L’altro

di Franz Krauspenhaar

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Francesco salì sul treno della metropolitana alla stazione di Sesto Marelli dopo aver passato due tormentose ore da quel simpatico soggetto del dentista, il Massimo Sanpelli, uomo di mondo e fine dicitore nonché psicologo che gli raccontava le stranezze dei suoi clienti – e soprattutto delle clienti – così che una volta Francesco, finita l’ennesima iniezione alle gengive, gli aveva detto: “Ottimo materiale per un racconto”, e da allora il Sanpelli s’era gonfiato il petto per la soddisfazione di essere diventato uno dei fornitori ufficiali di personaggi coloriti di uno scrittore, uno che dappertutto andava a caccia di stranezze, caratteri, colori, suoni, forme, e una volta trovate quelle forme colorate strane e sonore le replicava sulle pagine dei suoi romanzi, e la cosa era riscontrabile spesso perché Francesco era uno scrittore prolifico, ogni anno sfornava un romanzo nuovo e così entro aprile il Sanpelli avrebbe letto il nuovo libro e riconosciuto un cliente nei panni probabilmente di un assassino seriale o di un poliziotto corrotto o di una puttana.

Il viaggio fino alla stazione di destinazione, Gambara, era abbastanza lungo, ci sarebbe voluta una mezz’ora se non di più, e soltanto alla fermata di Palestro Francesco trovò un posto a sedere. Cercava da almeno dieci minuti di concentrarsi su un personaggio che stava abbozzando per il libro che aveva finito, e come al solito a immane sforzo concluso saltava fuori qualche cosa che sarebbe potuta essere migliorata, e soprattutto saltava fuori proprio dal nulla un personaggio nuovo, che premeva per uscire e depositarsi con tutta la sua triste storia sul libro per il quale doveva riaprire il suo cantiere mentale.

Di fronte a lui due ragazzini, un maschio e una femmina sui quattordici anni, forse meno, e seduta accanto una ragazzina coetanea che parlava coi due. Compagni di scuola.
La ragazzina che gli stava di fronte sgominò immediatamente i suoi tentativi di concentrazione letteraria: sorrideva di continuo strizzando gli occhi, la faccetta insignificante e antipatica, i capelli castani scesi a piangere, i jeans scoloriti, la felpa nera, le scarpette rosse da ginnastica Nike. Blaterava quasi senza interrompersi, mentre uno zingaro – perché Adolfo non li ha fatti fuori tutti? pensò subito Francesco – s’installò nel bel mezzo della carrozza con la sua fisarmonica e intonò un compendio musicale nord-sud, Oh mia bela madunina e O sole mio.

Alla fermata Duomo lo zingaro, prese un paio di monete per il rotto della cuffia, sparì diretto a un’altra carrozza, e Francesco poté tirare un sospiro di sollievo smorzando l’ennesima bestemmia. Continuava a fissare intensamente e con odio quell’antipatica ragazzina blaterante, che ora canticchiava Bocca di rosa di De André, fatto che gliela rese ancora più antipatica, perché all’istante ripensò alle ragazzine sue coetanee di trent’anni prima che avevano blaterato quasi allo stesso modo – di politica, principalmente – e avevano canticchiato Bocca di rosa impunemente, come se nulla fosse stato. Gli pareva di essere tornato indietro alla propria schifosa adolescenza, a quando stazionavano le camionette della celere per tutto il centro e quegli intruppati coglioni con l’eskimo urlavano nei loro megafoni stronzate tipo “E’ ora, è ora, potere a chi lavora” senza aver mai fatto un cazzo in vita loro, oppure cantavano L’Internazionale, e a lui, che ogni tanto allisciava in camera sua il suo piccolo busto del Duce comprato a Predappio a poche lire, fregava soltanto dell’Internazionale Football Club, quella del Mazzola Sandro, e comunque i rossi e tutta la loro cultura dell’incazzatura e del lamento e dell’indignazione gli facevano venire ancora i vermi in crisi d’astinenza da tequila.

La ragazzina ormai starnazzava la canzone di De André intonando persino qualche parte solo strumentale che riconobbe come quella della versione incisa assieme alla P.F.M., dunque della fine degli anni 70, quel decennio che Francesco ricordava ancora con acuto stupore per tutto il lungo tempo che era passato e con sgomento, perché quegli anni erano stati veramente di piombo, anni orribili, nei quali i giovani erano stati davvero più imbecilli del solito, se possibile più imbecilli ancora di quelli di oggi, dei quali la ragazzina blaterante era una perfetta rappresentante a tutto tondo.
Lei gli stava ricordando troppe cose, troppe persone, troppo fiele mandato giù, troppo accerchiamento, troppi striscioni, troppo comunismo: strinse i denti – appena vivificati dal Sanpelli a colpi di trapano- per la rabbia che lo sferzava, si sentiva divenuto una bomba pronta finalmente ad esplodere, proprio a scoppio ritardato, in ritardo per l’appunto di trent’anni.
Avrebbe tanto voluto colpirla a frustate, a calci e pugni, farle male davvero, mandarla all’ospedale: una rabbia inedita lo avvolse e poi lo travolse. Fu questione di un attimo: mentre il treno ripartiva dalla stazione di De Angeli Francesco ebbe l’idea fulminea, si alzò, si avvicinò alla porta d’uscita. Stazione di Gambara: mentre le porte si aprivano stese la gamba destra all’indietro come per calciare una punizione da quasi metà campo e colpì con tutta la forza a uno stinco della ragazzina; poi saltò fuori dalla carrozza. Ebbe il tempo di udire l’urlo garrulo di dolore e il rumore di fragili ossa spezzate, mentre correva con tutto il fiato che aveva per la scala mobile in movimento e saltava fuori dalla stazione, quasi inciampando sulle scale. Corse per via Antonello da Messina mentre s’accendevano i lampioni e il giovane portinaio del 5 stava per chiudere. Entrò, si diresse verso la scala B, fece le due rampe di scale, secondo piano.
Ero a questo computer che in certo modo vi parla quando sentii trillare il campanello della porta. Andai ad aprire e me lo vidi davanti, così somigliante a me, ma anche così diverso.
“Che vuoi?”
“Niente di particolare. Beh, si, ho voglia di raccontarti la mia ultima cazzata”.
“Sei un teppista da quattro soldi”.
“Non è vero. Solo che stasera non ho potuto resistere”.
Lo feci entrare, si accomodò in camera mia su una piccola poltrona, mentre io mi rimettevo seduto davanti a questo computer.
“Che cazzo hai combinato, stavolta?”
“Un calcione negli stinchi di una piccola stronza… Vabbè, niente di cui vantarsi, ma avresti dovuto vederla. Proprio una piccola stronzetta saputella”.
“Non hai fatto il minimo progresso. Eppure te l’ho sempre detto: le tue idee non valgono niente, sono solo l’espressione della tua rabbia innata; tu ce l’hai col mondo intero da quando sei nato, eppure hai avuto solo fortuna: una bella famiglia composta da un padre severo ma buono e in gamba, una madre amorevole, i fratelli che ti hanno sempre spalleggiato.”
“Non è tutto oro quello che luccica, caro mio…”
“Stronzate. Invece io che cosa dovrei dire? Ancora giovane ho dovuto rimboccarmi le maniche per tenere in piedi una famiglia, ho dovuto lottare contro tutto per diventare uno scrittore, mi mantengo con difficoltà, non posso mai tirare il fiato, eppure non mi lamento. E non odio nessuno”.
“Quanto sei politicamente corretto, Franz!”
“Stronzate. Ho capito qualcosa. Non certo tutto, vado avanti a tentoni, ma spero di migliorare. Ma tu… Tu non hai fatto nessun progresso. I calci in faccia che hai preso non ti hanno insegnato niente. Dunque…”
“Dunque, Franz?”
Decisi di non dire altro. Lo sollevai dalla poltrona e gli appioppai un diretto alla bocca dello stomaco. Ne fu proprio colpito. Boccheggiava. Faceva quasi pena.
“A quelli come te bisogna rispondere nella loro stessa lingua. Non importa se è giusto o sbagliato. E’ l’unico sistema”.
Si preparò a uscire, spaventato dalla mia reazione, che non s’era aspettato.”Fammi almeno uscire da questa situazione nel modo meno brutto possibile”, chiese con un fare da cane bastonato.
Mi ero rimesso davanti a questo computer. Lo fissai duramente negli occhi: “Esci, vattene”.
Scrissi “esci, vattene” su questa pagina di racconto, e lui sparì fuori o addirittura dentro di me.

(Foto:copertina dell’LP di De Andrè nel quale si trova “Bocca di rosa”. Fonte: www.frascolla.org.)

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18 Commenti

  1. senti Franz, pochi giorni fa pubblicasti un gran bel racconto. che bisogno avevi adesso di pubblicarne uno ancora più bello?

    complimenti per il busto allisciato. e, a proposito di internazionale pallonara: AUGURI per la trasferta di firenze!

  2. Una ossessione quella del metrò, eh? una magnifica ossessione.
    Tra questo e La cura dello specchio non so quale scegliere. Affascinanti tutti e due. Complimenti.

  3. Bello questo skizo-fight-nazi-club, con il suo senso viscerale – nel ‘senso’ che il ‘senso’ è tracciato, dispiegato da viscere intorcinate. io sapevo che Francesco doveva morire.
    Peraltro (deriva): giusto in questi giorni con i miei allievi nazi-fascistelli (quattro cani, ma pur sempre troppi) sto praticando lo stesso codice: ovvero l’homo-logia. Praticare la stessa lingua. Vuoi il fascismo? Eccolo. Vuoi il disprezzo? Eccolo anche questo. Giusto per un po’. Ma come dice il padre della Grace sterminatrice alla fine di Dogville, il perdono assoluto è arrogante, avranno pure fatto il loro meglio, ma il loro meglio è abbstanza buono?

  4. Un bellissimo, nitidissimo, nerissimo alter ego. Ci vuole del coraggio per animarlo con questo stile così sciolto, ed io questo coraggio te lo invidio di cuore, perché è da lì che nascono le opere migliori.

  5. Al di là della quasi “cognomonimia”, complimenti anche da parte mia. Bello lo sparire “dentro di me”.

    E complimenti anche alla ragazzina che sa fischiettare la parte strumentale della versione di Bocca di rosa firmata P.F.M.!

  6. Uno,
    buonissimo davvero davvero.
    Due,
    ah, sei interista. Io pure, e vinciamo domenica, cazzo!
    Tre,
    “Fabrizio De André” del 68 edizione originale e non ristampa Ricordi? Io pure qua pure. (Questo va beh è feticismo lo so.)

  7. Forte, Franz. Preferisco i pensieri politicamente scorretti (ma che facciamo intanti), evitando, ovviamente, la violenza fisica… Un saluto anche alla immarcescibile ditta Hyde & Jekill.
    PS
    Non esagerare con quella pozione.
    PPs
    Mi hai fatto ricordare, per es. Domenghini. Com’era poetico nella sua dissoluta asimmetrica dinoccolatezza, quando correva scoordinato come Forrest Gump, sulla fascia… e Jair e Peirò (che pur suonando avversativo, era poco efficace nei contrasti) aereo, evanescente, tutto pensiero. O l’epilettico scattante Sandrino. Faceva goal veloci e ossuti. Secchi. Privi di inutile enfasi.
    Un ragazzo del ’56.

  8. PPPs
    Io ero, comunque, juventino. L’espressione desolata di Del Sol. La faccia da ragazzino di Leoncini. Quella da bravo ragioniere di Menichelli. Da bambolotto inoffensivo di Bercellino. Da scugnizzo maligno e rissoso coi calzettoni scesi di Sivori….. Grazie alle figurine Panini, che non incollavo sull’album, ma le usavo per giocare dei campionati con un sistema mio….
    E Anzolin tutto nero e lungo e serio e affidabile come un prsonaggio buono dei fumetti nell’Intrepido….

  9. Grazie mille a tutti.
    Un “willkommen” al mio quasi omonimo (difficilissimo da trovare, in Italia!)Emanuele Kraushaar.
    Un “bravo” al Tramutoli; con quel materiale che hai “dilapidato” nei commenti ci potevi fare un pezzo per NI.
    Infine: dentro di noi c’è sempre un razzista e un fascista (che sia nero o rosso per me è uguale).
    Il racconto è autobiografico in maniera imbarazzante. L’ho costruito in metropolitana l’altro ieri, mentre tornavo dal mio dentista Massimo Trelance di Sesto San Giovanni, ed ero seduto di fronte alla ragazzina del racconto che canticchiava “Bocca di rosa” + parte strumentale, ed era veramente antipatica. Ma naturalmente mi era antipatica per l’effetto traumatico delle iniezioni:-)
    Infine sono stato neofascista, da ragazzo, o meglio simpatizzante e votante del disciolto M.S.I.
    Non ho mai comprato un busto di Mussolini, però, né sono mai stato a Predappio.
    Penso che ogni tanto è sacrosanto tirare un bel pugno alla bocca dello stomaco del nostro alter-ego “nero”.
    Sono effettivamente un disperato tifoso dell’Inter. Dopo ieri sera, sempre più disperato, caro Kristian (ti stimo anche se sei milanista…)

  10. ARGH!
    Maledetto Krauspenhaar. Dammi pure del fascio berlusconico. Offendi la memoria dei miei cari. Fanne ciò che vuoi delle mie puerili utopie… ma milanista no! Quello lo dici al tuo alter ego la prossima volta che viene a romperti le palle mentre sei al computoso, capito? Ah, che rabbia. Lo sai meglio di me che sono un ‘gobbo di merda’… (tra l’altro, domenica sera vi faremo indossare il cappotto di legno, a voi illusi di sempre).

  11. Grande racconto… al tempo stesso al passo coi tempi e precursore di un tempo anche peggiore (ché al peggio non c’è limite)
    Saludos.

  12. dunque, ti riconosco uno stile funzionale, quella certa attenzione alla scorrevolezza per idee (le ossa rotte della ragazzina mi sono arrivate durante la rottura) ma non mi spiego la faccenda dell’alter-ego.

    La nostra è l’epoca delle separazioni, certo, delle realtà separate, ma la separazione da noi stessi non avviene su un piano identitario, appunto come nel caso dell’alter-ego, ma su un piano antropologico. Franz, non c’è nessuna bambina a cui dare calci… c’è De Andrè, lui sì, ma per motivi diversi, la bambina con la faccia antipatica non può esistere. O esisti o non esisti, questo è il dramma, ancora una volta: essere o non essere, oppure, c’è vita nel non essere?
    il danno procurato non è alla ragazzina, ma alla coscienza della realtà….

    (stavolta giuro che la faccio finita con gli acidi… sto farneicando, e me ne scuso!!!)
    ciao a tutti….
    P.

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