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Alcune sintetiche affermazioni di Tiziano Sclavi e un lungo sproloquio di Andrea Raos

a proposito del romanzo Non è successo niente (Mondadori, Milano 1998 e ristampe), scritto dal primo dei due.

Andrea Raos. Caro Tiziano Sclavi, ho appena finito di rileggere ancora una volta il tuo Non è successo niente; mi è quindi venuta voglia di farti un paio di domande. E da subito grazie per la disponibilità.

In prima approssimazione, si potrebbe dire che hai scritto un romanzo corale (continuazione, tra l’altro, di un altro tuo libro, Le etichette delle camicie): un certo numero di personaggi, tutti di statuto più o meno equivalente (tutti più o meno “protagonisti”), dànno vita ad un intreccio di storie, parzialmente indipendenti fra loro, ma che poco a poco convergono in un filone unico. Sino ad un finale appeso, letteralmente, a un’unica frase, se non ad un’unica parola. Questa parola regge tutto ciò che precede, in una struttura a imbuto.

Avevo pensato di cominciare riassumendo la trama, ma poi ho deciso di non farlo. Un po’ per non rovinare la sorpresa ad eventuali lettori, un po’ perché, in realtà, la coralità di Non è successo niente deriva anche dal fatto che è un romanzo costituito di inizî di romanzi: romanzi che non riescono a iniziare, romanzi che si rifiutano di continuare, romanzi che in realtà non lo sono perché sconfinano nell’autobiografia, nel diario, nella poesia, nel referto clinico… sono questi frammenti che, affastellandosi, mandano avanti la storia (che in realtà risulta di grande coerenza) ed insomma, un ipotetico riassunto finirebbe col coincidere con il romanzo stesso.

Comunque diciamo almeno che i personaggi principali sono:

“Tiz”, romanziere in crisi, che tenta di scrivere il seguito di Dellamorte Dellamore (che è un altro tuo romanzo – il primo, se non sbaglio);

“Cohan”, romanziere in crisi e afflitto da grave depressione;

“Tom”, sceneggiatore di fumetti, creatore di Daryl Zed (questo dettaglio mi ha molto divertito perché, se non erro, Daryl Zed esiste davvero ed è una testata “concorrente” del tuo Dylan Dog), in crisi ispirativa e alcolizzato;

“Mauro”, sceneggiatore di fumetti afflitto da una fidanzata più che inaffidabile.

Attorno a questi quattro protagonisti si affastella una folla di personaggi minori (fidanzate in crisi anche loro, psichiatri o molto pazzi o molto furbi, avvocati “buoni”, altri creatori di fumetti, donne delle pulizie, amori perduti e/o ritrovati, truffatori…) con una sottotrama (in senso lato) gialla che attraversa più o meno tutti i quattro tronconi. Molto in generale, si potrebbe dire che le trame principali raccontano la “discesa agli inferi” dei quattro protagonisti e la loro più o meno stabile risalita finale, che coincide anche con la risoluzione (anch’essa precaria, aperta) della sottotrama gialla.

Altri cardini del romanzo, meno narrativi ma altrettanto importanti che – in ordine sparso – mi vengono in mente sono:

1. Il tema della “celebrità” (che suppongo essere autobiografico) e delle possibili reazioni ad essa da parte di una persona “normale”. Reazioni di solito, nel libro, disastrose, disastrate e disastranti, che dànno occasione a svariate invettive contro la cosiddetta “società dello spettacolo”, più alcune pagine sul denaro di una violenza e una vivacità davvero giubilatorie;

2. In modo a questo collegato, una sottotraccia politica che avvolge l’insieme del romanzo e conduce a diverse… non direi più nemmeno “invettive”, qui sono vere e proprie deflagrazioni contro il malcostume berlusconiano-leghista (e non solo);

3. Lo scorrere del tempo in tutte le sue implicazioni: storiche, sociologiche (straordinaria una mezza pagina fulminea – e tragicamente esilarante – sull’apparizione dei primi computer) e individuali. Da questo punto di vista, uno studio a parte andrebbe condotto sul tema degli orologi, onnipresenti nel romanzo; ma non ne parlo perché è un argomento complesso, che richiederebbe molto spazio – e che mi obbligherebbe a svelare il finale.

Potresti dirmi qualcosa su come hai concepito la struttura di questo romanzo (anche in rapporto ai tuoi libri precedenti)?

Tiziano Sclavi. La struttura, che sembra una roba complicata, tanto che ci sono all’uopo gli strutturalisti, mi viene naturale. La mia preferita è quella circolare (arrivando al punto di iniziare e finire un romanzo con la stessa parola) ma nel caso delle Etichette delle camicie e di Non è successo niente ho scelto quella episodica di tanti film di Woody Allen. Secondo me è la più adatta per una commedia, per strappare una risata o almeno un sorriso. Che è poi l’unico scopo che mi prefiggevo: scrivere un romanzo “da ridere”. Come vedi non sono molto ambizioso, mi accontento di poco. Se poi qualcuno, come tu hai fatto mi sembra magistralmente, scopre una seconda, una terza, mille altre letture, non posso che esserne felice e lusingato.

Andrea Raos. Un altro aspetto fondamentale di cui non ho ancora parlato è la lingua. Che in Non è successo niente è di una libertà stupefacente. Questa libertà radicale investe tutti i livelli della parola scritta: la grafia delle interiezioni, l’uso delle virgolette e degli accenti, la trascrizione del parlato (per il quale dimostri una “sensibilità dell’ascolto” con pochi paragoni, a mia conoscenza, nella letteratura italiana contemporanea), il cozzo costante dei livelli di lingua e di stile (per maggiori dettagli rimando allo studio di Andrea Neri, La lingua di Tiziano Sclavi ai confini tra fumetto e narrativa, L’Harmattan Italia, 2004). Un vorticare di “alto” e “basso” che è uno dei migliori esempi che conosco (in tempi recenti) di uso politico della lingua e delle forme letterarie (cioè di sovversione di gerarchie date per scontate). E come sempre in questi casi, il massimo della libertà coincide con il massimo rigore: si sente che questa lingua è stata pensata, nei minimi dettagli, per far entrare un po’ d’aria fresca, aprire alla lingua nuove prospettive.

Come ci sei arrivato? Voglio dire: rispetto ai tuoi altri libri, all’esperienza del fumetto (che suppongo centrale, ma mi piacerebbe saperne di più), alla letteratura contemporanea o ad altri eventuali modelli. “Cultura pop”, nel tuo caso, mi sembra un’etichetta troppo facile e automatica per servire davvero a qualcosa. Semmai, vedo uno sguardo capace di prendere la “cultura” dal di fuori, non prigioniero dei piccoli automatismi, degli schemini imparati a scuola, che troppo spesso affliggono l’intellettuale tradizionale; uno sguardo globale che osserva la forma-romanzo come dalla Luna si potrebbe osservare la Terra: vedendo tutto, dunque, e anche al di là.
E alla base di tutto ciò, una qualità “umana” (non mi viene termine migliore) delle più intense, capace di dire la sofferenza (che forse è il vero tema di fondo di Non è successo niente, al di là di quelli che ho citato qui sopra) per ciò che è: qualcosa di essenzialmente non letterario, non scritto, ma che si può e si deve scrivere, trasfigurando la forma e la lingua per adeguarle a ciò che è altro da loro – che in un certo senso esiste contro di loro.
Tiziano, dimmi con parole tue…

Tiziano Sclavi. La lingua, molto più della struttura, è per me fondamentale. È la ricerca più faticosa e lunga (a volte dura molti anni, come nel caso del mio nuovo libro, Il tornado di valle Scuropasso, in uscita il 18 aprile da Mondadori: un romanzo “di fantascienza” piuttosto corto, ma la cui gestazione, proprio a causa della ricerca della lingua, è durata cinque anni). Anche se mi viene l’idea per una bella storia, non la racconto finché (se) non trovo il linguaggio giusto. Al contrario, se ho l’idea della lingua, posso anche mettermi a scrivere a braccio, con solo un vago canovaccio in testa: la storia verrà da sè, sarà la lingua stessa a crearla. Così è stato per Non è successo niente, scritto di getto in poco più di sei mesi. Mi si potrà accusare, visto che cambio quasi sempre, di non avere uno stile (confondendolo a mio parere con il modo in cui lo stile si esprime). Può darsi. A me piace pensare di averne tanti in uno, di dire sempre tutto, appunto, “con parole mie”. Prendi un qualsiasi romanzo: se lo scomponi sempre di più, ti accorgerai a poco a poco che è costruito di frasi e parole fatte. E’ praticamente inevitabile. La mia utopia, ovviamente non realizzabile, o almeno non completamente, è evitare questa trappola (chi ci è mai riuscito? Forse solo Joyce, con il sublime, illeggibile Finnegan’s Wake). Per questo ciò che cerco è il linguaggio, e continuerò a cercarlo. Le storie sono state già tutte scritte, le abbiamo esaurite. Ma la lingua è infinita.

Andrea Raos. Grazie, Tiziano.

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10 Commenti

  1. a me ai tempi era piaciuta molto anche la sua raccolta di poesie. non ricordo il titolo, però ricordo che l’avevo presa in prestito da un mio amico, del tipo prestiti mai restituiti. quella copia però l’ho persa. aspetterò il 18 e il tornado allora.

  2. ma è vero? Sclavi sta per pubblicare un altro libro?

    questa notizia è semplicemente MERAVIGLIOSA!

    (e credetemi, non spreco mai gli aggettivi)

    avevo letto da più parti di una profonda delusione dell’autore per le vendite scarsine di “Non è successo niente”, e mi era dispiaciuto moltissimo. Io mi ricordo di aver saltato un ora di lezione per andarlo a comprare (avevo 17 anni) e un compito in classe per leggerlo. mi era piaciuto veramente tanto, e ho riciclato più battute da quel libro che dall’intera filmografia di Woody Allen.

    da quando ho letto quell’intervista mi è venuta la voglia di comunicargli quanto mi fosse piaciuto.

    magari questi commenti li legge…

    ciao tiz…

  3. E’ un’ottima notizia, sì. Quasi dieci anni di silenzio non sono uno scherzo.

    (Ne approfitto per segnalare un mio errore nell’intervista: “Dellamorte dellamore” NON è il primo romanzo di Sclavi. Chiedo scusa all’Autore e ai lettori.)

  4. Scusa la pignoleria, ma ti faccio notare un altro errore: Daryl Zed è il nome del fumetto disegnato dall’amico di Dylan Dog nell’episodio “Caccia alle streghe”, ma non un fumetto realmente esistente. Almeno credo, non vorrei fare una figuraccia…
    Complimenti per l’intervista, in stile Truffaut, con le domande più lunghe delle risposte.
    Pensavo che il nuovo libro uscisse a maggio, ora mi fiondo in libreria a prenderlo. Anch’io ho letto e riletto Non è successo niente, per me è un po’ come la bibbia, ogni sera lo apro a una pagina a caso e ne leggo un po’…
    ciao!

  5. Non accetto le tue scuse semplicemente perché hai fatto benissimo a correggermi.
    Mi sa che hai ragione tu, quando ti ho letto in effetti mi è tornato in mente quell’episodio di DD.

    Eppure, sono certo di aver visto in edicola (un po’ di anni fa ormai) un fumetto che era una palese imitazione del Nostro, con un titolo (appunto) assai simile… Non so.

  6. Ragazzi, quando ho saputo che Sclavi ha scritto un altro romanzo quasi piangevo. Anche io tengo “Non è successo niente” come una bibbia, mi ha davvero allargato il cuore. L’ho letto e riletto e ogni volta piango negli stessi punti in cui ho pianto la prima volta… tanti anni fa… Che Sclavi abbia tornato a scrivere (fosse anche le parole crociate, come dice lui) mi ha reso davvero felice. Tiziano, ho letto in una intervista che non puoi avere figli… ADOTTA MEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!
    Sarò il figlio ideale, vedrai…
    E comunque, grazie Andrea Raos per l’intervista fatta a Sclavi, bisogna cominciare a parlare più spesso di quest’autore! Infatti visitate il Blog che ho aperto di recente, dedicato interamente a Lui: http://spaces.msn.com/castellodimenticato/
    Grazie a tutti!

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