Insomma helena prima di farci questi esempi scambievoli, spiegami per bene cosa intendi tu (visto che sembri averlo capito) e cosa intende colombati quando usa il termine “gentili” che viene direttamente da un testo religioso, e, da come lo percepisco io per usare un termine equivalente dovrei usare che so … fedeli/infedeli, battezzati-non battezzati.
    Se invece mi spieghi il suo significato come categoria critica … forse capisco, forse che gentili è ormai un sinonimo di letteratura-wasp?
    Insomma davvero uno scrittore gentile, uno scrittore non ebreo (italiano, americano, indiano, cinese, bianco rosse verde e nero) non costruisce personaggi? E perchè? solo perchè non è ebreo? E un ebreo americano che non costruisce personaggi che è? automaticamente un gentile?
    Via ragazzi qui a forza di generalizzare alla jo boja si fa … solo della kattiva kritica.

  51. Se voglio fare critica di aperto taglio socio-culturale tipo “la rappresentazione dell’India culturale nelle opere degli scrittori contemporanei indiani” e in questo mi sembra rilevante l’origine dei vari scrittori, perché non dovrei farla? Non è l’unico modo per fare critica, ma uno di quelli possibili, che può sempre essere buona o cattiva, superficiale o complessa.
    Se la cultura, in senso largo, dei vari gruppi etnici americani produce delle tradizioni letterarie specifiche, perché non dovrei indagarle e confrontarle?
    L’identità padana è invenzione leghista, mentre per la poesia si parla da decenni di “linea lombarda” senza che nessuno si scandalizzi.

  52. Helena io devo essere proprio negata per farmi capire …
    Esiste la linea lombarda, esistono gli scrittori ebreo americani, esiste la letteratura indù, esistono anche gli scrittori cattolici italiani ecc. Io non l’ho mai negato, e mi è abbastanza facile capirlo
    QUELLO CHE NON CAPISCO E’ COSA SIA LA LETTERATURA DEI GENTILI.
    Non nego che esista uno scrittore cattolico che abbia caratteristiche cattoliche (a me tale critica non piace ma non nego che sia possibile farla) nego però che si possa esaminare camon o la tamaro contrapponendoli genericamente agli scrittori non-battezzati italiani ;-), ai catecumeni, ai pagani o ad altra vaga categoria di quelli che, una volta morti, vengono dirottati nel limbo.

    Perchè io possa capire mi devi prima spiegare cosa cavolo è la letteratura dei gentili, non quella degli indù o dei lombardi.
    Perchè mai, in base a quale criterio critico, scrittori diversissimi come de Lillo, Barth e Pynchon vengono definiti gentili (se il critico in questione non fa militanza o propaganda religiosa)?
    E’ QUESTO E SOLO QUESTO CHE IO CONTESTO E GIUDICO UN PO’ RAZZISTA, COME E’ RAZZISTA OGNI GENERALIZZAZIONE DEGLI ALTRI COME SE FOSSERO TUTTI UGUALI COME LE FORMICHE ;-)
    Ora spero che qualcuno mi definisca la kategoria critica di “scrittori gentili” e poi la chiudo qui :-)

  53. Colombati ha scritto: “Ho usato la definizione di “scrittori gentili” parlando dal punto di vista degli scrittori ebrei-americani.”
    Che ti posso dire? Prenditela con gli scrittori ebrei-americani…
    ;-)

  54. Scusate se mi intrometto, ma direi che è quantomeno molto opinabile la legittimità dell’assunzione, da parte di Colombati, del punto di vista degli ebrei-americani. Primo, perché bisognerebbe mostrare che quello (ebrei vs. gentili) costituisca effettivamente un punto di vista (per sé, e prima ancora in sé). Secondo – ammesso che lo costituisca – la correlazione tra scrittori gentili e modalità narrative andrebbe dimostrata e non solo asserita.
    Peraltro, mi pare che questo discorso sia un po’ fine a se stesso, nel senso che quello di Colombati a me pare – più che una tesi – un ‘cappello’ (come si dice in gergo giornalistico), un contorno del ‘nucleo’ dell’articolo, una di quelle asserzioni non necessariamente approfondite che si lanciano a mo’ di suggestione, e dunque facilmente smentibili.

    Era molto più interessante quello sull’etica di chi collabora a un’impresa para-fascista come quello del giornale. Perché in quella materia è difficile tagliare con l’accetta e operare distinzioni. E quando è difficile operarle, è più interessante farle.

  55. carissimo Marco Rovelli sono d’accordo con te sulla prima parte ed un pò meno sulla seconda. “sull’etica di chi collabora a un’impresa para-fascista come quello del giornale”
    Il testo qui postato e pubblicato sul giornale non mi sembra che “collabori” ad un’impresa parafascista, uno, anzi, due, tre: il vero discorso non è sul supporto o nella cornice in cui si opera – l’ottanta per cento dell’edizione letteraria che conta è davvero in cattive mani, in Italia, ed in Europa in generale, per cui se uno volesse giocare al puro e duro non dovrebbe più pubblicare. La questione delle parole però è importante. Collaboratore, o collabò erano quelli che consegnavano alla Gestapo i resistenti e gli ebrei. Insomma un’altra storia…
    effeffe
    ps
    trovo comunque molto ricco di questioni lo scambio tra Helena e Georgia

  56. caro Francesco, in effetti io non facevo distinzioni manichee. Forse il termine ‘collabora’ avrei dovuto, come ho fatto adesso, metterlo tra virgolette, allora sarebbe stato più chiaro che era un riferimento consapevole al collaborazionismo storico, e anzitutto un riferimento problematico. (E comunque non sono i testi a collaborare, sono le persone). Insomma, il mio era un invito ad addentrarsi nella ‘zona grigia’ dove ci sono con-laborazioni, da cui conseguono oggettive con-responsabilità. Lo so, tutti quanti siamo più o meno corresponsabili. Il punto è: dobbiamo accontentarci di questo ‘più o meno’? Oppure il più e il meno fanno una differenza? E quali sono i criteri per stabilirlo? Quali le soglie? Dove comincia ciò che non è più accettabile? Ci sono gradi o gradienti? Come valutare il peso specifico delle varie motivazioni che si intersecano dando vita e forma ad un gesto? Chi è che giudica? Con quale criterio si stabilisce la legittimità di un giudizio? …(ad libitum)…
    Io non ho certezze, su questo. Ma di domande, ne ho molte.

  57. Ok, forse ci sono: Se nel pezzo ci fosse stato scritto qualcosa come “gli scittori ebrei-americani hanno sempre puntato più sui personaggi e non si sono mai cimentati con le grandi e complesse costruzioni romanzesche che nel contempo svillupavano altri autori americani come Barth, De Lillo, Pynchon, Gaddis etc.” il problema per te sarebbe risolto? O saresti stata già più contenta se al posto di “gentili” ci fosse stato “non ebrei”? Non credi che alla fine si tratta di iper-interpretare una scelta lessicale che anche per me, come dice Marco, ha del casuale e magari ornamentale e non costituisce il nocciolo del pezzo?
    Per me “non-ebrei” è uguale e seguendo la tua logica pure peggio che “gentili” (che, per nulla di implicazione religiosa, almeno richiama le “altre genti” e non è solo non-a, cioè negazione). E poi gratta gratta anche “altri scrittori americani” è generico, no?

  58. E pensare che nella prima versione del pezzo avevo messo “goym” al posto di “gentili”…
    E’ difficile discutere serenamente di letteratura con chi ti dà del “razzista” e del “collaboratore ad un’impresa para-fascista”. Ma ci proverò.

    Caro Rovelli, ignorare che sia esistito nella letteratura americana del XX secolo un “punto di vista ebraico-americano” mi par grave. Prima della pubblicazione di “Le avventure di Augie March”, nessuno scrittore americano di madre ebrea aveva scritto un romanzo in inglese. Addirittura, Bellow affermerà che in quegli anni “da qualche parte nel mio sangue di immigrato ebreo c’erano tracce cospicue di dubbio sul fatto che io avessi il diritto di praticare il mestiere di scrittore”. E ritornerà più volte sull’atteggiamento di superiorità riscontrato nei dipartimenti di anglistica e tra i modernisti. T.S. Eliot semplicemente lo ignorava. L’esplicita ostilità di Eliot verso gli ebrei in “After Strange Gods” e altrove, nonché il notorio disprezzo di Henry James per gli immigrati del Lower East Side e le tirate di Pound contro gli ebrei usurai nei “Cantos”, non erano che alcuni momenti, sul versante della letteratura, di una lunga storia di discriminazione.
    “Augie March” inizia con questa frase, meravigliosa e rivoluzionaria: “Io sono americano, nato a Chicago”. Pochi mesi dopo aver pubblicato il romanzo, Bellow tradurrà dallo yiddish il racconto di Singer “Gimpel l’idiota”, sdoganando l’autore de “La famiglia Moskat” presso il pubblico americano. Il racconto di Singer – in originale – viene inserito nell’antologia “A Treasury of Yiddish Stories” (che esce a cura di Eliezer Greenberg e Irving Howe per la Viking Press), e nella traduzione bellowiana sulla “Partisan Review”, ottenendo immediato e vasto consenso.
    Questi due eventi sono i pilastri dell’assimilazione ebraica nel canone lettarario americano, ma per chiunque li abbia letti sono anche una potente affermazione dell’identità ebraica all’interno della società americana. Negarlo sarebbe come negare che Richard Wright sia non solo “americano”, ma anche e soprattutto “afroamericano”.
    Quando nel 1969 Alex Portnoy confessa al suo psicanalista: “Scopando, scoprirò l’America. Conquisterò l’America”, Philip Roth sta seguendo le orme del suo illustre predecessore. Ecco la sua personale Nascita di una Nazione: “Colombo, il Capitano Smith, il Governatore Winthorp, il Generale Washington – e ora Portnoy”.
    Bellow e Roth s’incontrarono per la prima volta nel maggio 1957 alla University of Chicago. Bellow, già autore di romanzi baciati dal successo come “Augie March” e “La resa dei conti”, era l’ospite d’onore di un corso di scrittura organizzato da un giovane docente, Richard Stern. Quel giorno venne analizzato un racconto intitolato “The Conversion of the Jews”, sottoposto in forma anonima, in cui un ragazzo ebreo impartisce una lezione di teologia all’intero quartiere minacciando di buttarsi dal tetto della sinagoga dopo un diverbio con il rabbino. Bellow lesse il racconto, si entusiasmò e parlò dell’anonimo autore come di un “narratore autentico”. L’autore era appunto un ventitreenne Philip Roth. Già da questa prova giovanile, come ha notato acutamente James Atlas, “Roth metteva in scena una fase successiva del dramma dell’assimilazione ebraica. Mentre i personaggi di Bellow tenevano a dichiarare i natali americani”, i personaggi di Roth, a partire da Alex Portnoy, combattono una battaglia interna alla comunità ebraico-americana, quella fra la tradizione e la modernità. È come se Roth dicesse ai vecchi ebrei del New Jersey: state combattendo una guerra di retroguardia contro un nemico con cui ci siamo già alleati, leggetevi “Augie March”! La liberatoria furia iconoclasta dei personaggi di Roth è un invito all’ebreo d’America ad uscire di casa per accorgersi che il territorio non è più un campo minato.
    Eppure, come sanno tutti coloro che leggono e amano Roth, i suoi personaggi continuano ad essere scissi: l’identità ebraica e l’identità americana spesso non coincidono perfettamente (basti pensare all’ultimo romanzo di Roth, “Il complotto contro l’America”, dove uno stato fascista riutilizza i ghetti). Per Roth il problema dell’identità non è affatto risolto se, ad esempio, in una lettera a Mary McCarthy del 17 gennaio 1987, deve ancora puntualizzare di essere romanziere “ben più di quanto sia ebreo”.
    Lo stesso discorso vale, ad esempio, per Malamud e, più recentemente, per Safran Foer.
    Esiste, eccome, una letteratura ebraico-americana. Al centro di ogni romanzo scritto dai grandi scrittori ebrei d’America sono sempre le tre questioni: quella dell’identità, quella dell’assimilazione e quella dello scontro tra ortodossia e rinnovamento all’interno della tradizione. Dall’intreccio formato da questi tre elementi vien sempre fuori una narrazione focalizzata sui personaggi, di impianto tradizionale, che tiene in minima considerazione, ad esempio, l’elemento strutturale.
    Per rifarmi ad una distinzione che mi è cara, il romanzo ebraico-americano è quasi sempre un “novel” e quasi mai un “romance”. Il genere postmoderno viene pressoché ignorato. Il che (e te lo dice un pynchoniano) non è sempre un male, anzi…

  59. Generalizzare è un errore indipendentemente da cosa si generalizza quindi meglio dire “alcuni scrittori ebrei americani […] altri scrittori americani” certo magari aggiungerci altre informazioncine non sarebbe male ;-).
    Io personalmente non metterei neppure ebrei, ma so che gli ebrei americani ci tengono, e poi la cultura americana è comunitarista e quindi gli scrittori americani e basta quasi non esistono più … va un po’ meglio nell’arte.
    Poi è anche vero che la religione (visto che si tratta pur sempre di libri) ha una certa influenza nella maniera di narrare, ma non così tanto da farne una contrapposizione con tutto il mondo che pratica altre religioni.
    Ma sinceramente a me quello che ha dato fastidio è la contrapposizone di un gruppo con tutto il resto del mondo, per me quello è razzismo, quindi è chiaro che se non va bene gentili tanto meno va bene non-ebrei.
    Ma poi scusa helena sei sicura che si possa dire che un gruppo crea i personaggi e il resto del mondo no? a me sembra una cazzata colossale e se non ci fosse stata la parola gentile neppure sarei intervenuta.
    I gentili (come i padani) come gruppo identificabile NON ESISTONO è una creazione e neppure troppo simpatica ad essere sinceri, perchè esclude, e poi anche perchè ho visto in rete che ormai alcuni gruppi di destra si autodefiniscono gentili, non vorrei diventasse un sinonimo di ariani (brrrrrrrr).
    Quindi prego tutti gli ebrei della rete di evitare di chiamarmi gentile, per me non esistono “le altre genti”io non mi sento “altra gente” e chi me lo dice mi offende io penso come Einstein: esiste una sola razza: quella umana”, poi ci si ammazza tra di noi umani (e ci si inventano balle fenomenali di sangue e suolo per farlo) ma questo è un altro discorso.
    georgia

  60. bene complimenti leonardo, hai dato il meglio di te e ti ringrazio di questo pezzo veramente molto interessante.
    Io non ho mai negato l’esistenza di una letteratura ebreo americana ho negato l’esistenza dei gentili ;-).
    Tu scrivi: deve ancora puntualizzare di essere romanziere “ben più di quanto sia ebreo”. Ma non è una frase che potrebbe sottoscrivere ogni grande romanziere? Un grande romanziere non è prima di tutto un romanziere e poi mille altre cose?

  61. Caro Colombati, io sulla storia della letteratura americana non sono ferrato come te, ho sempre prediletto altre letterature, dunque taccio quanto al merito. Adesso ne so di più: ma ti faccio notare che quello che io dicevo era che non avevi argomentato abbastanza, adesso l’hai fatto… Mi rimangono però dei dubbi quanto al secondo punto, ovvero la legittimità di accomunare la massa dei non-ebrei in ‘gentili’. Insomma, gli ebrei-americani scrivono (quasi sempre) novels: questo però non implica nulla quanto ai gentili, che scrivono sia novels che romances, a prescindere da quello che scrivono gli ebrei. Ma ciò che non torna, a mio parere, è una formulazione linguistica, non (l’ho già detto più sopra) una questione sostanziale.

    Mi preme assai di più, invece, restare sull’altro punto. Io non ti ho dato del razzista. Ho detto, sì, che sei un ‘collaboratore di un’impresa para-fascista’. Non è un insulto. E’ una constatazione oggettiva. Il Giornale è o non è un’impresa para-fascista? Io credo di sì: si fa vettore del razzismo più becero, per non dire che è spesso voce e megafono di una gran voglia di squadrismo. Dicevo però che non per questo tu sei ‘colpevole’. Ponevo invece la questione in termini di corresponsabilità, ed è una cosa che ci coinvolge tutti (le questioni la ho già poste più sopra). Peraltro c’è una persona che conosco che lavora al Giornale, e ne sono stato amico nonostante questo: è evidente che non sarei mai stato amico di un nazista. Dunque sono in grado di fare distinzioni. Il punto è: quali criteri adottare per distinguere? …

  62. Gentile Georgia, mai e poi mai mi permetterei (io, a differenza del gentile Colombati, approvata al cento per cento dal rabbinato e, se ti va, mettici pure le leggi razziali) di chiamarti tale se non ne l’accezione di cui sopra:-)

  63. Georgia, se ancora non sei riuscita a capire la differenza tra identità ebraica e religione ebraica, bè… a questo punto non so che farci. La religione c’entra come i cavoli a merenda: Bellow, ad esempio, non era certo un ebreo devoto; così Roth. Sono atei.
    Per il resto… Hai presente gli insiemi? Quei cerchi che il professore delle medie tracciava sulla lavagna? Ecco, se io affronto un tema “dal punto di vista” dell’identità in letteratura, sulla lavagna vedrai disegnati alcuni punti (Bellow, Roth, Malamud, Mailer, West, Englander, Safran Foer) all’interno di un cerchio, denominato “SCRITTORI EBREO-AMERICANI”. Questo cerchio è inscritto in un altro, denominato “SCRITTORI AMERICANI”, che contiene altri sottoinsiemi (SCRITTORI AFROAMERICANI, SCRITTORI ITALOAMERICANI, SCRITTORI NATIVI AMERICANI, SCRITTORI WASP, ecc.), e che a sua volta è inscritto in un cerchio denominato “SCRITTORI DEL PIANETA TERRA”. Mettiamo che il puntino X inscritto nell’insieme “SCRITTORI AMERICANI” corrisponda a Walt Whitman. Se io mi sto occupando dell’insieme “SCRITTORI EBREO-AMERICANI”, il puntino X lo classifico come “non appartenente all’insieme SCRITTORI EBREO-AMERICANI”.
    Oppure posso farti un altro esempio: se io sto recensendo l’album SGT. PEPPER’s dei Beatles e dichiaro che “Eleanor Rigby” non appartiene all’album SGT. PEPPER’s (visto che è inclusa nell’album REVOLVER), non sto dando alcun giudizio di merito su “Eleanor Rigby”: nessun retropensiero di tipo razzista ha guidato la mia penna nel considerare “Eleanor Rigby” non appartenente a SGT: PEPPER’S… Ho la massima considerazione di un pezzo straordinario come “Eleanor Rigby”, è una delle mie canzoni preferite, l’ha scritta Paul McCartney, che adoro… con questo non volendo minimamente adombrare il sospetto che Paul McCartney sia più bravo di John Lennon, per carità… credo che siano i due più grandi compositori di musica popo del XX secolo, anche se dando questo giudizio non vorrei sembrare politically uncorrect nei confronti di Mick Jagger e Keith Richards, per non parlare di Elvis Costello e Buddy Holly… Uhm, visto che questi ultimi due portano gli occhiali, però, non vorrei che mi si tacciasse per un integralista degli occhiali: garantisco pari dignità anche a chi indossa le lenti a contatto, ed anche a chi ci vede benissimo e non ha bisogno di… Attenzione! Ray Charles e Stevie Wonder godono della mia massima stima, per cui non vorrei che………………..

  64. bene gentile helena ora sono più rilassata ;-).
    La discussione è stata interessante ed è finita bene, tra l’altro il “gentile” leonardo ha detto una cosa molto interessante che mi piacerebbe vedere approfondita..
    La cultura ebreo-americana ( senza bisogno di tirare in ballo la fantomatica collettivita dei gentili) sembra avere una specie di rifiuto o di anticorpo al genere postmoderno, e questo, se è vero, è di grande interesse.

  65. Bene, ora che vi siete ricomposti tutti, le palle girano a me! Georgia come ti permetti di dire: “Beh gabriella tu come la stragrande maggioranza degli italiani sei occidente-centrica, per te la cultura, la letteratura,la civiltà ecc. è solo europa + usa (solo i bianchi però)”? Che ne sai di cosa mangio, che lavoro faccio, cosa leggo o cosa studio? Il fatto che io abbia inteso cosa voleva dire Colombati non significa che io fossi d’accordo con lui… e se a volte non comprendo i tuoi ragionamenti non ti sto offendendo! Ma tu mi dai dell’imbecille con la tua frasetta da maestrina che bacchetta… ma per dirla alla Scarpa, E’ LA RETE BABY!, quindi mi rimetterò a leggere gli articoli senza più fare commenti e punto. Saluti.
    P.S.
    discussione molto interessante, in ogni caso.

  66. E ora chi si offre di scrivere la recensione ai libri pubblicati dalle Edizioni Kaos sul “Geniale”?

  67. Stasera mi va di continuare a farmi del male perciò preciso:-)
    Tutto il discorso sulle tradizioni letterarie “etniche” (è un termine abbastanza approssimativo e parecchio brutto) e/o regionali, ovvero in qualche modo particolari ha una sua leggitimità e utilità solo se è fondato su significativi elementi formali e tematici ricorrenti nei testi che la compongono e mai altrove.
    La linea che collega Bellow a Safran Foer di cui parlava Leonardo esiste e non dice nulla sul valore dei suoi esponenti né parla per la totalità degli ebrei americani che scrivono, né tantomeno per gli ebrei americani in toto.
    In Italia c’è un partito razzista chiamato Lega che si è inventato un’identità padana inesistente, mentre esiste, eccome, non solo la già citata “linea lombarda”, ma anche una tradizione padana narrativa che dimostra ancora una sua vitalità e si riferisce a scrittori della pianura padana, vale a dire in gran parte emiliani e romagnoli. Cito a memoria e in modo grossolanamente cronologico: Cesare Zavattini, Silvio d’Arzo, Antonio Delfini, Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Guido Conti, Ugo Cornia (chissà quante dimenticanze). Hanno in comune non solo i luoghi descritti, ma una vena aperta al fantastico e fantasmatico, tratti surreali e/o grotteschi (Fellini è parente), umorismo venato di malinconia.
    Poi mi viene in mente un certo modo di lavorare sul dialetto (più esatto sarebbe dire “sui dialetti”) che diventa un tratto distintivo in una buona quantità di narratori siciliani, anche se esclude, per esempio, Sciascia e Tommasi di Lampedusa, e, dall’altra parte non è dissimile all’impasto linguistico ricorrente nei libri di una scrittrice nata a Busto Arsizio come Laura Pariani.
    Insomma, mi pare importante che questa cosa NON vada confusa con nessuna costruzione identitaria volontaristica o ideologica, anche se una tale costruzione può starci a fondamento. Credo che l’auto-coscienza politica conquistata nelle lotte degli anni ’50-’60 dalle comunità afroamericane stia alla base dei tratti distintivi che molta letteratura, poesia, cinematografia ha poi elaborato, realizzando un sound comune a una pluralità di voci.
    Io tendo a criticare QUALSIASI arrocamento identitario, ma non vorrei mai negare alcuna differenza in nome di un’universalità non meglio definita (georgia, nessuna polemica, d’accordo) che di fatto implica un “neutro” di cui si assume sia maschio,bianco, di origine cristiana (ma può dichiarasi ateo, comunista e buddhista), occidentale.
    E a questo punto lo schema degli insiemi di Leonardo è di nuovo utilissimo, perché aiuta a capire come l’universalità oggi non può che essere pensata come il risultato degli scambi, incroci e anche conflitti che intercorrono fra ciascuna tradizione (etnica, regionale, nazionale ecc.) con la letteratura mondiale da un lato e l’opera individuale di uno scrittore dall’altro. Scambi non neccessariamente ordinati per gradi e grandezze, non neccessariamente ordinati in alcun senso. Ci sono scrittori in Italia che si firmano Tommaso Pincio, ci sono scrittori (Vitaliano Trevisan) il cui maestro è Thomas Bernhard, e che in qualsiasi tradizione italiana nazionale o specifica rientrano assai poco. Tanto per fare qualche esempio per mostrare dove non passano (più) le frontiere. “Più” fra parentesi visto che già lo “Jacopo Ortis” di Foscolo aveva come modello “I dolori del giovane Werther” di Goethe.
    Ma quest’idea dialettica di universalità è, secondo me, l’unica risposta adeguata ad ogni reazione fondamentalista e per realizzarla bisogna prima allargare che approfondire lo sguardo sulle espressioni e tradizioni specifiche, conoscere e capire per poter ricomporre un quadro sempre mobile.

  68. Gabrielllahhhhh!!!!
    effeffe
    ps
    Carissimo Leonardo grazie per il rigore delle risposte però un piccolo omaggio- una citazione- al grande Jerome Charyn l’avrei comunque fatto.

  69. dimenticavo, Marco, se non lo fa la letteratura chi frequenterà mai le zone d’ombra? Scriviamo allora di questo ed altro
    effeffe

  70. GABRIELLA hai ragione, avrei dovuto mettere un “forse” nella mia frase. In rete bisognerebbe sempre usare formule attenuanti, le faccine non sempre bastano e tutto arriva così violento.
    Quindi scusami e leggi la mia frase con un FORSE maiuscolo iniziale ;-).

    FRANCESCO
    Hai detto una cosa f.a.v.o.l.o.sa: “se non lo fa la letteratura chi frequenterà le zone d’ombra?”
    A me questa discussione è interessata molto. All’inizio tutti si sono gelati e nessuno osava intervenre ;-) quindi un grazie alla intelligente helena che è intellettualmente fra le più coraggiose. Colombati è arrivato solo quando proprio non poteva farne a meno: dopo l’interessante intervento di marco. Di MARCO non condivido la sua sottovalutazione dei problemi linguistici. Le parole che usi sono sempre molto importanti soprattutto per uno scrittore e …non sono mai casuali.
    Anch’io penso che il Gornale sia una un’impresa para-fascista :-) è così evidente che èdifficile negarlo.

    HELENA, sottoscrivo quasi tutto quello che hai scritto, però ci tengo a ri-sottolineare che la cosa che mi ha fatto scattare non era certo il fatto che esistano delle particolarità identitarie regionali locali personali religiose, ecc. ecc. e che di queste bisogna tener conto, anche erchè son delle rcchezzeintellettuali enormi (mi sembra del tutto scontato) ma, quello che mi ha disturbato è stato il contrapporle a qualcosa di universale che non esiste, che è virtuale e che è un termine di comodo: la parola “gentili”, ma potrebbe essere qualsiasi altra parola inventata.
    L’uso, fuori dal suo contesto, della parola gentili è conformismo marziale come l’uso della parola occidentali.
    Tu riporti gli scrittori della zona del po e dici che hanno delle somiglianze tra loro, in parte è vero anche se altre somiglianze ne avranno con altre culture, perchè uno scrittore se è autentico è sempre un piccolo aleph da cui si vede tutto il mondo. Ma chiaro che è cosa naturale studiarli anche nelle loro particolarità culturali, ma se queste dfferenze, per esaltarle, noi le contrapponiamo ad un Altro Generico che non esiste si fa del manierismo razzista e allora a me personalmente non piace.
    Tutto qui.
    Quando gli europei per sfruttare il resto del mondo si sono inventati l’Oriente (indeterminato) hanno fatto un atto di razzismo sia quando l’hanno amato che quando lo hanno odiato, chi ha letto Orientalismo di Edward Said sa di cosa parlo.
    Il razzismo ha bisogno di un nemico (a volte di un finto amico) indistinto e generico per esistere, se il nemico (ma anche l’amico finto) lo vedi individuo per individuo ti accorgi che quello che pensavi esistesse e fosse il Male o il Bene, in realtà proprio non esiste.
    Leggendo i diari di Etty Hillesum mi è sempre rimasta impressa una sua frase che diceva grosso modo così: fino a che esisterà un solo tedesco che sia contrario al nazismo non possiamo dire “i tedeschi”.
    Anch’io penso così e lo penso sempre.
    Quindi immagina che fastidio mi ha dato quella parola “i gentili”.
    Però non credo non si sia capito bene che io non negavo la particolarita di una cultura ma la generalita e per di più astratta e inesistente del termine di paragone a cui la si contrapponeva. E’ sempre una forma di esclusione, e l’esclusione è sempre negativa sia se viene dall’esterno che dall’interno.
    Mi da sempre fastidio la generalizzazione ma soprattutto mi resta intollerabile in un periodo come quello di oggi, in cui il mondo è stato diviso con il coltello in schieramenti del tutto inventati per motivi marziali, in cui io non riesco a riconoscermi. E mai come oggi mi sono sentita sola ed esclusa: senza patria (ne città ne regione ne nazione ne continente ne altro) senza religione, senza politica.
    Questo helena non vuol dire che io sia per un universalismo astratto, anzi … però odio tutte le identita che non nascono per arrichirsi e arricchire (come il lievito nel pane) ma solo per escludere.
    IO (noi)_LORO a me fa ribrezzo. IO (noi)-TU (voi)… e conseguente conflitto e contraddittorio se ne può discutere:-),
    IONOI è quello che preferisco e non esclude tanti piccoli io e tu uno diverso dall’altro ;-) e infatti lo si può leggere in ambedue le direzioni.

  71. Resta sempre da scrivere la recensione ai saggi delle Edizioni Kaos da pubblicare sul “Geniale”…. NON DIMENTICATELO!

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