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Arroganza

(Pubblico volentieri questo pezzo, scritto appositamente per Nazione Indiana. Mi sembra molto interessante e pieno di spunti. Vincent Raynaud è editor per la narrativa italiana di Gallimard e traduttore. Da qualche mese vive in Italia. AB)

di Vincent Raynaud

Non è sempre facile per un francese vivere in Italia. In parte perché i francesi sono arroganti, si credono più bravi di tutti, e hanno un enorme complesso di superiorità rispetto agli italiani. Sembra un cliché ma purtroppo non lo è, per quanto possa essere assurdo, visto il livello delle proposte artistiche nella Francia d’oggi. Figuriamoci in campo letterario. Ma vediamo piuttosto un paio di esempi recenti che riaccendono l’eterno conflitto fra cugini francesi e italiani.

Il primo è una storia conosciuta: un libro e/o un autore italiano di scarso successo critico e pubblico in Italia che la Francia decide di adottare e di adorare. In questi giorni i supplementi letterari della stampa parigina non parlano che di una certa Goliarda Pazienza e del suo libro “L’art de la joie”, edito da Vivianne Hamy. Certo, anch’io all’inizio pensavo fosse una barzelleta o una cosa fabbricata. E se il successo incredibile che conosce il libro lo è sicuramente, fabbricato, è invece una vera autrice (morta da un bel po’, siciliana, ex commediante di teatro) e un vero libro pubblicato in Italia nell’indifferenza più totale da Stampa Alternativa. La domanda ovvia quindi è: perché indifferenza da una parte e isteria dall’altra? Risposta: il libro non è molto bello, è lungo, noioso, barocco e esagerato, ma ai francesi piace più di tutto dimostrare agli altri che LORO sanno cos’è la vera letteratura, che LORO sono capaci di individuarla e di farne un successo, mentre la letteratura italiana più contemporanea resta, tranne alcune eccezioni, ignorata da critici e lettori. E anche se non fosse così, se tale successo non fosse il prodotto di questa “arroganza”, è visto così dagli italiani (me l’hanno detto in tanti alla Fiera del Libro di Francoforte) e questo complica ultoriormente il computo di chi, come il sottoscritto, vorrebbe portare in Francia giovani scrittori, scritture attuali, sguardi nuovi sul’Italia attuale e il mondo in cui viviamo tutti. Macchè: meglio ripescare un’autrice di cui non frega niente a nessuno e farne un caso.

Il secondo esempio è anch’esso un storia conosciuta: un “intellettuale” francese se la prende con la cultura, la letteratura, la politica o il modo di allevare i maiali così come si fa oggi in Italia. In questo caso, si tratta di Dominique Fernandez, in un articolo parso il 15 ottobre sul Figaro Littéraire e dall’incredibile titolo “L´Italie des lettres jusqu´à la lie” (vedi il pezzo di Giacomo Sartori su questo sito). Siccome sarebbe troppo facile prendere in giro l’autore o il giornale (abbiamo pietà), parliamo della sostanza: Fernandez esalta l’Italia dei Moravia, Calvino, Pasolini & Co. per dar addosso alla narrativa italiana attuale. Bene: ma che senso ha? Non si potrebbe per caso fare la stessa cosa con tutto e tutti, adesso con i pensatori francesi (dove sono i Barthes, Foucault o Deleuze di oggi?)? Perché non fare i paragoni giusti (sempre che si debbano fare paragoni, certo), ad esempio fra narrativa francese, italiana, spagnola, o che so? Già; così è senz’altro più facile, con un bel sacchetto di carta in testa non si è costretti a guardare gli altri. Perché è proprio questo il nostro grande diffetto, a noi francesi, più dell’arroganza che ne deriva: non guardiamo gli altri e non vogliamo saperne nulla. Poi vorrei proprio sapere chi sono gli autori italiani attuali che Fernandez ha letto… Pochi? Nessuno? Quelli più strampalati? Quelli che alimentano la sua opinione? Mah.

Comunque non importa. Chi se ne intende un pochino sa che succedono veramente cose interessanti, oggi in Italia. E’ proprio il contrario di ciò che dice questo signore: l’Italia berlusconiana avrà sicuramente generato un’altra Italia, che ha delle cose da dire, da scrivere, da filmare. Un po’ com’è successo prima in Argentina. Basta un piccolo sforzo di ricerca, un po’ di entusiasmo, di curiosità e di apertura.

Intanto, a Saint-Germain des Près, niente di nuovo. Solo noia.

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18 Commenti

  1. Di fronte al complesso di superiorità francese vorrei mettere in evidenza, a contraltare, il complesso di inferiorità tipico di tutta la cultura italica.
    Gli altri fanno SEMPRE meglio di noi. Forse non sempre, dai…

    Comunque non te la prendere Vincent. Fra cugini si litiga continuamente, ma in fondo, ci si vuole bene.

    (quanto ci metterà Vincent -dipende dalla città dove si è trasferito- a scappare dall’Italia?) ;-)

  2. Caro Vincent, le poche volte che sono a Parigi frugo in libreria per farmi un’idea. Al di là di Calvino, Pasolini e Eco altro non scorgo (vabbè, vado per bancarelle e piccoli librai, questo è tutto ) e trovo assurdo che si possa ignorare il decennio dei 90 e primi 2000 che hanno rappresentato (anche grazie a Eco) un break decisivo per la nostra narrativa. Però mi colpì il caso Ferrandino. Il suo Pericle il Nero, ignorato in Italia, fu tradotto in Francia per la maggiore rivista di noir e perciò riproposto da noi, per Adelphi, con gran successo di critica e pubblico. Certo, invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia, chè di implicita bacchettata sempre si trattò. Però potresti spiegarmi, se vuoi, come andarono le cose ?
    Saluti

  3. Sehr geehrter Biondillo,
    anch’io vivo parte del mio tempo Bolzano: ci sono nato. Ci vieni per un’occasione pubblica, il 17? Fammi sapere di più!
    (Com’è che ultimamente ci arrivano tutti, in questo posto a malapena significante? Prima Lello Voce e il maestro Forlani, poi l’altro ieri Sartori, e adesso Biondillo… Che il” qualcosa” che sta nascendo in Italia secondo Raynaud stia toccando – di grazia! – anche questo locus tutt’altro che amenus? Incrocio le dita…)
    In ogni caso, signor Raynaud, a parte la bontà e la misura del Suo pezzo, di cui La ringrazio, giacché anche il mio italianissimo complesso d’inferiorità ne ho tratto giovamento, se un giorno dovessi incontrare anche Lei, sarei mooolto curioso di chiederle che diavolo l’abbia spinta a trasferirsi proprio qui (mentre gli indigeni come il sottoscritto, nonostante la trentina passata, continuano a scalpitare per andarsene, magari proprio in posti come Parigi?).

  4. Grazie, Francesco, per il benvenuto.

    Perché Bolzano? Semplice: cherchez la femme!

    Per risponderti, Carlo, credo che per il giallo il discorso sia diverso: c’è più tradizione, più gusto in Francia, e c’è un vero interesse per il giallo italiano, da Camilleri a… Biondillo (in corso di traduzione, vero?)! Poi i lettori non sono gli stessi, la stampa ne parla meglio (perché c’è una dimensione più politica) e quindi li’ si’ che c’è curiosità. Fra l’altro anche i giallisti francesi sono accolti bene in Italia, vedi Fred Vargas, Manchette, Pennac o anche Simenon. Mentre la narrativa “seria” è invisibile…

  5. Tra i giallisti francesi vorrei segnalarvi Thierry Crifo che abbiamo appena pubblicato su Sud. Il testo è on line ed è veramente notevole. Un libro invece di cui se ne parla poco e che è uscito con la Edizione Dante & Descartes. di Napoli è quello di Regis Jauffret, Giochi di Spiaggia,
    effeffe

  6. Biondillo, grazie della segnalazione. Mi è stata più utile di quanto tu possa immaginare. Non mancherò.
    Tutto chiaro, messieur Raynaud. Forse lo avrei capito subito, se il desiderio di altrove che mi tormenta dall’adolescenza non mi portasse ancora oggi a sottostimare, tra le altre cose, le qualità delle mie concittadine.
    Del resto, in altre circostanze anch’io, come il Guido Corsalini de “La strada per Roma” del grande Paolo Volponi, potrei finire per ingelosirmi:
    “Egli non poteva accettare che Urbino fosse secondaria, minore, come se egli stesso dovesse dividere tale sorte, essere già all’inizio definito soltanto come qualcosa di non determinante. Poteva fare la sua polemica con Urbino e pensare di abbandonarla e dire che era giusto farlo, ma sempre come nei confronti di una cosa essenziale, un genitore, un’epoca culminante.”
    To’: quanti scrittori italiani, ancora oggi, non sottoscriverebbero questo brano come metafora del proprio senso di fuga e appartenenza al tempo stesso rispetto alla propria “heimat” linguistica e letteraria?

  7. Però Stefano, con le città di frontiera il discorso si fa più complicato. Innanzitutto perchè le frontiere non sono mai fissate per sempre e poi si ha sempre in quelle città la sensazione di essere in movimento pur restando fermi, come sospesi. Abitare l’indefinito. Come si fa? E quale lingua si dovrà parlare? Lingua matria e luogo patrio. Heimat? Per il resto le cose dette da te mi sembrano importanti da approfondire.
    effeffe
    ps
    Mi facevano notare a Bolzano che i sottobicchieri portavano una frase del tipo: Bevi la birra di qui/ della tua patria. Il tutto in tedesco. Me la puoi dire come fa esattamente? Le donne di Bolzano sono bellissime.

  8. Mi cogli impreparato – e di corsa, purtroppo. Ma più avanti magari provo a tornare sulla questione della città di frontiera, un tema, come sai, ad altissimo rischio “luoghi comuni”… Per allora, conto di aver anche reperito il ridicolo slogan. Amities, StZ

  9. Vincent, cosa vuoi dire, che la mia narrativa non è seria? :-(

    (ecco, lo sapevo, ora piango…)

  10. Volevo dire seria nel senso di “che si prende molto sul serio”, Gianni.

    (Qualcosa mi dice che fai finta di essere offeso!)

  11. Mi accodo alle riflessioni di Reynaud, Biondillo et alii di un mese fa, perché cercando sulla rete l’eco del famigerato articolo di Fernandez capito solo ora sul vostro dibattitio. E se un merito va riconosciuto al povero Fernandez, è di permettere di rivendicare l’esistenza di una letteratura italiana vivace e fuori dalle righe/ dal canone/ dal genere. Non so d’altronde se egli legge la letteratura contemporanea tout court, italiana o francese. Anch’io sono una francese in Italia, con ventate di vergogna per l’arroganza francese e qualche folata di rabbia per l’indolenza italiana, ma passons. Vorrei solo aggiungere che nel campo della saggistica tra Francia e Italia gli incroci editoriali, le traduzioni, insomma l’attenzione reciproca mi sembrano molto intense, più del quadro pessimistico che mi è stato fatto al mio arrivo, pochi mesi fa. Che ne dicono gli adetti ai lavori?

  12. Caro Vincent Raynaud, ho apprezzato moltissimo il tuo “je m’accuse”. Sei uno dei pochissimi francesi a fare autocritica e questo ti dà subito una patente d’italianità meritata. Bravo. Tempo fa avevo letto anch’io l’articolo di Fernandez e mi era venuta una gran voglia di reagire. Vedo che mi hai preceduto e lo hai fatto alla perfezione. Ma il vero problema è che forse la vostra presunta arroganza è direttamente proporzionale al nostro vittimismo e (apparente) complesso d’inferiorità. Quanti dei miei compatrioti fuggono dal nostro paese credendo che Parigi sia il centro del mondo, mentre poi magari si muovono più cose a Salerno, ad Ascoli Piceno o a Bolzano… Comunque non sono fra questi. Non ho mai creduto nella superiorità della cultura francese (nemmeno nella sua inferiorità, beninteso) e se oggi vivo in Francia è semplicemente per il tuo stesso motivo: cherchez la femme!
    Un solo appunto, se posso. In realtà, mi piacerebbe molto di più se i tuoi pensieri potessero essere pubblicati da qualche parte in francese. In fondo, in Italia queste cose si sanno già, ma è in Francia che forse andrebbero dette più forte. Non credi?

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