Articolo precedente
Articolo successivo

Le vite precarie di Mario Desiati

di Andrea Bajani

C’è un modo di combattersi sfiniti, abbracciati contro le corde, che hanno soltanto i figli che adesso hanno trent’anni coi loro padri e le loro madri. È un modo di fronteggiarsi un po’ pesti, un buttarsi tra le braccia dei familiari che per metà vorrebbe colpire e per l’altra metà vuole soltanto chiedere asilo. E c’è un modo di fare o non fare recriminazioni che ha molto a che vedere con la rassegnazione, da una parte e dall’altra, e che diventa un po’ un colpire alla cieca. C’è, in definitiva, un modo di essere famiglia che non è mai stato così prima di adesso, e dall’altro lato un modo di credere all’amore che è contemporaneamente un cercare riparo e un resistere alle cose che davanti si disperdono frammentate. Vita precaria e amore eterno, secondo romanzo di Mario Desiati, è un romanzo commovente perché mette in scena fin dal titolo questo conflitto sfinito tra un’aspirazione a legarsi a tempo indeterminato alle cose e un’attitudine delle cose ad andarsene, a essere provvisorie. Precarie, appunto.

Lui è Martin Bux, ed è uno nato a metà degli anni Settanta e poi traghettato con armi, famiglia e bagagli in una Roma piena di contraddizioni. Lavora in un call center sotto il livello della strada, più simile a una fabbrica fordista che non a uno degli uffici confortevoli delle pubblicità televisive: “Lavoriamo sottoterra. Una finestrina, impercettibile al mondo intero, ci collega con il resto della città. Da lì vediamo le gambe della gente, i cani che pisciano e le ruote delle moto. È l’unico spicchio di mondo a cui ci è consentito di assistere. Il resto dell’ufficio non fa testo, è tutto un open space. Una sorta di sistema solare con cerchi concentrici. Noi al centro”. È fondamentalmente un qualunquista, moderatamente razzista, quasi più per convenzione che per convinzione (divide con fatrica l’appartamento con un ragazzo africano). Lei si chiama Toni, ed è la donna cui Martin ha dedicato un amore eterno che la lontananza alimenta giorno dopo giorno (è partita per l’Africa, e chissà se tornerà). Toni è in qualche modo ciò di cui non è dato pensare niente di più lontano da Martin. È una donna votata alla durata tanto quanto lui sembra condannato alla provvisorietà, è ideologicamente volitiva tanto quanto Martin è inerzialmente disconnesso da qualsiasi impianto morale. Eppure non sono che due interpretazioni dei fatti, Martin e Toni, non sono che due espressioni di un senso di incertezza, di paura e di disgregazione che li rende in qualche modo emblematici di una generazione intera.

E poi ci sono i genitori, in Vita precaria e amore eterno. C’è il mondo dei padri e delle madri. Ci sono i genitori di Martin, scappati a Roma dopo una vita intera passata a due passi dalla base Nato di Sigonella, e ora incagliati tra gli ultmi del mondo al Laurentino 38. E c’è la madre di Martin, che sembra rimasta parcheggiata in un mondo benestante. È in quel nocciolo secco, in disgregazione, che pulsa il cuore del romanzo di Desiati. In quella famiglia che non tiene più insieme nulla, cresciuta per metà con il senso del futuro e trasformatasi poi in un gruppo di persone disperse che non sanno bene neppure che cosa aspettare. A questo nocciolo in frantumi Desiati dedica pagine molto belle (pp. 144-150): la visita di Martin Bux alla sua famiglia al Laurentino è una straziante discesa a degli inferi che hanno lo squallore di un orizzonte che non fa più notizia. Perché dentro quell’incontro, in quell’alloggio dozzinale, c’è tutta la storia di un’Italia un po’ credulona, ridotta a roccogliere i cocci di qualche sogno lasciato per strada. È lì che sta la forza di Vita precaria e amore eterno: nel distogliere lo sguardo dal dito di chi pensa che il precarismo sia una malattia circoscritta a pochi giovani e non un senso di incertezza dilagante.

(Pubblicato su l’Unità il 9 aprile 2006)

Print Friendly, PDF & Email

4 Commenti

  1. Ciao Andrea. Interessante questa prospettiva dei luoghi di lavoro neofordisti. Io, dopo la fallita Cartiera Pirinoli (remember?), sono tornato a un classico luogo di lavoro “fordista” con un ancora più classico “parun”: c’è parecchio materiale da scrivere!!!
    A proposito: per il primo maggio fai uscire quella cosa di cui mi dicevi?
    Complimenti e buona giornata.
    Paolo

  2. oggi 20 aprile 2006 su “gazzetta del mezzogiorno” è uscita la recensione di michele trecca al romanzo di desiati…

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Natale, ingerire per favore

di Andrea Bajani Per fortuna gli italiani hanno ricominciato a consumare. C’è stato un momento in cui si è temuta...

Tanto si doveva

di Andrea Bajani (Ripropongo qui, oggi, un racconto scritto per la campagna dell'Inail "Diritti senza rovesci". Perché non vorremmo più...

La vita come testimone oculare

di Andrea Bajani Andrea Canobbio ha scritto una confessione. Sospeso tra il racconto e il reportage, ibridato da innesti di...

Cittadini o clienti?

Note a margine della "questione romena" di Andrea Bajani Tutte le volte che uno zingaro entra in un bar o in...

I pionieri del Far East

di Andrea Bajani La prima volta che sono atterrato in Romania è stato un anno fa, aeroporto Otopeni di Bucarest,...

Il packaging dell’italiano

di Andrea Bajani C’è una tendenza tutta italiana a voler fare la fine dei puffi, non si sa se per...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: