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Vogliono la pace

di Aharon Shabtai

Traduzione di Davide Mano

Loro vogliono la pace ma hanno perso la voglia come un paio di occhiali, come una lente sottile caduta sotto il lavandino che loro calpestano giusto con il tacco pensando che sia sulla mensola sotto allo specchio accanto al deodorante. Loro vogliono ma la loro voglia è come un cazzo che non si rizza neanche se seduti sulla vasca da bagno glielo menano tutta una settimana. E il risultato è che si strafogano di cioccolata. Perché hanno appetito ma non sanno cosa vuol dire volere, cosa desiderare in libertà, con il pensiero, con piena intenzione, e con tutti i muscoli, una voglia di un vigore che sporge dai pantaloni. Loro dicono “vogliamo” ma è una parola come le altre, è sinonimo di altro, sfugge, tende a nascondersi, quando in verità sono loro i fuggiaschi che si nascondono a essa. Scendono dal bordo della vasca e si ficcano dentro l’armadio. Ciascuno si sistema dentro la sua scatola e si traveste da elettore, da capo del governo, da ufficiale, da esperto di sicurezza, da commentatore, da imbalsamato televisivo. Ed ecco: vedi scatole dentro scatole dentro scatole. Loro vogliono la pace, ma si nascondono alla volontà, si nascondono al conoscere. Loro sono abituati solo al porno, a conoscere il sesso che è fotografato su carta cromo. Loro non sanno cos’è la pace, come si tasta la pace, come si penetra in una pace sensibile, con delicatezza, con onore, palpitazione, delizia. Ogni settimana gli portano in mostra una catasta di mele marce, e loro sporgono la testa dalla scatola e inneggiano alla pace. Ma quelle mele sono scavate dai vermi, la pace divide, disturba, puzza, e loro sono costretti a tapparsi il naso. Vogliono la pace, ma manca loro la passione, la capacità di gioire con qualcuno per qualcuno, sentono solo la fame. Sono anni che presentano loro solo scarti. Ma non verranno più ingannati. Ora pretendono cibo vero, una grande caccia, non con fucile da caccia, ma con bombe, cannoni ed elicotteri. Che ci sia molta carne: nello stomaco, nel congelatore, e anche in cantina. Loro vivono in scatole, e perciò c’è da recintare anche lo spazio vitale. Mettono gli arabi mille a mille dentro gabbie come galline. Loro vogliono la pace, e la pace è qualcosa di commestibile, è un pasto.Agli arabi taglieranno il becco, spunterà la cresta, la pace sarà economica, la pace produrrà molta carne, e anche per l’esportazione, la pace confezionerà molte molte molte uova.
 

(Aprile 2006, “Ha’aretz”, dal Supplemento di Pasqua)
 

 

 

Nota sull’autore
 

Aharon Shabtai è uno dei poeti israeliani più impegnati e attenti alle vicende politiche del suo Paese; pubblica regolarmente sul quotidiano “Ha’aretz” e le sue poesie hanno provocato lettere di sdegno alla redazione e minacce di cancellamento degli abbonamenti.

Nato nel 1939, Shabtai è cresciuto al kibbutz Merhavia. Insegna alla Tel Aviv University, presso il Dipartimento di Lettere classiche ed è il più importante traduttore delle tragedie greche in ebraico.

Ha pubblicato diciotto collezioni di poesia, tra cui “Kibbutz” (1973), “Poema domestico” (1976), “Begin” (1986), “Amore” (1988), “Divorzio” (1990), “Politica” (1999), “La nostra terra” (2002) e “Sole sole!” (2005).

 

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55 Commenti

  1. Prendere il solito pezzo dell’ebreo contro israele è affare fazioso.
    Legittimare – o cercare di legittimare – un pensiero.
    Dire: “vedete, pure gli ebrei, quelli senza paraocchi, la pensano come noi”.
    Prendere un pezzo, isolato, venderlo come piccola verità, togliendo il “prima-e-dopo”, prenderlo così e buttarlo in pasto,
    prendere qualche riga in mezzo a 60 anni di cannibalismi-da-entrambe-le-parti
    è brutto.
    farlo in questo periodo di “terrorismo al potere”
    è vile e osceno.

  2. Cose del genere, è vero, andrebbero dette – se mai fosse decente dirle – in tempo di pace perpetua, così da non correre il rischio (l'”oscenità”, la “viltà”) che servano a qualcosa.

    Grazie a Helena e a Davide Mano.

  3. Avevo letto distrattamente, avevo colto di sfuggita l’esotismo del nome senza attribuirlo ad una parte precisa. Poi leggendo ho ipotizzato (in background) che si trattasse di un arabo. Continuando a leggere, ho pensato a quanto mi stiano sulle scatole queste caratterizzazioni, del tipo “loro questo … loro quello”, soprattutto quando ad esse evidentemente si associa la classica pretesa intellettualistica di saper leggere nell’animo altrui meglio del legittimo possessore dell’animo stesso. Poi ho letto trattarsi di poeta israeliano e allora ho pensato che la questione è più ingarbugliata, che potrebbe avere avuto delle complesse ed ineludibili ragioni per scrivere un pezzo come quello. Ho avuto anche l’impressione dell’inutilità della poesia, come illusione di ricondurre i problemi incancreniti a pure questioni sentimentali. Però definire tutto questo “vile e osceno” mi sembra fuori luogo, la consueta proiezione semplificatrice ed arbitraria di intenzioni ignobili sulle difficili sfaccettature di un atto altrui – e non lo dico solo perché lo ha postato Helena.

  4. “Loro non sanno cos’è la pace, come si tasta la pace, come si penetra in una pace sensibile, con delicatezza, con onore, palpitazione, delizia.”
    Loro sono “loro”.
    Un poeta, come chiunque di noi, ha diritto in ogni momento di dire “loro”.
    Cioè “non io”, “non noi”, ma “loro” cioè i capi di governo, gli ufficiali, gli esperti di sicurezza, i commentatori, gli imbalsamati televisivi, eccetera.
    Definire questo pezzo vile e osceno è un po’ una scempiaggine, più che altro.
    Ma trovo che contenga, come d’abitudine, una fondamentale omissione – mai le parole furono usate con tanta efficacia per tenere lontana la verità e aggirarla, come nel (e attorno al) conflitto tra palestinesi e israeliani – che consiste nel non indicare con quel “loro” anche la maggioranza del popolo d’Israele, che magari desidera la pace, ma nella prevalenza e nella sopraffazione.
    Quindi fa finta di volerla e mente anche a se stesso: la pace la fai solo se rischi fino in fondo, se ti presenti davanti al nemico inerme, con la mano tesa, pronto a concedere, a tornare sui tuoi passi, pronto a dire di si, a tollerare.
    Eccetera.

  5. Vedo con grande piacere ricomparire wovoka, e tash ai suoi soliti livelli. Stavo emigrando, magari ci ripenso.

    Grazie a Helena e a Davide anche da parte mia.

  6. Non ho discusso il pezzo.
    Non ho discusso il poeta, non ho discusso il suo valore. Non ho discusso il diritto di scrivere, sempre e comunque.
    Se non leggi, tash, non criticare.
    Ho parlato di “utilizzo” di uno scritto altrui.
    Ho detto vile e osceno questo utilizzare un pezzo.
    Estrapolarlo sia dall’opera tutta dell’autore, sia dal contesto storico.

    A differenza di “un passeggero”, credo che i tuoi “soliti livelli” siano un po’ meglio di questo.

  7. “Quindi fa finta di volerla e mente anche a se stesso: la pace la fai solo se rischi fino in fondo, se ti presenti davanti al nemico inerme, con la mano tesa, pronto a concedere, a tornare sui tuoi passi, pronto a dire di si, a tollerare.
    Eccetera”

    israele non esisterebbe più.

    ma per carità, ognuno è libero di credere alle proprie scempiaggini.

  8. Ma che c’è? Perché vi scandalizzate tanto?
    Non è chiaro come l’acqua che lo “stato” d’israele è stato artificiosamente e criminalmente creato a casa di altri?
    E’ come quando fai un trapianto di organo e c’è il rigetto.
    Che fai, uccidi la carne che non accetta l’estraneo?
    Bha!
    E pensare che il popolo palestinese era un popolo tra i più laici e moderati dell’intero mondo islamico (ma sì, ai tempi in cui il mossad e la cia ammazzavano i rappresentanti di fatah… che ora sono i moderati).
    Il mondo è diventato una cosa triste, soprattutto perché chi fa le regole del gioco ha tutte le intenzioni di complicare sempre di più le cose.
    Siamo messi male

  9. la poesia e’ uscita sul giornale cosi’ com’e’, singola, quindi non e’ estrapolata da un’opera in particolare. Shabtai la considera molto importante, dice che secondo lui rispecchia la situazione attuale, si riferisce alla campagna per gli accordi di pace promossa da Kadima e che ha portato al governo Olmert. Shabtai scrive di queste cose giornalmente da piu’ di dieci anni, seguendo quello che succede, basandosi sulle fonti che provengono dalle tante organizzazioni per i diritti dei palestinesi attive nei Territori, il suo e’ un diario politico, in cui la poesia e la scrittura vengono ridimensionate alla bassezza del reale. ringrazio Helena, anche da parte di Shabtai, per avere impaginato cosi’ bene il testo, a forma di muro, come appare in ebraico.

  10. Abraxas, ma tu credi di aver letto bene il pezzo “incriminato”? Ti sembra “il solito pezzo dell’ebreo contro Israele”? Che strano, io ho avuto proprio un’altra impressione, mi è sembrato un pezzo che inneggia alla pace fin nella punteggiatura.
    E poi, perdonami, ognuno ha il tash che si merita… Magari, leggendo senza estrapolare dal senso complessivo di un commento.

    p.s.

    Sono “un passeggere”, non “un passeggero”. Do you remember Leopardi?

  11. @ Davide Mano

    Grazie della precisazione, anch’io avevo avuto la nettissima impressione che si trattasse di un testo poetico, avevo pensato, chi sa perché, a un “frammento” di un opus in fieri.

  12. Ribadisco e chiudo.
    Non critico chi l’ha scritta (poesia? a me sembra, al limite, poemetto in prosa). E, in un certo senso, neanche il contenuto di essa.
    Ma: se dopo un attacco di israele
    su un quotidiano ci fosse una – seppur vera – sequenza di disastri compiuti dal mondo arabo
    avrei usato le stesse parole.
    In questo periodo, in questi giorni soprattutto, credo sarebbe meglio avere una visione più totale.
    e non sentire sempre e comunque le solite parole.

  13. Sì, mi sembra il solito pezzo del solito ebreo, illuminato e bello, che fa felice un uso strumentale di una certa sinistra. Poco illuminata e assai faziosa.
    Leopardi non lo leggo da un pezzo.
    Tu leggi quello che commenti?
    Incriminato – per usare le tue parole – era l’uso di uno scritto, non lo scritto.

  14. Gran bel pezzo.

    Inutile dire che Lunedì di Pasqua è stato per tutti il giorno della notizia dei 9 israeliani uccisi da un kamikaze. senza contare i feriti. il più grave attentato kamikaze da anni.
    Chi ha visto un tg qualsiasi ancora si ricorderà i titoli e le immagini.
    Ora vi chiedo chi si ricorda dei servizi di tg che parlavano dei 20 (e più: il numero non so se si sappia, come spesso accade, con i morti Altri) morti palestinesi uccisi (tra cui due bambini) nella striscia di Gaza nelle ultime settimane.
    Io non ricordo immagini, ma forse ero distratto.

    La pace non la si può ottenere senza pagare dei costi. Chi non è disposto a pagarli ne parla, ma non la vuole, la vorrebbe imporre: ma la pace per imposizione svanisce da sé.

  15. E sì, Abraxas, hai proprio ragione, e mi chiedevo quando l’avresti scritto, ero in trepidante attesa: è vero, la solita sinistra faziosa, quella stessa sinistra usa ai brogli, elettorali come è risaputo, e ora, grazie a te che l’hai smascherata, anche a quelli poetici. Che finissimo critico che sei! Vorrei consigliarti al cune pagine esemplari dello Zibaldone, ma me ne guardo bene: non vorrei distoglierti dalla lettura del giornale.
    Farewell, Santana.

  16. Credo che la verità su quel conflitto non sia nelle parole, ma nelle mappe.
    In particolare nell’andamento della linea di confine tra i due stati, con i ritorni e le enclave di quella linea frastagliata, apparentemente senza senso, che in realtà dicono di una costante pressione espulsiva verso oriente che schiaccia i palestinesi verso il Giordano e oltre, che punta a quella come linea ultima di confine.
    La verità si vede bene anche nelle mappe dell’Atlante di storia ebraica di Martin Gilbert, di cui non si può certo dire che sia anti-semita.
    Questa verità, assolutamente palese nelle mappe ma mai detta dalle parole, consiste nella volontà “biblica” di Israele di ri-annettersi tutto il territorio tra il Giordano e il mare, nella riconquista strisciante ma continua, incessante, della Terra Promessa perduta duemila anni fa.
    Se si parte da questo dato, si comprendono molte cose, si comprende l’assenza di significato, per i palestinesi, della parola pace.
    Si intuisce la disperazione che li spinge a mandare i loro figli sedicenni a farsi esplodere nelle pizzerie di Tel Aviv.
    Ogni ipotetica pace potrebbe fondarsi solo sul riconoscimento collettivo, da parte del Popolo Ebraico di questa sua volontà storica, nella proclamazione della sua rinuncia a perseguirla, nella negazione delle attuali frontiere perché frutto di un espansionismo durato cinquant’anni, nel chiedere perdono agli arabi per aver scaricato su di loro le colpe dell’Europa del XX secolo e nel tendere loro la mano arabi per provare a vivere assieme.
    Questo è l’UNICO modo PRATICO di fare la pace, tutto il resto è utopia.

  17. Spero di sbagliarmi, ma pensare alla pace in modo pratico mi sembra, questa si, davvero un’utopia! Ci sono 2 “road map”,ora, che viaggiano in direzione contraria l’una all’altra e quella che poteva essere percorribile è diventata sì una lontana utopia.

  18. Ciò che mi suona abbastanza assurdo è figurarsi un “popolo” come se fosse una persona, esortarlo a determinati comportamenti su base moralistica, come se esso potesse rispondere agli stessi condizionamenti che di solito riescono efficaci sui singoli individui. Ma probabilmente si tratta di un’illusione inevitabile per il nostro apparato cognitivo, tutto fatto di immedesimazioni. Il poeta israeliano si è creato un’immagine di quella parte della propria collettività che non si comporta come egli vorrebbe, tenta di capire, carpire con la propria immaginazione l’essenza, le “cause profonde” di questa irriducibile ed irritante inerzia che si oppone al giusto svolgersi delle cose, ovvero alla Pace, ma tutto ciò che riesce a stringere è il senso della propria superiorità: “loro” non sanno vivere – sono scatole – non sanno amare, eccetera eccetera. Io credo che si tratti di una “riduzione” tautologica che non spiega alcunché, persino se applicata ai coriacei uomini dell’apparato statale israeliano, la cui esistenza non è certo un accidente gratuito e quindi deprecabile – più gratuito mi apparirebbe, al confronto, lo sbocciare di un poeta entro le condizioni di relativo agio e sicurezza rese possibili dalla “tenuta” di quello stesso apparato.

    (ringrazio “un passeggere” per il bentornato che ha voluto darmi).

  19. Quel che mi colpisce di più in questa poesia è la sua impotenza. Dico sul serio: la trovo opposta e speculare all’immagine dei politici che si fanno le seghe sulla vasca da bagno. Come se l’impostazione della poesia civile, di denuncia, cercasse di trovare ancora metafore “scandalose”, di gridare ancora più forte e proprio così facendo rivelasse la tragedia e la disperazione che cerca di respingere.
    Davide mi ha mandato altre poesie di Shabtai, poesie di Admiel Kosman, pezzi in prosa di Yoel Hoffmann. So che lavorava anche alla traduzione di un poeta degli anni cinquanta che attraverso l’elaborazione di motivi biblici glorifica Israele. Oltre a questo, credo che Davide conosca troppo bene la realtà del paese dove trascorre molto tempo per ammettere l’esistenza solo del “bravo ebreo di sinistra”.
    Quanto a me, sono ebrea e di sinistra, figlia di deportati per di più, e qualche anno fa un commento come quello firmato da tal geronimo debaldo mi avrebbe rubato qualche ora di sonno. Adesso non più. Che arrivino pure a deleggittimare l’esistenza di Israele, che si assumano fino in fondo la responsabilità delle loro parole, coloro che si schierano incondizionatamente dalla parte dei palestinesi. Un po’ di ipocrisia in meno.
    Se gli spettatori occidentali del conflitto proseguono col consueto atteggiamento da tifoseria che conta i morti ammazzati come i gol, né israeliani né palestinesi avranno mai un aiuto responsabile per cercare di uscire dalla tragedia.
    Speravo (e spero) che anche qui ci sia ancora chi abbia voglia di riflettere con lo strumento della ragione e dell’empatia.

  20. caro passeggere,
    le classificazioni, purtroppo, non sono sempre così facili. il nemico dei dementi, a volte vota lo stesso partito.
    il fatto che io sia di sinistra, che deprechi anche la faziosità della destra e i brogli, dovrebbe farti capire che forse dovresti essere tu a rileggere lo zibaldone.
    tash, in genere le persone intelligenti, se si accorgono di aver detto una cazzata, lo ammettono.

  21. Sarà, abrax, come disci tu.
    Certo anche ammettere che la parola “pace” sia diventata, per la questione israelo-palestinese, un specie di passepartout privo di significato e incisività – incapace di generare alcun processo reale, impostura in se stessa e parodia di quello che un tempo significò altrove e che forse ancora significa – non sarebbe male, da parte di persone intelligenti e de sinistra come te.
    Occorre dirsi chiaro che lì la “pace” non è possibile, che è solo un modo per prendere tempo e perpetuare ogni inganno, finché alla parola e a qualche stitico atto di congelamento apparente dei procedimenti di espulsione in atto, non si accompagnerà il coraggio di rovesciare l’intera partita e di re-impostarla in altri termini.
    La pace in medio oriente è utopia, cioè è impossibile e falsificante, finché non si fa davvero utopia, finché cioè non investe il problema da capo a fondo nella più totale sincerità.
    Questo naturalmente non può accadere.
    Però seguitiamo lo stesso a parlare di pace, certo.
    Potrei dilungarmi in argomentazioni a sostegno della mia tesi, ma è del tutto inutile.
    Saluti comunisti.

  22. sì. d’accordo su quasi tutto.
    le scuse dovute erano per aver mal interpretato la mia crita
    (su uso e non su testo)

    Saluti affettuosi.

  23. helena, d’accordo su tutto.
    Quel che volevo dire, marginalmente, era una questione assai semplice.
    o l’ebreo è intelligente di sinistra, contro israele. o è il nemico.
    su “il nuovo antisemitismo” è stato scritto tanto.
    affrontarlo semplicisticamente porta sempre all’altrettanto semplicistica risposta:
    “rivendichiamo il nostro diritto di parlar male del governo israeliano senza doverci sentire antisemiti.”
    le semplificazioni portano, spesso, strumentalizzazione.
    Quello che tu dici “finalmente allo scoperto”
    secondo me è ancora “poco scoperto”, troppo poco.
    parlar male di israele, ovvio, è lecito (lo faccio anche io, ebreo, stupido e di sinistra). ma il parlar sempre e comunque male di israele senza manco conoscerne la storia, se non per dictat de “il manifesto”, be’, questo è antisemitismo.

  24. Loro vogliono la potta, ma si nascondono alla volontà, si nascondono al conoscere. Loro sono abituati solo al porno, a conoscere il sesso che è fotografato su carta cromo. Loro non sanno cos’è la potta, come si tasta la potta, come si penetra in una potta sensibile, con delicatezza, con onore, palpitazione, delizia.

  25. Evidente e insistita è l’equivalenza metaforica imposta dall’autore tra pace e organo femminile: o c’è qualcuno che ha per davvero “tastato”, “penetrato” la pace? I potenti vogliono la pace solo sulle riviste porno, *vogliono la pace… ma la loro voglia è come un cazzo che non si rizza neanche se seduti sulla vasca da bagno glielo menano tutta una settimana*.
    *La parola “potta” è brutta, ridicola, mentre il post è bello*? *La parola “potta” è brutta, ridicola, esattamente come il post*? *La parola “potta” è bella esattamente come il post*?

  26. Il problema è che, appunto, la strumentalizzazione della questione spesso prende il sopravvento: c’è un ribadire strumentale, da destra (ebraica e non) dell’antisemitsmo di sinistra, c’è la protesta di rito, da sinistra, che ogni critica ad Israele viene bollata di antisemitismo ecc. Non è neanche un dialogo fra sordi perché non è un dialogo, ma uno scambio di battute secondo copione, un gioco delle parti che rafforza le parti.
    L’antisemitismo accompagna tutta la storia della civiltà giudeo-cristiana (piace il termine?), è innervato in essa: com’è che si poteva pensare che per un cinque/sei milioni di ebrei ammazzati di troppo potesse scomparire per sempre? Infatti non è scomparso.
    Solo che se non si manifesta in forme tipo striscioni “I nostri forni son sempre accesi”, diventa materia sfuggente. Indefinibile.
    L’antisionismo è antisemitismo? No, in linea di principio. E non perché esistono ebrei antisionisti- ne esistevano anche di fascisti, nazisti addirittura.
    E’ difficile non cogliere in certi discorsi antisraeliani un’aggressività, un accannimento sospetto a chi ha nel DNA da discriminato la percezione dell’ostilità. Però si rischia comunque di cadere nella paranoia.
    Secondo me la mossa di voler smascherare l’antisemitismo di chi non si dichiara tale è un errore. Blocca ogni altro discorso, ammesso che si riesca a farlo.
    Mi sembra più utile analizzare e descrivere puntalmente i vari attaggiamenti e porre domande precise. Così magari si riesce a parlare con chi è in buona fede, e chi al nemico ci tiene tanto tanto, se lo tenga.

  27. C’è una quarta alternativa (desumibile da qui sotto): *La parola “potta” è bella, mentre il post è brutto, ridicolo*

    Al fine de le sue parole il ladro
    le mani alzò con amendue le potte, 
gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».
    D’indi mi fuor le serpi galeotte,
    perch’ una li s’avvolse allora al collo,
    come dicesse `Non vo’ che più fotte’;
    e un’altra a le braccia, e rilegollo.

  28. Al fine de le sue parole il ladro
    le mani alzò con amendue le potte,
    gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».
    D’indi mi fuor le serpi galeotte,
    perch’ una li s’avvolse allora al collo,
    come dicesse `Non vo’ che più fotte’;
    e un’altra a le braccia, e rilegollo.

  29. La stessa cosa di quelli che tacciano automaticamente di antisemitismo la critica della politica israeliana.

  30. C’è una differenza, però.
    La critica ai governi statunitensi cambia a seconda degli eletti.
    Quella su israele no. Le stesse cose, sempre si sentono. C’è uniformità di critica a prescindere da chi guidi il governo.
    C’è sempre un “ma”. Sì, Barak voleva restituire il 94% dei territori, MA. Sì, Sharon ha restituito… MA.
    C’è sempre un ma.
    E l’antisemitismo è tutto in quel MA.

  31. Ecco, per esempio si potrebbe ragionare sulla presunta “volontà storica” del “popolo ebraico” (notare: ebraico, non israeliano) di annettersi i territori dal Giordano al mare. A parte l’evidente ignoranza della storia di Israele, affermazioni del genere sono smaccatamente antisemite, secondo me. Non capisco cosa ci sia di male a dirlo a chiare lettere.

  32. ecco, puntuale arriva l’accusa di anti-semitismo.
    ho invitato a dare un’occhiata alle mappe, tassinari, perché dicono molto.
    ma evidentemente non serve a nulla cercare di leggere la realtà per quello che è.

  33. Ne se sentant chez eux en aucun lieu, ils ne connaissent en aucune façon la tragédie du déracinement. Il n’y a pas un coin de la Terre qui ait modelé leur âme; c’est pour cela qu’ils sont toujours les mêmes dans n’importe quel pays ou continent. Si j’étais Juif je me tuerais à l’instant même.

  34. Vif, poiché “il n’y a pas un coin de la Terre qui m’ait modelé”, sento il bisogno urgente di mandarti affanculo: vaffanculo!

  35. Non so se è di Ionesco, Cioran o di qualche altro expat esteuropeo in Francia che si sente tragicamente sradicato. So solo per la mia modestissima esperienza che non è così. Certo, lo sradicamento di un ebreo è molto diverso da quello di un esiliato strappato a un paese-nazione con cui si indentificava fortemente. Ma l’anima è e continua ad essere modellata da OGNI angolo della terra in cui si è vissuti. E la sofferenza di non appartenere non comincia con il trauma di uno strappo, ma dalla nascita.
    Però mi sa che in questo pezzo non si parla degli ebrei veri che sono dappertutto uguali come sono uguali i cinesi o i neri, cioè solamente per l’occhio di chi non li conosce e/o non li vuole conoscere, ma degli Ebrei. Anzi, più classicamente: dell’Ebreo. Che è uno specchio proiettivo, un fantasma bianco e nero, più nero che bianco visto che è fatto ad immagine e somiglianza dei chassidim ortodossi ashkenaziti. Che sembra in effetti identico da New York a Parigi a Riga a Gerusalemme ma che ormai rappresenta davvero una minima parte degli ebrei. E poi anche il mondo degli ortodossi non è così uniforme come pare e non lo è mai stato.
    Chissà se l’autore di quelle frasi avesse ripensato a scriverle se all’epoca avesse mai incontrato degli ebrei yemeniti, iracheni, di Goa o anche solo di Istanbul o Salonicco, per non menzionare i famosi falascià?
    E per riprendere il filo del discorso fra Tash, Abraxas e Tassinari, voglio ribadire ancora una volta che anzicché smascherare l’antisemitismo, preferisco smontare pezzo per pezzo gli elementi di discorso che mi sembrano sbagliati e/o pregiudiziali.
    Così a Tashtego chiederei perché nel discorso sul disegno geopolitico israeliano sia implicato non solo uno o più governi dello stato d’Israele e nemmeno solo la sua popolazione ma l’intero Popolo Ebraico?
    E se il popolo ebraico dovrebbe chiedere scusa al popolo palestinese, non dovrebbe farlo, per esempio, anche quello italiano nei confronto dei libici, dei somali, degli etiopi ed eritrei ammazzati col gas dal Duce?
    Voglio sia chiaro che non c’è nessuna intenzione retorica in queste domande e nessuna pregiudiziale.

  36. brava, helena, soprattutto per la tua passione/pazienza a disaggregare i discorsi. bravina sul quiz: Ionesco da quel che mi risulta non ne ha mai dette di simili. Cioran pensavo che blaterasse in Romania negli anni ’30: purtroppo il brano è del ’57 (lettera a Para Noica), scritto cioè da un apolide/cosmopolita col vizietto della sentenzina (= sentenza perugina) tipo *J’ai tous les défauts des autres, et cependant tout ce qu’ils font me paraît inconcevable*… con quelle frasi un po’ così, quelle espressioni un po’ così che hanno gli apolidi contrari a Geova…

    e scusa al passeggere, da parte di un controlloro

  37. “Poco a poco li caccerò davanti a te. Finché porterai frutto ed erediterai la terra.
    E porrò il tuo confine dal Mare del Giudeo (Mar Rosso) fino al mare dei Filistei (Mediterraneo) e dal deserto fino al fiume. Quando darò nelle tue mani gli abitanti della terra e li caccerai davanti a te.”
    Esodo/nomi, 23, 30-33, trad. di Erri De Luca.
    È Elohìm che promette tutto questo al Popolo Ebreo.
    “E darò di tutti i tuoi nemici verso di te la nuca”, afferma pochi versetti prima.
    Eccetera.
    Per questo ho parlato di Popolo Ebreo.
    Il fiume è il Giordano, ma De Luca sostiene sia l’Eufrate.
    Guardando le mappe si vede bene questa tensione verso il Giordano, si vede bene l’impossibilità di una pace di qualsiasi tipo.
    Non parlo di “chiedere scusa”, parlo dell’utopia di vivere assieme, cioè dell’unica pace possibile.
    Quanto poi ai massacri e ai crimini commessi dal fascismo in Libia, Etiopia, eccetera, sono convinto che si dovrebbe chiedere scusa e risarcire.
    Però cosa c’entra?
    Nessun popolo è innocente.

  38. Tashtego, da’ un’occhiata a ‘sta mappa, va’:

    1974: Restituzione alla Siria dei territori catturati nelle guerre del 1967 e del 1973.
    1979: Restituzione all’Egitto del Sinai, occupato nel 1967.
    1983-1985: Ritiro dal sud del Libano tranne la striscia di confine, poi abbandonata nel 2000.
    1994: Restituzione all’Egitto di gran parte della striscia di Gaza.
    2000: A Camp David Israele acconsente a cedere gran parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza all’ANP.
    2005: Ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, ceduta al controllo dell’ANP.
    2006: Il governo Olmert annuncia un piano di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania.

    Helena, si tratta proprio, come dici tu, di «smontare pezzo per pezzo gli elementi di discorso che mi sembrano sbagliati e/o pregiudiziali». Qui, per esempio, c’è un elemento di discorso che accusa Israele di avere una politica espansionistica. Per smontare pezzo per pezzo questa classica bufala dovrebbero bastare i fatti sopra citati.

    Ora, se qualcuno si ostina a definire questa politica “espansionistica”, a mio modesto giudizio è uno che non vede o non vuole vedere. Oppure è qualcuno che contro l’evidenza attribuisce al “popolo ebraico” la “volontà storica” di occupare i territori dal Giordano al mare, magari citando a sostegno qualche versetto della Torah, e in questo caso è uno che propaga un pregiudizio antisemita che risale ai Protocolli dei Savi di Sion.

    Già solo quel riferimento al “popolo ebraico” come entità compatta dotata di un’unica volontà di conquista è una cosa da far accapponare la pelle. Ti sembra un ragionamento corretto o no? Se no, perché? Se sì, cosa c’è di male a dirlo chiaro e tondo?

  39. ecco.
    si sfodera tutto l’armamentario, anche i Protocolli dei Savi di Sion.
    nell’impossibilità di postare mappe, chiudo qui ogni ulteriore commento.
    non prima di aver consigliato al simpatico, aperto e disponibile Tassinari lo smilzo saggio di Alain Gresh, Israele, Palestina, Einaudi 2004.
    per tranqullizzarlo aggiungo che l’autore è ebreo, per sua stessa dichiarazione.
    per finire devo dire che trovo intrinsecamente violenta, brutale e incivile, l’accusa di anti-semitismo verso chiunque provi a sollevare qualche dubbio sulla politica di Israele.

  40. sbaglia tashtego a chiudere: tanto, si riapre d sé.
    Domande che mi pongo da ignorante anti-ignorante (= filo-filo-sofo):
    israeliano si dice come ad es. austriaco? (cittadinanza)
    ebreo si dice come ad es. induista? (religione)
    semita si dice come ad es. nero? (razza)

  41. Concordo con tashtego nel ritenere ingiusto bollare di antisemitismo qualsiasi critica alla politica di Israele. Ritengo altresì giusto sottolineare che attribuire al “popolo ebraico” la “volontà storica” di conquistare i territori dal Giordano al mare non è una critica alla politica di Israele, ma la replica in salsa contemporanea di un vecchio pregiudizio antisemita.

    Confondere ebrei e israeliani, e sempre allo scopo di attribuire ai primi i torti dei secondi, è sintomo di antisemitismo. Considerare gli ebrei come un’entità compatta e monolitica, per di più impegnata all’unisono in oscuri piani millenari di conquista (di terra, di soldi, del mondo intero), è sintomo di antisemitismo.

    Queste cose a mio avviso vanno dette chiaramente. Non per il gusto di pescare qualcuno in fallo e tacciarlo di antisemitismo, ma per contribuire per quel poco che si può a debellare pregiudizi pericolosi.

  42. come si voleva dimostrare: invece di parlare del problema della pace in israele si è parlato, al solito, dell’anti-semitismo degli interlocutori.
    la solita manovra è riuscita ancora una volta.
    anche questo andava detto chiaramente.

  43. Nonostante l’andamento cvd. continuerei a fare la cosa che a noi ebreucci/e scassamarroni viene meglio: le domande. Ma sono in partenza e allora so di non poter più intervenire per rispondere, il che non mi pare giusto.
    Magari quando torno o magari riprendiamo il discorso un’altra volta.

  44. helena says: *la cosa che a noi ebreucci/e scassamarroni viene meglio: le domande*. Curioso, perché due commenti prima le domande le avevo fatte io, che sono veneto di…. etnia? e montenegrino di….? (politically correct: montenerino). Curioso anche che, a rigor di termini ossia tolta la simpatia, la connessione ebreucci/scassamarroni è in odor di razzismo, come qualsiasi altra attribuzione in sé alla… razza? etnia? Lingua? Religione? (i genovesi/avari, i veneti/polentoni, i neri/conla musicanelsangue, gli arabi/conlaminchiatanta ecc.).
    Ho girato in rete:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Semita che dà del termine un’accezione esclusivamente linguistica. Così posta, stando a Semerano noi occidentali siamo tutti semiti. Poi
    http://it.wikipedia.org/wiki/Razza che dissolve altrettanto il concetto e rinvia a
    http://unesdoc.unesco.org dove il documento più recente è del 1964 e a
    http://www.ncbi.nlm.nih.gov Science del dic 2005, M. Balter, abstract: *Lighter variations of pigmentation in humans are associated with diminished number, size, and density of melanosomes, the pigmented organelles of melanocytes. Here we show that zebrafish golden mutants share these melanosomal changes and that golden encodes a putative cation exchanger slc24a5 (nckx5) that localizes to an intracellular membrane, likely the melanosome or its precursor. The human ortholog is highly similar in sequence and functional in zebrafish. The evolutionarily conserved ancestral allele of a human coding polymorphism predominates in African and East Asian populations. In contrast, the variant allele is nearly fixed in European populations, is associated with a substantial reduction in regional heterozygosity, and correlates with lighter skin pigmentation in admixed populations, suggesting a key role for the SLC24A5 gene in human pigmentation.*
    Entrambi i links concordano nel fare riferimento al patrimonio genetico. Perciò se si elimina “razza” bisognerà trovare un termine nuovo, ma la cosa rimane (curioso che il sito del comune di TO, contro “le discriminazoni di razza, etnia, lingua, religione ecc.”, dice che termine razza è diventato tabù, che non equivale a errato). L’Unesco poi è esplicita e predittiva a collegare “ebreo” a religione e non a razza. Da cui si deduce che un ebreo non-credente è una contraddizione in termini.
    Pro domo mea: non sono cattolico, ma battezzato. Per una mia idea di coerenza, ho cercato di cancellarmi ufficialmente dal novero dei cattolici (non vorrei ad es. che la Chiesa romana nelle statistiche dei suoi adepti conteggiasse anche me). Bene, c’è un iter praticabile, solo che è lunghissimo, fatto apposta per perdersi cammin facendo, come è successo. Forse ci riproverò.
    Helena non può rispondere o/e interrogare per ora. Ma i post non sono a termine.

    db

  45. Dario, sono veramente in partenza…Era prendersi per il culo sulla base dei simpatici, antichi pregiudizi. Non dubito della facoltà interrogativa di un “polentone”.

  46. Relativamente a quanto detto finora: 1) sì, termini come semita e indoeuropeo sono solo ed esclusivamente linguistici; 2) Semerano lasciamolo fuori, perché nonostante certe inopinate sponsorizzazioni culturali (da persone serissime come Cacciari e Galimberti non me lo sarei mai aspettato) dice cose linguisticamente inammissibili, perché le sue paretimologie vanno bene per la linguistica prescientifica del medioevo; 3) oggi i genetisti (vedi Luca Cavalli Sforza) usano i traccianti genetici solo per seguire le migrazioni preistoriche e hanno una buona volta dimostrato, provette alla mano, che le razze non esistono per nulla e dunque non hanno, ovviamente, alcun peso culturale; 4) purtroppo la civiltà europea deve effettivamente fare i conti con circa un paio di millenni e più di antisemitismo in varie forme (e non ci si salva da questa tara storica negando le diversità culturali e linguistiche, così si fa peggio), e certa sinistra estrema (e infantile) va fin troppo a braccetto con certo islamismo, quasi si trattasse di sol dell’avvenire, mentre invece è solo oscurantismo tribale; 5) la situazione del conflitto arabo-israeliano non si risolverà fin quando non si smetterà di rimestare questa materia infetta e non si guarderà in faccia il problema in sé, e cioè il fatto che in Palestina gli individui (di religione ebraica o musulmana o cristiana) sono vittime della strumentalizzazione becera e criminale che ha i suoi centri di comando altrove, molto lontano da lì (la gente, in Palestina, a qualunque religione si inchini, sembra che ogni volta che incontra un suo simile di un’altra religione, abbia la faccia rivolta dalla parte sbagliata); 6) andrebbe sempre risottolineato quello che ha già detto qualcun altro: i “loro” del testo non hanno, volutamente, alcuna identificazione precisa; 7) scusate l’eventuale intempestività e la puntigliosità interpuntiva.

  47. Da un articolo di Oliviero su “L’avvenire”

    I geni umani si aggirano intorno ai 30.000, il doppio dei geni di un moscerino, o lo stesso numero dei geni di un topo: il 40% delle informazioni racchiuse nei geni umani è simile rispetto a quelle dei vermi, il 60% uguale a quelle di un moscerino, il 90% a quelle dei topi. Dall’altro lato gli esseri umani dimostrano un’unicità genetica, anche rispetto agli scimpanzé, fondata su appena l’1% dei geni. Ma la diversità tra noi e le scimmie dipende anche da una minore variabilità genica. Tra le popolazioni umane appartenenti alle diverse razze esiste un’incredibile rassomiglianza genetica: appena lo 0,1 % dei geni varia a seconda delle razze. Alcuni genetisti, come Cavalli Sforza, asseriscono che il concetto di razza va totalmente rivisto in quanto le diverse razze contemplano minime differenze, inferiori a quelle tra persone che appartengono ad una stessa etnia: eppure, siamo spesso indotti a postulare differenze che, salvo per pochi tratti fisici, dipendono essenzialmente dalla cultura.

    Riguardo agli animali si ragiona per specie e razza (specie bovina, razza frisona). Per la specie umana, come ci si dovrebbe regolare? Balter ha assegnato un ruolo-chiave al SLC24A5 gene rispetto alla pigmentazione umana. Per uno scienziato una differenza di pigmento va spiegata come qualsiasi altro fenomeno: se non è un gene, sarà qualcos’altro, ma qualcosa sarà.
    “razza” ha a che fare con “razzismo” esattamente o “idea” con “idealismo”: l’-ismo cioè è un peggiorativo, peggiora/enfatizza qualcosa che di per sè è a-valore.
    “semita” è linguistico, e se Semerano ha torto, ho un legame in meno con l’area linguistica arabo-ebraica. In ogni caso, “anti-semita” riferito ai soli ebrei è incongruo: i cattolici dicevano “anti-giudaico”, più congruamente, e in riferimento alla religione.
    Insomma, ci sarebbe bisogno di una bella pulizia lessicale, nella speranza che contribuisca a evitare quella etnica.
    E etnia?

  48. Fermiamo lo scempio compiuto da Israele. Lo stato degli ebrei si comporta come i nazisti di Hitler. Per ogni soldato ucciso ne ammazzano 10 civili. Oggi hanno ammazzato 47 persone in Libano, un fatto grave perchè sono morti 15 bambini innocenti. La razza ebraica non merita di mietere morte solo perchè è protetta dagli americani e dal silenzio del mondo che non si cura di questa polveriera che sta sfuggendo al controllo delle menti razionali di quei pochi politici israeliani che esistono. Speriamo che lo stato ebraico ritiri le proprie truppe. Credo che sia arrivato il tempo di incominciare a boicottare Israele così magari smetterà di fare il padrone di terre che non gli appartengono.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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