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Il progetto cinico, la manipolazione, la sinistra. Pensierini dopo il voto.

Di Andrea Inglese

Riprendo le osservazioni di Giulio Mozzi che stigmatizzano un riflesso condizionato di una parte della sinistra. Chi ha votato nuovamente Berlusconi è un “rincoglionito teledipendente”? Stando alla lettera della definizione si tratta di stabilire un nesso di causa-effetto tra “teledipendente” e “rincoglionito”. Quanti teledipendenti esistono in Italia? L’essere teledipendenti rincoglionisce? Io ad esempio conosco molti rincoglioniti che non per forza sono teledipendenti così come teledipendenti per nulla rincoglioniti. La questione è comunque seria, in quanto sostenere che Berlusconi vince perché “ipnotizza” le masse significa presupporre che: 1) chi parla è superiore a colui che viene ipnotizzato perché ha la capacità di resistere all’ipnosi; 2) se il mondo è fatto di “menti deboli”, predisposte all’ipnosi, inutile combattere per un’estensione della democrazia, in quanto – e qui cito una frase di Dario Borso nei commenti al pezzo di Mozzi – “Se vogliamo pensare/praticare la democrazia, bisogna ipotizzare ciascun individuo come libero/responsabile”.

Altrimenti si finisce direttamente per difendere un’idea gerarchica e aristocratica dell’esercizio della politica: la gente “comune” non è in grado di decidere responsabilmente del proprio destino. Votino solo i laureati, i sufficientemente informati, gli esperti, i tecnici, gli specialisti, ecc. Inoltre, difendere l’idea che l’elettorato di destra sia in gran parte manipolato significa attribuire tutta la responsabilità dei danni della politica di destra ad una sola persona, all’onnipotente e demoniaco signor Berlusconi. La mossa che viene fatta, in questo modo, è doppiamente perdente: da un lato si priva di responsabilità la maggior parte dei votanti (massa di innocenti manipolati dal Cattivo), dall’ altra si squalifica una parte della popolazione, i cittadini di categoria b, “deboli mentali”.

La verità è più scomoda e, in fondo, risaputa. Quando il berlusconismo prende piede, negli anni Ottanta, l’omologazione di cui parla Pasolini agli inizi degli anni Settanta è già compiuta, e in buona parte dell’Occidente ricco a cui l’Italia appartiene. Ma visto che Pasolini ha parlato di rivoluzione antropologica, verrebbe da chiedersi che cosa, durante quella rivoluzione, non è cambiato negli italiani. Quale aspetto di una certa mentalità si è perfettamente integrato nel nuovo ordine della società del consumo di massa e dello spettacolo generalizzato? La risposta che mi viene spontanea è il cinismo, dove con questo termine intendo una forma di scetticismo e addirittura disprezzo per ogni forma di ideale che possa incarnarsi in istituzioni collettive. Gli ideali principali che una democrazia dovrebbe tendere a realizzare nelle proprie istituzioni sono la giustizia e l’eguaglianza. Ora per molti italiani, ogni forma di idealità connessa alle istituzioni e al loro carattere generale, collettivo, pubblico è merda. Non dico che per molti italiani non esistano ideali, ma esistono solo in ambiti più ristretti, più particolari: la propria famiglia, la propria impresa, il proprio clan, ecc. E tra gli ideali che una democrazia può permettere di realizzare, quello della libertà è fino ad un certo punto quello che rende minimo l’intervento delle istituzioni. In quest’ottica, il rapporto tra libertà e istituzione funziona in negativo: tanta più libertà laddove meno intervengono le istituzioni.

Non sto a spiegare qui perché, in una democrazia, il nesso tra libertà e uguaglianza, tra dimensione individuale e collettiva, non si può scindere, senza minacciare l’edificio stesso della democrazia. Mi basta che sia evidente come, per certi italiani, la sfera dell’idealità esista, ma non oltre i confini ristretti del particolare (la cui estensione può essere più o meno ampia, ma mai raggiungere la dimensione universale dell’istituzione, per ognuno e per tutti). Ogni altra forma di idealità, sia di destra (la patria) che di sinistra (l’uguaglianza), è disprezzata e derisa. In questo riflesso, io leggo alcune componenti. La componente scettica: idealità vuol dire “pensare un modello” di organizzazione sociale più perfetto di quello presente nella realtà attuale. Questi italiani credono poco nell’efficacia del pensiero, a patto che non sia immediatamente operativo. E soprattutto non credono nell’idea di cambiamento positivo generale. Il fenomeno appare troppo complesso per essere vero. La storia ha insegnato all’italiano che ogni promessa di cambiamento positivo generale ha realizzato semplicemente un cambiamento positivo per alcuni. Quindi tanto vale perseguire “sempre e comunque” un cambiamento positivo per se stessi, senza farsi “sviare” da progetti poco verificabili. (E qui aggiungo un’osservazione: l’invidia-disprezzo di certi italiani nei confronti dell’intellettuale nasce anche dal fatto che, da noi, l’intellettuale è sempre stato particolarmente servo. Il risultato di questo atteggiamento, però, è che oggi il servo ha ridotto al minimo le sue prerogative intellettuali e ricompare nella forma del presentatore televisivo. Bruno Vespa: il servo che svolge una funzione intellettuale, spogliandosi però dei suoi requisiti.)

Ma oltre allo scetticismo, il cinismo italiano è costituito anche da un sentimento fatalista della propria condizione di minorità e subordinazione. L’idealità è da rifuggire non solo perché dietro di essa si cela sempre il rischio di strumentalizzazione, ma anche perché essa è al di sopra delle mie forze, delle mie capacità, dei miei mezzi. Il traguardo è troppo lontano, l’obiettivo troppo alto. Non è alla mia portata. Anzi, a volerlo perseguire rischio di perdere anche quel poco che ho. È a questo punto che un certo italiano decide una volta per sempre di sacrificare anche la sua libertà in cambio di un appoggio, di un sostegno, da parte di un soggetto più potente (con più mezzi, più risorse). All’intellettuale che può offrire al massimo idee e modelli astratti di comportamento da assumere e elaborare in proprio, un certo italiano preferisce il favore, concreto e immediato, che gli viene da qualche potente. Certo, tale tattica comporta degli svantaggi. L’intellettuale offre “strumenti” incerti, il potente offre “soluzioni” certe. Lo svantaggio però sta nel legame di dipendenza e subordinazione che il rapporto con il potente prevede, e che può essere più facilmente rifiutato nel rapporto con l’intellettuale.

A chi mi riferisco quando parlo di intellettuali? Non mi riferisco alla definizione classica. Il Palazzi Folena offre questa definizione: “chi svolge attività di studio e di pensiero, coltiva interessi culturali, e produce opere di carattere scientifico, letterario e artistico”. L’intellettuale oggi, come lo intendo qui, è meno colui che possiede questi requisiti, che colui che esercita “pubblicamente” (televisioni, giornali, radio, libri, spettacoli, ecc.) la facoltà di giudicare la realtà. (L’intellettuale ideale dovrebbe a mio parere essere qualcuno che giudica pubblicamente la realtà, appoggiandosi su analisi e ragionamenti. Il che non significa che il suo giudizio sarebbe “infallibile”, ma che varrebbe almeno la pena di discuterlo, controbatterlo, ecc.) Un cronista puro, se mai ne esistono, non è un intellettuale così come l’opinionista puro, che giudica senza appoggiarsi su analisi e ragionamenti, svolge la funzione d’intellettuale ma senza averne le prerogative.

Quella parte cinica dell’Italia, dunque, dal riflusso al crollo del muro di Berlino, ha avuto la conferma che l’unica idealità plausibile e perseguibile è quella incarnata da Silvio Berlusconi: la conquista di ricchezza, libertà e potere attraverso una strategia di “alleanze” con i potenti (Craxi, ma anche con potenti impresentabili della mafia), di dipendenze create a mezzo di favori concessi, di aggiramento delle istituzioni e delle loro norme, di competizione contro ogni rivale con tutti i mezzi disponibili (leciti o illeciti, non è il problema) nell’ottica ristretta della propria azienda. Affinché un tale progetto possa poi realizzarsi è ovvio che ogni riferimento a idealità alternative deve essere delegittimato in partenza, non tanto per paura di chissà quali progressi sociali, ma perché l’esistenza stessa di un’idealità istituzionale, tipo la legge è uguale per tutti, costituisce già una minaccia per il progetto cinico.

In conclusione, Berlusconi rappresenta il sogno che tanti italiani hanno perseguito, prima, durante e dopo la sua ascesa. Egli non è il padre di quella mentalità cinica di cui è l’esemplare esponente, ne è solo il figlio, anzi il nipote. Ne è l’incarnazione odierna, dopo la rivoluzione antropologica pasoliniana. E la sua forza sta nel rafforzare gli italiani nell’impossibile sogno: il progetto cinico non vale per tutti, ma vale efficacemente per una larga fetta della popolazione. Ossia, sacrificando gli immigrati, i più poveri, gli statali, i più giovani e i più vecchi, si possono ottenere quote importanti di ricchezza, libertà e potere.

Una parte degli italiani vuole dunque Berlusconi, e lo vuole nel “pieno possesso delle facoltà mentali”, non sotto ipnosi. Hanno ragione? No. Ma non perché il modello di società che perseguono sia “moralmente” inferiore al modello che perseguo io. (Certo, io penso anche che sia moralmente inferiore, ma non è questo aspetto che qui interessa.) Il loro modello di autorealizzazione attraverso il progetto cinico offre una serie di incertezze e costi che nessuno ha mai davvero evidenziato. E qui interviene l’esigenza di rievocare la questione della “manipolazione”, ma in un contesto diverso. In breve: la perfetta realizzazione del progetto cinico è qualcosa che assomiglia molto di più a certe società sudamericane che a quella statunitense (se ancora sussistono grandi differenze tra le une e l’altra). Sacrificare una parte della società e il funzionamento normale delle istituzioni, per favorire l’arricchimento sconsiderato dei singoli in competizione tra loro, produce violenza sociale in crescita esponenziale, rafforzamento dei monopoli e delle mafie, l’isolamento dei ricchi in cittadelle fortificate. Molti comunisti italiani, che non perseguivano il progetto cinico ma idealità che richiedevano maggior dosi di fede, non hanno perdonato ai dirigenti del PCI di occultare i costi che il socialismo sovietico realmente comportava. Molti italiani cinici non perdonerebbero a Berlusconi di averli illusi sulla praticabilità del progetto cinico. Certo, essi non vogliono comunque vedere quello che Berlusconi, attraverso il suo controllo sull’informazione, non vuole fargli vedere, ossia tutti quei dati di realtà che contestano la praticabilità non dico a lungo termine, ma anche a medio termine, del progetto cinico. Infatti, il cinismo italiano non si è mai realizzato a scapito della famiglia ma sempre a scapito dello stato. Che il cinico se ne fotta delle generazioni future è un fatto, ma se ne fotte meno del futuro dei suoi figli. Ora se scopre che mors tua vita mea si realizza non solo tra sé e il vicino, ma anche all’interno del nucleo famigliare, non gli rimane più terreno su cui poggiarsi.

La manipolazione esiste, dunque, non in termini di condizionamento di un comportamento, ma di occultamento di tutte quelle possibili indicazioni che tale comportamento metterebbero in crisi. Gli italiani cinici hanno un sogno e il controllo sull’informazione permette che nessuno e niente venga ad interromperlo. Certo, anche qui vi è una forma di concorso all’accecamento, di corresponsabilità. Ciò non toglie che tutto il paese non fa e non ha lo stesso sogno, quindi la manipolazione di Berlusconi fa sentire i suoi effetti soprattuto su coloro che vorrebbero giustificare un sogno alternativo, e più praticabile, rispetto a quello del progetto cinico. La sinistra ha un sogno, un progetto alternativo?

Non l’ha ancora formulato e definito chiaramente. E questa è una sua incontestabile debolezza. Ma c’è una ragione per questo. Il progetto cinico esisteva prima che Berlusconi lo aggiornasse all’Italia del consumismo di massa e dello spettacolo generalizzato. Egli ha avuto il talento di “realizzare” in modo particolarmente brillante questo “aggiornamento”. (“Fedeltà al cinismo, nel cambiamento”, potrebbe essere il suo motto.) Il progetto che la sinistra deve elaborare implica una parte inevitabile di creatività e d’invenzione. Essa non può riprendere il grande modello leninista, che ha dominato il progetto egualitario per quasi un secolo. E probabilmente non può neppure riprendere il modello socialdemocratico, senza imprimere ad esso sostanziali modifiche.

Lo storico del capitalismo di scuola marxista Immanuel Wallerstein sostiene, e non è il solo, che il “1) Dopo cinquecento anni di esistenza, il sistema capitalistico mondiale si trova, per la prima volta, in una vera crisi sistemica, e noi ci troviamo quindi in un’epoca di transizione. 2) L’esito di questa transizione è intrinsecamente incerto, e tuttavia, ancora per la prima in cinquecento anni, esiste una reale prospettiva di un cambiamento fondamentale, che potrebbe essere progressivo, ma che non sarà necessariamente tale. 3) In questa congiuntura, il problema principale per la sinistra mondiale sta nel fatto che la strategia per la trasformazione del mondo elaborata nel XIX secolo è ormai a pezzi, generando così incertezza, debolezza e una condizione di una lieve ma generalizzata depressione.” (In Il declino dell’America, Feltrinelli, 2004, pp. 184-185)

Perché ho riporto questa citazione di Wallerstein? (Citazione che prego di leggere attentamente, prima che qualcuno venga a deridere un “determinismo storico” che è del tutto assente nel discorso di Wallerstein.) La risposta è semplice: la sinistra istituzionale è effettivamente (e in Italia come in Francia) incerta, debole e depressa. Ma, come suggerisce Wallerstein, potrebbe almeno smetterla di essere debole e depressa. La necessità di un’alternativa, in termini di idealità e di progetto politico, non è mai stata così evidente come ora. La sinistra più accorta è dagli anni Sessanta che riflette sull’impraticabilità del modello leninista e dell’esigenza di sostituire ad esso qualcos’altro. La destra, invece, sull’orlo del precipizio, è ancora intenta a celebrare un modello di società “felice” che mille prove materiali sconfessano. In questa situazione, quello che la destra europea, e italiana, non può dire a chiare lettere è che il progetto neoliberista, in una versione più o meno cinica, non potrà più accompagnarsi a lungo al modello fondamentale della democrazia. Neoliberismo e democrazia si separeranno definitivamente. Della democrazia non resterà neppure la forma, ma al massimo lo spettacolo. La sinistra dunque è più incerta, ma meno accecata. E sopratutto essa potrà elaborare il suo progetto alternativo sul terreno della democrazia, intesa come il modello di organizzazione sociale nel quale tutti gli individui sono in grado e hanno diritto di partecipare al processo decisionale collettivo. La destra, quella lungimirante e accorta, sa bene che non potrà difendere gli interessi del capitale senza inventarsi a sua volta un modello di società. Ma essa dovrà sacrificare il compromesso del capitale con i principi democratici, tornando a riproporre società per principio gerarchizzate, dove i ricchi non dovranno più cercare neppure di ottenere il consenso dei poveri per il tramite di una classe politica di rappresentanti.

La sinistra, quindi, più che lasciarsi paralizzare dall’incertezza, dovrebbe osare. Osare nell’idea e nel progetto. Aprire laboratori e cantieri non di marketing politico, ma d’osservazione creativa laddove la politica, l’istituzione, la norma latita: tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, innanzitutto. Insomma, siccome sa di non sapere, la sinistra dovrebbe ascoltare. Ascoltare chi l’ha votata prima di tutto. E chi l’ha votata dovrebbe ascoltarsi, a sua volta. Mettere a fuoco quello che non va nel proprio lavoro, nel proprio rapporto alle istituzioni, alla società del consumo e dell’avvelenamento. Questa attitudine di ascolto potrebbe essere il preludio a una presa di parola meno apatica e fatalista, meno di principio e più di fatto. E affinché questa presa di parola collettiva si possa realizzare, è inevitabile che Berlusconi sia sconfitto. Fino in fondo. E che cioè sia limitata la sua possibilità di controllare indiscriminatamente l’informazione, per salvaguardare intatto quel progetto cinico che, per ora, per pochi voti, per quanto basta, non è stato abbracciato dalla maggioranza degli italiani.

(Ps Se qualcuno mi dicesse che il progetto cinico è abbracciato anche da persone che si dicono di sinistra, concorderei con lui. Cio’ non toglie che il progetto cinico non è quello che caratterizza l’idealità delle persone di sinistra. Tra principi ed azioni c’è sempre uno scarto. Ma ad ognuno i propri principi.)

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82 Commenti

  1. … sono assolutamente d’accordo con questo piccolo saggio: davvero prezioso e chiaro. In particolare quando si afferma finalmente senza troppi giri di parole che “Neoliberismo e democrazia si separeranno definitivamente. Della democrazia non resterà neppure la forma, ma al massimo lo spettacolo” e che quindi la destra “dovrà sacrificare il compromesso del capitale con i principi democratici, tornando a riproporre società per principio gerarchizzate”.
    Oh… finalmente i concetti giusti al posto giusto.
    Però… resta un problema, che mi assilla (io ho SEMPRE pensato che Berlusconi è l’effetto e non la causa). Due giorni fa ho visto in televisione una scena impressionante: migliaia di fan ai funerali di una diva “bollywoodiana” (siamo in India) si sono scatenati con una violenza immane contro la polizia perché non hanno potuto toccare – vaglielo a spiegare che era praticamente impossibile che la toccassero tutti.. – la sua bara. Ci sono volute ore per contenere gli incidenti. La gente ha anche protestato perché considerava non sufficientemente sfarzosi i funerali.
    Le tecnologie di comunicazione più invasive, pervasive, alle quali siamo completamente abituati, certi fenomeni (appunto, come predisse Pasolini) di mutazione antropologica che ci sono noti, troveranno, stanno trovando terreno fertile in intere nazioni con centinaia di milioni di persone. In India, Africa, Russia, meno in Cina (che ci darà problemi di altro ordine…). Nessuna di queste persone vive in un Paese con un background storico-culturale nemmeno lontamente paragonabile al nostro in merito alla democrazia (l’India si sorregge su un modello sincretico basato sulle caste, la Cina è più imperiale che mai, l’Africa pensa sé stessa ancora “etnicamente”, la Russia è completamente in mano alla malavita organizzata e vive in un regime soltanto semi-democratico, e in questo ci assomiglia di più).m Il progetto cinico a me pare che stia messo molto bene.
    Non sarà che la battaglia è già strapersa?

  2. Mi chiedo perché anche Andrea Inglese debba fare, come Mozzi, di tutta l’erba un fascio, senza distinguo, e ci obblighi a scegliere tra due ipotesi che sarebbero contrapposte:
    O CHI VOTA BERLUSCONI è TELEDIPENDENTE E RICOGLIONITO,
    O E’ UN UOMO LIBERO CHE ESERCITA IL LIBERO ARBITRIO (versione Mozzi-Borso) secondo il CINISMO DELLA SOCIETA’ DEI CONSUMI, NATA PRIMA DI BERLUSCONI, E DA LUI INTERPRETATA AL MEGLIO (versione Inglese).

    Come si fa ad impostare il discorso secondo questa grossolana dualità?
    E’ semplicemente assurdo.
    Non c’è alcun bisogno di presupporre menti deboli e ipnotizzate per dimostrare l’incidenza che ha la tivù sulle scelte politiche degli elettori, possibile non riconoscerlo?
    O si vuol fare come Ferrara e altri pseudointellettauli di Destra e dire che avere il monopolio delle tivu private nazionali e il controllo di quelle pubbliche non sposti un voto?
    Ma perfavore, non diciamo cazzate!
    E questo non vuol dire che allora solo i laureati debbano andare a votare né tantomeno “attribuire tutta la responsabilità dei danni della politica di destra ad una sola persona, all’onnipotente e demoniaco signor Berlusconi.”
    Non eistono questi aut aut, e mi spiace enormente che Inglese non si accorga che di fatto con l’incipit del suo articolo avvalora la tesi che la tivù non incide sul voto, tesi che è una cazzata colossale.
    Altrimenti, Inglese, spiegami perché non hai fatto dei distinguo, perchè non hai suddiviso in varie parti l’elettorato di Berlusconi e tra le parti non hai messo la massa che lo vota perchè si fa le sue idee e ricava le sue informazioni dalle tivù da lui possedute o da lui controllate.

    Il seguito del tuo discorso, che nella sostanza condivido, non ha bisogno, mi pare, di negare l’evidenza dell’importanza del controllo delle tivù per raggiungere potenziali eletori.

  3. “Quanti teledipendenti esistono in Italia? L’essere teledipendenti rincoglionisce?” Tutti coloro che non hanno alcun INTERESSE nella propria vita sono dei rinco-teledipendenti. Le menti deboli sono una moltitudine! Invece di fare tanti discorsi da “girotondini”“ha ragione Dario Borso quando dice: “Se vogliamo pensare/praticare la democrazia, bisogna ipotizzare ciascun individuo come libero/responsabile”.
    L’intellettuale che giudica la realtà? In quale movie? Dove sono? Questa è UTOPIA. L’intellettuale, semplicemente, tenta di giudicare un passato che , poco, conosce. Pasolini li disprezzava! E’ sulla strada che si fa cultura, non nei soliti salotti spelacchiati seduti su comodi sofà.

  4. Tra tante cazzate che si sentono (e si leggono sui giornali) in questi giorni (anche a sinistra, purtroppo), questa di Andrea mi sembra finalmente un’analisi d’insieme che mira alle ricerca di moti e cause profonde, che non trascura di iscrivere la contingenza elettorale in uno sfondo storico-sociale più ampio – letto e disaminato con il concorso fruttuoso e originale di strumenti critici aggiornati (es: Wallerstein; e altri tra le righe).
    Mi sembra particolarmente felice anche la “tesi – dato di fatto, direi – cinica” entro cui si muoverebbe certo pragmatismo della destra berlusconiana; ma più in generale, quanto scrive Inglese mi pare un ottimo punto di partenza – un po’ di chiarezza, finalmente – o, per lo meno, un sacrosanto passo avanti -…

    Alessandro Broggi

  5. Andrea, ho trovato la soluzione: stupidi che siamo tutti, basta aggiungere una enne! *Se vogliamo pensare/praticare la democrazia, bisogna ipnotizzare ciascun individuo come libero/responsabile”.

    Buona Pasqua a tutti (è più che un augurio, è una quasi-realtà)

    Darnio

  6. mi dispiace che Galbiati l’abbia intesa così: ma non può essere così, perché tutti sappiamo quanto nefasta è la dipendenza (ergo pure la televisiva). Libertà/schiavitù, dipendenza/indipendenza, autonomia/eteronomia sono tutti sinonimi. Scendo in campo con una testimonianza (da testis-testicolo-coglione). Penso di non essere diverso da molti, e così anch’io ho i mei periodi che sono più su, e altri più giù. il mio termometro personale è proprio la tv: centellinata con tendenza a 0 quando sono su e… l’ultimo periodo giù è conciso con la morte del pappone (ecco, non sono cattolico, e anzi mandibolarmente attratto dai preti) bè, mi sono sorbito quelle interminabili telecronache, e il clou l’ho raggiunto quando l’hanno esposto ai quattro, anzi agli otto venti… mi sono accorto che il piedino sinistro di woitilaccio non era ritto come il destro, penzolava, e ho cominciato a fissarlo, e poi rifissarlo per ore e ore (all’inizio ero ancora “attivo” -sic- nel senso che mi protendevo verso lo schermo per riaggiustare la ciabatta, poi inerte, infine feticista, peggio che con Cenerantola). La tv è regressione, regressione al senone che t’inonda e stordisce, ah oppio!, e ti eroina. insomma il principio di ogni fascismo. Ma qui è il punto: se mia moglie veniva lì a dire sveglia! con disprezzo e poi rampogna, bè, io la mandavo affanculo, e dicevo: chi credi di essere? non vedi la scarpa?
    Perciò ho cominciato il mio commento con: *purtroppo ha ragione Mozzi*, e non con *ha ragione Mozzi* Purtroppo significa: se vogliamo convincere il tramortito, dobbiamo riconoscerlo come persona (“fingere” = ipotizzare, tipo Newton: hypoteses non fingo). Penso che questo è un prerequisito anche dei centri d’igiene mentale. In fin dei conti la democrazia è un gran celtro d’ig. met., senza dottori, o con tutti dottori, o con dottori a turno (= ubarchia).
    Se notate, tutte le teorie politiche della democrazia (intendo le più raffinate: Rawls, Walzer, Habermas ecc.) lavorano su questa ipotesi. Ciò determina però la loro fragilità, l’impressione che dopo averli studiati si resta con poco. Io personalmente sono più attratto dalla frontiera della psicanalisi sociale. Categorie come società buona e società cattiva sono più produttive, perché almeno aprono sulle pulsioni che sorreggono o distruggono la forma-democrazia.
    Andrea, che ha fatto uno sforzo che gli fa onore, in definitiva è già su questa frontiera: cinismo ecc. La paura è un altro motore immenso, da Hobbes almeno. paura della complessità, per cui si è disposti a lasciarsi in balia di qualsiasi riduzione della complessità. paura dell’altro, straniero ecc. Quanto lavoro, nelle scuole, nelle famiglie, nei bar. Forse Prodi è l’agente di interessi forti/occulti: ma ha la faccia giusta per cominciare (il baffetto invece, che a differenza di Faustinho saprebbe smerdare berlusca, no). Ad es. è di enorme importanza che si sia perso voti sulle tasse, poiché era una questione di principio.
    Non scorderò mai l’impressione che mi ha fatto Jens, uno strafattone coi capelli fino alla cintola con cui vagabondavo fino alla mattina per una Copenaghen a me ignota (lavorava il ferro con la fiamma ossidrica, aveva estro e veniva chiamato da sceneggiatori ecc.). bè, premetto che il rapporto tra sigarette e canne che fumavamo è esattamente inverso all’abituale. A un certo punto ho sbottato col compagno Jens: ma è possibile che qui in Danimarca le Malboro costino il triplo che in Italia? non v’incazzate? Lui ha strabuzzato gli occhi (= mi ha guardato normale), poi ha fissato il pacchetto e ha detto: ma no, tanto i soldi vanno a finire in ospedali (questo non per dire che lì siano rose e fiori).
    Basta. Se ci sarà occasione, vorrei riprendere alcuni spunti abbaglianti del Discorso sopra i costumi morali degli italiani di Leopardi, e dimostrare che Pasolini non dice tutto giusto, almeno in due righe del suo arrticolo del 73.

  7. caro lorenzo il fatto che non sia d’accordo con la tua tesi non dovrebbe farti incazzare tanto, anche perché io non credo che essa sia una “cazzata colossale”, penso che sia come tu la formuli sbagliata. E lo schematico sei tu, se sostieni che la maggior parte degli elettori che l’hanno votato lo hanno fatto perché condizionati dalla TV. Il mio discorso, se lo leggi, è più articolato e non ignora il fattore di controllo dei mezzi di comunicazione e di propaganda. Inoltre, credo che un condizionamento diretto, unilaterale, come lo pensi tu, possa anche esistere, ma incide su quella famosa minoranza di incerti, che fino all’ultimo non hanno una chiara idea di chi votare. Ma
    1) quali criteri hai per giudicare l’incidenza del condizionamento televisivo sugli italiani?
    2) in quale odierna democrazia i poteri economici non controllano i mezzi d’informazione, lasciando nell’ombra ampie fette della realtà o atomizzando le notizie, ecc.?
    3) quando gli italiani potranno essere ritenuti responsabili del loro voto? Nel 1922 c’era la paura dei fasci, nel 1948 la propaganda DC e Chiesa, oggi Berlusca e le TV. Il paradosso, alla fine, è quello di attendere una società trasparente, affinché gli elettori possano votare responsabilmente. Ma gli elettori dovrebbero votare responsabilmente PROPRIO per avere una società trasparente (concetto limite).

    Ho letto stasera l’editoriale di Bocca su Repubblica di ieri. E in fondo dice la stessa cosa che dico io sugli italiani ricchi e sugli aspiranti tali. Che è purtroppo ben più triste della tua visione delle cose, che in fondo è ottimistica.

    4) Anche il più obnubilato degli italiani, dopo anni e anni di “sparate” senza ritegno , dovrebbe capire di che pasta è fatto il nano di Arcore. Qui in Francia il controllo dell’informazione è molto più sottile, ma su certi temi scottanti molto più efficace. Altro che la pravda/Emilio Fede.

    A questo aggiungi il disastro della sinistra, che mette Prodi uomo della Trilaterale, il grande club del capitalismo mondiale, a capo della coalizione.
    E chissenefrega del leader, perché quelli che vengono dopo fanno venire il sangue alla testa, D’Alema per primo. Questi signori hanno enormi responsabilità nell’aver lasciato scorazzare Berlusconi libero e bello.

    Ma tutto questo non toglie nulla al fatto che sia giusto, urgente e doveroso combattere il monopolio dell’informazione da parte di Berlusconi o di qualsiasi altro.

  8. L’inglès – che tocca molti punti, forse troppi – scrive: “Neoliberismo e democrazia si separeranno definitivamente. Della democrazia non resterà neppure la forma, ma al massimo lo spettacolo.”
    Ora, al di là dell’analisi su chi e perché a votato Berlusconi, su cosa rappresenti B., sui dati antropologici che si mescolano al dato politico, su certe eterne debolezze e particolarità delle genti nostre, sul familismo implosivo come unica vera trincea personale di più di metà della popolazione, sul totale disinteresse al riconoscimento di un terreno comune civile e condiviso, dove appunto occorre essere e riconoscersi cittadini, cives, eccetera, la vera questione è quella enunciata qui sopra.
    La divaricazione tra liberismo e garanzie democratiche è un fenomeno mondiale, non solo italiano. La non coincidenza tra libero mercato, competizione economica e libertà/diritti individuali.
    Vedo questo come punto principale di partenza su una qualsiasi analisi, o quantomeno come dato centrale di tutta la questione.
    E se fosse vero che le sinistre democratiche stanno lottando su un terreno ormai storicamente superato?
    Cioè sul terreno di una democrazia che interessa solo una minoranza dei viventi, mentre gli altri non ne percepiscono valore, necessità e regole?
    Cioè, nella sostanza, non gliene frega più un cazzo?
    La domanda che mi pongo e che pongo con insistenza – anche qui in NI (senza successo alcuno) – non è sul perché tanta gente abbia votato Berlusconi, ma sul perché tanta gente non lo veda come un pericolo per la democrazia.
    Perché tanta gente non è interessata al pluralismo?
    Perché non si accorgono, per esempio, dello stato miserevole dell’informazione?
    Perché nessuno vede la questione dell’informazione come assolutamente centrale?
    Cosa sta succedendo?
    Eccetera.

  9. Non credo molto alle differenze antropologiche (a meno che non si faccia riferimento a quella tribù che vive sulle palafitte in mezzo al mare mostrata in una foto di La Terra vista dal Cielo
    di Yann-Arthus Bertrand). Per quanto riguarda i visi pallidi che abitano in Italia, tutti portano le Nike ai piedi e mangiano prodotti della Nestle e lavano i piatti con i prodotti della Procter & Gamble. Non c’è differenza sufficientemente grande tra elettore di sinistra e di destra. La differenza è nei risultati di chi governa. Quando i risultati non mi piacciono cambio voto!

  10. berlusconi è molto meglio degli italiani che lo hanno votato.
    il fatto che non sia stato di nuovo eletto è da imputare solo a una congiuntura economica sfavorevole ma Berlusconi, Calderoli, Borghezio e compagnia bella sono ESATTAMENTE ciò che la maggioranza degli elettori Italiani merita: gli uomini politici più vicini alla loro intelligenza e alla loro sensibilità sociale.
    Per maggioranza degli italiani intendo almeno la metà più o uno… ma ritengo che i potenziali elettori del Berlusca siano molti di più.

  11. @inglese
    caro andrea, mi fa piacere trovare nel tuo commento quel punto, a mio parere impescindibile, che a me pare tu avessi escluso dal tuo lungo articolo: l’importanza della tivù nel condizionamento del voto, almeno per gli indecisi, sostieni tu.
    Per il resto, non sono di nuovo d’accordo su come imposti il discorso.
    1) quali criteri hai per giudicare l’incidenza del condizionamento televisivo sugli italiani?
    ——nessun criterio scientifico, esattamente come te.
    ma ti faccio notare: tu parli degli incerti, be’, erano almeno il 15%, forse oltre il 20%, a sentire tutti i sondaggi. è una piccola minoranza?
    ma soprattutto, torniamo indietro al ’94, quale altro imprenditore se non Berlusconi poteva mettere in piedi e lanciare dal NULLA un partito a un mese dalle elezioni e prendere quasi il 30%?
    Dico, prova a dirmi se un qualunque altro ricco e fatto da sè e pseudorappresentante del cinismo del liberismo avrebbe potuto arrivare a tale risultato se non colui che possedeva le tre tivù private nazionali e che si è trovato come sponsor Vianello, Mike Bongiorno ecc. e che ha potuto andare da Costanzo ecc per dire: sono io il Creatore di tutto questo, sono stato finora dietro le quinte e ora eccomi, mi mostro a tutti perchè devo entrare in azione a salvare l’Italia dai comunisti ecc.
    E lì che si è cimentato il consenso su Forza Italia, quello zoccolo duro di almeno il 15-20% dei votanti italiani.

    2) in quale odierna democrazia i poteri economici non controllano i mezzi d’informazione, lasciando nell’ombra ampie fette della realtà o atomizzando le notizie, ecc.?
    —–in nessuna, ma in Italia ci sono 7 tivù nazionali, di cui 6 controllate da Berlusconi (tutte tranne Rai3 che peraltro è per niente faziosa)
    Dico 6 perchè anche nell’unica concorrente Mediaset, la7, il conduttore dell’unica trasmissione di informazione politica, molto più importante del tg, è Ferrara.

    3) quando gli italiani potranno essere ritenuti responsabili del loro voto? Nel 1922 c’era la paura dei fasci, nel 1948 la propaganda DC e Chiesa, oggi Berlusca e le TV. Il paradosso, alla fine, è quello di attendere una società trasparente, affinché gli elettori possano votare responsabilmente. Ma gli elettori dovrebbero votare responsabilmente PROPRIO per avere una società trasparente (concetto limite).
    —-ecco un altro aut aut inaccettabile: quando potremo avere votanti responsabili, come se si dovesse scegliere tra l’aver persone ipnotizzate o responsibili.
    chi vota in base al suo quasi unico strumento di informazione, la tivù, non è un rincoglionito né un irresponsabile, nessuno ha il dovere civico di sbattersi a cercare informazioni altrove. e succede questo per una buona fetta di italiani, come di ogni altro popolo. dico, nessuno qui ha mai sentito dire: “la politica è tutta uno schifo, son tutti uguali, tanto non cambia niente?” be’, io lo sento dire molto spesso, fin dagli adolescenti nelle scuole. sono responsabili o no queste persone?
    secondo me è un falso problema chiedersi quando mai si voterà in modo responsabile, perchè sfido a definire irresponsabilie uno che voti berlusconi in base alle informazioni che ha, informazioni che magari al 90% sono televisive.

    4) Anche il più obnubilato degli italiani, dopo anni e anni di “sparate” senza ritegno , dovrebbe capire di che pasta è fatto il nano di Arcore. Qui in Francia il controllo dell’informazione è molto più sottile, ma su certi temi scottanti molto più efficace. Altro che la pravda/Emilio Fede.
    —–qui di nuovo non sono d’accordo: tu lo sai quanti italiani, da un decennio a questa parte, si sono improvvisamente fatti una cultura sui crimini del comunismo? quanti italiani votano berlusconi, o il suo polo, ideologicamente? e qui il discorso si collega al tuo, certo, ma chi è che ripete un giorno sì e l’altro pure il ritornello sui comunisti? e non è la stessa persona che vede il suo dire amplificato dalle tivù? sarebbe stato bello fare un sondaggio la scorsa sett del tipo: in Cina si bollivano bambini che si usavano come concime al tempo di Mao? Seccondo te quante persone avrebbe detto di sì? secondo me oltre il 30%. e questo non dipende solo da quanto ha detto Berlusconi in tivù?
    oppure, quante pesone di centrodestra si sono convinte in breve tempo cha la sinistra ha fatto brogli?
    guarda, in questi 10 anni, non solo gli italiani di centrodestra non han capito di che pasta è fatto Berlusconi, ma se han cominiciato a capire che forse tanto onesto non è, che forse a volte esagera ecc., hanno sviluppato dei meccanismi di difesa del tipo: “ma gli altri in fondo non son meglio di lui, e lui ha il coraggio di farsi vedere per quello che è e di dire pane al pane, non come Prodi D’alema ecc., che fan i santini ma son falsi ecc”.
    sulla francia non so: c’è un solo gruppo industriale che controlla le tivù?

    E chissenefrega del leader,
    —-il popolo non se ne frega affatto del leader, caro andrea, metti rutelli o d’alema al posto di prodi e addio governo di centrosinistra.
    però un’altra cosa mi pare dubbia: può darsi che a tutt’oggi, con il consenso ideologico che si è cimentato intorno al centrodestra, i suoi elettori avrebbero votato anche un leader piu moderato, un fini o un casini, specie se sostenuto da berlusconi. ma se crollasse forza italia, se venisse meno la presenza carismatica di berlusconi, allora sarebbero guai per il centrodestra.

    perché quelli che vengono dopo fanno venire il sangue alla testa, D’Alema per primo. Questi signori hanno enormi responsabilità nell’aver lasciato scorazzare Berlusconi libero e bello.
    —-su questo non c’è dubbio, l’ho scritto anch’io due giorni fa sui blogs.

  12. Andreas amicus, sed magis amica veritas (id est Laurentius, in hoc).

    Ergo, de berlusconidibus dico: nonne amens iudicaretur ille coecus qui se putaret scire differentias colorum quando colorem ignoraret?

  13. Ma non ne avete abbastanza di parlare di Berlusconi? Persino ad elezioni finite!
    Che si tratti di masochismo o, più semplicemente, di somatizzazione latente del berlusconismo?
    Buona Pasqua a tutti.

  14. A mio vedere le posizioni di Inglese e Galbiati sono per certi versi perfettamente conciliabili. Inglese ha il pregio di aver analizzato con piglio antropologico (forse a tratti generalizzando un po’ troppo) come un sistema di valori storicamente dati abbiano rafforzato e permesso che un nuovo assetto valoriale prendesse piede in questi anni in Italia; Galbiati giustamente, insiste sul ruolo preponderante svolto dei media (regime mediatico), spostando l’accento sul presente e peccando forse di miopia. Ma non vedo contraddizioni. Il regime mediatico attuale (chi lo nega è in fuori gioco), ha oggi partita facile proprio perché il campo è stato preparato nel tempo. Il nuovo potere (il nuovo fascismo pasoliniano), ha avuto la forza e la lucidità strategica di preparare i propri elettori-consumatori. Elettori che a tutti gli effetti hanno votato in piena coscienza e responsabilità. Non esistono ipnotizzati o elettori inferiori, esistono valori e interessi in base ai quali uomini e donne (più o meno istruiti, preparati ecc. ) conformano il proprio comportamento. Personalmente non “credo” agli imbecilli netti, semmai a persone con valori-interessi diversi. Valori e bisogni segnano il cammino della storia, dire che il 50% degli italiani siano idioti significherebbe dire che viviamo in una “storia idiota”. Non è ragionevole.
    Certo viene voglia di chiedersi:cosa ha fatto la sinistra italiana per impedire il dilagare di certi valori ? Ma negli anni ’70-’90 era nella possibilità di impedire il corso degli eventi ? Ha un senso oggi chiedere a taluni personaggi di detta sinistra elaborare un progetto di società, quando ancora si è imbracati in dispute identitarie ? Si può chiedere ad un povero storpio di correre i cento metri al pari di un centometristi sano e ben allenato ? mi fermo..

    Allora mi sembrano ben più pregnanti gli interrogativi posti da Tashtego. Posto che la storia ha sancito la veridicità di talune analisi del secolo scorso, non è il caso di analizzare con vera acutezza le conseguenze che taluni avvenimenti hanno generato sul popolo italiano tutto e sul suo elettorato in particolare ?
    Concordo ancora con T. e rafforzo la sua ipotesi:
    La maggioranza degli uomini di sinistra sta lottando su terreni storicamente superati.
    Mi/vi chiedo: la democrazia, storicamente intesa, rappresenta ancora un valore nel nuovo assetto valoriale ? In che rapporto è con la governabilità-gestione del Paese-Azienda ?
    Gli strumenti dell’analisi politica classica, sono ancora utilizzabili per la comprensione del nuovo corpo sociale ? In che modo il regime dei consumi ha intaccato l’essenza stessa della politica ? mi rifermo..

    Tornando a Pasolini, credo sia giunto il momento in Italia – ma lo dico con tutta la modestia di cui dispongo – di fare un serio sforzo in avanti e studiare questo nostro mondo post-rivoluzione, questo nostro sistema assolutamente capitalistico consumistico, prendendolo non per un modello teorico o spauracchio orwelliano, ma reale, concreto, presente, vivente nella nostra quotidianità…tra noi, al giornalaio, in ufficio, sul pianerottolo di casa, tra gli scomparti del Centro Commerciale…

    Una lettura:
    Vance Packard, I persuasori occulti, (The Hidden Persuaders, New York 1958)

    Un saluto

  15. a Lorenzo,
    come ha visto Claudio, diciamo due cose diverse, ma non in contraddizione. Tu punti il dito sul monopolio berlusconiano dell’informazione. Bene. Io dico che questa analisi non basta a spiegare l’anomalia di Forza Italia “ancora” primo partito del Paese. Non solo. Dici:
    “ma soprattutto, torniamo indietro al ‘94, quale altro imprenditore se non Berlusconi poteva mettere in piedi e lanciare dal NULLA un partito a un mese dalle elezioni e prendere quasi il 30%?” E come la mettiamo con tutti quei VENDUTI che si sono gettati anima e core nell’impresa, dai Vianello ai meno conosciuti? Per ogni Berlusconi che paga, mille servi che si fanno pagare. E qui non stiamo parlando di lavoro. Qui stiamo parlando di progetto politico, che è un altra faccenda.

    Infine: in Italia si vota Berlusca perché la gente vede la realtà attraverso la TV e lui controlla tutte le TV. Bene. Allora spiegami quanti Italiani poco acculturati, che non comprano i giornali, non hanno neppure mai sentito dire che in democrazia ci dovrebbe essere il pluralismo dell’informazione e quanti non hanno mai sentito parlare del conflitto d’interessi? Se ci sono italiani per cui l’idea di pluralismo non vuol dire niente, e il conflitto d’interessi non pone problema, è che questi italiani o sono cresciuti in un mondo totalitario che non conosco o semplicemente non gliene frega niente del concetto di pluralismo (anche annacquato) e non gli pone problema il monopolio.

    a Claudio, che scrive: “credo sia giunto il momento in Italia – ma lo dico con tutta la modestia di cui dispongo – di fare un serio sforzo in avanti e studiare questo nostro mondo post-rivoluzione,”; è quello che sostengo quando parlo di “ascoltare” ed “ascoltarsi”. Ma già esistono delle analisi ancora utili per studiare l’universo della merce/spettacolo. Da Debord a Bourdieu a Baumann, cosi’ come esistono analisi aggiornate del capitalismo, da Wallerstein a Boltanski ad Arrighi. In Italia pero’ manca un lavoro di ricerca serio di ambito sociologico sulla realtà sociale e lavorativa.

    Sul pezzo di Pasolini postato da Bajani. Una cosa andrebbe riconsiderata. C’è stato un rovesciamento. In Italia oggi l’ignoranza è un valore. Nessuno si vergogna di essere ignorante. Per coloro che ragionano e propongono dati che sfuggono alla quotidiana esperienza e al quotidiano buon senso c’è sarcasmo e disprezzo. Ma anche questo non sorprende. Un altro tema collegato è quello che riguarda il destino dei laureati. E non solo in Italia. In tutta Europa le università hanno moltiplicato i loro dipartimenti. La democrazia universitaria, l’università di massa. A parte che non è cosi. Ma il fatto più grave è che hanno distrutto il patto sociale elementare che fa corrispondere ad una formazione disciplinare una professione. E anche qui la responsabilità è ripartita: mondo universitario, del lavoro, e della politica.

  16. C’è una buona notizia e una cattiva. La prima è che costruire il bene comune e accrescere le possibilità di decidere delle nostre vite è ancora possibile. La seconda è che non possiamo farlo mettendo semplicemente una croce su una scheda e poi tornare a casa a guardare la TV.

  17. Caro Andrea, non c’è dubbio che il discorso tuo e di Pasolini, che peraltro conosco bene, sulla rivoluzione antropologica degli italiani è alquanto valido e direi ormai quasi scontato.
    Quindi d’accordo sul dire con te e claudio che le nostre posizioni non sono inconciliabili.
    Ciò su cui restiamo un po’ distanti (anche con claudio) è il voler considerare gli italiani tutti responsabili, il tuo discorso iniziale che ruota intorno alla frase di Borso.
    A me quell’impostazione risulta insostenibile nel senso che non vedo l’aut aut tra italiani rincoglioniti o irresponsabili, anche perchè
    -non considero chi voti facendosi influenzare dalla tivù un rincoglionito: non è una sua specifica “colpa civica” se non ha voglia o strumenti o tempo o interesse a sviluppare uno spirito critico verso l’informazione televisiva che lo spinga a sbattersi e a informarsi meglio.
    nessun disprezzo personale quindi, ma disapprovazione verso l’agire qualunquista sì.
    – non credo quindi che per evitare il diprezzo nei confronti dei votanti berlusconiani li si debba alzare al rango di cittadini responsabili: secondo me questo è un falso problema dato che ognuno vota in base a sue precise condizioni personale e sociali e alle sue influenze; e quindi l’unico irresponsabile è chi si disinteressa totalmente e non sa fino all’ultimo o quasi cosa votare, e ce ne sono, anche tra i votanti a sinistra peraltro.
    – infine non ho mai sostenuto che si voti berlusconi perchè le tivù indirizzino in modi piu o meno diretti le scelte in tal senso: ho detto che UNA PARTE parte non minoritaria del suo elettorato, dello zoccolo duro di forza italia e non solo che lo fa (ma ci sarebbe comunque una destra ben consistente, non solo di FI, anche senza le tivù): quello zoccolo duro che non vorrà mai sentire in tivù cosa dice ad esempio la sentenza dell’utri su come sia nata forza italia. e se lo sente dice subito che i magistrati che han fatto il processo son rossi. responsabili o riconglioniti costoro? disprezzabili o no?
    a me questi giudizi morali non interessano molto, mi interessa di più che la sinistra incominci a capire come funziona una strategia mediatica di comunicazione.

    mi scuso per il pessimo italiano, non ho tempo per correggere frasi sconnesse.

  18. “non so se avete capito: / siamo in troppi a farmi schifo” (pagliarani).

    ma è da apprezzare, vivamente, la forza del messaggio di un inglese, a non restare al cinismo, o scetticismo, o nevrosi. credo che in tutto e per tutto vada ripreso il messaggio di gramsci. con urgenza. sì, proprio il gramsci grottescamente tirato in ballo ogni due per tre dal premier sollecitato da qualche spin doctor divulgatore (cicchito, bondi, adornato: chi tra i tanti terribili mostruosi ‘ex’?…). quel gramsci non tanto delle ‘casematte del potere’ (lessico militaresco che faceva pendant con i bimbi dei cinesi….). quello, invece, più efficace, oggi, secondo me: l’egemonia, la battaglia per l’egemonia come momento centrale di una lotta rivoluzionaria, o di una reale trasformazione. insomma, ancora una volta, il terreno su cui si deve giocare è quello del linguaggio, meglio: della comunicazione (e quindi, sì, delle TV, ma non solo: TUTTA la capillare RETE della comunicazione). demistificare i contenuti e le forme della comunicazione odierna, nera fascista parziale, per arrivare a veicolare contenuti di VERITà, e forse anche i VALORI (di solidarietà:la denuncia, l’inchiesta..) che l’italia tutta (la sua borghesia: la borghesia più stupida e ignorante d’europa, tuonava qualcuno…) non possiede, intrinsecamente, almeno dall’indomani della resistenza. o no?

  19. @inglese

    oggi cortellessa su tuttolibri (a proposito: è una diaspora da alias che vuol dire qualcosa, politicamente? scherzo, oppure no…), esordiva per il suo articolo sull’ultimo nove con un appunto sull’unico vero narratore dell’oggi. a chi si riferiva? riccardo iacona, autore delle inchieste tematiche per raitre. ecco cosa intendo, inglese. ci vorrebbe uno sforzo, questo sì, democratico, organizzato, capillare, trasversale, collettivo, per intervenire (demistificare e trasformare) i palinsesti TV (previa severa legge contra personam…, per così dire), i blog, la carta stampata imeccanismi e i contenuti della produzione libraria eccetera…

  20. Io vorrei domandare a Inglese se ha sottoposto la sua analisi ad una persona che stima molto e che ha votato Berlusconi. Se sì, che tipo di risposta ha avuto. Vorrei poi chiedere se la sua analisi del cinismo italiano è appunto un’analisi che vale solo per il caso Italia, oppure vale per il mondo occidentale neo-liberista, ecc., come si potrebbe desumere dalla citazione di Wallerstein. Nel caso vi sia una specificità italiana, vorrei capire quanto sia determinante rispetto all’analisi generale proposta da Wallerstein e che mi pare Inglese condivida.

  21. @x

    quella frase mi sembra di Chomsky!
    io comunque ho messo le mie due x e sono tornata a casa (ma non posseggo televisori)

  22. Non solo nel mondo degli affari ma anche in quello delle idee, il nostro tempo sta attuando un’autentica liquidazione. Tutto si ottiene a un prezzo talmente vile, che vien da chiedersi se alla fine ci sarà ancora qualcuno disposto a offrire.

  23. a adinolfi: non l’ho sottoposta a nessun votante; il cinismo di cui parlo corrisponde a una tipologia diffusa del votante di destra, ma non a tutte le tipologie; il cinismo non è una esclusività italiana (ma da noi abbonda più che altrove), e si sposa bene con il mondo che ci sta apparecchiando il neoliberismo; quello che ho fatto è un ritratto, e come tale è utile e significativo fintantoché uno riconosce attraverso di esso situazioni e persone, passate e presenti. Se non riconosce nulla, vuol dire che il ritrattista è scarso o che lo spettatore non è un gran fisionomista.

  24. Un’osservazione per Lorenzo Galbiati. Riprende una domanda di Andrea Inglese (“Quali criteri hai per giudicare l’incidenza del condizionamento televisivo sugli italiani?”) e (correttamente, secondo me) risponde: “Nessun criterio scientifico, esattamente come te”. La conclusione, a questo punto, secondo me, dovrebbe essere:
    [a] per il momento, della “incidenza del condizionamento televisivo sugli italiani” non possiamo parlare;
    [b] il problema è: si può misurare “incidenza del condizionamento televisivo sugli italiani”? E se sì, come?
    Invece Lorenzo Galbiati conclude questo punto così: “Ma ti faccio notare: tu parli degli incerti, be’, erano almeno il 15%, forse oltre il 20%, a sentire tutti i sondaggi. E’ una piccola minoranza?”. Questa conclusione:
    [a] sembra escludere che gli “incerti” abbiano definitivamente collocato il loro voto sulla base dei *contenuti* della campagna elettorale (il sottinteso infatti è, mi pare: questi “incerti” sono stati velocemente “condizionati” attraverso il “mezzo televisivo” nell’ultimo periodo della campagna elettorale);
    [b] sembra considerare senz’altro credibili di sondaggi sulla cui credibilità, proprio in questi giorni, sono stati esibiti molti dubbi;
    [c] infine, mi sembra una conclusione tautologica, qualcosa del tipo: “Ipotizzo che chi vota a destra lo faccia perché è ‘condizionato’ dalla televisione; vi sono in effetti persone che votano a destra, e ciò prova che sono ‘condizionate’ dalla televisione”.

  25. Caro Andrea Inglese, quando definisci il “cinismo” come “una forma di scetticismo e addirittura disprezzo per ogni forma di ideale che possa incarnarsi in istituzioni collettive”, le domande successive sono, secondo me:
    [a] è ragionevole, considerando la storia passata, essere scettici, se non verso “ogni”, almeno verso “qualche” “forma di ideale che possa incarnarsi in istituzioni collettive”?
    [b] è ragionevole, considerando la storia passata, provare disprezzo, se non per “ogni”, almeno per “qualche” “forma di ideale che possa incarnarsi in istituzioni collettive”?
    [c] se esiste una tradizione storica (comprendendo anche la storia come raccontata da giornali e riviste, la storia orale trasmessa di padre in figlio, eccetera) che ad [a] e/o [b] risponde “Sì”, che cosa diciamo a chi si riconosce in questa tradizione storica? Come gli proponiamo di “cambiare storia”?

    Un’altra domanda (e di un’altra specie) è questa, che formulo in maniera deliberatamente semplicistica: la cultura della sinistra ha avversato per decenni un certo numero di “istituzioni” identificate come “istituzioni borghesi”, prima tra esse la famiglia. Non si potrebbe accusare la sinistra di avere esercitato un suo proprio “cinismo”, ossia “una forma di scetticismo e addirittura disprezzo per ogni forma di ideale che possa incarnarsi in istituzioni *private*”? Non si potrebbe discutere della ragionevolezza di questo “cinismo”? (O, quantomeno, dell’opportunità di mascherarlo a scopi squisitamente elettorali…).

  26. giulio, al punto c: “che cosa diciamo a chi si riconosce in questa tradizione storica? Come gli proponiamo di “cambiare storia”?”, non ti saprei rispondere. Ed è quello fondamentale. Potrei provare a risponderti. Ma posso dirti che, e questo è un atto di fede indimostrabile, o una scommessa, o una speranza “vigile”, posso dirti che “credo” sia possibile.

    Sul resto. In fretta purtroppo perché sto partendo e non potro’ più facilmente seguire il dibattito. 1) Il PCI in realtà è stato ambiguo nel sua atteggiamento verso la famiglia, e per certi versi ipertradizionale. La questione non è disprezzo o scetticismo per istituzioni “private” (?) o “pubbliche”, ma la scelta di una gerarchia.

    Quanto ai punti a e b: io ho cercato anche di riconsocere le “ragioni” del progetto cinico, non solo di emettere un giudizio di condanna. Ma le ragioni, non attenuano l’esito catastrofico del progetto cinico, quando diventa egemone. Ma ora devo scappare. Un abbraccio

  27. @mozzi
    punto c: cosa fare (per proporre di) cambiare (questa) storia? ripeto, ma vedo che è un aspetto su sui si sorvola, che non interessa, ma a me pare sia *il* punto: *il punto* è la comunicazione, è come comunicare diversamente. detta in modo brutale: occorre un lungo e faticoso e capillare e costante e *diverso* lavoro sulle coscienze. una instaurazione di una *diversa* temperie culturale, nuova, che faccia tesoro dei limiti della ‘comunicazione’ (della ‘egemonia’) passata (e presente), per arrivare a toccare non il 50 per cento più uno, ma davvero una ‘moltitudine’.

    sul pci e la famiglia. ok, non c’è ormai dubbio, storiograficamnete, che quello che era il bacino istituzionale del cambiamneto e della trasformazione traguardava gli aspetti del ‘privato’ in senso conservatore (vedi le posizioni del pci sui referendum per il divorzio e l’aborto). questo, è vero, succedeva proprio per “scopi squisitamente elettorali”, oltre che per l’arretratezza dei modelli e dei valori del partito rispetto all’incalzare dei movimenti sociali. e cioè per agganciare il governo e l’alleanza con i ‘moderati’ (‘quella’ DC…). mi sembra sia pacifico considerarlo un progetto fallimentare(e non è, quello di oggi, un progetto, mutatis mutandis, di grande ‘compromesso storico’ e ‘democratico’ ?).

    Quindi, mi sembra che vada ripreso, alle radici, il concetto di egemionia, la pratica *alternativa* di un lavoro sulle coscienze, a tutti i livelli: malessere e benessere privato, amore e odio, solidarietà e ‘compassione’; famiglia – interesse privato – e società – interesse collettivo; denuncia e sete di giustizia…per togliere e sconfiggere il *cinismo* dalle radici, insomma, estirparlo.

  28. @Mozzi,
    scusi eh, ma se lei imposta i suoi commenti sempre con questa logica stereotipata e che necessita di prove scientifiche sperimentali su tutto, nella vita -e nella scienza anche, a iniziare dal ramo che conosco meglio, la biologia evoluzionistica – non si potrebbe mai fare alcun ragionamento che non sia una mera descrizione dei dati in possesso.
    Il metodo induttivo è sì sicuro ma è molto limitato e miope. E riduzionistico.
    Senza una teoria alle spalle, senza un metodo ipotetico-deduttivo tanti indizi (prove?) non avrebbero alcuna spiegazione. Secondo il suo modo di ragionare, in poche parole, la teoria di Darwin sarebbe del tutto campata per aria, per farle un esempio.
    Ora, (a) e (b)
    Spero che lei non abbia bisogno che io le porti prove di quello che è un dato di fatto acquisito, ossia che la tivù è il mezzo che più influenza il voto.
    Dicevo a Inglese che non potevo scientificamente provare quanto dell’elettorato di FI o del Polo tutto fosse direttamente influenzato dalla tivù nel decidere il suo voto.
    E su questo lei ha centrato il problema, nel punto b: si può domostrarlo solo molto parzialmente, come del resto per tutto ciò che riguarda le scelte delle persone: non siamo (solo) degli oggetti sottoposti a leggi fisiche nel nostro agire quotidiano. Quindi, non potevo provarlo scientificamente non solo perché non ci sono dati univoci in tal senso, ma perché è impossibile provarlo, almeno come vorrebbe lei.
    Al massimo, come lei sa, si possono fare i sondaggi dell’ultima ora, che potranno rilevare piccoli spostamenti di voto tra gli indcecisi (se questi non mentono).
    (a) e (b) del secondo punto
    E questi spostamenti, caro Mozzi possono essere avvenuti in base a quanto visto in tivù CIOE’ in base ai CONTENUTI che una persona ha conosciuto tramite la tivù, giusto per ribaltare il punto (a).
    Sì, ritengo i sondaggi attendibili, cioè ritengo che molti cittadini che han deciso di votare all’ultimo minuto, e/o che erano indecisi, abbiano espresso il loro voto soprattutto verso il Polo, spinti SOPRATTUTTO dalla campagna mediatica (televisiva) di Berlusconi. Mi pare che in tanti la pensino così, peraltro, quindi nulla di originale nella mia idea.
    (c) La formulazione di questo punto riporta ciò che ho espresso nei commenti sopra in modo scorretto.
    Ad ogni modo la tautologia che ne ha ricavato mi ha divertito molto.
    PS Non so se lei sia anche uno scienziato, oltre che un letterato, ma nel caso lo fosse azzardo che sia un fisico o un matematico. Dico questo perchè la mia esperienza, finora, mi ha rivelato che tra evoluzionisti e fisici non è facile parlare lo stesso linguaggio scientifico.

  29. Caro Lorenzo Galbiati, non sono né un letterato né uno scienziato (se per “letterato” si intende uno che abbia una competenza certificata, es. una laurea, nelle Lettere, e se per “scienziato” si intende uno che abbia una competenza certificata, es. una laurea, nelle Scienze: io non ho nessuna laurea). Il fatto di avere pubblicate delle opere narrative non mi qualifica, credo, come “letterato” (altrimenti, lo dico esagerando, sarebbe un “letterato” anche Francesco Totti: che invece, a quanto mi risulta, è un ottimo “calciatore”).
    Quando lei dice: “…non potevo provarlo scientificamente non solo perché non ci sono dati univoci in tal senso, ma perché è impossibile provarlo, almeno come vorrebbe lei”, lei mi attribuisce una *volontà di veder provate in un certo modo* le affermazioni. Capisco l’equivoco, ma io non ho chiesto di veder “provate” le affermazioni “in un certo modo”. A me basta che, quando si fanno delle affermazioni su fatti, ci si ricordi (e si ricordi al lettore) in che modo o misura queste possono essere considerate vere, o ipotetiche ecc.
    Ora, le dirò. Io non dubito che il mezzo televisivo influenzi molto il voto: mi pare evidente che lo influenza. Non mi sembra tuttavia che sia “un dato di fatto acquisito” che “la tivù è il mezzo che più influenza il voto”: mi sembra piuttosto un’ “idea ricevuta”, un “luogo comune” che sento ripetere da quindici anni, che non ho visto quasi mai mettere in discussione, e sul quale ho visti pochi lavori di ricerca. A me peraltro interessa sapere non *se* (che mi pare ovvio), ma *in che misura* la televisione influenza il voto. E che delle misurazioni siano impossibili, mi par difficile.
    Lei dice che, nel punto in cui sospettavo di tautologismo un punto del suo ragionamento, ho riportato il suo pensiero “in modo scorretto”. Se è così, mi scuso; ma mi pare che non sia così.
    Quando lei mi dice: “Se lei imposta i suoi commenti sempre con questa logica stereotipata e che necessita di prove scientifiche sperimentali su tutto, nella vita – e nella scienza anche, a iniziare dal ramo che conosco meglio, la biologia evoluzionistica – non si potrebbe mai fare alcun ragionamento che non sia una mera descrizione dei dati in possesso”, mi pare che descriva l’atteggiamento di qualcuno che non sono io. Peraltro, una “descrizione dei dati in possesso” mi pare necessaria come lavoro di base (accompagnata da una descrizione dei dati mancanti e da una analisi almeno sommaria di quali dati sarebbe utile avere e di come si potrebbe agire per procurarli).
    Da quando ho vista una coppia di cigni neri, peraltro, diffido dell’induzione.

  30. Caro Andrea Inglese, quando dici che al punto “fondamentale” non mi “sapresti rispondere”, ti rispondo che non so rispondere nemmeno io. Sono contento che un punto che pare “fondamentale” a me sembri “fondamentale” anche a te.
    Questo punto “fondamentale”, peraltro, mi sembra, non da oggi, ma da un bel pezzo, del tutto privo di attenzione da parte della sinistra (dei politici della sinistra, ma anche della cultura della sinistra).

  31. Caro Lorenzo Galbiati, dimenticavo: be’, a me pareva proprio che cosiddetta “teoria dell’evoluzione” fosse piuttosto campata in aria, all’epoca della sua formulazione da parte di Charles Darwin, e che lo sia in buona misura anche adesso. Questo non le ha impedito allora e non le impedisce oggi di essere, mi perdoni la figura retorica, uno dei più formidabili “motori di ricerca” che la storia delle Scienze conosca.

  32. Credo che oggi sia ancora più necessario e urgente di cinque anni fa. Mi auguro una manifestazione più imponente di allora. In ogni piazza.

  33. “Ma già esistono delle analisi ancora utili per studiare l’universo della merce/spettacolo. Da Debord a Bourdieu a Baumann, cosi’ come esistono analisi aggiornate del capitalismo, da Wallerstein a Boltanski ad Arrighi. In Italia pero’ manca un lavoro di ricerca serio di ambito sociologico sulla realtà sociale e lavorativa” Inglese

    Ciao Andrea, grazie per i suggerimenti, conosco in parte le analisi proposte ma approfondirò. Credo sia molto rilevante analizzare l’influenza che l’assetto consumistico esercita sui comportamenti politici e sulle categorie specifiche della politica.
    Molte brevemente si tratterebbe di delineare i seguenti rapporti:
    Cusumo-consenso
    consumatore-elettore
    venditore-politico
    pubblicità-campagna elettorale(propaganda)
    situazione di monopolio-maggioranza/minoranza
    libera concorrenza-pluralismo
    Ruolo dell’opposizone politica, ecc.
    Un saluto

    p.s. stiamo assistendo ad un tentativo di Golpe bianco ?

  34. Ma, in concreto, cosa s’immagina per una svolta? Galbiati, Inglese, Mozzi: cosa pensate, al di là del contingente e dell’impasse post-elettorale? Galbiati in merito alla tv come mezzo influente e condizionante; Mozzi sulla visione più corretta da dare alle scelte degli elettori; Inglese sui rimedi al cinismo come ‘qualità’ storica e culturale o antropologica degli italiani? Certo poter dare risposte sarebbe già tanto, ma il rischio, all’opposto, è rimanere ad una sorta di ‘doppio legame’ di batesoniana memoria. A questo punto sarebbe bello e utile leggere qualche proposta materiale, concreta, sul da farsi…

  35. Uno qui ha scritto:
    “sul pci e la famiglia. ..”
    Quasi che la sinistra italiana coincidesse con il solo P.C.I.

    Faccio notare che in tempi non lontanissimi il legame “non consacrato dal matrimonio” e pure “adulterino” di Palmiro Togliatti con Nilde Jotti, fu molto mal visto per anni all’interno del Partito Comunista Italiano e tenuto dapprima segreto, anche perchè Togliatti aveva lasciato la moglie Rita Montagnana che era una “compagna”.
    Segno che questo che, aldilà delle facili corrività e fantasie di libero amore, esistevano nel PCI perbenismi eccellenti, italiche code di paglia, e (forse) ripettabilissime ubbie.
    Don Camillo e Peppone non erano poi tanto una farsa.
    In buon parte siamo ancora quel popolo lì.
    MarioB.

  36. Io mi sono sempre chiesto un’altra cosa.
    Se pensate che sia così importante la televisione nei condizionamenti socio-culturali-politici perché voi gggiovani intellettuali italiani non la indirizzate o intervenite in essa? Certo anche quella è una casta chiusa, comandano gli stessi televisivi da decenni con gli stessi palinsesti… Ma se anche aveste la possibilità non ci andreste, non vi impegnereste per lavorare a prodotti televisivi. Questo perché siete irrimediabilmente SNOB e vi trincerate furbescamente dietro alla teoria che il medium è il messaggio, che quindi la televisione è uno strumento fascista e regressivo e rende fascista tutto quello che trasmette. Quindi chi si accompagna con essa (io mi definisco teledipendente, ne vedo in media tre ore al giorno) è un subumano inconsciamente antidemocratico.

    e se pensate c he il teledipendente sia un subumano

  37. dicevo se pensate che il teledipendente sia un subumano e non che forse è la mancanza e la povertà di alternative che lo inchioda beato davanti alla tv, allora siete sicuri di conoscere la società italiana?

  38. motsi says: “be’, a me pareva proprio che cosiddetta “teoria dell’evoluzione” fosse piuttosto campata in aria, all’epoca della sua formulazione da parte di Charles Darwin, e che lo sia in buona misura anche adesso.”
    questa è davvero molto, molto, bella.

  39. @cf05103025

    piccolo appunto. quell’uno che ha scritto il ‘pci e la famiglia’, riprendeva il discorso di mozzi sulla “cultura della sinistra [che] ha avversato per decenni un certo numero di “istituzioni” identificate come “istituzioni borghesi”, prima tra esse la famiglia”. quell’uno diceva che il pci – organismo ISTITUZIONALE dell’ ‘opposizione’: leggi bene:ISTITUZIONALE, quindi non identificato con tutta la ‘sinistra’, ci mancherebbe altro – si è sempre rivelato, in verità, alquanto conservatore, e come dice Lei, fucina di ‘perbenismi’ (iotti e togliatti, ma anche il rapporto con i referendum, diceva quell’uno.). Quell’uno diceva che questa arretratezza, nei pieni anni ’70, era addebitabile anche a mere ragioni elettorali (la ‘corsa’ al governo e alla DC.)quell’uno, sentendosi chiamare così, riflette sulla COMUNICAZIONE, su come si comunica tra ‘quelli di sinistra’. spero poi che non si faccia cadere nel vuoto il messaggio frontale, basico, elementare ma cruciale, di bobo (sfrondandolo anch’esso, è chiaro, da lemmi un po’ antipatici, come ‘uno ha scritto qui’…). statt’buon.

  40. Ho scritto “Uno qui ha scritto” perché non mi ricordavo più come si chiamasse.
    Chiedo scusa.
    Che poi chiamarsi con un vero nome qui è proprio raro.
    Qui mi son spesso chiamato con il mio nome & cognome.
    Mario Bianco

  41. @ Mozzi,
    che lei sia un letterato, o un uomo di cultura letteraria, credo sia fuor di dubbio, se non altro per il lavoro che fa. è anche fuor di dubbio che i libri di Totti non son da mettere sullo stesso livello dei suoi, e lo dico in modo pregiuduziale non avendo letto alcun libro suo né di Totti: lascio decidere a lei quanto ci sia di scientifico in questa mia asserzione.

    Ciò che invece NON lascio decidere a lei è quanto sia scientifica la teoria dell’evoluzione perché una persona che la definisce in “buona misura campata per aria” non sa di che cosa sta parlando o, nella migliore delle ipotesi, si è lasciata prendere la mano dalla polemica del nostro botta e risposta (è quello che mi auguro).
    La prego, considerata anche la valenza culturale del lavoro che fa, di non contribuire a disinformare sulla biologia evoluzionistica, che è in assoluto una delle branche della scienza più travisate e attaccate in modo strumentale, dalla sua nascita a tutt’oggi.

  42. una cosa che non è campata per aria: forse non glielo hanno detto, ma Mozzi e un orango tango hanno in comune circa il 98% del dna.
    E non solo Mozzi. Anche tutti gli altri uomini della Terra. Chiamatela come volete…

  43. Vorrei ricordare la recente celebrazione di Darwin e le attività divulgative ad essa collegate.
    Abbiamo avuto l’occasione di sentire al museo di scienze naturali di Milano un grande esponente del darwinismo: Niles Eldredge accanito oppositore di clericalismi e oscurantismi creazionistici.
    Niles Eldredge, paleontologo e biologo, sostenitore insieme a Stephen J. Gould di una teoria dell’evoluzione estesa che includa fattori non soltanto genetici ma anche ecologici, è riconosciuto come una delle massime autorità mondiali nel campo della biodiversità. I suoi libri (fra quelli editi in italiano, Il canarino del minatore e La vita in bilico) sono stati tradotti in numerose lingue e la loro impostazione divulgativa ha ispirato la creazione della famosa “Hall of Biodiversity” dell’American Museum of Natural History di New York, dove Eldredge è curatore della divisione degli invertebrati.

    Magda

  44. non è una battuta ad hoc, ma la mutazione di cui stiamo parlando potrebbe essere questa: una progressiva atrofia dell’interiorità – sostituita in buona parte da quell’analogo ma obiettivo e condiviso sistema di produzione di immagini che è la televisione. per cui io dico, ma seriamente, che bisognerebbe istituire un Ministero dell’Interiorità – abolendo Inglese (non l’ottimo andrea, ovviamente) Impresa e forse anche Internet. per me c’è in questo processo tutto il successo di berlusconi, come preconizzato da pasolini

  45. allora, non potendosi abolire il resto, che si aggreghi l’Interiorità alle tre I berlusconiane e si giunga così alle Quattro I: inglese, internet, impresa, interiorità.
    probabilmente potranno aggiungersi strada facendo altre I scelte con cura tra le molte disponibili.
    no Integralismo, e no Inciucio, per dire.
    però con Interiorità ci starebbe bene anche Ideale.
    eccoci alle Cinque I: inglese, internet, impresa, interiorità, Ideale.
    e via così.

  46. …mentre il giochetto antropolico-letterario diventa ,quasi , un gioco di ruolo, la dittatura fa il suo corso e la democrazia delle parole sta a guardare…

  47. Caro Galbiati, lei scrive: “Ciò che invece NON lascio decidere a lei è quanto sia scientifica la teoria dell’evoluzione perché una persona che la definisce in ‘buona misura campata per aria’ non sa di che cosa sta parlando”.
    Le rispondo qui, ora, e poi se vuole proseguiamo in privato; ché qui siamo fuori tema (anche se non è mai fuori tema, secondo me, discutere dei modi del discorso).
    Non mi pare di avere messa in discussione la qualità scientifica della teoria dell’evoluzione. L’ho definita “uno dei più formidabili ‘motori di ricerca’ che la storia delle Scienze conosca”. L’espressione “campata in aria” era una ripresa scherzosa di parole sue. Ora ridico la cosa senza alcuno scherzo: la cosiddetta “teoria dell’evoluzione” (in realtà un complesso di teorie abbondantemente provate e di ipotesi assai efficienti ma in parte assai problematiche da provare – essenzialmente perché il passato è passato, e la sperimentazione è spesso impossibile) ricava la sua validità e la sua formidabile potenza conoscitiva più dalla sua capacità di organizzare e unificare il discorso biologico (quindi, diciamo così, per ragioni sintattiche e grammaticali) che dalla possibilità di provarla in modo secco e netto (come si può provare, tanto per fare esempi classici, che due gravi cadono con la medesima accelerazione o che un gas tende a occupare tutto lo spazio disponibile).
    Vede caro Galbiati, ho il sospetto che lei si sia formato su di me un giudizio inesatto. A ragionare come ragiono io, ha scritto ieri nei commenti qui sopra, “non si potrebbe mai fare alcun ragionamento che non sia una mera descrizione dei dati in possesso”. Se penso che tutta questa discussione nasce da un mio articolo che si intitola “Facciamo un’ipotesi”! Sospetto che il mio modo di ragionare sia l’esatto contrario di ciò che lei immagina.
    Certo: una volta fatte delle ipotesi, tocca il lavoro di decidere se, e come, è possibile provarle o almeno argomentarle. Se poi si decide che provarle o argomentarle è impossibile, bene: si può abbandonarle oppure decidere (ma consapevoli di questo) di passare all’azione sulla base di ipotesi non provate e non argomentate.
    Io mi sono preso questa parte del pedante che, mi rendo conto, è antipatica: ma ho la sensazione che, oggi, all’interno della cosidetta “cultura della sinistra”, si facciano troppi ragionamenti davvero, e questa volta lo dico senza scherzo, “campati in aria”.

  48. Riguardo alla “I” di Inciucio, mi sembra inevitabile in questa prossima legislatura e forse anche positiva per il paese, almeno finirebbe questa farsesca strategia della tensione pro/anti-berlusconica (anche perché dovete rassegnarvi su un aspetto: le televisioni sono sue e nessun governo gliele può toccare, sarebbe veramente un gesto autoriario e la reazione ci sarebbe…) Quindi meglio costruire insieme.

  49. Alla persona che si firma “Bobo”, e che ha scritto: “Se pensate che sia così importante la televisione nei condizionamenti socio-culturali-politici perché voi gggiovani intellettuali italiani non la indirizzate o intervenite in essa?”. Bobo, se davvero tu guardassi la televisione tre ore al giorno, ti saresti accorto che è strapiena di intellettuali italiani gggiovani che la indirizzano e vi intervengono. Il fatto è che tu sei SNOB, ti trinceri dietro il fatto che per te la televisione è intrinsecamente fascista e regressiva e rende fascista e regressivo tutto ciò che trasmette, e pertanto ogni intellettuale italiano gggiovane che la indirizza e vi interviene diventa per te automaticamente fascista e regressivo (e financo subumano, ve’).
    Per Marco v, che ha scritto: “Forse non glielo hanno detto, ma Mozzi e un orango tango hanno in comune circa il 98% del dna”. Spiacente, ma non è così: io discendo dall’orango charleston.

  50. … va bè, dai, citavo la canzoncina (“ci son due coccodrilli..”): si dice Orang-Utan (o al massimo, se non erro, orangutan, o Oranghi). Ma ci eravamo capiti.
    Una dei ricordi più antichi della mia vita di intellettuale critico ;) è un battibecco con la suora che ci faceva dottrina: alle elementari mi spiegavano l’evoluzione, di pomeriggio quella suora raccontava che mi aveva creato Dio. Quando – avevo pressapoco 7 anni – le feci notare la palese contraddizione, lei rispose con sicurezza: “E allora spiegami perché se deriviamo dalla scimmie quelle che ci sono in Africa non saltano in piedi e non cominciano a parlare”. Ripeto, avevo 7 anni, ma mi accorsi subito che quella suora aveva detto una str..zata, ma anche che non avevo il diritto di sprecare tanto tempo per farle cambiare idea. Credo sia esattamente quello il giorno in cui ho messo la religione tra le cose folkloristiche di cui potevo allegramente fare a meno. Da allora le religioni non sono più riuscito a prenderle sul serio. Mai, nemmeno per un attimo.

  51. Io non guardo la televisione 3 ore al giorno, a volte di più (avevo detto tre ore di media) e non li vedo i giovani intellettuali né di destra né di sinitra. A meno che non si riferisce a Simona Ventura, Chiambretti e Platinette.

  52. Stiamo avendo e avremo ben più grossi problemi… Financial Times: “Con questo voto l’Italia rischia di uscire dall’euro”. Sarebbe ora di smettere di giocare alla guerriglia, che dite?

  53. Ma esistono gli intellettuali? Quelli che firmano le petizioni? Tutti schiavi del grande paese a stelle e striscie che condanna a morte? Tutti quelli che, quando gli yankes sgancieranno in medio oriente qualche nuova bombetta con una patina d’uranio, scriveranno che la miglior difesa è l’attacco, stile Fallaci? E’ vero chi scrive che i giovani intellettuali sono una piovra già inserita nei media. Povera Italietta, senza i coglioni sotto!

  54. me ne guardero’ bene da scambiare ancora per intellettuali coloro che parlano bene, scrivono meglio e criticano ottimamente, tutto senza un filo di creatività o rischio personale.

  55. berlusconismo antiberlusconismo berlusconismo antiberlusconismo: i cittadini di questo magnifica agora mi scuseranno se entro così a piedi uniti e così di fretta, ma ho la pasta che sta scuocendo, e quindi butto giù due appunti così improvvisativamente: ho l’impressione che i più incantati ipnotizzati da berlusconi siano gli uomini di sinistra (oh che felicità che lume essere di sinistra!). Ma sanno costoro cosa ha fatto il capitalismo mentre stavamo a farci le seghe con berlusconi?
    Faccio solo due domande: qualcuno di sinistra sa come è organizzata olimpa telecom? sa cosa questo significa?
    sa cosa significano le varie conversioni tim omnitel? e cosa hanno significato per i piccoli azionisti?
    qualcuno sa spiegarmi per benino cosa ha significato la conversione del debito fiat in azioni comprate da capitalia e unicredito?
    qualcuno sa cosa ha significato quotare nel 2011 e.biscom a 150 euro circa (ora non ricordo con precisione)
    qualcuno mi sa spiegare se influenza di più la nostra vita quotidiana quanto sopra scritto o la sega berlusconiana?
    mi sa dire qualcuno se sia più immorale il conflitto di interessi o quanto sopra scritto?
    sappiamo con precisione e vogliamo combattere cosa sta facendo il capitalismo o continuiamo a praticare onanismo berlusconiano?

  56. Caserza, lei per caso si è chiesto, mentre cuoce la pasta, e libero com’è da pratiche onanistiche (ma esistono anche le seghe mentali, lo sa? e “pensatori” che sono delle vere pugnette viventi) – si è chiesto, dicevo, che cazzo gliene può fregare a più di venti milioni di persone, con stipendi che assicurano la sopravvivenza della famiglia per non più di quindici giorni, delle quotazioni di e.biscom, dei mancati guadagni dei piccoli azionisti, delle conversioni tim omnitel (cos’è, non vi funziona più il cellulare?) e di cosa sta facendo il capitalismo? Questo lo vedono e lo vivono ogni giorno sulla propria pelle, oscenamente rappresentato in quell’accozzaglia indicibile di interessi, leciti e soprattutto illeciti, di cui il duce che lei vuole esorcizzare è l’esempio più mostruoso.
    Piuttosto, stia attento al sugo (cirio? parmalat? scommetto che anche lei è un piccolo azionista, vecchio furbone!): sul preparare condimenti ci può costruire una professione per il futuro.

  57. @ caserza
    “…mentre stavamo a farci le seghe con berlusconi?”
    “qualcuno mi sa spiegare se influenza di più… o la sega berlusconiana?”
    “o continuiamo a praticare onanismo berlusconiano?”

    caserza, non estenda le sue perversioni a tutti i commentatori, la prego, c’è anche gente che quando vede berlusconi vomita, altro che farsi le seghe.

    ps che l’onanismo berlusconiano verrà istituzionalizzato come nuova perversione con tanto di neologismo ad hoc sullo zingarelli ecc.?
    dio ci scampi da quest’altra vergogna.

  58. @caro mozzi,
    prendo atto che lei non è un pedissequo seguace del metodo induttivo, la sua dichiarazione in tal senso mi basta.
    il fatto che lei faccia ipotesi, però, mi pare che dica poco sulla natura dei suoi discorsi: una ipotesi non può essere formulata dal nulla, e deve essere subito argomentata.
    la sua ipotesi, secondo me, non era argomentata e presupponeva una scelta inaccetabilmente semplificata al fine di impostare un discorso di valore etico: il presuporre “italiani responsabili, in modo da evitare il disprezzo verso la metà della popolazione che ha votato centrodestra.
    in questo modo ha scartato ciò che anche lei ha finalmente riconosciuto: la capacità della tivù di condizionare il voto – e ha scartato anche ciò che non riconosce cioè che la tivù sia, tra i media, quello che più influenza il voto, e anche la formazione di idee, pregiudizi, ideologie ecc.: argomento, questo, per me ovvio e mi scusi quindi se non mi dichiaro disponibile a dedicare molto tempo a volerlo dimostrare, se non con esempi e simulando situazioni, nel caso – peraltro sarei curioso di sapere, dato che lei ha dubbi in proposito, a quale altro mezzo attribuirebbe il più alto potere condizionante: il web? i quotidiani? la radio?

    mi fa piacere che lei si accorga di essere pedante nel voler la dimostrazione logica di ogni piccola deduzione, di ogni piccolo ragionamento, anche di quelli più… basic.
    dice di agire così per combattere ragionamenti tipici della sinistra che a lei risultano campati per aria: non so di quali ragionamenti stia parlando, ma rispetto ai miei ragionamenti mi pare che lei sia stato pedante sempre su tutto: debbo quindi pensare che gran parte di ciò che scrivo sia campato per aria?
    il bello è che io credo di limitarmi spesso a ricordare delle ovvietà: ed è questo uno dei moventi del mio agire – scrivere- : credo infatti che nel folle mondo del pensiero unico che stiamo vivendo, ricordare certe ovvietà sia diventato rivoluzionario.

    prendo atto anche di una sua visione più articolata e certo apprezzabile della teoria dell’evoluzione che, mi perdoni, non è un motore di ricerca, è una delle teorie scientifiche più importanti e rivoluzioniarie della scienza, corroborata da migliaia e migliaia di prove trasversali a tutte le discipline biologiche. certo non si può pretendere di paragonarla a una legge fisica come quella della caduta dei gravi: non lo si può fare non perché sia meno “vera”, ma perché nella biologia evoluzionistica non ci sono leggi ma teorie, non formule ma concetti, non eventi ripetibili ma eventi unici.
    mi pare che lei abbia ben colto questo aspetto.
    il fatto è che lo statuto delle scienze biologiche è diverso da quello delle scienze fisiche e che finora ci siano ancora pochi studi sulla filosofia della scienza da un’ottica biologica, non aiuta a capire quale sia l’enorme difficoltà che ognuno può incontrare quando voglia definire cosa sia scienza e cosa sia scientifico.

    ma anziché continuare questo discorso in privato, mi chiedo se lei sia interessato a un dialogo qui, su NI.
    nello spirito di un blog aperto a contenuti non solo letterari ma anche – tra l’altro – scientifici, credo che questo discorso possa interessare molti e da parte mia c’è la disponibilità ad approfondirlo nella forma che più la aggrada (considerando gli inevitabili vincoli di tempo e risorse), se lei crede.

  59. leggo molto astio in giro, saranno le scorie post-elettorali della sconfitta della sinistra. Governare in questo periodo e con la maggioranza parlamentare che hanno può portare solo due cose: o la morte politica o il miracolo.

  60. Bobo, se tu non ci fossi bisognerebbe inventarti! Infatti, con la tua esilarante presenza, colmi uno dei vuoti strutturali di NI, cioè la mancanza di una rubrica di barzellette, tipo “la sai l’ultima?”. Sei un vero campionario vivente da questo punto di vista, figliolo, e ogni tua apparizione è un prodigio di spunti e di riflessioni mirabolanti. Torna più spesso, ti prego: la tua presenza ha la capacità di convincermi sempre più che, nel mio piccolo, sono una persona di media intelligenza, cultura e capacità di pensare. Sei indispensabile.

  61. Ho finalmente trovato il tempo per leggere lo scritto di Inglese e, pur apprezzandone la qualità, ho l’impressione che manchi qualcosa.
    Vedo di spiegarmi. All’inizio del suo scritto Inglese riporta: “Se vogliamo pensare/praticare la democrazia, bisogna ipotizzare ciascun individuo come libero/responsabile”.
    D’accordo, anzi più che d’accordo, però… manca un passaggio, una definizione fondamentale: quali sono, per Inglese e per tutti noi, le conditio sine qua non che consentirebbero a un cittadino di essere libero e responsabile?
    Solo culturali? Territoriali? Antropologiche? Economiche?
    E’ possibile individuare e definire un insieme minimo?
    E poi: chi dovrebbe preoccuparsi affinché queste condizioni ottimali siano disponibili a tutti e consentano al cittadino di essere libero e responsabile?

    Senza aver prima definito questo fondamentale presupposto è, a mio modesto parere, impossibile qualunque ipotesi: manca la base fondamentale.

    Inglese conclude poi il suo scritto esortando la sinistra a: “… più che lasciarsi paralizzare dall’incertezza, dovrebbe osare. Osare nell’idea e nel progetto. Aprire laboratori e cantieri non di marketing politico, ma d’osservazione creativa laddove la politica, l’istituzione, la norma latitano: tra il lavoratore e il suo datore di lavoro, innanzitutto. Insomma, siccome sa di non sapere, la sinistra dovrebbe ascoltare.”

    Anche qui d’accordo, non fosse per il limite che riportavo precedentemente e per un ulteriore elemento, spesso trascurato: le “figure” di Controllato e Controllore”.

    Sono convinto che sia necessario per tutti, destra o sinistra che sia, arrivare a una precisa e puntuale definizione e collocazione sociale delle peculiarità, delle funzioni e dei ruoli che identificano le figure di “Controllato” e “Controllore” puntando a una struttura sociale che tenda a minimizzare le commistioni fra i due ruoli.
    Senza questa chiarificazione e senza il corretto riposizionamento – a tutti i livelli – di questi due elementi (Controllato e Controllore), fondamentali per qualunque democrazia matura, ritengo di non scrivere una castroneria affermando che nessun cittadino possa ritenersi, fino ad allora, pienamente libero e responsabile.

    Buona giornata. Trespolo.

  62. Beh cato, allora va bene, ci sarò sempre per farti fare la figura dello scafato intellettuale democratico.

  63. Beh bobo, suddài, non è da tutti ricoprire un incarico come il tuo! Non te la sarai mica presa, vero? Grazie comunque della “figura” che mi attribuisci, ma mi spiace deluderti: io al massimo potrei fare lo “scafista intellettuale demografico”, cioè uno che traghetta alla più vicina discarica i proliferanti cervelli all’ammasso.

    p.s.

    E poi, per dirla tutta, chi ti dice che la mia non sia tutta invidia nei tuoi confronti? Di solito è tra noi poveracci che scattano questi meccanismi. Vedi, ad esempio, il post del dott. Trespolo sopra le nostre teste: assolutamente fuori dalla mia portata. Anche l’invidia ha bisogno di una piattaforma culturale minima per appalesarsi: nel suo caso, da quali presupposti potrei mai partire? Quindi, restiamo tra di noi, scimilia cum scimilibus, tanto, come diceva il tuo defunto datore di lavoro, scripta volant.

  64. la pasta si è decisamente scotta e assieme ad essa il mio cervello!
    Trovo disdicevole che si liquidino alcune questioni fondamentali del capitalismpo post 90th nel modo su esposto: che gliene può fregare ai 20milioni di italiani che devono sbarcare il lunario ecc ecc? Dovrebbe in realtà fregargliene moltissimo! ho fatto, oltre a Fiat e Telecom l’esempio di e.biscom (avrei potuto farne molti altri) perché è esemplare di quanto è successo negli ultimi anni: invito semplicemente a riflettere su un dato: a un aumento della produttività non ha fatto seguito un aumento dei salari. Il motivo risiede giustappunto in certe operazioni finanziarie che corrispondono a una cospicua percentuale dell’aumento di redditività: ovvio che quindi che il caso e.biscom abbia molta ma molta importanza per il cittadino che ha problemi di sopravvivenza.
    Ma pregherei di non mettere sul piano personale queste mie osservazioni: quanto al condimento della mia pasta non uso nè cirio nè parmalat: essendo inetto ai fornelli (ma lo sono anche in molte altre cose) condisco elementarmente la pasta con olio extravergine di oliva (talvolta di mais) peperoncino e formaggio grat.
    au revoir

  65. Caro Lorenzo Galbiati, quando mi riferisco a “ragionamenti tipici della sinistra” che mi sembrano “campati in aria” (ricordo che l’espressione, originariamente riferita ad altro, è sua), mi riferisco ad esempio a quelle che lei chiama “ovvietà”: e che a me spesso non sembrano per niente delle ovvietà.
    Un’ovvietà sulla quale ho dei seri dubbi è, ad esempio, un ragionamento del tipo: “Poiché il sig. Silvio Berlusconi ha un grande potere mediatico, è evidentemente grazie ad esso che il partito da lui capitanato e i suoi alleati prendono così tanti voti”.
    Lei scrive, rivolgendosi a me: “…anche lei ha finalmente riconosciuto la capacità della tivù di condizionare il voto…”. Ho forse mai detto o scritto che la televisione è ininfluente? Ho detto e scritto tutt’altro: e cioè che secondo me sarebbe utile sapere come e quanto la televisione influenza il voto. (Nota. Lei usa il verbo “condizionare”. Io uso il verbo “influenzare”. Lei si rende conto, immagino, che questi due verbi hanno implicazioni assai diverse: se parlo di “condizionamento”, ipotizzo che la persona sia privabile – via televisione – della sua libertà; se uso la parola “influenza”, non faccio questa ipotesi).
    Sul perché la mia ipotesi non fosse argomentata, ho già detto.
    Ho usata l’espressione “motore di ricerca”, riferita alla teoria dell’evoluzione, tra virgolette: segno evidente di uso traslato dell’espressione stessa. Si mette lei a fare il pedante, adesso? Tra l’altro, lei mi ricorda che non si può paragonare la teoria dell’evoluzione a una legge fisica come quella della caduta dei gravi: che è esattamente ciò che io ho scritto.

  66. Vorrei sollevare, sulla scorta dell’ultimo intervento di Mozzi, una questione. Ci si domanda (sarebbe utile sapere come e quanto) se la televisione influenza il voto. è possibile porre la domanda in modo maggiormente estensivo: sarebbe utile sapere come e quanto i mezzi di comunicazione pubblica in generale influenzano il voto, compreso i libri! Se scoprissimo che la televisione è il mezzo che meno influenza il voto?

  67. Noi oggi non sappiamo ancora se e come avverrà un processo reale contro Mussolini; la guerra di liberazione è forse avviata verso la sua fase conclusiva e si avvicina inevitabile l’ora della resa dei conti. Il giudizio del popolo contro Mussolini è già stato pronunciato e non importerà molto se la sua esecuzione avverrà in forme legali o non legali. Ma Mussolini non è un individuo isolato nella storia dell’ultimo ventennio; intorno a lui si sono mossi molti uomini rivestiti di alte responsabilità e che hanno in mille maniere aiutato la sua opera astuta e tenace. Sicché il fascismo si può ben definire il prodotto della collaborazione di tutti costoro, la coalizione di tutte le forze conservatrici e reazionarie. Ecco perché non si tratta di restaurare la situazione precedente il fascismo, ma di piantare più solidamente la democrazia in Italia, di fare davvero una rivoluzione non a parole, ma a fatti. Altrimenti potremmo anche giungere a uccidere Mussolini, ma non avremo ucciso il fascismo. E se non svolgeremo questo processo ora, a fondo, inevitabilmente dovremo svolgerlo di qui a pochi anni, quando il fascismo sarà sotto altre forme rinato.

    Cassius, “Il processo Mussolini”, La Fiaccola ed., Milano, febbraio 1945, introd.

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andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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