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Kalashnikov Kafè /vs Roberto Saviano II parte

di
Francesco Forlani

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da www.kalashnikovvodka.com

Mi sono sempre chiesto che faccia potesse avere, o piuttosto fare un sopravvissuto ai campi di concentramento alla lettura delle prime pagine di “Se questo è un uomo”. O un abitante di Matera dopo aver sfogliato il Cristo si è fermato a Eboli. Non so cosa abbia veramente fatto, e seppure ritrovassi uno di loro, il racconto sarebbe a freddo – cinquant’anni possono anche indurti a credere di non aver vissuto niente – ma una cosa posso immaginarla con una quasi certezza ed è che quel lettore si sia sentito di colpo più leggero. Quasi come colui che quella storia l’aveva raccontata.
Essere campani – e mai definizione fu più astratta per quanto la parola sia quasi abitata da quell’altra, “campare”, insidiosa come una zanzara malarica o l’ordine urlato da un kapò all’ingresso di una camerata- e leggere Gomorra mi fanno pensare proprio a questo. A una guerra di liberazione.

I fatti ovvero il romanzo

Sin dalle prime pagine si ha l’impressione di una sospensione e il canto che apre il libro comincia del resto così:
“Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave”
Come un costante rimosso, un perturbante, la scatola cranica della città appare a tutti ben visibile in alto a quella croce e credo sia stato proprio Pasolini a versificare gli strumenti della nuova economia, pale, scavatrici e gru, vestigia delle antiche e religiose icône dell’umano, il pianto e le croci.
La merce. Ecco quello che c’è dentro, e Roberto Saviano ne è affascinato, soggiogato, come ossessionato insieme alle due questioni fondamentali che attraversano tutto il libro: una è che cosa contenga il container, l’altra dove va, quella merce.

Il narrante/protagonista, nessuna delega a persone terze, non decide di vivere la storia che sta per raccontare. Vuole solo capire se quello che gli altri chiamano “sistema” è per forza di cose un destino. Innanzitutto il proprio. Nella di-vulgata stampa e cultura nazionale la camorra è quello che gli affiliati chiamano, il sistema, ovvero associazione criminale di uomini e donne che nell’illegalità fanno quello che altri fanno nella legalità, ovvero un esercizio di potere.
Sembra quasi che al di là della connivenza dei due sistemi, soprattutto quello politico/civile e quello camorristico – negli anni settanta non si urlava contro il sistema? – esistano altre inquietanti similitudini. Basta sentire parlare i quadri medi di una società ultraliberista e i capizona riuniti alla corte di un qualsiasi camorrista. Le parole saranno le stesse: eliminazione, tradimento, lotta di quartiere, coltellata alle spalle. Quando Roberto Saviano si avventura nel sistema di potere campano, quello illegale, è come se si trovasse confrontato al passaggio all’atto di quello che nel “sistema” legale viene solo enunciato. Tra i due sistemi vive, si agita e qualche volta lotta, la società civile.

I personaggi
Gomorra è un romanzo perché ci sono i personaggi, ci sono le storie, e soprattutto c’è la scrittura, ovvero quel complesso nodo di parole e pensieri che cercano di trovare un senso all’assurdo.

Ci sono la madre e il padre. Come nella migliore letteratura mediterranea, e penso ad Albert Camus, c’è una madre silenziosa e un padre “bavard”, che dice, parla, indica, tenta una mediazione tra figlio e sistema, i due. Bisogna del resto possedere le due chiavi per “diventare” qualcuno la laurea e la pistola. Nei tre, credo, momenti di apparizione del padre è difficile non leggerci una lettera, per quanto accorata, arrabbiata, rivoltata, d’amore del figlio al padre. Come lo era stata quella di Anna Maria Ortese, alla città e ai suoi abitanti ne “Il mare non bagna Napoli”.

Ci sono i parenti, o i compagni d’infanzia perduti strada facendo, guide in un viaggio che sembra non avere altro scopo che lo “spostamento” del punto di partenza , direbbe il filosofo ebreo, Jabés.

Ci sono i personaggi tarantiniani che sembrano quasi solamente visioni, Sandokan su tutti, ovvero uno dei capi camorristi più spietati. La realtà del resto passa il testimone all’ “invenzione”, come quando i clan adottano il modo di sparare alla tarantino, appunto con pistola obliqua e velocità dei gesti.

Ci sono i viaggi. Se si dovesse tentare una cartografia delle scene in cui accade Gomorra ci troveremmo da un capo all’altro del pianeta. Tra boss. Il territorio, che in genere si riferisce per definizione a una porzione di terra e dunque definita, si trasforma in globo esattamente come l’economia non più locale ma naturalmente globalizzata sia che si parli di tessile o di partite di coca. Non c’è terra, capitale, città alla moda, spiaggia ove non risuoni il nome dei casalesi, di Bardellino, degli spagnoli o dei Schiavone. E allora il lettore si chiede se c’è un luogo dove Gomorra non abbia piantato le proprie lavomatic, vere industrie di lavaggio e riciclaggio del denaro sporco. Forse la Groenlandia, mi rispondo convinto che Roberto mi risponderebbe cosi’. E infatti me lo dice al telefono.
Ma su tutti, il viaggio che percorre tra le più belle pagine del romanzo, è quello che l’amico affiliato al sistema compie in Russia, spingendosi fino alla porta di casa del generale Kalashnikov, da cui si fa dedicare una fotografia.

C’è don Peppino Diana, il prete ribelle, che il Sistema decide di eliminare quando il coraggioso curato decide di togliere dio dalle preghiere dei camorristi. E si evince dal ritratto che ne fa Roberto- il sigaro in bocca come Che Guevara – la figura di quell’altro prete che in pieno novecento a Letino, vicino Piedimonte Matese segui’ gli anarchici, Errico Malatesta, di Santa Maria Capua Vetere compagno fedele di quell’altro, Cafiero, protagonista della prima e unica rivoluzione libertaria che sia mai accaduta dalle nostre parti.

La composizione

Sobria. Precisa. Nella prima parte c’è addirittura un gioco di rinvii tra il primo capitolo intitolato porto e l’ultimo donne. Donne per ogni porto. La seconda parte si apre con Kalashnikov e finisce con terra dei fuochi.
Non appare dall’indice l’esistenza di un terzo blocco, quello da cui in qualche modo sono partito e dove Roberto Saviano interroga la letteratura e redige un suo piccolo manifesto portatif per una Nuova Scrittura. Il più vecchio di noi ha trent’anni diceva Marinetti e se si guarda un po’ più da vicino a questi narratori, penso a Maurizio Braucci, Piero Sorrentino, Giampaolo Graziano, Davide Racca, si legge tra le righe un sodalizio tra ragazzi, una capacità di trasmissione interna, come da maestro ad allievo, ma senza gerarchie. L’esatto contrario di un certo giovanilismo à la con(alla cazzo di cane, traduzione mia), che si apprende dai giornali e dagli organigrammi delle società e imprese contemporanee. Nella letteratura civile più autentica non ci sono del resto maestri ma esempi. In un post felicissimo su NI di qualche tempo fa in uno scambio nei commenti riportai la seguente citazione da Walter Benjamin, Le narrateur.
“Ce qui distingue le roman du récit (récit in francese è parola ardua da tradurre ma è comunemente racconto) et de l’épopée au sens étroit c’est qu’il est inséparable du livre”
“Ciò che distingue il romanzo dal racconto e dall’epopea in senso stretto è il fatto che sia inseparabile dal libro.
” Le narrateur (du récit, ndr) emprunte la matière de sa narration soit à son expérience propre, soit à celle qui lui est transmise. Et ce qu’il narre devient expérience pour qui l’écoute.”
Il narratore attinge come materia di narrazione sia alla sua propria esperienza sia a quella che gli è trasmessa. E quel che narra diventa esperienza per chi l’ascolta”
Le romancier se tient à l’écart. Le lieu de naissance du roman est l’individu solitaire, qui ne peut plus traduire sous forme exemplaire ce qui et en lui le plus essentiel, car il ne reçoit plus de conseils et ne sait plus en donner”
Il romanziere si tiene da parte. Il luogo di nascita del romanzo è l’individuo solitario, che non può più tradurre sotto una forma esemplare quanto c’è in lui di più essenziale, perché non riceve più consigli e non sa più darne”
Roberto Saviano è a mio avviso un narrateur. Un narratore che si serve della forma romanzo. In Gomorra non appaiono i maestri ma frammenti insanguinati di Vite esemplari. In questa parte centrale nel libro Roberto Saviano cerca di rispondere alla questione fondamentale che ogni scrittore dovrebbe porsi:
che cosa scrivere , in primis, poi a chi scrivere, e solo in terza battuta come scriverlo. A differenza di molti scrittori italiani la materia della scrittura non si adegua alla sua modalità e penso a quel triste fenomeno da baraccone che furono “i cannibali”. La modalità della scrittura, il come scrivere, la lingua in cui scrivere, il ritmo da usare, tutte queste cose sono funzionali alla ragione ultima dell’opera. Il romanzo Gomorra in un certo senso è un antiromanzo proprio per la capacità che ha di disinnescare il dispositivo di auto assoluzione venduto insieme alle pile di libri accatastate nelle vetrine delle nostre librerie. Con questo non voglio dire che a parte libri come quello di Roberto Saviano non si dovrebbero pubblicare gli altri perché sono cazzate. Io dico solo che grazie al romanzo di Roberto, alla lettura che se ne farà , quelle cazzate che costituiscono un buon cinquanta per cento della letteratura pubblicata in Italia, si venderanno ancora di più. Perché dopo il pugno in faccia di questo libro il lettore avrà bisogno di mille Melissa P, per tentare di dimenticare l’orrore di Gomorra.

Nota al margine

Ci sono vespe e vespe, dicevo nel primo intervento e dei viaggi che possono essere semplici. Come certe storie. In francese del resto si dice così per quelli di sola andata, aller simple. Come in Caro diario e Gomorra è un diario, seppure maledetto, il protagonista va da Pasolini.
“Andai sulla tomba di Pasolini non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Pasolini. Il nome uno e trino, come diceva Caproni, non é il mio santino laico, né un Cristo letterario. Mi andava di trovare un posto. Un posto dove fosse possibile riflettere senza vergogna sulla possibilità della parola.”
Ci sono dei libri che bisogna leggere per riflettere sulla possibilità della parola. Gomorra è uno di questi.

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16 Commenti

  1. Riflettere senza vergogna sulla possibilità della parola. Già, una vita intera forse non basta, a rispondere. Forse altro, il niente tra le dita, il prezzo che si paga, sempre, quando non ci si può tirare indietro. Quando si è complici, solo per il fatto di aver visto, e compreso. E tutto, all’improviso, cambia, anche la tua pelle. Dove riconosceresi, in quali parole rifelletersi, ricongiungersi, nutrirsi, se le parole stesse non bastano, non aiutano.
    Allora sei, parte di questo dolore e senso che si espande e cresce, fino alla possibilità stessa della comprensione, della compromissione, che si fa, è, innanzitutto, linguaggio.
    Un grazie, Francesco, per questo. Gomorra lo leggerò anche con la tua voce, la tua presenza. La tua complice partecipazione al caos.

  2. … di ritorno dalla presentazione a Milano (Feltrinelli Galleria V. Emanuele). C’erano anche Montanari e Biondillo (almeno, io ho notato loro, magari ce n’erano pure altri), apertamente felici per il successo di Saviano – il libro, per essere quello di un esordiente e con una tematica simile, sta andando davvero molto bene. E’ un fatto, quello della stima e del sostegno di altri scrittori più navigati per un esordiente, che mi era già parso di capire dai commenti su N.I. e altri blog, ma vederlo coi miei occhi, vederli abbracciarsi, scorgere negli occhi di Montanari in particolare – che stava all’altro capo della fila dove stavo seduto anch’io – visibilmente felice, entusiasta per il libro di questo ragazzo, una grande stima, un affetto… non so, sembrerò ingenuo, ma ne ho tratto, io, lettore comune, una bellissima emozione. Questa solidarietà tra scrittori non è mai scontata, eppure io credo che ce ne sia molto bisogno.
    Detto questo – scusate – ho tratto dall’incontro di persona con Roberto (finalmente! ;) una ulteriore conferma delle sua capacità, della sua (lucida) passione. “Gomorra” è un libro fondamentale, tanto che è difficile per me immaginare cosa possa scrivere dopo. Ma una idea, un auspicio, ce l’ho. Dopo “Gomorra” , la trincea, l’epifenomeno spiegato nelle sue dinamiche profonde e nelle conseguenze antropologiche, Saviano potrebbe imbarcarsi in una Impresa complementare: raccontare le retrovie, il Male in giacca e cravatta. Mettere i suoi occhi da entomologo nei caveau delle banche dove tutto passa e tutto “si pulisce” da lezzo dei primi passi della filiera.
    Metterci in mano il cuore del Mostro.

  3. Marco V., se ti avvicinavi ci stringevamo la mano!
    (per la precisione c’era anche Helena J.! La donna che ha sempre ragione!)
    ;-)

  4. Ho finito di leggere Gomorra ieri sera e avrei voluto salutare Roberto, dirgli bravo. E’ un libro che mi ha colpito molto, sia per alcuni temi inaspettati di cui mi ero interessato in passato (le strategie della cinese COSCO, l’impatto immobiliare della comunità cinese), sia per alcuni tocchi delicati e personali, come la solitudine che emerge più volte, nella figura del padre medico, dell’amico abile sarto. La solitudine di chi non può appartenere a se stesso, ma solo a una ferocia ripetitiva e spossante.
    La concretezza imprenditoriale del Sistema che si specchia nel “problema settentrionale” descritto da E. Scalfari. Quell’arraffare tutto subito prima del declino del nostro clan, prima di finire a impastare fumi e cemento, del crollo dell’econoomia italiana.
    Lo scratch, lo scartamento dal binario criminale a quello legale e ritorno, ogni volta che risulta vantaggioso. Una visione d’impresa senza obiettivi che non siano la sopravvivenza, la sopraffazione sull’altro, la produzione di denaro perché altri lo usino, lo puliscano, se ne approprino. In questo, Sistema e impresa hanno troppi elementi comuni negli ultimi 15 anni perché sia una coincidenza.
    E molto altro, ma ora devo andare via.

  5. Ma prima di andare una ultima nota:
    “L’impero economico dei nuovi clan è la quintessenza del neoliberismo, del postfordismo, della flessibilità, dell’impresa multilevel, delle logiche di marketing basate sui logo. […]
    i morti sono solo “la traccia più visibile” del potere reale della nuova classe di imprenditori. Il Sistema […] Per il resto lavora nel silenzio delle periferie, nei coni d’ombra di un’economia indisturbata, sottratta anche alla visibilità mediatica.”
    Carla Benedetti in
    http://www.ilprimoamore.com/testo_181.html

  6. bienvenue à Temp :-)
    effeffe
    ps
    “La solitudine di chi non può appartenere a se stesso, ma solo a una ferocia ripetitiva e spossante” ben visto da Jan comporta una riflessione più ampia su solitudine e/o isolamento. Si può appartenere a una comunità senza rinchiudersi in un’identità?E dico questo perchè una delle derive che leggo, per fortuna raramente, nei commenti indifferenti a Gomorra si trincera nell’argomento “ma queste sono cose che succedono lì” non qui da noi. E si tratta il libro di Roberto come un ennesimo tastello da aggiungere alla inessenziale “questione meridionale”. Quello che mi chiedo è allora: Gomorra è un libro che può essere capito solo da meridionali? Niente di più falso. La cartografia di Roberto completa altre in corso (penso soprattutto a quegli scrittori del nord est che stanno contando le macerie di una comunità arricchita e incolta). Le merci descritte nel libro vanno ovunque. Il mio augurio è che anche le sue parole arrivino lontano. Come una canzone di Pino Daniele.
    effeffe

  7. Gran bei commenti, Francesco, in linea con un libro di eccellente valore, per una molteplicità di motivi e su svariati piani, tutti riconducibili a quella che è la mia idea di (grande) letteratura. Ho quasi ultimato la seconda lettura, e sono più stupito, commosso, incazzato, ferito, urlante di prima.

    Un caro saluto a te e a Roberto.

  8. Ho letto Gomorra tutto di un fiato. Ed è stato come rivevere al rewind trent’anni di storia (perchè da dieci anni, circa, sono ormai entrato nel cosiddetto “sistema del lavoro” stabile e rassicurante).
    Per me quarantenne del sud pontino (Scauri) leggere Gomorra è stata una esperienza unica perchè ho potuto ricordare e rivivere, grazie a Roberto, emozioni e sansazioni che credevo fossero “vissute” solo nel mio immaginario adolescenziale e tardo adolescenziale.
    Gli aromi resinosi delle pinete di Baia Domizia e la sabbia scura-arruginita dal ferro del Volturno e del Garigliano e dai miliardi di lattine, ferraglie varie e bombole esauste di gas-esistono davvero.
    Il colore polveroso del cemento che avvolgeva i ragazzi Casalesi che si arrampicavano veloci come scimmie sui tetti vertiginosi delle villette abusive tra chiodi e tavole di abete-esistono davvero.
    Le puttane di Mondragone tra i fuochi dei bracieri sulla Domiziana-esistono davvero.
    I panetti di fumo del rione Berlingieri-esistono davvero.
    Le montagne di rifiuti incendiati e le centinaia di ratti che aggredirono un operaio sulla ruspa che le spianava-esistono davvero.
    Il fiato di bufala delle mozzarelle “DOC” è un retrogusto che esiste-davvero.
    La centrale nucleare del Garigliano primo vero tragico mostro irradiante Gamma che marciscono tiroidi e mammelle-esiste davvero.
    La “villa di Tiberio-La Torre” a Gaeta e la Formia dei Bardellino -esistono davvero.
    E’ tutto vero, come l’acqua che disseta, come il sangue del primo morto ammazzato che ho visto sui bordi di una piscina a Marina di Minturno durante i mondiali che vincemmo nell’82.
    Quando sentivamo allora un botto e ci chiedevamo quale negozio avesse subito, quella notte, l’attentato del Racket.
    Continua Robbè, è bello il passato visto col tuo “Rewind”.
    Ciao.
    Lucio C.

  9. >In questa parte centrale nel libro Roberto Saviano cerca di
    >rispondere alla questione fondamentale che ogni scrittore dovrebbe
    >porsi: che cosa scrivere , in primis, poi a chi scrivere, e solo in
    >terza battuta come scriverlo.

    Un mare di baggianate che non tiene conto della natura stessa dello scrivere. Un consiglio: non mescolate bassa politica provinciale, gretta e senza una visione chiara con le opere della creatività. Imparate piuttosto un altro mestiere, comprendetelo fino in fondo, praticatelo al meglio, tramandatelo a qualcun altro.

  10. Un libro di straordinaria maturita’ e rigore, per essere scritto da un trentenne. Appassionante e sconvolgente. Se posso evidenziare qualche difetto linguistico: l’abuso del verbo “foggiare” e l’uso di “esponenziale” volendo dire “grande”. Esponenziale dicesi di qualcosa che aumenta con velocita’ crescente, non s’applica a grandezze statiche.
    A parte queste minuzie e’ un libro da 10/10!

  11. gli scrittori come saviano , pochi in realtà, alimentano il mio sentimento di rabbia-odio-disperazione-impotenza che sento ogni volta che respiro l’aria putrefatta della mia citta: Aversa. (CE)
    La volontà di cambiare le cose qui non serve a niente.
    e io ho deciso di andarmene.
    con dolore ma non ho scelta.
    la vita è una sola non la posso sprecare elemosinando diritti che altrove sono scontati e inviolabili.
    e non lamentiamoci più!!!! a tutti fa comodo questo stato di cose, a TUTTI
    la camorra siamo noi!

  12. io ho letto questo libro di saviano e mi è sembrata una mezza bucia se quelli sono camorristi io facevo il magliaro e poi non si abbuscano tanto soldi stando a sistema o allora a me mi hanno fatto fesso.tutto il blocco ci stanno più in mezzo i cinesi che inapoletani.questi adesso prendono la gente di fuori come gli albbanesi. cioé loscrittore saviano dice certe cose vere che io hovisto ma altre no per esempio il fatto dei tossici che ci provano la robba e poi ci pisciano addosso io non ci credo e poi lo fa lo spacciatore non la gente di mezzo la strada.Però poi mi è piaciuta la storia solo che non capisco dove vuole arrivare che lui denuncia la malavita così,uno poi che cosa ottiene che la polizia si fa grossa in faccia all’uomo;chi sta in mezzo lo sà che é implicata pure la madama che lei chiude gli occhi quando c’è la busta a casa. Io vorrei dire a saviano che scriva adesso un libro su come ci tratta il carcere a noi che veniamo dagli sbagli per metterci bene con la parola. questo bisogna scrivere pure, che il sistema ci stà perché fa il lavoro suo e tanti di noi ci stanvano in mezzo perché posto dove lo trovava? in faccia a Dio.io penso che solo Dio capisce quello che facevamo quando ci siamo trovati in mezzo, qui in galera ci danno il coomputer ora e l’istruttore che mi corregge ma prima chi celo dava se siamo venuti a prenderlo noi qui a custodia?Pure io ho le storie da dire ma non può accadere che le dico. Distinti Saluti
    MARIO

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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