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Addenda a “Grazie, Di Canio”

di Raul Montanari

[pubblico questo testo di Montanari prendendolo dai commenti di Vibrisse, in cui Giulio Mozzi ha pubblicato un post su Grazie, Di Canio. P.S.]

Buongiorno a tutti.

Sono molto grato a Giulio di avere aperto questo dibattito. Capisco cosa lo ha infastidito nel pezzo di cui state parlando; volendo stare al gioco, l’accusa di lombrosismo mi convince più di quella di razzismo, ma forse è solo perché la parola è più buffa e fa risuonare eco meno allarmanti.
Provo in pochi punti a spiegarmi, cercando di non farla troppo lunga tranne dove è necessario.

1. Quello che volevo dire nel pezzo, che Giulio non riporta interamente, è spiegato nel chiarimento successivo riportato da Andrea Barbieri. Basta leggere, e lì c’è tutto. Tra parentesi, Angela, mia vecchia amica degli anni gloriosi del teatro Out Off di Milano, c’è anche scritto che non trovo affatto brutto l’oggetto del tuo desio; e questo l’ho scritto PRIMA che tu intervenissi di nuovo su NI sul tema alquanto controverso dell’avvenenza di Di Canio.

2. Anche ammesso che le mie spiegazioni date lì siano convincenti, rimane comunque il problema se il testo “Grazie, Di Canio”, considerato in sé senza le istruzioni per l’uso che può darne l’autore, sia fondato almeno in parte (la conclusione, in particolare) su un atteggiamento razzista.

2.1 Non capisco bene perché la mia salvezza, nell’ottica di Giulio, stia unicamente nella possibilità che il pezzo fosse ironico. Ci sono altre dimensioni espressive che suggeriscono letture differenti del pezzo; non è che l’ironia le riassuma tutte, specie se la inchiodi al letto di Proc(r)uste della sua vecchia definizione nella retorica classica: dico bianco ma intendo nero.

2.2 Il pezzo in effetti è ironico solo nella conclusione.
Cioè, nella conclusione dico bianco (il bel comunistone toscano spaccamontagne Lucarelli vs il microcefalo ecc.) e intendo nero, ossia intendo che il fatto di essere fisicamente più amabile e di appartenere a un’ideologia che in Italia ha fatto o ha potuto fare meno danni del nazifascismo non significa nulla; mi fingo trascinato dalla mia stessa foga e concludo così, con un’affermazione chiaramente insostenibile, illogica, non scientifica, antiumanistica, quello che volete, ritenendo di potermelo permettere sulla base di una complicità stabilita con il lettore.
Se non si è capito, se molti non l’hanno capito (qualcuno sì, però) colpa mia. Vedi però anche sotto, punto 3.1 e seguente.

2.3 Il resto del pezzo contiene elementi che rientrano nella forma espressiva dell’INVETTIVA: iperbole, amplificazione, violenza verbale, umorismo. Anche l’invettiva, come l’ironia, è una modalità di comunicazione che suggerisce un approccio non letterale, bensì che si dia per scontato che l’autore, nel suo mostrarsi/essere fuori di sé, sta esagerando nella forma. Per questo dico a Giulio che ridurre all’ironia le possibilità che un testo ha di pretendere di non essere preso alla lettera è riduttivo.

2.4 Inoltre nel pezzo c’è una parte centrale che per me era il punto vero, con l’osservazione sul fenomeno diffusissimo della normalizzazione di rapporto con i postfascisti (quella che chiamo “adozione”).
Questo è un fenomeno che, a seconda dei punti di vista, si può considerare segno di civiltà (riduzione del nemico a semplice avversario) oppure di perdita della memoria storica o cedimento ideologico (“RM, ma che cazzo dici? Parla per te, io non ho mai adottato un fascista!”). Interessante notare che i commenti si sono divisi in due lungo questo spartiacque. Unica cosa in comune: tutti mi davano del coglione, con vari sinonimi e sfumature di tono.

2.5 Questo stranamente non ha infastidito Giulio; non ha infastidito quasi nessuno, come se fosse normale venire insultati personalmente per avere scritto un pezzo come quello.
A me invece ha dato molto fastidio, e se interessa a qualcuno ho deciso di non tornare mai più su NI. Non solo dentro: su.
La sensazione che in quel tipo di blog ci sia fra i commentatori una discreta massa di imbecilli e sfaccendati che aspettano solo l’occasione per tirare un po’ di torte in faccia al pagliaccio di turno è fortissima, per non parlare della nostalgia di quando i dibattiti e anche le incazzature erano con gente come Scarpa, Moresco e Benedetti.

2.6 In particolare mi ha stufato l’effetto-parabrezza, per cui dietro il semianonimato dei nick e l’assenza di fisicità dei rapporti (anche solo di un aggancio di sguardi) molti lasciano venir fuori la stessa aggressività che, quando si è in auto ben protetti dietro carrozzeria e vetri, trasforma in pitbull dei barboncini da salotto e li induce a lanciare insulti che non si azzarderebbero nemmeno a PENSARE se fossero indifesi sul marciapiede invece che barricati dentro la loro sposa meccanica sulla strada.
(Questo, fra parentesi, spiega perché Giulio e altri non si soffermano sugli insulti a me ma disquisiscono su razzismo e lombrosismo. Scarpa diceva: E’ la rete, baby. Be’, se la rete è così a me non piace; ma so che non è così DAPPERTUTTO. Per esempio, qui si respira un’aria avvertibilmente diversa.)

3. Altra cosa che non ha infastidito Giulio e altri, e questo lo trovo più grave, è stato che Raimo abbia preso un pezzo che tutto era tranne il possibile oggetto di un corso di scrittura creativa, in particolare di un corso di narrativa, e l’abbia usato come esempio di come non si fa letteratura.
Questa è stata anzitutto una scortesia enorme nei miei confronti, nei confronti di un collega legato fra l’altro da una certa prossimità proprio per via di Nazione Indiana: se anche io avessi scritto una cazzata, cosa possibilissima, prendere proprio quella cosa lì per dimostrare cosa non è letteratura è solo voglia di far male personalmente a me.
In secondo luogo, come già detto e osservato, per fortuna, da più di una persona, la scelta è del tutto cervellotica e non pertinente visto che di esempi narrativi di tentativi falliti e disonesti di fare letteratura ce n’è a iosa, per cui non si capisce la necessità di forzare un elemento estraneo dentro un schema argomentativo che richiederebbe altro.

3.1 Qui si inserisce un mio errore di comunicazione, errore che vi segnalo perché è molto istruttivo, al di là del caso mio. L’errore e le conseguenti istruzioni per evitarlo si potrebbero sintetizzare così: non cercare di fare operazioni retoriche troppo complesse, perché in certe situazioni la gente non ti ascolta e rizza subito il patibolo.
Visto che Raimo sviluppava tutto un fervorino su come ci si debba informare a fondo sugli elementi circostanziali e sviluppare empatia verso i personaggi nel fare LETTERATURA, ho risposto facendo presente che di LETTERATURA un po’ ne ho fatta anch’io e mi sono concesso un breve paragrafo per rinfrescare la memoria a chi l’avesse dimenticato, concludendo col dire che accettavo di essere giudicato letterariamente per gli otto romanzi scritti ecc., non per un pezzo non letterario.
Grossa sciocchezza, perché i frustrati che costituiscono la massa critica dei commenti idioti che avete potuto leggere, davanti a un’affermazione del genere perdono completamente il contatto con quello che stai dicendo e cominciano a procedere per blocchi di significato molto grossolani, fra cui emerge naturalmente l’idea che uno si stia vantando di quello che è o fa, e così via.
Non importa che quella fosse una risposta precisa che confutava la scelta di Raimo di tirare in ballo in un contesto inappropriato le premesse al testo letterario, la preparazione cognitiva e immedesimativa dello scrittore; non importa, io ho fatto la figura del vanaglorioso e mi sta bene perché sono stato uno sciocco, ho dimenticato quello che so da sempre su certe reazioni automatiche.
Ho sbagliato, e basta.

3.2 Un discorso simile si può fare sulla mia prima risposta a Raimo, quella in cui ironicamente (qui sì), visto che lui aveva usato un mio testo NON NARRATIVO e lo aveva criticato da un punto di vista artistico, ho preso il suo testo, ugualmente non narrativo, e ho finto di volerlo analizzare con strumenti narratologici.
Qui l’ironia mi sembrava evidentissima, dato che mi sono messo a parlare di dialoghi, di descrizioni paesaggistiche, addirittura gli ho detto che il suo pezzo nel finale lasciava in sospeso l’eredità della contessa e il mistero del cane strangolato, cioè roba che c’entrava come i cavoli a merenda e che serviva solo a forzare fino all’assurdo l’operazione retorica compiuta.
Niente da fare!
La maggior parte dei degnissimi commentatori NON HA CAPITO una comunicazione ironica ovvia come quella. Quindi ho di nuovo sbagliato, sopravvalutando coloro che avrebbero letto e in particolare la situazione in cui avrebbero letto.
Sono sicuro che, se la cosa che ho scritto fosse stata dentro le pagine di un libro o di un giornale, la possibilità di una ricezione corretta sarebbe aumentata moltissimo; invece in quella situazione gladiatoria la voglia di leggere davvero, di fare un minimo sforzo per capire, tracolla davanti alla vogliaccia di tirare il petardo o mollare il peto.

Ho finito e vi ringrazio molto per l’attenzione, Giulio per primo.
E’ inutile criticare le rete e i suoi equivoci, perché senza la rete non staremmo nemmeno qui a parlare tutti insieme; è anche vero, però, che moltissimo di ciò che di meschino, di vigliacco, di stupido, semplicemente di negativo emerge da forum, blog e affini sta in una dimensione comunicativa che sarebbe tagliata fuori all’istante se le persone si guardassero in faccia e si parlassero viso a viso. Dentro questa contraddizione dobbiamo stare, cercando di prendere il buono e trascurare l’inutile e il cattivo. Io non mi sono rotto le ossa, come ha osservato caritatevolmente una persona intervenuta qui, ma i coglioni; per questo attualmente ho una certa difficoltà a prendere il buono. Mi prenderò una vacanza, che è già qualcosa.
Un saluto speciale ad Andrea Barbieri, al grande Lello, a Michele Monina e al mio amico Franz. Non so chi sia Marica ma ovviamente la adoro.

Ciao e scusate il mattone. Come diceva quell’uomo là, se vi si è annoiati credete che non s’è fatto apposta.

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13 Commenti

  1. Vorrei inserire anche qui, perché mi sembra che abbia più senso, un commento in risposta a Livio Borriello, che ho postato in coda al lungo dibattito sviluppatosi sotto il pezzo di Christian Raimo

    @ livio borriello:
    a me sembra invece che il mio primo intervento peccasse un po’ di qualunquismo. Nel corso del dibattito la mia opinione è mutata. Nel secondo intervento che ho fatto non intendevo dire che il discorso di Raimo non aveva senso, ma che mancava il bersaglio, anzi, lo cambiava. Cambiare il bersaglio del proprio discorso, inventare o fraintendere i presupposti da cui partono le proprie riflessioni, mi pare un’abitudine che consapevolmente o inconsapevolmente, cioè con un fine strategico o soltanto per errore, appartiene non solo a dibattiti molto “easy” come questo, ma in generale al giornalismo, alla politica, alla televisione degli ultimi anni. Quel che dico è che in fin dei conti Raul Montanari diceva cose importanti e intelligenti, col tono leggero che hanno i grandi narratori, e con lo stesso grande acume grazie al quale le cose si possono chiamare con il loro nome senza che la profondità dell’analisi e del giudizio ne sia intaccata. E dico che la discussione che ne è scaturita, a partire dal pezzo di Christian Raimo, non solo non è stata all’altezza di quella scrittura snella e tagliente, ma non è stata all’altezza del problema. Non è stata al centro del problema. Per questo credo che tutta l’ironia (non capìta) della prima risposta di Raul Montanari a Christian Raimo non solo sia stata leggittima, sebbene poco simpatica, ma anche sacrosanta, perché ha messo alla luce il vezzo di un letterato da quattro soldi che rivelava il suo scarso valore non attraverso la qualità delle cose dette, sempre necessariamente alta, anche troppo alta, ma attraverso un impeccabile senso dell’inopportunità.
    Se quindi ho preso in giro i primi accenni della polemica con il mio primo intervento, nel secondo, in seguito alla piega che la polemica ha poi sciaguratamente preso, ho ritenuto che non solo Montanari avesse ragione, ma che quasi tutti gli interventi successivi avessero dimostrato una sola cosa, cioè di non tenere affatto a una discussione costruita sul cuore di un problema, o sul cuore di un testo (quello di Montanari) e di tenere invece molto di più a una banalizzazione del dibattito, in modo da poter liberare gli ego da commentatori in maniera meno costretta.
    Molto deludente e cieco, se posso essere sincero, anche l’intervento di Giulio Mozzi su Vibrisse.
    A presto.

  2. La mia impressione è che nel primo pezzo di Montanari, quello che ha dato origine a tutta la cagnara, fosse annidata una singolare “disarmonia” – un qualcosa di malriuscito (aldilà delle intenzioni evidentemente non malvagie) che poi si è propagato, spesso ampliandosi, anche agli interventi che miravano in qualche modo a “sanarla” o correggerla, fornendo alla fine un quadro complessivo esageratamente desolante. Quanto all’aria che qui si respira, Raoul dovrebbe considerare che la gran parte dei commentatori se li è portati dietro lui, con il suo nome, perché non facevano evidentemente parte delle animule stanziali su N.I. Comunque, su certi meta-livelli, si è trattato di qualcosa di molto intrigante.

  3. Che noia…

    tanti paroloni per dare degli imbecilli a tutti quelli che ti hanno criticato, che fatica sprecata.

    Io, o Montanari, dalle tue intelligentissime e coltissime risposte non mi sento per niente chiamato in causa, non so proprio di che parlano, anzi ritengo di non aver ricevuto soddisfazione da te a nessuna delle critiche che ti rivolgevo nell’altro post.
    Mi sa che sei uno svicolatore professionista, ti nascondi dietro a circonvoluzioni e distinguo evitando ciò che ti può rendere più vulnerabile, da vero esperto.

    Ma che noia.

    Poi, è vero, la situazione nei commenti dei blog è talvolta gladiatoria. Che ci vuoi fare. Ma non sempre, però. Magari, se quando ci sei tu succede sempre, è perché ci sei tu? Pensaci: sei tu che arrivi come un gladiatore, scendi con l’aria del gladiatore a dire, basta ragazzi, bisogna essere duri e puri e dunque che t’aspetti? Alla gente ci girano e mica tutti si mettono sull’attenti.

    Ma non ti basta, vuoi soddisfazione, te la prendi coi “nick” che fanno da parabrezza.
    Gesù, non hai capito proprio niente. Sei tu, con il tuo bel nome e cognome famosetto che c’hai il parabrezza più grande e lo sai benissimo. Gli altri sono tutti “sfaccendati” pesci piccoli poco esperti e facili da mangiare.
    Per questo che ti piace internet, a te. Altrimenti il nick lo useresti pure tu e ti divertiresti pure.

    Io avevo provato, a dire che a fare i gladiatori non si combinava nulla e che il tuo schematismo serviva solo a banalizzare tutto. Ma tu hai preferito rispondere a chi ti rendeva già facile la risposta, e fare la tua partita nel’arena. Anche a d altri non mi pare tu abbia dato risposte utili. Ora ti lamenti che tutti ti sono andati contro e fai la vittima, ma non è neanche vero, era pieno di interventi che ti elogiavano, povero te.

    In ogni modo, solo due parole:

    che

    noia

  4. come dicevo ieri sera al povero raimo, anzi a un tal pasquino che ne predneva le difese, quella roba di montanari – giusta la sua precisazione aggiunta – si chiamava invettiva
    appunto

  5. @matteo
    che dirti, a me il tuo primo intervento è parso assai spassoso, il resto non lo condivido. e non mi piace soprattutto questa distinzione fra grandi narratori e scrittori da 4 soldi, mi interessa l'”effetto”, il valore d’uso della scrittura, mai il neo-tecnicismo, estetismo e formalismo che ormai domina la letteratura, e che è comunque sotteso all’ ironico secondo intervento di montanari.
    io stimo montanari, ma le sue repliche, anche quest’ultima, mi sembrano viziate da una permalosità che non è eticamente legittima (anche se il problema degli insulti sui blog è da affrontare…). per me erano legittimi sia il gesto di di canio che la reazione di montanari, ma come gesti “patici”, che comunicavano una loro postura emotiva nel mondo. di conseguenza, ritenevo legittima anche la critica di raimo, che ha una sua idea della letteratura, e che l’ha esemplificata col pezzo di montanari. una sua eventuale scorrettezza sarebbe da rintracciare semmai nelle modalità con cui ha svolto la critica su NI – ma qui non la rilevo – o nelle lezioni a parma.

  6. eh, rivolo, ma pasquino (anzi: pasquinA) ce l’ha su con montanari per tutta una serie di ragioni che nemmeno t’immagini! roba privata che diventa livore pubblico, astio personale che si muta in bile da blog, la solita tristissima roba insomma…

  7. […] A che cosa serve, si è domandato più d’uno, una discussione come quella, abbondantissima, che è nata in Nazione indiana attorno all’articolo di Raul Montanari (pubblicato da Piero Sorrentino) Grazie, Di Canio, è proseguita in calce all’articolo di Christian Raimo Okkio al Canio, si è parzialmente spostata in vibrisse dopo il mio articolo Della più bell’acqua, e ora ha ripreso a macinare di nuovo in Nazione indiana con la ripresa, sempre da parte di Sorrentino, di un intervento di Montanari (Addenda a “Grazie, Di Canio”) già apparso nella discussione in vibrisse? A che cosa serve? [E vedo ora che si aggiunge un altro articolo di Christian Raimo: Natale con i tuoi]. Dico subito: nei vari filoni della discussione ci sono stati interventi futili, provocatori, scemi, osceni, dileggianti, ridicoli: in una parola, interventi inutili. Ce ne sono stati come ce ne sono in ogni discussione – nel web si vedono di più, perché restano lì scritti. Questi interventi programmaticamente, intenzionalmente ed effettivamente inutili non mi interessano (per ora): sono il ronzio, il rumore di fondo. La parte non intenzionalmente inutile della discussione, allora, è riuscita a essere effettivamente utile? Che anche in questa parte della discussione ci siano state alzate di tono, scambi di cordialità non esattamente carinissime, eccetera, vabbè: anche questo succede in tutte le discussioni. Si discute, si litiga, si equivoca, ci si spiega, eccetera. Non può essere che così; e tutto questo non inficia complessivamente l’utilità della faccenda – se un’utilità c’è. A me sembra che la discussione sia stata utile. Per due ragioni: per due risultati positivi raggiunti. 1] Il primo risultato positivo raggiunto è una domanda. L’ha formulata, nella discussione in vibrisse, Andrea Barbieri. La domanda è: Il mio schifo mi fa assomigliare a loro? Che io sia un fan delle domande, è cosa nota: ma questa mi sembra proprio ben formulata, e utile. Mi viene voglia di parafrasarla, di ampliarla, di dettagliarla: ma ne diminuirei la forza. E così mi butto nella risposta: Sì, il mio schifo mi fa assomigliare a loro. […]

  8. @livio
    io ripeto ancora una volta che l’intervento di Raimo è stato sciocco, non perché non fosse un bell’intervento, ma perché poteva benissimo esistere indipendentemente dal pezzo di Montanari. A Raimo non interessava approfondire o rispondere seriamente alle vere tematiche (pure evidenti) sollevate da Montanari, ma piuttosto esprimere idee sue sulla scrittura e sulla letteratura, legittime e assai sensate, ma in questo contesto gratuite. Non penso che Raimo sia uno scrittore da 4 soldi, ma credo che in questo caso si sia comportato con la stessa inopportunità che caratterizza i letterati più vogliosi di dire la propria (opinione ed esperienza) che di dare un vero apporto pertinente al problema. Problema che, ripeto, era assai interessante nel testo di Raul e che dal post di Christian in poi (non dalla reazione di Montanari) è stato banalizzato, ovvero messo in secondo piano, puntando l’attenzione sulla qualità delle cose dette, secondo una logica talmente in voga da essere ormai assorbita da chiunque, ovvero quella di insinuare un dubbio sulle capacità tecniche del querelante in questione, si tratti di un comico, un giornalista, uno scrittore, che abbia alzato i toni in maniera troppo diretta e identificato con precisione verità irritanti. Non voglio nemmeno esagerare, il pezzo di Montanari non era storia della letteratura, anzi non era proprio letteratura, per questo non vedo come non salti all’occhio di ognuno che il pezzo di Raimo è stato gratuito, fuori luogo ed espressione di un puro sé. Ma ripeto, non stava in questo l’interesse delle possibilità del discorso che si sarebbe dovuto innescare. Ti capisco quanto parli di “gesti che comunicano una postura emotiva del mondo”, utilizzando per altro una bellissima espressione. Ma allora, non è gesto ancora più “patico” quello di Raul che s’incazza come una iena? Non è in linea sia con il “patos” del suo primo pezzo, sia in generale con una veemenza nell’esposizione delle proprie idee che a mio viso pochi hanno il coraggio di buttare fuori per via della letargia espressiva tipica di questi anni? La questione è comunque più piccola di quel che sto rischiando di farla. Voglio solo dire che Raul si incazza perché la gente svicola e svicola perdendo il senso delle cose che contano. Io, a ragion veduta, credo che abbia ragione, che Raimo abbia parlato di sé e della letteratura buona a sproposito e che molti dei commentatori abbiano finito per parlare di aria fritta. Il punto era: Ci rendiamo conto che anche se molti post fascisti ormai sono e li consideriamo avversari politici di tutto rispetto e persone per bene, il fascismo resta una cosa orrenda e repellente, come si può vedere dalla maschera di “cattiveria” indossata da Di Canio in quella foto?”. Punto. Perché non si poteva parlare di questo? C’entrava la letteratura? C’entravano gli psicologismi facili e i processi alle parole? C’entrava stabilire chi è più razzista di chi, chi è più fascista, chi comunista e se comunismo e fascismo in italia siano ugualmente criminosi?
    Di che ci si è messi a parlare dunque? Ce ne rendiamo conto o no?

    (pardon per la solita prolissità)

  9. @matteo
    ma sì, io non condanno il raimo indignato, ho già scritto che sono contro il politacally correct. forse la questione su cui si poteva dibattere più essenzialmente è proprio questa, se il fascismo sia repellente, o come dicono barbieri e mozzi, lo schifo assimila chi si schifa e chi è schifato. non lo so, che dire, per conto mio credo che esista un buon fascismo, quando ascolto il coro wagneriano del tannhauser viene da alzare il braccio pure a me, magari di canio lo ha fatto in quel senso là, oppure è fascista nel senso più bieco e mafioso, e in questo caso lo schifo anch’io fregandomene di diventare schifoso. boh, forse è tardi per questa discussione essenziale.

  10. In questi giorni non ho avuto la possibilità di seguire le discussioni sul sito e di connettermi al web. Di corsa, voglio solo dire una cosa: l’intervento di Montanari io l’ho letto subito come un’invettiva politica (e per nulla razziale), con un finale paradossale. Di quell’invettiva, la parte stigmatizzata come “lombrosiana” non mi è piaciuta, in quanto l’ho trovata di facile effetto. Non razzista né lombrosiana, nel senso di prendere seriamente il passaggio estetica-etica. Ho invece condiviso il moto d’indignazione, di esasperazione, di anamnesi viscerale del nostro dna costituzionale antifascista.
    L’invettiva è un genere di discorso, orale o scritto, che puo’ assumere le forme letterarie: vedi “Eros e Priapo” di Gadda. Nel caso del breve intervento di Montanari, era evidente il carattere di intervento non letterario in senso stretto. Quindi ho trovato fuori luogo il pezzo di Raimo.

    Infine, mi dispiace che questa vicenda allontani Raul Montanari da Nazioneindiana. Ritengo che, in NI, sia qualcuno che sia sempre strato presente in modo generoso, coraggioso e intelligente. Lasciandosi coinvolgere troppo, e mai troppo poco. Atteggiamento raro e apprezzabile.
    Quanto al giudizio che egli fornisce su alcuni commentatori di Ni, sotto nickname mascherati, è purtroppo e tristemente condivisibile. Credo solo che non sia un fardello esclusivo di NI.

  11. Avete assistito alle performances decostruzionistiche di Michelangelo Zizzi versus raimo in occasioni di presentazioni pubbliche? Sono state molto divertenti…

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