“Ci vediamo domenica pomeriggio a Booty Bay, per la gara di pesca!”

 di Matteo Esposito

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Booty Bay è un villaggio di pescatori all’estremo sud delle terre occidentali; poche case di legno forse ricavato da vecchie navi sono ammassate l’una sull’altra, a semicerchio, nella baia che guarda le spalle alla grande statua del goblin-cristo-redentore. Il cielo è blu, limpido, alla sera si fa rosso fuoco e la notte le stelle scintillano sopra un mare sempre calmo. Tutte le domeniche un goblin lancia la sfida della Fishing Extravaganza: il primo che gli porta quaranta esemplari di una certa specie, pescati sulle spiagge di Stranglethorn Vale, si aggiudica un bel premio.

Ammetto che preferisco pescare per quel goblin, magari a fianco di uno sciamano di sessantesimo livello che in un’altra occasione mi avrebbe accoppato in due mosse, piuttosto che starmene nascosto nella foresta a tendere agguati a qualche ordaiolo di passaggio. Sono un druido di quarantesimo livello, solo di quarantesimo, nonostante sia entrato in questo mondo quasi due anni fa, facendo il betatester sui server americani. È che non ho molto tempo e non amo la competizione rissosa. Preferisco girare da solo, spesso di notte, nelle zone meno popolate, in cerca di scorci particolari da immortalare con lo Stamp, la mia Nikon virtuale. Aspetto che non ci sia nessuno, faccio Alt-Z per eliminare l’interfaccia dallo schermo, misuro l’inquadratura con il mouse; ancora qualche istante per lasciare che un basilisco esca dalla scena e poi clic, scattata. A volte faccio il turista e cerco scorci famosi, resi celebri dagli innumerevoli screenshot pubblicati sul web. La facciata della cattedrale di Stormwind alla domenica mattina, le statue armate della valle dei re, il profilo delle mese su cui sorge la capitale di Mulgore, Thunderbluff, la diga dei nani, con le gigantesche facce di pietra che sputano l’acqua del Loch Modan verso le Wetlands. Altre volte faccio il naturalista e cerco di immortalare solo piante; ne ho fotografate tante a partire dai grandi baobab dell’arida savana di Kalimdor nota come Barrens, all’ombra dei quali riposano leoni e scorrazzano raptor viola, alle enormi latifoglie che si stagliano all’infinito nel cielo di Ashenvale, ai pini morenti delle montagne di Stonetalon o a quelli più maestosi e tetri della Silverpine Forest.

Quando mostro la mia gallery di alberi di World of Warcraft all’amico artista Mauro Ceolin, rimane impressionato e mi fa tanti complimenti. “Io passeggio nelle foreste di Deer Hunter” mi confida… Quello è un vecchio single player, in cui nei panni di un cacciatore nordamericano devi cercare di abbattere cervi, daini e altri ungolati, aggirandoti tra le latifoglie, cautamente, per non far rumore. A Mauro di sparare ai cervi non frega proprio nulla, lui cerca paesaggi, per poi ritrarli nei suoi dipinti. L’altro giorno allo IULM di Milano c’era una tavola rotonda sul tema dei videogames. C’era anche Mauro e a un certo punto prende la parola, nel bel mezzo di un dibattito che non riesce a trovare un punto fermo su cui discutere: si parla di giochi come mimesi, si parla dell’aspetto narrativo che però non c’è in un gioco di calcio, che però è una simulazione, che però quando si simula la guerra si abitua la gente a eliminare altra gente, che però in fondo si tratta di un gioco, che però è più reale della guerra vera, dove i soldati stanno davanti a uno schermo e sempre più di rado vedono il nemico in carne e ossa… Quindi Mauro prende la parola e dice “io sono solo un pittore” e poi spiega che ne ha piene le palle dell’arte che vuole trasgredire, da Duchamp a Cattelan, e che lui preferisce ritrarre a modo suo la bellezza e la realtà, quella di oggi però, che comprende molte cose, molti luoghi, anche quelli in cui passiamo svariate ore giocando e parlando con amici o semplicemente con persone, giovani, vecchi e a volte bambini, ai quali quando mi chiedono “come ti chiami” e “da dove vieni”, anziché enunciare le mie generalità preferisco rispondere “Sono Theodoron l’elfo druido, nato ad Aldrassil nel febbraio del 2005. Ora vivo ad Ironforge, sulla montagna dei nani, e solo su Crushridge, il server degli italiani”.

A proposito di bambini, Simona domenica fa la prima comunione, è sabato e non le abbiamo ancora preso il suo regalo. Ne abbiamo parlato, con lei, con la mamma e con il papà, siamo tutti d’accordo. Ad un certo punto però mi sorge un atroce dubbio. La raggiungo dal parrucchiere, dove la stanno preparando per la cerimonia: è un angelo, una principessa con i capelli tutti intrecciati a formare una specie di corona. “Simona, non ti ho chiesto una cosa importate! Di che razza lo vuoi il cucciolo?” e lei “non lo so zio!” e la parrucchiera “ah, ti regalano un cagnolino?” e la bambina “ma nooooo! È per il Nintendo! Zio, l’importante è che non lo compri rosa, di qualsiasi colore ma non rosa”. Le compro un Nintendo grigio, e tra i vari Nintendogs scelgo il Labrador come amico virtuale. Virtuale… ovvio, non è come una cane vero, ma che c’entra adesso? Matteo Bittanti direbbe che quella del virtuale-reale è una falsa dicotomia, equivoca e fuorviante e che l’aggettivo “virtuale” depotenzia e depaupera sul piano ontologico, fenomenologico, assiologico l’operato della “secondavita”. Secondo Bittanti, anch’egli presente alla conferenza dello IULM attraverso Skype e con il suo avatar di SecondLife, si può parlare di tre vite: la primavita che è quella che noi tutti conosciamo, la secondavita che è quella che conduce un avatar all’interno di un ambiente digitale, la terzavita che è l’insieme delle prime due e che in una dialettica di presenza/assenza si connota con l’“agenza”, ossia  “l’esercizio della capacità di intervento di un soggetto all’interno di un determinato contesto (di tipo non narrativo)”, che può essere la realtà che tutti conosciamo, quella analogica, oppure la realtà dei mondi digitali, che conosciamo di meno e che pur esiste e che meriterebbe di essere approfondita, criticata, studiata, raccontata…

Al rinfresco, dopo la cerimonia, incontro Gianni Biondillo, che non vedo nella realtà analogica da un pezzo e che però incontro quasi tutti i giorni su MSN Messenger. Si parla del più e del meno, di come non ci si veda mai abbastanza, di come ci si veda però spesso, online. Gli parlo allora delle mie peregrinazioni virtuali, della conferenza dello IULM, della mia nuova passione per Shadow of the Colossus e di come trovi rilassante galoppare nel vento, con il sole in faccia, con un falco che talvolta plana vicino alla mia spalla, come se volesse seguirmi in quelle terre desolate, intrise della concezione artistica di Fumito Ueda, di una malinconica atmosfera che a tratti ha del sublime, quello kantiano, di quando si coglie una parte del reale e se ne intuisce, dopo una sensazione di smarrimento, la maestosità del tutto, e di questa capacità di intuire, di comprendere l’infinito, si gode. Gianni mi chiede di scrivere un pezzo su tutto ciò per il blog nazioneindiana.com. Gli rispondo che non so, che non ne sarei capace. Poi alla fine ci provo. Spero possa interessare a qualcuno.

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10 Commenti

  1. “Booty Bay è un villaggio di pescatori all’estremo sud delle terre occidentali; poche case di legno forse ricavato da vecchie navi sono ammassate l’una sull’altra, a semicerchio, nella baia che guarda le spalle alla grande statua del goblin-cristo-redentore…”
    Dopo un attacco così come si può non continuare?

  2. @Mapi

    …in verità Booty Bay sta nelle terre orientali, però diciamo a occidente delle terre d’oriente… insomma mi sono incasinato con la destra e la sinistra, con quale mano sto scrivendo? Con entrambe! O cazzo…

  3. Da un lato leggere tutto ciò mi appassiona, per quanto preferisca il gioco di ruolo da tavolo a quello online. Dall’altro mi mette un po’ di tristezza.
    Considero da sempre il videogioco come qualcosa di educativo (soprattutto quelli con enigmi, o di gestione, che costringono ad usare il cervello intensivamente), e come tutte le cose, quando non si esagera, ha la sua parte importante nella nostra vita. Quando però la vita virtuale prende il posto di quella reale, beh, allora forse stiamo esagerando, perchè il contatto fisico (gli sguardi, il caffè preso insieme, la chiacchierata del più e del meno) sono cose che la rete non potrà mai sostituire, e che a mio avviso sono parte integrante della nostra crescita intellettiva e sociale.
    Per cui che ben vengano entrambe le cose, nel loro giusto equilibrio.

  4. @Omar

    Quello che scrivi è comprensibile… un caffè è un caffè, un bacio è un bacio. Quello che ho voluto provare a far passare è che i videogames SONO una parte della nostra realtà. Pochi la conoscono e pertanto fanno fatica ad accettare che si possa avere amici solo online, o che si possa provare una particolare emozione osservando un tramonto a Booty Bay.
    Il cinema sa offrire grandi emozioni, può essere entertainment oppure arte oppure entrambe le cose. Un videogame può essere qualcosa di meno impegnativo oppure qualcosa di molto più evoluto.

    Consiglio a chi è interessato l’ultimo numero di Wired, in cui Will Wright, il papà di Sim City, parla del futuro dei games… moooolto interessante!

  5. Pensa che a Booty Bay ci sto passando la vita! Io non pesco: mi butto giù da gatto, vado in sealth e comincio a girare. Un bucaniere qua, un ordaiolo là, un miner co. su, un undead giù, e mi stacco un paio d’ore dal lavoro che mi ammazza, dalla famiglia che mi succhia e dal “reale” che mi ammoscia.

    Sono al livello 41, mi do un po’ più da fare, ma se ti andasse prendi il grifone a Ironforge e vieni a trovarmi. Sto pensando di affittare una casetta per l’estate sulla Wild shore, fra gli sciamani. Ti ospiterei volentieri.

    Slartibart

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gianni biondillo
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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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