Contro la libertà di stampa

di Elio Paoloni

Un paio di settimane mi sono collegato al sito di una rivista di fumetti e ho sbattuto il naso, in home page, contro una vignetta ripugnante. Non era molto diversa da altre che si vedono in giro, accompagnate magari da titoli di quotidiano altrettanto disgustosi. Mi sono soffermato sulla raffigurazione del papa a quattro zampe, cercando di individuare la “novità”, di rintracciare una sfumatura divertente, l’arguzia che ci fa ammirare le pasquinate. Per quanto mi sforzassi, però, quella vignetta muta non mi strappava neanche un sorriso. Non sono credente (almeno “credo”) e per decenni ho utilizzato argomentazioni anticlericali però quella vignetta mi ha dato fastidio.

Sarà stata la collocazione: insieme ad altre, in una rassegna, non ci avrei fatto caso. Ma lì, troneggiante nella pagina di benvenuto che condensa la filosofia del sito, stava a indicare che la redazione si faceva bandiera di un ghigno, gloriandosi con becera soddisfazione dell’inutile offesa alla sensibilità di milioni di persone. Non si trattava dell’irriverenza necessaria alla veicolazione di chissà quale messaggio, era indulgere all’insulto per l’insulto. Insulto conformista, perché ormai il dileggio della chiesa rientra nelle consuetudini di un laicismo male inteso. Vigliacco perché nessuna reazione è prevista, nessuna causa può essere intentata.

Il caso danese è scoppiato dopo e non ho intenzione di soffermarmi su quelle vignette (c’è qualcosa che non è già stato detto?): le cito solo perché hanno rafforzato la convinzione che mi vado facendo. Mi risulta (chiedo aiuto agli esperti di diritto che frequentano la Nazione) che esistesse in Italia il reato di vilipendio. Ricordo espressioni come “vilipendio alla religione” e “vilipendio a capo di stato straniero”. In quella che ritengo un’esasperazione della giusta volontà di rimuovere qualsiasi ostacolo alla libertà di espressione, questo reato è stato abrogato.
Poiché mi sembra che nessuno lo abbia fatto – ma potrei sbagliare, non seguo la stampa con continuità – ne auspico la reintroduzione, nelle forme più consone ai privilegi che l’avanzata dei diritti civili ci ha regalato. Nulla a che vedere con qualsivoglia forma di censura. Se però un giudice dovesse ritenere che, in una qualsiasi forma di espressione, l’offesa non trova alcuna giustificazione informativa, satirica o artistica, chi vilipende venga sanzionato. Una norma del genere non avrebbe nulla di  liberticida, sarebbe anzi autenticamente democratica, perché garantirebbe il rispetto – anche formale – delle idee altrui. Probabilmente verrebbe incontro alle giuste proteste delle autorità islamiche. Non temo l’ira degli imam, non penso che ci si debba prostrare dinanzi a ogni rivendicazione musulmana, ma sarebbe profondamente giusto lasciare che un tribunale possa decidere se una vignetta denota razzismo, odio, disprezzo. La libertà di espressione, del resto, ha già le su limitazioni: la calunnia e la diffamazione non sono certo permesse. Qualche tempo fa un parlamentare, ex giornalista di lunga e onorata militanza, ha rischiato la galera per le opinioni espresse in un articolo.
Il giornale danese aveva pubblicato anche vignette antisemite nelle quali, pare, gli ebrei venivano raffigurati con le stesse deformazioni riservate più di recente agli arabi. Non so se gli ebrei abbiano protestato: protesto io. Protesto contro tutte le vignette di pessimo gusto, protesto a nome degli ebrei, protesto a nome dei cristiani, protesto a nome degli islamici (anche se ti fanno passare la voglia), protesto a nome degli inglesi e degli americani, le cui bandiere, nelle civilissime piazze occidentali, vengono sputacchiate, calpestate, bruciate. Il tiro al bersaglio contro le effigi di capi di stato stranieri è incivile. I roghi delle bandiere non differiscono dai roghi dei libri: barbarie. Il diritto alla critica non ha nulla a che vedere con tutto questo. La libertà d’espressione non è libertà di tiro a segno.
Vi sono immagini “sacre”. E non parlo solo di religione: esiste una sacralità laica. Anche le recenti aggressioni ai tedofori sono una forma di questa ormai intollerabile corsa al dileggio di ogni simbolo.

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57 Commenti

  1. Non sono una giurista, e con moltissima probabilità posso essere smentita, ma non mi sembra che il reato di vilipendio alla religione sia mai stato abrogato dal nostro codice penale. Ciò di cui conservo buona memoria riguarda invece alcuni casi in cui il vilipendio alla religione ha portato a denunce (reiterate nel caso della rivista Il Male, o occasionali come in un film di Renzo Arbore, il Pap’Occhio, dove Roberto Benigni reinventava il giudizio universale) e processi (La Ricotta di Pier Paolo Pasolini, Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco).
    Immagino che quella di Paoloni sia una provocazione. Ciò nonostante, non posso fare a meno di provare un brivido freddo (e qualche stupore) nel leggerla.

  2. A lei Paoloni dà fastidio il Papa raffigurato a quattro zampe, le bandiere bruciate ecc. A me dà fastidio se qualcuno non lo può fare.
    Quindi secondo lei io sostengo delle barbarie. E io avrò bene il diritto di sentirmi offeso da chi mi giudica così.
    Offeso senza alcuna alcuna “giustificazione informativa, satirica o artistica”.
    Quindi io propongo l’introduzione di leggi di alto valore democratico e libertario che proibiscano e sanzionino articoli come questo.

  3. Qui sotto vi copio e incollo l’articolo del codice penale dedicato al vilipendio della religione (mai abrogato ma semplicemente portato nella pratica al quasi azzeramento dell’applicazione), come modificato in via definitiva dal Senato in data 25.01.06 (testo non ancora promulgato o pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, dal titolo “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”).

    «Art. 404. – (Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose). – Chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000.

    Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto è punito con la reclusione fino a due anni».

  4. Quando spiego ai miei alunni che Locke era un teorico della tolleranza, ma con l’eccezione degli atei e dei cattolici, faccio fatica a far capire loro che era davvero tollerante, vista l’epoca. Poi, nell’arco di pochi minuti, o di un giorno (i tempi della didattica non coincidono con quelli della storia), arrivo a Voltaire, che rimuove le riserve di Locke: e ai miei alunni Voltaire appare, senza alcuna difficoltà, tollerante. Così come erano apparsi tolleranti Castillion (“eretico” non è altro che il nome che attribuiamo a chi non la pensa come noi) e soprattutto Milton, per il quale la verità è come un cristallo andato in pezzi, per cui ogni singola scheggia partecipa alla ricostruzione della verità (fino al ritorno del messia, quantomeno). E Voltaire giustamente rivendicava il diritto di irridere a una chiesa che considera sacra reliquia il teschio di S. Antonio bambino (giuro!) e un numero di falangi del medesimo santo che eccede il normale numero di dita di un essere umano.
    Io ho, laicamente, il diritto soggettivo di ridere e irridere, e non può essere la Legge a limitare la mia espressione. Il rispetto è un comportamento che afferisce alla morale individuale, non alla norma giuridica: non offendere il credente è lecito tanto quanto non mandarlo a fan**** come individuo. Io, ad esempio, ho manifestato pubblicamente contro il tedoforo sponsorizzato dalla coca cola, e personalmente considero offensivo che la mia protesta, correlata alla solidarietà verso i lavoratori del centro-america, sia considerata una forma di “corsa al dileggio”, neanche fossi l’autore dei testi del Bagaglino. Poi, certo, c’è la mancanza di considerazione per i valori della sfera del Sacro (quel comportamento che Pasolini definiva “laicismo”): del Sacro, non della “Religione”, perché in quella sfera PPP includeva l’Eros e la sua pratica, che è altra cosa dalla religione. Io, non-cristiano e padre divorziato, sono quotidianamente oggetto di dileggio da part di uomini di chiesa e politici cattolici che mi ofendono con semplice elenco delle proprie ragioni e dei propri valori (sto parlando di quelli sinceri, non di quelli che hanno mandato la moglie ad abortire in Svizzera o di quelli che dopo aver protestato contro le marce gay vanno in sauna).

  5. La cosa più intelligente, acuta, seria detta in epoca moderna sulla satira resta l’affermazione di Daniele Luttazzi, che fa piazza pulita di tutti i pruriti moralistici (altro che “provocazioni”!) di Paoloni e non solo: “la satira fa quel cazzo che le pare”. Bisognerebbe mettere questa frase nei libri di critica letteraria e partire da essa per far capire che cos’è un genere letterario, che cosa una forma letteraria, e così via. La sguiatezza dell’io offeso di Paoloni inquieta molto di più di diecimila vignette malriuscite, perché è la negazione non di una morale in favore di un’altra, o di una visione al posto di un’altra, ma appunto della forma che possono avere le parole o le immagini quando abbandonano l’informe dell’opinione.

  6. Le persone vivono anche di illusioni che fanno stilare elenchi di valori assurdi. Bisognerà cercare di capirli e non solo offendersi. Il che farebbe regredire il sentimento dell’offesa.

  7. La satira fa quello che le pare. Ineccepibile.

    Però chiedo: le vignette danesi sono satira? A me sembra becerume razzista, ma magari mi sbaglio.

  8. Brutte son brutte, va bene, ma non è quello il punto. Quelle vignette, almeno alcune, fanno passare un messaggio preciso: tutti i musulmani sono terroristi. Secondo me questo è un messaggio razzista. Domanda: la satira può essere razzista?

  9. La satira “di regime” è sempre razzista. Ma, allora, è satira?
    (Il profeta con in testa la bomba è una vera porcata, detto fra noi).

  10. Appunto, dicevo: è satira quella roba là? secondo me no. Se non lo è, e se è invece becerume razzista, chiedo: che senso ha difendere quella roba in nome della libertà di espressione? O anche: la libertà di espressione include la libertà di esprimere becerume razzista?

  11. È satira? Non è satira? Cheppalle.
    Le vignette danesi, se sono le stesse che ho visto sul sito di France Soir, mi sembrano cazzate innocue come se ne disegnano tante e che sarebbero passate inosservate se non fossero state usate strumentalmente per accendere micce di polveri già innescate e ben asciutte.
    Usare una cazzata come grimaldello per scardinare i coperchi di vasi pieni di odio forsennato mi sembra il sintomo grave di una profondissima crisi terminale del mondo islamico.
    Invece di analizzare questo, per me evidentissimo, dato, si seguita a razzolare nello spiazzo sterile dell’offesa al sacro, del razzismo anti arabo simmetrico a quello antisemita, dell’”è satira questa”?
    Di fronte alle convulsioni (quanto dureranno? che conseguenze avranno?) di un vasto mondo che non ce la fa a reggere la botta invasiva dell’occidente, che si agita dentro ad un intrico di contraddizioni drammatiche, il caso vignette danesi è sintomo di ben altro.
    Se non ci avessero pensato i danesi, sarebbe stato usato un altro pretesto e vedrete che nei prossimi giorni e mesi e anni sarà così.
    Personalmente non ho nessun rispetto intellettuale per ogni tipo di credenza religiosa, ma qui non si tratta di questo: la civiltà islamica – ne esistono innumerevoli declinazioni – è un pacchetto completo di natura tradizionalista, in cui ogni tassello sta al suo posto e resta stabile se lo fanno anche tutti gli altri.
    Ma la civiltà occidentale, anche senza volerlo, sta penetrando in quelle culture e sta scalzando, nei fatti, alcuni tasselli importanti facendo vacillare il tutto: da qui il clima controriformista in atto da anni.
    La reazione è rabbiosa, ma la sostanza che la sottende e la provoca è solo smarrimento, paura.
    La paura è sempre molto pericolosa.
    Per finire voglio fare un complimentone al Paoloni Elio, che lui li metterebbe tutti in galera.

  12. Luca, io, tu, Gianni e una vasta porzione dell’umanità, presi uno per uno, siamo del parere che quella roba lì è becera. ma se vuoi elevarlo a criterio generale come fai? eleggi un Controllore Generale del Buon Gusto? Il pubblico che andava a veder gli impressionisti li trovava “bestiali”, però non li bruciava nelle piazze. Io non difendo quelle vignette, difendo il diritto di espressione. Per dirla tutta: io non avrei squalificato Di canio. però difendo il diritto di Lucarelli di dirgli: “testa di c***o”, e dei livornesi di gridargli “Piazzale Loreto”. La tolleranza ha un prezzo. Per inciso, non è una novità dei tempi: nel fine Settecento la relativa diminuzione della censura, l’abbassamento dei costi di stampa, l’alfabetizzazione e la diffusione dei libri popolari produsse in Francia un’enorme diffusione del romanzo pornografico, che fu usato come arma politica: la regina Maria Antonietta era contemporaneamente lesbica, puttana, frigida e ninfomane. Era pattume, ma significava critica alla Sacra Maestà.

  13. Grazie per l’articolo del codice, Andrea. L’ho letto attentamente e mi sembra che, in base a quello, una vignetta non possa essere incriminata. A meno che quell’”in luogo pubblico” non possa essere applicato a un periodico. Insomma, il direttore di Libero (l’unico quotidiano che ha pubblicato le vignette in Italia) potrebbe essere incriminato? Chiedo lumi.
    Mi farebbe piacere anche sapere cosa pensate delle vignette, che non conosco (ho visto solo quella delle vergini).
    Un’appendice divertente: ultimamente una sentenza ha decretato che il gesto delle corna è reato. Curioso, no? Posso insultare Maometto ma non chi mi sorpassa a destra.

  14. tash ti sembrano cazzate innocue perchè evidentemente non hai ancora sviluppato una sensibilita a cosa sia razzismo e cosa no.
    Borghezio le ha difese in nome della libertà d’espressione;-).
    Quelle vignette sono razziste, tutto il resto sono balle strumentali
    Infatti lo stesso giornale due anni fa ha rifiutato delle vignette che facevano ironia sulla resurrezione del cristo e la motivazione del giornale sono state perchè erano offensive nei confronti dei loro lettori.
    Vi ho già dato il link dell’articolo.
    Buffo ma stavolta sono d’accordo con tassinari, non mi capita spesso;-)
    geo

  15. @geo
    quello che ho cercato di dire, è che razziste o no, le vignette in parola non lo sono più di tante altre.
    allora di fronte a quello che dice borghezio cosa sono?
    che dovremmo dire di borghezio?
    quello che ho cercato di dire è che il problema non è lì, che questo casino cui stiamo partecipando tutti i modo un po’ beota è sintomo (non causa) di una cosa molto più grossa.
    but forgheddabauidda.

  16. “Un’appendice divertente: ultimamente una sentenza ha decretato che il gesto delle corna è reato.”

    http://socialdesignzine.aiap.it/sdz/images/berlusconi_corna.jpg

    http://blogs.it/0100206/images/berlusconi_corna_6.jpg

    http://www.zeusnews.it/immagini/004044-corna.png

    http://www.amicigg.it/curiosita/img/berlusconi_corna.jpg

    http://www.italian4you.org/Corna/Immagini/Berlusconifalecorna.jpg

    Elio per quelle vignette non credo possa essere incriminato nessuno, sono solo orrende, razzisteggianti e inopportune. A dire la verità in questo tipo di reati la valutazione del giudice è cruciale. Il giudice dovrebbe essere il ricettacolo di una specie di sentimento sociale che si manifesta qui e ora.
    Qui e ora la Cassazione dice che si può apostrofare un nero come “sporco negro” e rimanere nel lecito. Qui e ora, non si vive in un bel momento.

  17. Tashtego, se sono razziste, le vignette, sono razziste. Il fatto che non siano l’unica manifestazione di razzismo data in questo secolo non mi sembra un’attenuante. E per me il razzismo è un problema.

    Girolamo, mi fa piacere apprendere che sul becerismo c’è un vasto accordo, quindi forse possiamo evitare il ricorso all’authority del buon gusto. Però il punto che mi preme è un altro: quelle vignette sono razziste o no? Dichiarare l’equivalenza ‘musulmani = terroristi’ è un atto razzista o no? La libertà di espressione include la libertà di razzismo? Se domani la Padania pubblicasse simpatiche vignette che dichiarano l’equivalenza ‘omosessuali = pedofili’, l’intera libera stampa dovrebbe difenderle e ripubblicarle in nome della libertà di espressione?

  18. Io dicevo già altrove (scusate ma mi cito solo per dire che il discorso è già usato) che io rispetto tutte le idee: e al limite persino quella di chi pensa che non esistano, o non siano rispettabili, le idee degli altri. E penso che decisamente solo questa sia, possa essere, la strada: e lo penso senza voler imporre, né provare ad imporre, ad alcuno quest’idea. E troverei, infine, tutto ciò che vi dico, di una semplicità quasi banale: poi mi accorgo invece che […]
    E’ chiaro, se importasse a qualcuno, “da che parte sto”?: tra l’altro, dalla parte anche di chi non è d’accordo con me.

  19. (Sì, qualcuno pensa “qualunquismo”: siamo abituati ad esser liquidati così più o meno come a non dire mai “noi”.)

    (E pure il razzismo, vi dirò, ha diritto di cittadinanza più o meno come gli altri han diritto di sputargli addosso.
    Il problema è di far dire, sempre, ad ogni costo, a ciascuno quel che pensa:
    poi, ognuno, di quel che pensa, ne penserà e ne dirà a sua volta quel che vuole.)

  20. Ale, al diritto di sputare addosso ai razzisti preferirei il diritto di portarli in tribunale (sottolineo, in tribunale, non sulla forca). In tutte le società civili, se non sbaglio, esiste un insieme di azioni ritenute illecite e sanzionabili come, per esempio, sparare a vista sugli avversari politici, bastonare il vicino di casa stronzo e rompipalle, bruciare in piazza i dissidenti o tagliare la sinistra ai mancini. Ecco, a me piacerebbe che in questo insieme entrassero anche gli insulti razzisti.

  21. Sì ma tutte “le società civili” purtroppo basano in realtà esclusivamente sull’imposizione delle mani da parte di un venerabile paterno stato (organizzazione politica, apparato morale, convenzione sociale, codice civile e penale, monarchia teologale) sulle teste e possibilmente le coscienze dei poveri figli interdetti che l’hanno ormai dimenticato (oppure: hanno ormai abdicato) all’incirca all’altezza dell’età del bronzo.

  22. Luca, la Padania lo fa già, spesso per ignoranza (ad esempio quando crede che un giornale mussulmano possa offendere la Madonna, che per i Mussulmani è sacra quanto i cristiani). Io non difendo le vignette o i titoli della Padania, difendo il diritto dei giornali a pubblicare cose che, fatta salva la diffamazione, a me disgustano, perché non posso essere io a decidere se debbono pubblicarle o no, e neppure lo Stato, altrimenti ci si mette su una china ancora peggiore. Se fosse lo Stato a dover decidere chi parla e chi no, chi scrive e chi no, stai pur sicuro che Borghezio continuerebbe a parlare, e la Padania ad uscire. Io mi ricordo ancora di quando Lotta Continua cambiava direttore responsabile ogni 6 mesi perché ogni direttore di LC veniva denunciato (compreso Pasolini). Dopo di che se Borghezio viene nella mia città io vado a fischiarlo, e se Trenitalia offre un bonus-Borghezio assieme al giornaliero da 19 euro per il sabato io prendo il treno e butto Borghezio dal treno. E piuttosto che una legge che impedisca ai tifosi di sventolare bandiere e striscioni, io preferisco dei tifosi che sbattono fuori dalle curve gli striscioni razzisti. Perché il vero problema è questo: se certi giornali vendono 1000 o 100.000 copie. Se ne vendono 1000 è fisiologico, se ne vendono 100.000 il problema è ben più grosso, e non lo risolvi certo in tribunale.

  23. Girolamo, tu fai salva la diffamazione. Ovvero difendi il diritto di chiunque a dire pubblicamente qualunque cosa, anche cose che ti fanno schifo, purché non siano falsità a danno di qualcun altro. Suppongo anche che tu sia d’accordo a portare il diffamatore in tribunale.

    Ammesso che io abbia interpretato bene, che differenza c’è fra la diffamazione e il razzismo? Il razzismo non è forse una forma odiosa di diffamazione, tanto più odiosa perché tipicamente enunciata da chi ha potere contro chi non ne ha? E perché chi diffama lo processiamo e chi insulta gli ebrei o i musulmani o gli omosessuali o i Rom no?

    Poi capisco che regolamentare il diritto di espressione comporti forti rischi di abuso, e capisco anche che le tare di mentalità non si risolvono a suon di querele, però credo che stabilire sanzioni contro gli insulti razzisti sarebbe quanto meno una forma di dissuasione.

    Naturalmente c’è anche il problema di trovare una definizione condivisa di razzismo, cosa molto più facile a dirsi che a farsi, mi sembra.

  24. Sono d’accordo con Tassinari e con Paoloni quando fanno notare che quelle immagini sono razziste, o “sanno” molto di razzismo. E che la libertà di espressione, anche da noi, ha sempre avuto due margini precisi: uno legale, l’altro dell’opinione pubblica. Quindi lo stesso concetto di libertà d’espressione implica già dei limiti di essa. Altrimenti questa libertà non sarebbe neanche percepita. Nessuno parla di libertà di respirare.

    Poi di nuovo c’è una questione di contesto: chi le pubblica, con quale intento? E su questo Marco Rovelli ha detto nel suo blog cose giuste.

    Quindi non è vero che la “satira fa semplicemente quel cazzo che gli pare”.
    Anche qui qualcuno ha domandato ma la satira di “regime” è ancora satira? Ne dubito. La satira ha sempre irriso l’arroganza del potere, non si è mai scatenata sui deboli. (Vauro dice: la satira serve a “sgonfiare”, non ha mostrare i muscoli.) E quando lo fa, perde quasi subito la sua legittimità di genere. Certo, esiste satira classista nelle società classiste. Come esiste satira razzista nelle società razziste. E’ questo allora il nostro caso?

    Invece: “il dileggio di ogni simbolo”, mi sembra tutt’altra preoccupazione, ed espressa cosi mi sembra un generico lamento conservatore.

  25. Penso che l’unico modo per esercitare criticità sia assolutamente evitare di dare credito e attenzione alle grancasse mediatiche.
    Anche perchè il controllo sociale passa necessariamente dal controllo mediatico e dal suo condizionamento.
    Se la rete risponde passivamente a questo progetto, non ha senso il suo esistere.

  26. La diffamazione ha per oggetto una persona fisica (come diceva Di Pietro: nata il…?), e la legge sulla diffamazione regola il rapporto privato tra due individui. Il razzismo ha a che fare con idee, concetti, astrazioni: nel senso che io sono meridionale perché sono nato a sud di Roma, dire che la mia individualità si risolve nella generalizzazione “Terrone” (“voi terroni”) è comunque discutibile (in certi stereotipi del “meridionale” mi ci posso anche riconoscere, o magari a qualche nato al sud che non si sente “meridionale” l’epiteto “terrone” non dà fastidio). “Ebreo” può essere un insulto? Hannah Arendt fu accusata di antisemitismo per il suo libro sul processo Eichmann, e Spielberg ha ricevuto offese simili per “Munich”. Il semplice accostare “nazismo” ed “ebraismo” è costato caro a Sabina Guzzanti: ma la Arendt ed Albert Einstein (ed altri noti intellettuali ebraici), in nome dell’ebraismo, diedero nel 1948 del “nazista” a un movimento politico i cui capi (Begin e Shamir) divennero in seguito Primi Ministri. Dove finisce la libertà di espressione, allora? Credi davvero che tutto questo sia delimitabile dal diritto? E poi, scusa, perché il fondamento dell’agire dev’essere il diritto? E’ tutt’altro che pacifico, Luca: quantomeno credo tu sappia che non tutti accettano la centralità del diritto.
    Lo so che stiamo discutendo dei massimi sistemi (il che non è un limite): allora facciamolo per davvero. Il diritto, per definizione, è necessariamente universale, molto più di quanto non sia formale. Non si fanno leggi ad personam (niente battute, per favore), l’oggetto del diritto è un’astrazione universale del tipo “tutti gli uomini sono X”. Tu dici che il razzismo è odioso, e sono d’accordo. Ma “odioso” è una reazione emotiva, che può produrre effetti concreti come creare un movimento di opinione o indire una manifestazione contro l’odioso Tale o l’odiosa tal cosa. Il diritto non regola gli stati emotivi, e deve prescindere da essi. Il diritto, aggiungo, non deve prescrivere comportamenti, ma delimitare la sfeera dell’illecito, lasciando liberi gli individui di muoversi entro questa sfera (concezione liberale). Ovvero, deve registrare in termini normativi i mutamenti e gli equilibri sociali in atto (concezione marxista). Tutt’al più una Costituzione può indicare un orizzonte come obiettivo (l’eguaglianza attraverso il lavoro indicata dalla Costituzione del ’48). Il limite (il discrimine) sulla libertà di espressione è la persona fisica, o giuridica, cioè la diffamazione. Quindi il diritto lascia sussistere molti comportamenti “odiosi”, compreso lo sfruttamento di classe (quella cosa che si chiama estorsione del plusvalore). Certo, si può pensare che una diversa sensibilità sociale possa introdurre nuovi reati che oggi non sono definiti come tali: ma io preferisco lavorare per una diversa sensibilità sociale che riduca il numero dei reati (come negli anni ’60 rispetto all’offesa alla pubblica morale, all’abbandono del tetto coniugale, ecc.). Anche perché non dimentico che una delle più gravi persecuzioni giudiziarie dell’Italia contemporanea, nota come “caso 7 aprile” (non importa cosa ciascuno di noi pensa delle vittime di quel processo: sono stati quasi tutti assolti dalla quasi totalità dei capi di imputazione, dopo 5 anni di galera preventiva senza risarcimento), era fondata sulla deduzione di comportamenti criminosi dalla lettura di libri e riviste discutibili o no nei contenuti, ma che sempre carta stampata, e non piombo, erano. Ecco perché continuo a chiedermi, ogni volta che qualcuno propone di istituire un nuovo reato: chi potrà usarlo, oggi? E domani? Lo potranno usare contro di me? Quindi, anche se mi fa schifo vedere le bandiere di Forza Nuova (infatti ci ho scritto sopra) e le vignette razzistiche e i giornali razzistici, non invoco la censura. Mi fa più schifo, per altro, l’indifferenza con la quale sono tollerate.

  27. girolamo, il diritto legifera in base a criteri universali, ovvero prescrive (o almeno intende prescrivere) norme valide per tutti i membri di una comunità. Non si possono fare leggi ad personam. Sono d’accordo e non faccio battute.

    Però a me sembra di ricordare (ma confesso che i miei manuali di diritto sono alquanto polverosi) che il diritto civile regola i rapporti fra individui, mentre il diritto penale regola i rapporti fra individuo e comunità (Stato). In altre parole, in sede penale si giudica il danno che un individuo ha arrecato all’intera società, non quello che ha arrecato a singoli individui. In sede penale, per esempio, i parenti di una persona uccisa non possono rivalersi dei danni materiali derivanti dall’omicidio. In sede penale l’accusa rappresenta lo Stato, non un singolo cittadino.

    Tutto questo pippone per dire che (posto che non stia prendendo granchi clamorosi), il diritto penale stabilisce quali sono i comportamenti individuali che danneggiano lo stato. Come tu giustamente dici, il diritto non deve prescrivere comportamenti, ma credo che saresti d’accordo nel dire che il diritto (penale) non fa altro che vietare determinati comportamenti. Il diritto, per dirlo con una battuta, stabilisce una morale negativa (non uccidere, non rubare, non calunniare, ecc.), ma non può stabilire una morale positiva (stai composto a tavola, fai le carezze al cane tutti i giorni, aiuta chi soffre, ecc.)

    Ebbene, io credo che i comportamenti razzisti siano dannosi per tutta la società, e che quindi possono essere oggetto di diritto penale. Certo, come dicevo, tocca definire per bene questi comportamenti, proprio per evitare abusi e interpretazioni faziose, e credo che lo si possa fare solo se a monte di tutto c’è una definizione condivisa del ‘concetto astratto’ di razzismo.

    Tu sottolinei giustamente i rischi di abuso e sopruso che una norma del genere potrebbe comportare. Io chiedo di riflettere sui rischi di abuso e sopruso associati alla mancanza di norme.

    I leghisti hanno ottenuto quello che chiedevano da tempo: la cancellazione dei reati di opinione. Tu ti chiedi a buon diritto chi potrebbe abusare di una norma restrittiva in materia di razzismo. Io mi chiedo (spero con pari diritto) che uso faranno Bossi, Borghezio, Calderoli e simili della possibilità di insultare liberamente le minoranze.

  28. Faccio notare a Tassinari che l’espressione giusta non è: “La satira fa quello che le pare”, bensì: “La satira fa quel cazzo che le pare”. Differenza non da poco, e molto importante, che dimostra che Tassinari non ha colto niente della lezione luttazziana. E infatti, poi si domanda: “la satira può essere razzista?”. Domanda inutile, perché la satira DEVE esserlo – ANCHE razzista. Quando Gulliver piscia sul palazzo del governo in fiamme di Lilliput, seminando il panico (e il sollievo a un tempo) tra quel popolo minuto e indifeso, ecco che ci mostra l’effetto della satira vera e potente: sconvolgere dalle fondamenta la morale, la legge e tutto ciò che ne segue: razze, storie, concenzioni, etc. Anche l’antirazzismo, in fondo, è una visione occidentale di certi problemi, e finisce, poi, per nascondere lo spirito reazionario e censorio che vorrebbe castigare. Laddove la satira tutto stravolge e predica, il bene e il male, e dovrebbe essere giudicata come Flannery O’Connor voleva che fossero giudicati i suoi racconti: con senso morale relativamente a storia e personaggi (il cosiddetto valore artistico), non relativamente alle proprie convinzioni. Altrimenti “va a finire (sempre la O’Connor) che, come fanno certi critici, si finisce per vedere l’orrore sbagliato, non quello che veramente bisogna vedere”.

  29. Sì, sì, sì, Carlo!
    E anche Girolamo.

    “Comportamenti individuali che danneggiano lo stato”? E perché, perché no, spiegatemi perché “lo Stato” è sempre “il bene”, cazzo. Ma chi minchia l’ha detto? Perché tutto si discute e quello è sempre un assioma indiscutibile?

  30. Ma siccome il discorso ha una piega politica più che beneficamente filosofica:
    Essere (non dirò: voler per forza essere, o mostrarsi, che è cosa diversissima) “di sinistra” non vuol dire combattere le destre: ma vuol dire esserlo, e basta, qualsiasi stronzata indegna di attenzione facciano “gli altri”.
    Inoltre, fra le altre, tantissime, cose, vuol dire esser (gli unici) “veri” tolleranti, avere la forza (sì, proprio la forza) di riconoscere, giammai “le ragioni” degli altri, ma il diritto di tutti a dire ciascuno eventualmente anche la sua stronzata quotidiana. Sì! Assolutamente.
    Tutto ciò naturalmente lo dico fingendo che “il valore” sia esser di sinistra: io lo sono ma, o forse soprattutto grazie al fatto di sapere che, “sinistra” non è parola che “in sé” debba valere più che “stato”, o “bibbia”, o per farla breve qualsiasi termine di appartenenza.
    Dentro ogni “vestito”, bisogna vedere che cazzo ci mettiam dentro.

  31. Carlo Afeltra, la satira non DEVE essere proprio niente, secondo me. Non ha doveri, la satira. Piuttosto abbiamo noi il dovere di distinguere ciò che è satira da ciò che non lo è. E, sempre secondo me, un insulto razzista pronunciato da chi ha potere contro chi non ne ha non è satira, ma sopruso.

    Ale, hai ragione: chi minchia ha detto che lo stato è necessariamente il bene? Io no di certo.

  32. Tu non hai alcun dovere, Tassinari, perché dal momento in cui ti senti in dovere sei già contro la satira, contro la letteartura: perché la satira è il principio della letteratura. Non a caso oggi la letteratura langue, languendo la satira. L'”insulto razzista” non ha niente a che fare con la letteratura né con la satira, ma solo con la stupidità: Di Canio è un imbecille, a differenza di Swift e di Luttazzi. Il razzismo, invece, ha a che fare, eccome!, con la satira, perciò dicevo quello che ho detto. La satira prorompe dall’abisso di noi stessi e va verso l’abisso, senza scuse e senza appigli da scrittori o da moralisti, e, a voler essere estremi, è l’unica, vera, grande esperienza letteraria: uno scrittore che non ha mai scritto satira non so che scrittore sia. Céline l’hai mai letto, Tassinari? E Dante Alighieri? La satira – come la letteratura – fa quel cazzo che le pare.

  33. Carlo Afeltra, quando scrivi «L’”insulto razzista” non ha niente a che fare con la letteratura né con la satira» sono d’accordo con te.

    Potrei essere d’accordo anche quando dici che il razzismo ha a che fare con la satira – se lo dici secondo la nota massima che nulla di umano è alieno all’uomo – e aggiungerei che con la satira hanno a che fare anche i brufoli, l’alluce valgo e la caduta precoce dei capelli.

  34. @Carlo Afeltra
    Magari smetterla di rimproverare questo o quello di avere o non avere letto questo e quell’altro, sarebbe meglio.
    E’ uno dei vizi di NI, questo.
    Sul resto sono d’accordo con te.
    Penso che dici cose importanti.

  35. Ma io non rimprovero nessuno, Tash, meno che mai peché “non ha letto” questo o quello. La cultura tout court mi fa pena. Invece, mettersi a parlare, come Tassinari o Paoloni o altri moralisti d’assalto, di satira e razzismo in epoca moderna senza conoscere le bagatelle celiniane mi sembra un limite culturale, diciamo così, che forse, in questi tempi ipocritamente buonisti, non è male rammentare ai chiacchieroni.

  36. afeltra pensare che non abbiamo letto celine è presunzione.
    ma pensare addirittura che uno non abbia presente, anche senza averlo letto, le bagatelle è pure offensivo.
    Ora non mi verrai a dire che le bagatelle erano satira vero?
    Ad ogni modo mi sembra proprio una cosa, culturalmente, blasfema, tirare fuori celine riguardo a 4 vignette volutamente e rozzamente razziste, e pubblicate provocatoriamente da un giornale che è simile alla padania e che porta avanti un disegno di provocazione razziale proprio come la padania e libero.
    Lascia stare fuori da ‘sta storia celine per favore.
    Ma perchè esagerate sempre? prima la roboante libertà d’espressione in pericolo in occidente, e tutti a difenderla facendo circolare simili orrori, ora addirittura tirare fuori celine, mi sembra un po’ troppo.
    Cercate di fare le pulci ai nostri giornalisti che sono vergognosi e mettono a repentaglio la nostra libertà di cultura e informazione altrochè:
    L’altro giorno uno spocchioso giornalista traduceva la parola la illah illa Allah come Non Dio ma Allah (come se ci fossero due dio: il nostro e il loro)
    Eccolo il RAZZISMO pensare che si possa tradurre in quella maniera faziosa una frase sacra per più di un miliardo di persone.
    L’ignoranza dei nostri giornalisti è razzista altro che storie.

    Per la precisione
    la illah illa Allah = Nessuna divinità solo Dio (nessuna divinità all’infuori di Dio) che equivale al biblico Non avrai altro Dio all’infuori di me.
    La = no
    Illah = divinità (pagane adorate all’epoca di Maometto).
    Illa =solo
    Allah = Dio.

  37. Georgia, io non l’ho neanche viste quelle vignette e non mi interessa vederle né conoscere il giornalsita che le ha pubblicate, ho altro da fare, per fortuna. Io parlavo della satira in generale e come genere, visto che come tale è stata tirata in ballo dai qui presenti chiacchieroni – che, ribadisco, sono sicuro nemmeno sanno dell’esistenza delle bagatelle di Céline (altrimenti avrebbero replicato a tono). Céline, poi, perché dovrei tenerlo fuori, fammi capire? Céline è alla base di qualsiasi discorso letterario serio e satirico moderno, perché nelle Bagatelle si è messo in gioco per intero, fantasmi compresi, carne e sangue compresi – il coraggio di sputtanarsi senza remore, di sputare veleno che diventa poesia senza preoccupazioni da uomo civile o benpensante. Per me è il più alto esempio di satira e di letteratura del novecento (e se vuoi le coordinate storiche, ti basti ricordare quell’epigrafe in cui si paragona a Rabelais, maestro e inventore della comicità moderna europea). Se poi tu, quando parli di satira o quando qualcuno parla di satira, pensi solo alle vignette o ai vignettisti dei giornali, questo non è un problema mio, ma tuo. Per la precisione, un problema di vedute ristrette.

  38. e bravo!
    esiste un problema reale ORA QUI, un problema di razzismo, e a questo si riferiva tassinari, che chiami chiacchierone (ma guarda se mi tocca difendere tassinari) e tu dici che bisogna generalizzare, parlare d’altro?
    Nessuno parlava di satira in generale altrimenti avremmo tirato in ballo anche berlusconi e il ripulisti che ha fatto alla rai;-)
    Va beh fai come se non ti avessi risposto, in fondo credo sia stata solo una perdita di tempo.
    geo

  39. Mi ero riproposto di non rispondere ai commenti spocchiosi e aggressivi ma, inserendomi tra quelli che non conoscono Céline, Afeltra ha toccato un punto interessante. Perché è proprio pensando a Céline che scrivevo. Mi sono sempre chiesto – mai soddisfatto dalle disparate, imbarazzate, evasive spiegazioni fornite dai critici – come fa un uomo di pensiero a scrivere le Bagattelle. Ma Céline – che non amo – non poteva che portare all’estremo in quel modo la sua natura – o la sua posa – da bilioso. Mi è più difficile comprendere Pound, culturalmente ben più ricco, più “impastato”, pronto ad accogliere e sviscerare ogni civiltà, ogni influsso. Se mai la multiculturalità si è incarnata, lo ha fatto in quel poeta. Eppure solo appellandosi alla divina follia i suoi amici hanno potuto salvarlo dal capestro. La “follia” della satira, in ogni modo, (ammesso che trasmissioni radiofoniche di propaganda presentate come lezioni di economia) possano considerarsi satira, lo assolve agli occhi di Afeltra. Anche ai miei, in fondo, se solo ci si prende il disturbo di leggermi. Il concetto è: l’arte non può essere ingabbiata. Ma chi decide cosa è arte? Siccome si è tutti artisti, come usava dire decenni fa, chiunque può incitare al massacro? Si possono mettere sullo stesso piano Pound, Céline e un nazi di borgata, che non credo sia amato da qualcuno qui? “Di Canio è un imbecille” decreta Afeltra , quindi lo si può multare (e sanzionare la squadra, far saltare i turni al campo). Ma se Di Canio ci proponesse delle serrate terzine, invece del braccione? E, giacché si è parlato di Dante, restiamo in Toscana: le invettive della Fallaci sono meno “artistiche” delle vignette? Dal punto di vista della qualità della lingua, della vigoria pamphlettistica, sicuramente no. Dobbiamo venerarla come veneriamo Céline e propugnare la diffusione dei suoi scritti?

  40. Georgia, il “problema di razzismo” lasciamolo alla polizia, non ti pare? Io quando scrivo, scrivo e basta, e posso anche chiamare porco un ebreo o un negro se l’insulto è inserito in una “forma letteraria” che lo giustifica – e le forme letterarie vanno giudicate per quello che sono, non per “idee” personali, anagrafiche, d’autore, e bla bla bla. Lo so che è difficile da spiegare, e forse io non sono bravo, ma il senso della letteratura, secondo me, sta tutto qua, e sta tutto qua anche il modo assolutamente nuovo in cui è intesa oggi nelle moderne società occidentali, per le quali conta innanzitutto il riferimento autoriale (e quindi le idee su questo e su quello, ecc), poi la forza creativa – contano prima le opinioni dell’autore e poi le sue specifiche capacità letterarie. Questo è un nodo centrale, che bisognerebbe imparare a riflettere. Ho citato la O’Connor, sopra, della quale ho letto delle lettere di una lucidità incredibile intorno a questi problemi della cosiddetta autonomia dell’arte, della quale gli intellettualoni son bravi solo a riempirsi la bocca, pronti come sono a sostituirla subito, al momento di mostrare la propria nobilitade, con la loro prurigine moralistica.
    Poi. Io non dico di generalizzare, ma di parlare intorno a un “genere” in maniera “generale”, come ha fatto Tassinari (vedi sopra le varie domande intorno alla stira: “la satira deve essere questo, deve essere quello…”, eccetera), al quale io rispondo per le rime.
    A Paoloni non vale nemmeno la pena replicare perché si vede che è un gazzettiere e ragiona e parla per superficializzazioni tipo “il bilioso Céline”, e così via. Cosa dire? Cosa rispondere a uno che confonde il genere dell’invettiva con le porcherie (quelle sì, biliosissime) della Fallaci? Ah, povera Italia! Magari Di Canio fosse capace di terzine! Certo che sarebbe diverso! Eccome! Ma il fatto è che Di Canio sa solo alzare il braccio, Paoloni caro, te ne sei accorto o no?

  41. l’utilizzo paravento di Céline, perché ha scritto le Bagatelle è desueto (invoco una pubblicazione accessibile di tutti i libelli di Céline, almeno quanto il Mein Kampf curato da Giorgio Galli, che esiste), secondo me, e magari mi sbaglio, per un paragone simile Dio potrebbe essere discolpato in ogni attimo di tutte le malefatte del creato, solo perché una volta nella sua esistenza ha dato vita al mondo

  42. Carlo Afeltra, le bagattelle celiniane sono un pamphlet, non un’opera d’arte. Non sono opera d’invenzione, ma l’esposizione diretta delle idee e delle opinioni di Louis Ferdinand Céline. E sono una porcata antisemita, secondo il parere di molti autorevoli scrittori e critici. Potresti per esempio dare un’occhiata al parere del noto reazionario filoberlusconiano Valerio Evangelisti, che trovi qui: http://www.carmillaonline.com/archives/2005/10/001530.html#001530.

    A parte questo è evidente che per decidere se le vignette danesi godono dei privilegi dell’espressione artistica, tocca stabilire se sono arte o no, se sono satira o no. E per deciderlo tocca mettersi d’accordo su cosa è arte e su cosa è satira. Ma tu dici che quelle vignette non le hai mai viste. Peccato, perché è di quello che si stava parlando qui.

  43. Ora Tassinari ci spiega Céline, molto bene! Molto, molto bene! E si fa aiutare nientepopodimeno che da un certo Signor Evangelisti, studioso delle lettere francesi. Molto bene! Ma sapete, in relatà, perché cita Evangelisti, il nostro Tassinari? Lo sapete? Perché se mettete in GOOGLE le parole BAGATELLE-CELINE, la QUARTA COSA che salta fuori è appunto quella specie di testicolo di Evangelisti. Tassinari prende la QUARTA COSA da GOOGLE perché la prima è in francece (e lui non la capisce) e le altre due sono citazioni fuggevoli da articoli biografici. Ah, i tempi felici di internet e di google! Tutto il sapere qui, sotto il ditino, pronto a esser ingurgitato e ricacato in forma di opinione da strapazzo! Eh, già! Perché ora la differenza tra “pamphlet” e “arte” ce la insegnano Tassinari ed Evangelisti con il supporto di google, e sempre loro medesimi stabiliranno – senza aver mai letto che poche righe a caso di libri e libroni – cosa è arte e cosa no, cosa va sdoganato e cosa no, cosa è bello e cosa no…
    Tassinari, ascolta: io, come ho già precisato, ho parlato di satira in generale perché tu, a un certo momento, hai cominciato a farti le domande profonde (e generali) tipo: “che cos’è la satira?”, “la satira è razzista?”, ecc. E io sono intervenuto su quelle domande, non sulle vignette, offrendo delle risposte plausibili e citando autori e argomenti che conosco e che ho letto, a differenza di te, che pensi che per poter parlare con coerenza di qualcosa basti fare una ricerchina con Google. Questa superficialità è abominevole, e fa l’esatto paio sia con il citazionismo da bottega di Evangelisti (che ha liquidato Céline in quattro parole: “250 pagine tutte così…” – come dire che la Divina Commedia sono diecimila versi tutti uguali…), che con il vostro antirazzismo opportunista.

  44. Carlo Afeltra, ricomponiti su. Il commento di Evangelisti sulle bagattelle è cosa nota da mesi. Pensa che ne è seguito un interessante dibattito su Lipperatura, nel quale troverai anche miei commenti, a riprova del fatto che non ho bisogno di google per parlarne.

    Comunque per me basta così. Se hai voglia di discutere, bene. Se hai voglia di litigare, mi dispiace, ma ho cose più interessanti da fare.

  45. Mi immagino il gran dibattito su Lipperatura intorno a Céline tra te, Evangelisti e chissà quali altri luminari… Fai bene, va’ pure a fare le tue cose più interessanti – vai a studiare un po’… vai…

  46. A proposito di leggi e blasfemia ecco cosa è accaduto recentemente in Inghilterra:

    La Repubblica

    Religioni il diritto alla libertà di parola
    salman rushdie
    14-02-2006

    CONCEDETEMI per favore, in questo periodo tormentato, di assaporare per un attimo una vittoria di stretta misura ma importantissima per la libertà di parola. Dopo una lunga campagna che ha visto il Pen, l´associazione degli scrittori, sotto la guida di Lisa Appignanesi assieme ai suoi alleati in entrambe le camere del parlamento britannico e ad un nutrito gruppo di personaggi del mondo dell´arte, tra cui il commediografo Rowan Atkinson e il direttore del National Theatre Nicholas Hytner, contrapporsi al governo britannico, tristemente famoso per l´ostinatezza con cui rifiuta di capire le tesi altrui, l´esito definitivo del voto alla Camera dei Comuni è andato a favore della nostra istanza. Le due votazioni tenutesi ai Comuni la settimana scorsa, che inseriscono nel disegno di legge sull´odio razziale e religioso emendamenti volti a rafforzare la tutela della libertà di espressione e a abrogare i reati di oltraggio, ingiuria e condotta imprudente rappresentano un trionfo delle libertà democratiche sull´opportunismo politico. L´esito è stato descritto dalla stampa per lo più come uno smacco per il primo ministro Tony Blair, assente in aula mentre il suo governo veniva battuto per un voto, sconfitta che la sua presenza avrebbe potuto evitare. Per quanto si sia tentati di godere delle disgrazie altrui, questa versione dei fatti non coglie il principio in gioco. Che il governo non abbia colto il punto non sorprende. Concedendo suo malgrado che il disegno di legge emendato diventi legge, il governo ha ammesso di aver imparato una sola lezione dalla propria sconfitta. Cioè che il primo ministro probabilmente farebbe meglio a stare inchiodato al suo posto quando la sua prossima controversa proposta, sull´istruzione ad esempio, sarà messa al voto. E forse davvero dovrebbe farlo. Dopo il voto ai Comuni Hanif Kureishi ha definito l´esito «una grande vittoria ottenuta dagli scrittori e dagli intellettuali unendo le forze». Philip Pullman ha evidenziato la necessità di vigilare costantemente. Atkinson ottimisticamente lo considera un risultato che premia tutti. Hanno ragione tutti, in modi diversi, ma Pullman è quello che più si avvicina alla verità: «Quelli che giudicano la libertà un lusso molle… torneranno un giorno da un´altra direzione per distruggerla», ha detto. «Quelli di noi che sanno che è una dura necessità devono essere pronti ad accoglierli». Il mio stato d´animo a caldo, subito dopo il voto, era di gratitudine per il sistema parlamentare in cui i membri della Camera dei Lord hanno combattuto una grande battaglia e alla fine un numero sufficiente di membri dei Comuni si è persuaso ad unirsi a loro. A freddo però la sensazione che predomina in me è di immenso sollievo. Abbiamo vinto per un pelo e se i capigruppo del Labour avessero fatto meglio il loro lavoro oggi non ci troveremmo nella posizione in cui ci troviamo. In un paese privo di costituzione scritta, tuttavia, l´atto sull´odio razziale e religioso emendato fornisce ora una formulazione giuridicamente vincolante, estremamente ampia e profonda, della libertà di parola in Gran Bretagna. A meno che non sia dimostrabile l´intenzione di suscitare l´odio i cittadini britannici hanno ora il diritto riconosciuto dalla legge di esprimere le loro opinioni, indipendentemente dalla misura in cui esse possano risultare offensive per altre persone. Il cosiddetto “diritto a non essere offesi” che non è mai realmente esistito, è stato abrogato per legge. Può darsi che la Gran Bretagna, quasi per caso, abbia acquisito qualcosa di molto simile ad un suo Primo Emendamento, uno sviluppo inatteso che potrebbe rivelarsi la cosa più valida emersa da questa lunga e talvolta amara lotta. Il progetto di legge era chiaramente concepito come tentativo di placare i musulmani britannici allontanatisi dal partito laburista perché aveva appoggiato la politica del presidente George W. Bush sull´Iraq, ma anche alcuni musulmani sono giunti alla conclusione di non desiderare la presunta tutela di questa legge, che poteva finire per limitare impropriamente la loro libertà di espressione. Un governo guidato da un leader “credente” come Blair cercherà sempre istintivamente di pacificare le fazioni religiose. Tuttavia è possibile che il governo, ricorrendo al genere di politica di tutela delle minoranze che ha tormentato la scena politica indiana, abbia perso il passo con i britannici. È forse il momento di prendere l´iniziativa, in poche parole. Hytner ha già suonato la prima nota di una nuova campagna. «Il governo dovrebbe ora mostrarsi all´altezza della situazione», dice, «e dimostrare la sua dichiarata opposizione alla discriminazione religiosa abrogando le leggi sulla blasfemia». Da come si sono inchinati alla religione sia Blair che il ministro degli esteri Jack Straw non si direbbe, ma una delle caratteristiche più accattivanti della vita nella Gran Bretagna contemporanea è che, fatta eccezione per la minoranza musulmana, i britannici sono diventati un popolo fortemente laico, nella cui visione del mondo la fede religiosa non gioca un ruolo ampio o centrale. Il concetto che sia ancora possibile essere incarcerati per blasfemia contro la Chiesa d´Inghilterra è una risibile assurdità per gran parte dei cittadini del paese dei Monty Python. Il fatto che questa tutela si applichi solo alla cristianità è una chiara anomalia e altre confessioni religiose sono solite esigere pari tutela. Un´ampia maggioranza di britannici, immagino, sarebbe d´accordo a rovesciare i termini della questione: la soluzione ovvia è pari assenza di tutela per tutti. Ora che abbiamo assistito al lieto fine, relativo, dei tre distinti tentativi del governo britannico di far approvare varie versioni di quello che è divenuto il disegno di legge sull´odio razziale e religioso, senza che il governo apparentemente si sia reso conto del danno che esso poteva arrecare alla libertà di parola in Gran Bretagna, come sarebbe bello vedere che il New Labour, con tutti i suoi discorsi sulla modernizzazione del paese, facesse qualcosa che renda realmente più moderna la Gran Bretagna. Che ne dice Mr. Blair? Dopo tutto, come è scritto su una maglietta inviatami a suo tempo da un sostenitore, «la blasfemia è un reato senza vittime». (Traduzione di Emilia Benghi)

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