Il marito in arrivo

di Franz Krauspenhaar

RitterDeneVoss64.jpgQuando Riccardo fu di fronte a Marica detta con la kappa Marika le mise le mani dietro, sul sedere, e strinse forte, perché sapeva bene che a lei piaceva quella mossa di riscaldamento da giocatore esperto dell’ammore. Piaceva anche a lui, soprattutto quando fuori pioveva ed era sabato pomeriggio; infatti si ricordava bene di quella commedia di Thomas Bernhard, all’ultima battuta la vecchia sorella che dice al fratello incestuoso col nome da filosofo – venuto in visita nella casa di famiglia dal manicomio di Steinhof – una frase che fa più o meno così: “… ed è così bello stare a letto il sabato pomeriggio quando fuori piove”; e il messaggio della battuta è chiarissimo, così che Riccardo pensò quasi di dirla come a teatro mentre strizzava il sedere di Marica detta Marika, ma poi desistette perché pensava ad andare avanti e sempre più a fondo, e così l’eccitazione per fortuna gli fece dimenticare Thomas Bernhard e il trio di fratelli incestuosi di Ritter, Dene, Voss.

Si spogliarono mentre fuori dall’appartamento un lungo e squarciante tuono corredato da fulmini a momenti sembrò spezzare la città in due tronconi di grigio lurido, due pezzi enormi e municipali di Sodoma & Gomorra ultima versione.
Mentre facevano l’amore nei finesettimana Marika e Riccardo parlavano a volte fittamente, forse anche per coprire un silenzio imbarazzante e tombolante, ma non soltanto; c’era soprattutto che a loro due piaceva intensamente impersonare delle scene quasi teatrali torno torno e durante il coito; e ora però non c’era nessun silenzio da coprire, perché fuori continuava a tuonare a colpi ravvicinati come nelle lunghe estati calde; e quel pomeriggio Riccardo non trovando niente di nuovo dopo aver rovistato nel loro repertorio d’interpretazioni erotiche si mise a far la solita collaudata scena di essere l’amante di Marika, e lei come al solito stette al gioco con dovizia di particolari e grande partecipazione.

Avevano poco tempo perché Marika come al solito gli disse spogliandosi che nel giro di una mezz’ora suo marito sarebbe rincasato, e allora Riccardo tutto eccitato la prese in velocità subito dopo essersi spogliato e in capo a qualche minuto ebbe finito dopo aver urlato con una certa esagitata violenza – insomma anche in quel momento aveva recitato. Si sdraiò su un fianco e accese una sigaretta ma Marika gli disse che non c’era tempo, “guarda che ora è, disgraziato!” aggiunse come al solito con la bava alla bocca “sei proprio un bambino irresponsabile, mio marito sta arrivando e tu invece di rivestirti e sparire subito ti accendi la tua sigaretta e te ne stai lì come un bonzo tutto soddisfatto; sei proprio un coglione!”, e lui si picchiò una mano sulla fronte con un fare proprio teatrale e per un pelo non fece cadere la sigaretta accesa fra le lenzuola fittamente spiegazzate. Si alzò, si rivestì in fretta e furia e uscì schioccandole un bacio fast food su una guancia, mentre lei all’impiedi di fronte a lui finiva di sistemarsi addosso una vestaglia nera e con la coda dell’occhio esagitato controllava che quello sbadato imbecille non avesse lasciato nella fretta di svignarsela qualcosa di compromettente, tipo il cellulare o il portafoglio o i biglietti della metro, com’era già successo in passato in circostanze simili.
Riccardo uscì di corsa con il cuore che gli batteva in gola caldi rintocchi come se fossero stati suonati dai Goblin in un film di Dario Argento e fece un centinaio di metri fino alla fermata della metro, finché tutta la sua eccitazione si dissolse nel nulla, finendo semplicemente per sentirsi un cretino standard.
Sul vagone si sentì ancora un cretino standard ma anche un povero essere umano solo come un cane – guardava la parata sparsa dei passeggeri e li vedeva come nudi, violati, senza pretese come i personaggi di E non disse nemmeno una parola di Heinrich Boell, scaricati dalla vita in un getto lurido di water, in tutto questo simili a lui; seguiva svariati digrignare di denti e smorfie accese e silenzi piombati e bambini con facce da mostri raffigurati nella sua visione catastrofica peggio che in certi disegni paradossali di Georg Grosz; passò un cieco col piattino seguito da una zingara con un neonato in braccio brutto come una bambola Furga deformata dal fuoco di un incendio che cominciò a litaniare con il solito tono ricattatorio degli zingari: “Buonasera a tuti signori noi familia povera non avere soldi mangiare panolini latte bambino venuti Romania per favore dare picola offerta grazie signori buonasera auguri auguri grazie”, e come al solito al cospetto dei mendicanti Riccardo si toccò la patta dei pantaloni e sbuffò come un montone infuriato e strinse le mascelle per la rabbia, pensando alle roulotte piene di dollari americani di quella gente, immaginò una roulotte immensa dietro a una Mercedes 500 SEL color panna con tanto di cassaforte interna dentro la quale c’erano pile altissime di bigliettoni verdi, di grands. “Pezzi di merda”, sibilò tra sé sperando di essere sentito dai passeggeri che gli stavano vicini mentre la zingara e il cieco uscivano svelti con passo ladresco dalla carrozza e il treno ripartiva.
Scese a una fermata del centro e si mise a pensare a Marika con nostalgia canaglia, fischiettando a condimento il ben noto motivetto di Albano e Romina Power – “stronzi fottuti”, così pensò di loro senza pietà perché “pietà l’è morta”, così pensò a seguire con una nota letteraria che controbilanciò nel suo pensiero – così pensava nel sottofondo della sua mente – la sua decisa discesa accelerata nel kitsch canzonettaro.
Salì le scale dell’uscita e incrociò un tizio che gli assomigliava come una goccia d’acqua, ricevendo da questa fantasmatica visione una specie di iniezione intercostale di adrenalina che lo fece tremare come sotto a una doccia fredda d’acqua sporca. Io sono lui? si chiese partendo per un nero tunnel di angoscia affondato nelle trippe urbane per intestinali chilometri di fango merda piscio sperma sudore e lacrime. O lui è me? Era chiaro ai suoi occhi orripilati che quell’uomo non solo era uguale a lui nelle fattezze fisiche, ma anche nel vestiario.
A debita distanza lo seguì prendere la metro, uscire alla stazione dalla quale lui era partito una mezz’ora prima, fare un breve tratto di strada, entrare nel caseggiato dove abitava lui assieme a Marika, entrare nell’ascensore. Riccardo fece le scale saltando sui gradoni a due a due fino al quinto piano, vide lo sconosciuto uguale a lui ficcare la chiave nella serratura della porta di casa sua – di Riccardo e di Marika – ed entrare; lui fece altrettanto ansimando per lo sforzo dovuto alla salita di scale di pochi attimi prima. Vide bene tutta la scena entrando nella camera da letto: lo sconosciuto uguale a lui faceva finta di essere il marito di Marika (oppure non faceva finta, ero lo stesso, in fondo) e lei fingeva di accoglierlo come una brava moglie (o non lo fingeva, ma anche questo era lo stesso, non cambiava niente); poi lo sconosciuto uguale a lui annusava l’aria della stanza da letto e diceva: “Qualcuno ha fumato, qui dentro: hai cominciato a fumare oggi, a quasi quarant’anni, per caso? Ma non mi dire…”; e lei, che non fumava, visibilmente preoccupata fingeva (o non fingeva) di essere per l’appunto preoccupata e rispondeva come se stesse recitando in una pochade di Feydeau:”Ma certo, caro, ho cominciato a fumare oggi, lo faccio per farti compagnia in tutti i vizi”, e l’uomo uguale a lui trovava la cicca che lui aveva spento poco prima di andarsene, e da fumatore accanito ed esperto guardava appena oltre il filtro e diceva con tono caustico:”Una Marlboro, ah. Hai cominciato dalle Marlboro, brava”, la guardava con uno sguardo investigativo e proseguiva aumentando il volume della sua voce baritonale:”Adesso mi dici chi è stato qui poco fa, chi è il misterioso fumatore di Marlboro”, e lei faceva finta (o non faceva finta) di negare, e così ne nasceva una forte lite che copriva i tuoni sempre più rombanti che piombavano addosso a quel silenzio intervallato da quella discussione come bombe al fosforo.
Riccardo guardando quella scena si rese conto di non essere visto, di essere divenuto invisibile come un fantasma, si sentì sparire nel nulla. E mentre il litigio aumentava sempre più d’intensità e diventava drammatico – e lui si sentiva arrivare dentro, da lontano, la minaccia di un gesto irreparabile che sarebbe stato compiuto di lì a poco – cercò di richiamare l’attenzione dei due tentando di gridare; ma dalla sua bocca di fantasma non uscì alcun suono. E mentre si disperava completamente, provava un’acutissima fitta di gelosia nei confronti di sua moglie mista a una tremenda pena per quell’uomo uguale a lui, al quale Marika stava fingendo di confessare (o non lo stava fingendo, questo, tanto era lo stesso) che si, poco prima che lui fosse arrivato a casa, su quel letto che stava loro di fronte come un minaccioso monito, lei aveva fatto l’amore con il suo amante.

(Foto: una scena da “Ritter, Dene, Voss” di Thomas Bernhard – fonte www.berliner-ensemble.de)

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12 Commenti

  1. Il Sabato pomeriggio è sempre foriero di fantasie… E’ meglio della notte, perché più rubato, clandestino, bizzoso, veloce, ragazzino, monello. Il sabato dopo pranzo ha le endorfine del relax e del primo gioco, oltre che godere di “energie” notoriamente più solide. Non cambierei mai una lunga notte ordinaria con un breve sabato pomeriggio monellissimo. (Ciao, Franz)

  2. Ma che bello. Mi piacciono sempre i tuoi racconti Franz.
    Leggerlo così, come prima cosa del mattino mi servirà per rimpiazzare il sogno di questa note che invece preferirei dimenticare. Grazie

  3. Caro nipote, da semplice lettore (ma il mondo è dei semplici, come del resto l’orto): questo ha una marcia in più rispetto all’altro che esce/entra dallo psicologo. Quello infatti era un apologo, questo è teatro. La buonanima del tuo nonno americano lo chiamerebbe fiera IL TEATRO NATURALE DELLA BARONA.
    Mi raccomando, continua a comportarti bene.
    zio db

  4. Identificazione col padre, gelosia da rivale, scena edipica primitiva, Io elastico e suddiviso, quel bendetto ineludibile treno. Molteplici e interessanti temi per un racconto istruttivo.

  5. caro Franz,
    sei stato bravissimo, ottimo:
    la tensione e poi l’angoscia salgono fino alla fine montando.
    Qui oltre tutto sei al tuo meglio introspettivo.
    Mi è piaciuto per di più il continuo rimando a libri, pitture, immagini, deja vu,
    bravo
    hurrà
    Mario Bianco ben felice di rileggerti

  6. Ma no… sei in grande forma…! sono io un pò patetico… lacrimevole…
    and

    E il miglior (futuro) romanzo nero dell’anno come sta? quando lo fai uscire?

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