Un genio misconosciuto

di Franz Krauspenhaar

Una decina d’anni fa mi trovavo nel reparto “classica” del famoso negozio di dischi milanese “Buscemi”.
Cercavo alla rinfusa nelle offerte, tra i CD a 10.000 lire. D’un tratto balzò ai miei occhi un CD della RCA Classics: Ives Simphony No.1 , The Unanswered Question, Robert Browning Overture, Orchestral Suite No2. (Chicago Simphony Orchestra diretta da Morton Gould, registrazioni eseguite tra il 1965 e il 1967).

Nonostante fossi, allora come oggi, un ascoltatore piuttosto assiduo del terzo programma della radio, non avevo mai sentito neppure nominare il nome di Charles Ives. Come spesso m’è successo, sia che si sia trattato di dischi che di libri, decisi di portarmi a casa quello sconosciuto nome per conoscere la persona, o meglio l’artista, che stava dentro quel nome per me del tutto nuovo e che per una strana sensazione – che diveniva nel giro di pochi secondi una vera e propria speranza che miracolosamente e puntualmente si sarebbe esaudita – sentivo che non avrei mai più dimenticato.

L’ascolto di quel CD fu una delle esperienze più impressionanti che mi siano capitate nella mia “carriera” di appassionato di musica di tutti i generi: mentre la prima sinfonia – composta tra il 1895 e il 1898, quando il compositore aveva tra i 21 e i 24 anni – è un prodotto artistico in 4 movimenti di grande bellezza melodica che si rifà con freschezza d’ispirazione e senza alcuna ambiguità al tardoromanticismo proprio di quegli anni, le altre composizioni, a cominciare da The Unanswered Question, la più famosa del compositore, sono tutte successive; a partire, come nel caso di questa, dal 1906.

Ma cosa c’è di strano – e ovviamente di grandioso- nella musica di Charles Ives? Prima di tutto la contemporanea presenza, spesso, di melodia e atonalità. L’evocazione di un mondo, quello americano, nel quale sono compresenti elementi disparatissimi: dalla musica per bande musicali, alle marce, a richiami alla tradizione popolare, a prolungati momenti di acuta riflessione e introspezione; per cui, ascoltando molti brani di Ives, si prova l’effetto straordinario della “stereopolifonia”: un caleidoscopio ricchissimo di suoni che si muovono contemporanemente come spinti dalla forza di un tornado, l’immissione diretta e totale, grazie alla musica, in un intero mondo estremamente composito; perché il suono creato da Ives non è più semplice colonna sonora, accompagnamento più o meno adeguato di uno scorcio di paesaggio, di un sentimento, di un’ epoca, di un’identità geografica o nazionale; ma esso stesso diviene, si puo dire di prepotenza, scorcio, sentimento, epoca, ambiente, tutto insieme, nel medesimo tempo, con un effetto totalizzante che puo’ essere paragonato alla “visione” di un film per solo suono in tre dimensioni.

Figlio di uno sperimentatore del Connecticut, che per tutta la vita sperimentò appunto sulle forme musicali da entusiasta e geniale dilettante, Charles Ives seguì le orme paterne a cominciare dall’atteggiamento da prendere – volente o nolente- nei confronti dell’arte: e dunque il grande compositore americano rimase per tutta la vita un geniale dilettante proseguendo il lavoro di suo padre; fin da quando, dopo gli studi compiuti a Yale, e prese le distanze dall’accademismo europeo – palandrana fin troppo stretta per un individualista entusiasta come lui – decise di comporre la sua musica lontano da ogni circuito istituzionale – peraltro minore negli Stati Uniti di quei tempi rispetto all’Europa musicalmente dittatoriale – quando una musica classica di tradizione ancora non esisteva. Compose fino al 1930, senza che i suoi pezzi, le sue suites, le sue sinfonie venissero mai eseguite, per il puro e intenso piacere di scrivere. Mentre per guadagnarsi abbondantemente da vivere scelse, con tipico pragmatismo americano, d’intraprendere la carriera di assicuratore; e anche in quel campo fu uno dei migliori del suo tempo.

Se grandi e apprezzati autori come Aaron Copland e Elliott Carter riuscirono successivamente a imporsi presso le platee di tutto il mondo molto lo si deve al genio di Charles Ives, che aprì loro la strada nel silenzio delle sale e però soprattutto nel magnifico, epico frastuono della sua musica.

Il pezzo più famoso e forse più significativo del “compositore-assicuratore” è il già citato The unanswered question, composto nel 1906 ma eseguito per la prima volta soltanto nel 1947, pochi anni prima della sua morte. Si tratta di sei minuti e cinquantasette secondi di puro spirito sonorizzato, nei quali si staglia semplice ed efficacissimo uno sfondo d’archi pervadente per tutta l’opera, sfondo che Ives indicò come “il silenzio dei Druidi che non sanno, non vedono e non odono nulla”. Quasi due minuti dopo una tromba solitaria intona una breve, distorta melodia atonale (“l’interrogazione dell’uomo sul significato dell’esistenza”), mentre i flauti immettono di quando in quando la loro voce angosciata (“le risposte inutili e litigiose degli uomini”). In questa sorta di placido ma al contempo angosciato parossismo, il brano va a concludersi come era partito, vale a dire con quella tromba che si interroga senza speranza di ottenere una risposta, dunque con quella “domanda senza risposta” che dà il titolo a quest’opera tanto breve quanto singolare. Ciò che forse fa più pensare un ascoltatore anche smaliziato d’oggi è che questo brano fu composto nel 1906, cioè qualche anno prima di quando furono composte le bellissime opere rivoluzionarie di Stravinsky (tra le quali non si puo’ non citare La sagra della primavera), e mentre Schoenberg e gli altri grandi della dodecafonia, nonché Maurice Ravel, muovevano i loro primi passi rivoluzionari all’interno della creazione artistica novecentesca.

Ecco perché a mio parere è fondamentale conoscere l’opera di Charles Ives, genio misconosciuto, compositore imprescindibile dal quale attinsero a piene mani in molti, non ultimi tanti compositori americani di colonne sonore cinematografiche.

Ives, a causa della crisi economica del 29, conobbe verso la fine della sua lunga vita anni difficilissimi. Sempre più isolato e malato, smise definitivamente di comporre nel 1930 e dovette attendere gli ultimissimi anni, quelli di una dolorosa vecchiaia, per essere riconosciuto, perlomeno nel suo paese, per quel grandissimo musicista che fu.

Per saperne di più, ecco il sito della The Charles Ives Society Inc. www.charlesives.org.

(Foto: Charles Ives nel 1946. Fonte: www.charlesives.org)

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21 Commenti

  1. Franz hai perfettamente ragione, Ives è formidabile!
    Una cosa meravigliosa di Ives è la libertà della sua creazione, fuori dalle scuole e solo con sé stesso. Questa è una caratteristica di tanta produzione dell’arte americana, anche nella pittura.
    E poi c’è il senso, che il padre gli trasmise, del fare arte svincolati dalla prospettiva di remunerazione (lo so è dura, ma Ives ci riuscì).

    Qui c’è una cosa di Nicola Campogrande che avevo ripreso sul forum di Fernandel e anche un giudizio di Schoenberg:
    http://www.fernandel.it/forum/viewtopic.php?t=317

    Vale la lettura: Campogrande trasuda semplicità, intelligenza e passione da ogni carattere, gli spazi inclusi.

  2. Beh, nulla da aggiungere. Un inchino al raccontare e una gran curiosità di ascoltare un compositore che non conoscevo.

    Buona giornata. Trespolo.

  3. Franz, pure la passione per Ives abbiamo in comune… Sto cominciando a preoccuparmi…
    Di certo Ives è stato l’iniziatore della via nordamericana alla musica “colta” (cioè il primo a rendere obbligatorie le virgolette); punto d’arrivo (per ora) ovviamente Zappa. A metà strada fra i due, oltre a quelli che citi, mi piace ricordare un altro pazzo dalla pazzia salutare, che forse oggi è un po’ trascurato (ma è solo una mia impressione): Conlon Nancarrow.
    Grazie anche a Barbieri per la segnalazione.

  4. Interessante la considerazione di Andrea Barbieri sul “fare arte svincolati dalla prospettiva di remunerazione” che fa il paio con la citata frase di Charles Ives “Papà diceva che un uomo può mantenere il proprio interesse per la musica più forte, più pulito, più grande e più libero se non cerca di camparci”. Interessante perché si contrappone all’idea del musicista/compositore che è nata con Mozart dalla metà del settecento in poi. La rilettura della vicenda umana e musicale di Mozart (per la quale consiglio l’eccellente libro di Piero Melograni “Wam. La vita è il tempo di Wolfgang Amadeus Mozart.”, ripubblicato ora in Economica Laterza) ci presenta la possibilità concreta di un’esistenza dell’artista che riesce a vivere bene del proprio lavoro. Mozart fu il primo compositore che riuscì, con non poca fatica, a svincolarsi dal destino del musicista di corte stipendiato al quale lo volevano destinato il padre Leopold e l’arcivescovo di Salisburgo Colloredo. Famoso – anche se forse esagerato da Mozart – l’episodio del calcio nel culo con cui a Vienna venne sbattuto fuori della porta dall’emissario di Colloredo, il conte Arco, perché si era rifiutato di ubbidire all’ordine (allora i musicisti erano considerati alla stessa stregua dei servi) di rientrare a Salisburgo. Da allora fu solo. Niente padre/padrone che lo sfruttava economicamente, niente principe o sovrano protettore. Dovette camminare con le sue gambe, ma era sicuro di sé e aveva già composto l’Idomeneo…
    Analoga doccia fredda dovette ricevere Franz Joseph Haydn. Lavorava al servizio dei principi Estherazy, ma quando il principe Nicolaus morì il figlio sciolse l’orchestra e licenziò in tronco Haydn. Egli si trovò costretto a espatriare a Londra al seguito del violinista impresario Salomon, e cominciò anche lui a sfruttare economicamente la sua arte e con grande successo. Non a caso Haydn aveva stretto una profonda amicizia con Mozart negli anni viennesi.
    In seguito fu Beethoven a mantenere vivo il mito del musicista compositore che riesce non solo a vivere bene della propria arte, ma ad essere anche molto creativo e produttivo.
    Insomma, l’dea che l’arte “pura” si faccia solo in cima a una colonna in mezzo al deserto, e che per permettersi ciò bisogna fare un altro lavoro, è molto ideologica. La creatività non nasce necessariamente dalla libertà o, all’opposto dalla schiavitù. E sarebbe anche ideologico fare una distinzione crociana “poesia/non poesia”, soprattutto se il parametro è quello.
    Almeno in Europa l’idea del musicista – ma direi anche dell’artista e dell’intellettuale – che riesce a vivere facendo quello a cui ha dedicato la sua vita, è un’idea fondante che è rimasta fino ai giorni nostri. Che il modello nordamericano, più pragmaticamente legato al mondo della produzione, fosse diverso non deve sorprenderci. Non è detto tuttavia che sia quello giusto. In questi anni di crisi dell’economia europea, in cui si cercano nuovi spunti per lo sviluppo o almeno il rilancio delle nostre società, il modello americano – quello dell’impero – sembra aver fatto breccia anche nella produzione culturale e artistica. Tanti giovani musicisti oggi fanno un altro mestiere per sopravvivere e quei pochi fortunati che sono riusciti ad entrare nell’ingranaggio della cosiddetta “industria culturale” si sono dovuti prostrare ai nuovi Colloredo del nostro tempo.
    Quest’anno mozartiano può essere dunque un’occasione di riflessione proprio su questo grande testamento morale che Mozart ci ha lasciato, al di là della sua grande musica. Si può vivere delle proprie passioni, senza rinunciare alla propria personalità. Basta crederci.

  5. Mi fa molto piacere che vi piaccia Ives. Per me è un’insana passione, lo amo tutto, dalla a alla z, senza riserve. Particolarmente suggestivo e potente, per me, la Robert Browning Overture, con un finale da ascoltare al massimo volume (e così andare direttamente al manicomio) e il terzo movimento della Orchestral Suite n. 2, “From Hanover Square North at the End of a Tragic Day, the Voice of the People again Arose”.

    Andrea, Nancarrow non l’ho mai sentito nemmeno nominare; a questo punto mi procuro qualcosa di lui molto presto. Grazie.

  6. Si, d’accordo. Io, se qualcuno mi desse un fisso mensile, lo scrittore a tempo pieno lo farei senz’altro. Purtroppo non sono ricco di famiglia.

  7. Hey Franz, guarda che Mozart non era per niente ricco di famiglia! Okay, era Mozart! Va bene, è la favoletta consolatrice dei bei tempi andati, eccetera eccetera… Ma guarda che lui campava anche andando a fare umili lezioni di pianoforte tutti i giorni. Se la storia e la cultura hanno un senso, possiamo forse anche trarre qualche insegnamento da queste favolette.

    Quello che volevo dire – con tutto il rispetto per la tua biografia – è che qualche volta penso che abbandoniamo la partita troppo presto perché smettiamo di credere in noi stessi. Siamo tutti, in varie forme, dei “raminghi che il male del mondo estenua” – per dirla con Montale – e possiamo anche legittimamente decidere di fare altre cose con una pietra al collo per sopravvivere. L’importante è decidere a un certo punto di liberarsi di quella pietra per provare a riemergere.

  8. Non so nulla o pressappoco nulla di musica classica, ma cercherò cd di questo compositore per metterli nel mio salone CAPELLI PER TUTTI.
    Grazie, Franzi, per quest’altra chicca.

    Rosetta Frangetta – parrucchiera d’assalto

  9. Bella l’idea della musica di Ives in un salone di parrucchiera. Penso all’effetto che avrebbe fatto nel saloncino di mia madre parrucchiera negli anni Sessanta, con le ragazze che si facevano i capelli accotonati, coi bigodoni eccetera. E i caschi asciugacapelli, le risate, le manicure, con la musica di Ives in sottofondo…

  10. Caro Cristoforo, hai ragione; a esempio, io a 37 ho deciso che non ne potevo più di un lavoro totalizzante e per questo piuttosto remunerativo e ho iniziato a scrivere seriamente; per poter fare questo, da allora mi arrangio.
    A me è sempre piaciuto l’approccio estremista di Ives a fronte di una massa di artisti ” a tempo pieno” che non valgono un cazzo, tutto qui. La figura del dilettante di genio mi ha sempre fatto simpatia, a fronte di tutti i professionisti-mestieranti che non fanno che riempirsi la bocca della loro “professionalità”, del loro “duro lavoro”, della loro poca “ispirazione” della quale la loro “grande tecnica” ha saltuariamente bisogno.
    Infine, Baldrus mi ha dato un’idea; il mio barbiere (i Twins di Piazzale Siena a Milano, due gemelli salernitani, mi chiamano da anni “professore”, boh?) sparano a manetta (mi scusino i “professionisti” per questa espressione da adolescente anni 70/80) Radio DJ o 101; ora penso proprio che, tra una rasatura e una passata di rasoio sulla nuca e un colpo di phon, imporrò loro di mettere su a “heavy rotation” ( o come diavolo si dice) la musica di Ives. Tanto per risparmiare sulla cotonatura…

  11. Due robine su Nancarrow, vado a braccio ed a (poca) memoria, poi su wikipedia o simili ci sarà senz’altro di più.
    Studî di composizione tradizionali, poi parte ventenne per la guerra di Spagna nella Brigata Lincoln (guidava le ambulanze), dopo la guerra torna negli Stati Uniti, dove in quanto sinistrorso ha non pochi problemi, allora molla gli US e se ne va in Messico, di cui prende la nazionalità e dove resta fino alla morte (avrà incontrato B. Traven? chissà…). Anche lui, come Ives, verrà riscoperto molto tardi, alla vigilia della morte.

    La particolarità della sua musica è che ha scritto quasi esclusivamente per… pianola meccanica; hai presente, i rulli che girano che si vedono in certi film western.
    Ciò gli permetteva di scrivere polifonie e/o poliritmie non eseguibili (in teoria) dall’uomo (ciò che oggi permettono i computer). Se vuoi, una sorta di radicalizzazione dei principî compositivi proprio di Ives: compresenza/sovrapposizione di temi, schemi ritmici confliggenti… Quasi una versione musicale del cubismo, insomma (l’immagine migliore, che forse mi viene proprio da Ives, è quella del delta di un fiume).
    Il suo lavoro si concentrava essenzialmente sul ritmo (con evidenti influenze jazz, peraltro); mentre dal punto di vista armonico, quello che ho sentito io resta piuttosto tradizionale. Ma insomma, a me sembra comunque uno da conoscere. L’Ensemble Modern ha fatto un bel Cd dedicato a lui, se no c’è qualcosa pubblicato dalla Wergo, se non sbaglio.

  12. Che gran pezzo, Unanswered Question… l’ ho sentito al comunale di Firenze, tanti anni fa, quando ancora la musica del novecento era suonata e trattata al pari dei compositori classici da “signora mia”. Sai dove avevano messo la tromba solitaria? da sola su di un palco laterale. Era al di fuori dell’ orchestra e suonava il suo lamento al buio, da sola.

    andrea

  13. Franz, ho ordinato sulla fiducia un po’ di dischi di Ives. (di di di).
    In banca a parte radio 3 è inevitabile sentire radio Capital,no?
    Ciao.

  14. Interessanti di Charles Ives sono anche le quattro Sonate per Violino e Pianoforte. Sono state pubblicate dall’eccellente etichetta di Manfred Eicher ECM (http://www.ecmrecords.com), che fornisce sul sito anche interessanti informazioni sulla musica del compositore e sulle sue quattro sonate per violino.

  15. caro F.K. potevi avvisare prima di mollare il lavoro! Io scrivo e perciò mi arrangio ma sarei molto felice di fare a cambio con un lavoro totalizzante e perciò molto renumerativo. Come diceva quello là: se me lo dicevi prima!

  16. Aldo, non fare il furbo; tu non solo guadagni uno stipendio totalizzante al totalizzatore, ma spacchi i coglioni allo stesso modo; senza offesa, ma tu rompi e sei pure pagato. Hai fatto bingo. Quando rompo io, nessuno scuce.

  17. pensavo di avere una dicreta cultura ma questo compositore non lo conoscevo.. andrò a cercarlo in città abbiamo una buona fonoteca , conosci di gruber 1929 frankeistain della emi e non si trova ciao

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