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IN-SEGNARE 4

Pubblico, dopo un po’ di intervallo, la quarta rata della conversazione con Tina Nastasi sull’insegnamento nelle nostre scuole secondarie, e non solo.
CaraTina,

la tua ultima risposta tocca talmente tante zone della problematica dell’insegnamento, che è difficile scegliere a quale abbandonarsi. Io sceglierò qualcosa che tu non tratti esplicitamente, ma che, qua e là, mi pare percorra il sottosuolo anche di quel che scrivi tu.

E sarebbe il rapporto con i “classici”.

Mettiamo, per nostra occidentale semplificazione, che i classici da noi comincino da Omero e da Talete, per quel che se ne sa, sul versante di una cosciente investigazione sulla natura. Sono passati tre millenni da Omero e un po’ meno da Talete. Gente che scrive bene e che bene investiga la natura ce n’è sempre stata e si spera ce ne continui a essere. Se si va avanti così, le cose che il povero studente dovrà imparare aumenteranno sempre. Naturalmente lo stesso discorso vale per la scienza: ci sono anche i classici della scienza, che vengono letti assai meno, perché gli insegnanti cui nessuno ha dato all’università questa bella abitudine – quella di leggere i classici -, non sono propensi a trasmetterla ai loro discepoli.

Due domande distinte possono essere formulate:

a. Dove trovare l’equilibrio tra le letture classiche e quelle dei contemporanei? Cioè, bisogna leggere Omero, Virgilio, Dante, Ariosto, Cervantes, Manzoni, Tolstoj, G. Elliott,Proust, Mann eccetera eccetera, ma anche Calvino e … non faccio nomi di autori contemporanei perché sono tanti e poi, su questo blog, mica m’azzardo.., Però, come trovare quanto e quanto, mica si possono saltare tutti i vecchi, anche perché i nuovi sono figli loro, o no?

b. Ma andando avanti, bisognerà almeno non aumentare a dismisura il numero di letture “obbligatorie”, quindi occorrerà restringere la scelta, almeno del passato, assottigliare, ridurre all’essenziale, chissà cos’è l’essenziale, certo non possiamo stabilire adesso i criteri del futuro, tuttavia temo che siano ormai criteri del presente. Per gli studenti di oggi Montale è quel che era per me Verga cinquant’anni fa, uno del secolo scorso; mentre per me Montale era strettamente contemporaneo.

La situazione per la scienza è diversa perché, come dicevo, i classici neppure vengono letti, sempre con le poche lodevoli eccezioni, ma un problema rimane: dovremo continuare a studiare la fisica classica per quanto tempo?

Caro Antonello,

questa mia risposta è molto sofferta. Discorrere di letteratura, discernere ciò che è da considerare “un classico” da ciò che nasce da un puro esercizio di stile, scegliere una rosa di classici da “somministrare” ai discenti, avere il coraggio di ignorare autori che pure si sono sempre letti (guai a non leggerli!) e il talento o l’ingegno di farli parlare comunque, attraverso altro, e ancora, vincere il senso d’inadeguatezza che mi coglie appena considero, e la questione lo impone, quanto poco ho letto nella mia vita, pur non avendo fatto altro che leggere… Mi chiedi di guardarmi allo specchio della mia sensibilità e umanità, della mia cultura. E non posso che sentirmi una povera donna sulla quale il tempo passa, troppo spesso in modo ozioso. Ma tant’è, questo è il mio tempo e ne devo disporre a piacere e, per piacere, ogni tanto leggere qualche riga, scritta per una donna del mio tempo, e poi averne noia e cercare altro, di antico e sconosciuto, a volte inquietante: un titolo che invita imperioso alla reverenza, una mole di pagine che sfida a raggiungere la cime, un libro caro a qualcuno che ami come un maestro caro.

Considero “classico” ogni testo che anima e anima di nuovo le parole dell’umanità, che solleva i veli che resistono alla spiegazione e all’abitudine della quotidianità. “Poche ma sentite parole”, così salutava per congedarsi il caro vicario della prima scuola in cui ho insegnato, a Palermo, Brancaccio. E quelle di un classico sono pur sempre poche parole, al cospetto di quelle dell’umanità intera, ma quanto sentite.

Leggere un classico è questione di libertà e disciplina. Sono, queste ultime, qualità che si acquistano con l’esercizio della fatica, della sensibilità e dell’intelletto: credo sia questo alla radice di quello che tutti chiamano “cultura”. Non ho letto i classici che mi propinavano, più spesso che no senza amore, i professori al liceo e all’università e li ho studiati distrattamente, dissacrandoli. Ma si possono “studiare” i classici, se poi qualcuno t’interroga sul loro significato più profondo? E’ come chiedere a qualcuno di specchiarsi nudo in pubblico: un atto decisamente poco elegante. Nulla a che vedere con quell’atto pudico che è lo scrivere.

L’atto più libero che ricordo dell’età della mia adolescenza è stato quello di intrufolarmi nella muffa del collegio gesuita, architettonico prolungamento delle aule storiche del mio liceo, verso il quale spingevamo le nostre chiacchiere, bivaccando sulla finestra dei bagni femminili, e riesumare da quella balena dal ventre erudito e libresco uno dei Nietzsche intravisti nell’ora di storia della filosofia: ogni volta il gusto povero e perverso di sfogliare e leggere paragrafi a caso, poi chiuderlo e riaprirlo e leggere, e saltare, ancora a caso. Quante probabilità ci sono che una scimmia digiti per caso l’intera Commedia di Dante? Le stesse che io capissi gli scritti di quel filosofo: Allora ignoravo la gravità di questo fatto.

L’atto più disciplinato che sapevo fu all’epoca quello di ascoltare con autentico rispetto le parole del mio professore di filosofia quando mi consigliò di leggere I demoni di Dostojevski. Non me ne lesse mai un passo, ma ricordo bene i suoi gesti e il suo sguardo: dicevano in totale accordo con le parole “E’ importante che tu lo faccia!”. Quei demoni abitano la mia libreria e mi aspettano con la pazienza che insegna il trascorrere degli anni: Quanto a me, temo il momento in cui deciderò di leggerli fino all’ultima goccia.

Quali classici scegliere, chiedi. Si sommano a quale ritmo?

Credo sinceramente che gli scritti di Dante siano irrinunciabili tanto quanto quelli di Borges, Musil o Bruno. E’ un bene che il loro numero cresca fino a che la mente dell’uomo sia incapace di concepirli tutti insieme: prova provata che nell’universo ci sono più stelle di quante si possa immaginarne, che il singolo è, solo, un povero ignorante e che l’idealità monoteista è pericolosa e funesta. Immagino che tutti i classici dell’umanità presente, passata e futura siano quell’affascinante e misterioso libro di sabbia descritto da Borges, un gioco straordinario e puro, infantile e perenne che è difficile smettere di giocare.

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5 Commenti

  1. Cara Tina, ho letto da poco anche le tre parti precedenti della tua intervista, e ricordo soprattutto il tuo puro socratismo. Questo dovrebbe aiutare anche sul problema dei classici, a non lasciarsi scoraggiare dalla vastità. Io direi così, riferito anche e soprattutto all’insegnamento: non importa tanto il cosa e quanto, ma il come. Ad es., se si affronta con gli scolari un libro, è più importante coi ragazzi mostrare loro come noi ragioniamo in atto, e osservare come in atto ragionano loro. Così si affinano le rispettive sensibilità, che poi potranno fruttare nella vita. Cioè in teoria si potrebbe stare anche tutta la vita su un solo libro, senza che debba essere la Bibbia. Classico o no? sul classico si va sicuri: nonostante la fama ecc. siano portatori di equivoci, il tempo è galantuomo, e perciò con ottima probabilità un classico non tradirà. Una prova provata è che a una seconda, terza ecc. lettura, invece di ammosciarsi come certi cd che compriamo entusiasti e poi non ascoltiamo più, si animano di nuova vita.
    Ti do del tu non perché siamo su un blog, ma perché ho visto su google che sei ancora una ragazzina. Sempre che sia tu quella di Ennriques. Vedo qui sopra che non hai ancora letto i Demoni: se frequenterai i blog aperti, ti consiglio vivamente di leggerli, ti saranno molto utile. Nietzsche invece, se non l’hai capito allora, lo capirai meno ancora oggi. Ti do la mia e-mail: se scrivi qualcosa sulla tua esperienza d’insegnante, o di ricercatrice ecc., manda pure, che leggerò di sicuro. E buona fortuna!

    dario.borso@unimi.it

  2. Tina Tina davvero
    effeffe
    ps
    ho avuto la fortuna di tradurre questo libro che è diventato il vademecum degli insegnanti in Francia. procurarselo è difficilissimo ma il tentativo vale davvero davvero la pena
    L’insegnamento dell’ignoranza

    Autore
    Michéa Jean-Claude

    Editore
    Metauro

    Data pub.
    2005

    Pagine
    128 Prezzo
    € 10,00

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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