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Poeti del Québec (su “l’immaginazione”)

Francis Catalano

Traduzione di Maria Teresa Carbone

Da Panoptikon (Éditions Triptyque, 2005)

la tele trasporta le masse ovunque in salotto
individui divisi in gruppi e sottogruppi per regnare meglio
la tele teleporta uno sguardo
l’occhio dell’oggetto piombato nel qui-ora
oggettivo mutato in soggettivo
io strappato ai noi
noi strappati alla tradizione
figlio sottratto alla madre
cordone ombelicale che si secca nell’atrio
è la vedette del film, è il dittatore
loro ci dicono guardate come è bello
esserci senza esserci
e nulla che si muove
mentre di fatto è l’occhio che si muove
e freme come sotto una goccia.

ci sarebbe bastata una lente incastonata in un piccolo buco dentro un muro di casa. come il principio della camera oscura, seduti in salotto, a visionare sul muro quello che accade fuori, di fronte, sulla strada, solamente di giorno. la sera non ci sarebbe più niente, niente più tele. niente più notizie da fuori. la sera si sarebbe protetti dalla barbarie .
la mia tele gira su trazione integrale
mi segue dappertutto, in soggiorno, allo studio
in camera da letto, nell’atelier
è la mia tele che mi attira la tele che mi attiva
detta il programma della mia giornata
è lei, mi guarda girare
dentro casa, mi incita a muovermi nella dimora
è lei che veglia lei che dorme
sono preso di mira nel mirino della mia tele
il solo modo di disfarmi della sua presa
gettarmi dalla finestra
la mia tele stretta contro di me.

*

27.12.03 riscritto 28.12.03 (pubblicità-puttana)

la ragazza che batte il marciapiede
e la pubblicità che va e viene fanno lo stesso lavoro
sulla pagina lucida di una rivista
o sul fianco consenziente di un autobus
tutte quelle belle facce dai dolci moventi sembrano dire
prendeteci, abbiamo penetrato la vostra retina
siamo vostre, amateci
dietro ogni oggetto di brama
si nasconde l’ombra di un prosseneta
la protezione del desiderio
la sua scomparsa
il suo ritorno ipso facto.

*

proposizione: le iene cose

Il commercio è, per sua stessa natura, satanico. Il commercio, è il prestato-reso, è il prestito col sottinteso : Rendimi più di quanto ti dò.

Mon coeur mis à nu
Charles Baudelaire

una cosa attira una cosa
più un oggetto è animato e possiede un’anima più
è di facile commercio sogghignante
la differenza fra una cosa e un oggetto
il profitto che se ne ricava
hyena ridens del piacere.

*

27.12.03 riscritto 28.12.03

il sogno di ogni pubblicitario
la trovata della frase chiara e limpida
forse l’espressione algebrica, magica
che trasformi il desiderio di consumare
in un avere che non ha prezzo
in un prodotto staccato dalla sua aura
estraneo alla sua fattura e al suo codice a barre
prodotto istantaneamente carbonizzato
in un sordo crepitio
consumatori consunti
sul rogo del mercato nero2.

*

proposizione : dipingere coi numeri

color ciclamino, la carta vale mille
terra di siena bruciata, vale cento
giallo cadmio: cinquanta; verde bottiglia: venti
viola: dieci e blu cobalto: cinque
come in un libro contabile
dove i conti non tornano
queste equazioni fra poeti non esistono più
nulla da guadagnare nulla da perdere con la poesia
né profitto né deficit
da vedere una civetta delle nevi ciclamino
un’oca giallo cadmio
un’aquila pescatrice, una strolaga dal collo verde bottiglia
né profitto né deficit
da vedere blu cobalto i grandi salici
girano le pale a vento terra di siena
né profitto né deficit
da vedere viola la nudità.

*

chi guarda chi davanti al televisore?
telespettatori, siete il bersaglio
nel mirino della vostra tele,
voi l’accendete, lei vi accende
lei vi apre le porte del suo auditel che attizza
una fiamma venerata dalle vestali
che voi nutrite con zapping secchi e crepitanti
umani, troppo umani
ipnotizzati dalla bestia domestica
abbagliandovi
il televisore vi brucia
specchio ardente
si dirà che morirci davanti a fuoco basso
è essere teledivorati.

• * *

Pierre Nepveu

Traduzione di Laura Pugno

La donna che dorme nel metrò (estratti)

1.

La donna che dorme nel metrò
sogna i lunghi lavori della notte:
uffici che si illuminano, irradiano
il suo corpo di una luce bluastra,
d’un’intelligenza senza pietà
parassita delle poltrone vuote,
i dossier fremono in tutti i fogli,
l’albero secco della conoscenza
apre braccia inerti, la donna sente
di colpo singhiozzare un fax
vi si china sopra per leggervi
notizie dal vasto mondo
ma non ne apprende che la sua condanna
a passare diecimila stesse notti
e più sfolgoranti del pieno giorno.

2.

La sua vita è una bocca vorace d’aspirapolvere
lei ogni notte la porta a spasso come un cane al guinzaglio
su una pianura di tappeti azzurri senza polvere,
il cane sbatte contro i mobili senza vedere niente
mentre nell’immensa baia trasparente
la luna inchioda il suo niente ghiacciato tra due grattacieli].

3.

Lei ha visto ad est di grandi terre
sospese sul mare, brandelli rosa
di nuvole fino a Sant-Hilaire,
all’alba di una notte candeggiata.
Anche la stanchezza sfugge la sua emozione
e le bruciava gli occhi come febbre,
i neon già divorati dalla luce
di un altro giorno che non le sarà giardino,
Poi si è inoltrata in un tunnel
dagli odori caldi di caucciù
ma nella sua testa il panorama
della città subito oltre il fiume
spiegava spazio interminabilmente
fino a una montagna aspra dove sbattere
col corpo e con la testa per sentire
che l’esistenza laboriosa ha dei confini
e le parole più umili, bisogno
di creste e di falesie per tenere
la ragione ben stretta nelle orme.

4.

La donna che dorme nel metrò
attraversa Vendôme et Lionel-Groulx,
e perfino ciò che le rimesta il corpo
e le scuote le spalle come un riso
la lascia nell’ignoranza e in nessun luogo,
nonostante il presentimento vago
di un labirinto che conduce a uno sbocco di luce;
là gira senza fine la giostra della gioia,
i bambini prendono il volo sulle scope
per atterrare sopra aiuole tenere,
e cani pazzi slargano lo spazio
e frugano nel vento alla ricerca
di un solo uomo, e la sera si sente
il mondo vivo che rientra nella tana
in una festa di cicale che fanno
girare agosto su se stesso e conficcano
le loro stelle sonore nella notte opaca.

5.

A mezzanotte giurerebbe di capire
il codice segreto dei bighelloni
che sussurrano alle scope storielle divertenti
con accenti di risciacqui spumeggianti
o di ruscelli che scorrono sotto le porte
ha spiato a lungo il loro cinguettio
mentre di lontano pestavano e tuonavano
le chiavi magiche del tecnico dell’ascensore
che spesso in pausa caffè le dà del tu
e di cui le piacciono le scapole sode
e il collo muscoloso coperto di peluria,
s’immaginava i pozzi vuoti e senza fondo
come una colonna cava che trattiene
il volo degli uccelli e ricorda
le parole d’amore tra due piani
e giunta, più tardi, al quarantaduesimo
cercò a lungo il senso di quell’elevazione
e se per caso volesse dire che abitava
una città piena di torri e d’emozioni.

6.

Le darò un nome : Zhora o Sabrina,
o sarà tutte le Marie del mondo,
avrà in un fascio e origini, avrà
in cordigliere che fuggono al gran galoppo
i continenti orizzontali, i mari stesi
avrà letto le narrazioni essenziali, i racconti
in cui si spiega la nascita della terra,
frequentato il fango, le paludi, i deserti
– ed eccola, seduta, nel suo tragitto del mattino
all’uscita di una notte di grandi miraggi
in cui per un attimo, ha visto il suo viso
nella sfera di cristallo di un rubinetto,
ritornata da lontano, china sul mistero
della propria presenza, sconvolta d’esser là,
nel mormorio ottuso degli affari importanti
nella proiezione fantasma dei desideri
coricati su pagine grandi formato protocollo.

7.

Nel corridoio lei arretra accelerando
non ho più parole, non ho più
che il turbamento di un trovatore antico
che andava a cavallo a pregare il niente
di essere bello e di farsi poesia,
scendo le scale di sicurezza gridando
“aspettami”, ma nessuna risposta,
solo lo spettro della mia stessa voce
e il mio corpo preso nel turbine
della sua gravità estrema, che incrocia le ombre
che salgono verso orari fissi
e pomeriggi sapientemente ventilati
in faccia alla montagna che rosseggia, al cielo
steso come una stoffa sulla città
che scorgeranno a pena, occupati come saranno
a nutrire di scienza i loro hard disk,
ad accarezzare il dolore a fior di dita
e io grido ancora, « aspettami,
ho in tasca una lettera per te,
ci faremo confidenze al caffè all’angolo”
e un attimo dopo sono fuori,
stordito, inebetito, a chieder l’ora
al primo passante che mi risponde
come se l’ora, o l’epoca, non ci fosse bisogno di dirla
e il mondo non avesse alcuna ragione
di non esistere, e lei con lui.

8.

Lei va a dormire e il mondo
le passa sopra,
lei si alza e il mondo
è ancora più alto, e selvaggio
come le guerre civili e l’appetito
degli avvoltoi iscritti alla Borsa,
respira un cielo blu infanzia
volendo pure l’altitudine e la luce,
inventa un sentiero che sale
graffiando la montagna
di un solo tratto sabbioso,
sinuoso come il passo degli uomini,
e improvvisamente su una roccia la vita
diventa preghiera, le foglie dure
le sfiorano la bocca per parlare
di lei, le spine e le erbe si drizzano
nel sisma di un’età antica
in cui gli dèi reggevano il filo dei giorni
e i morti vegliavano nella luce di lampada del tempo
su delle insonnie piene di paura
— lei si credeva fatta per le ascensioni
ma ogni notte l’altezza le pesa
e la lascia senza nome tra cielo e terra
timorosa d’atterrare di nuovo nel sonno.

9.

Nel coma delle icône, nella notte
dei programmi che compilano l’universo
lei fa un gran gesto per togliere la polvere
asciugare la traccia lasciata da una tazza
e di colpo la vibrazione rivela uno schermo,
il sorriso di una bella donna sembra avere pietà di lei,
poi è l’immagine di una spiaggia ai Tropici,
poi la cattedrale dentellata di una città d’Europa,
ferma un istante la mano bisognosa,
ispira l’aria secca del grande ufficio,
incantata come al passaggio di una cometa,
con i piedi dolorosi a distanza
da terra, i suoi due piedi che galleggiano
ai piani superiori di questa torre
che irradia la notte

10.

Consunta dal chiar di luna, lavata
dall’incoscienza lattiginosa della gran sera.
I camion che rigano la notte vengono da lontano,
frugano con i fari le strade
della sua infanzia fino al boulevard
René-Lévesque all’alba, quando spinge
la porta a vetri e nei vetri
vede il suo riflesso,
torna sulla terra, pensa
al trasporto di uomini e bestiame,
alle lunghe vie tra vita e morte,
guarda la punta appassita delle sue dita,
in un’ora ritorneranno lisce
e vibranti di carezze per le piccole cose,
poserà le mani aperte sulle cosce
per ricevere un dono che non arriverà.

* * *

Nicole Brossard

Traduzione di Maria Teresa Carbone

1
ci tengo che tutti i gusti restino gusti
nella natura pinze di granchi
e ricci di mare pronti a rotolare nell’invenzione
a ogni ora del giorno e dell’oscurità
silenzio bianco silenzio di ripresa

2
mi capita di voltare le spalle ai pianeti
la mia ombra un calco nella notte
su una forma antica di anima
mi capita secondo i rumori di dire
addio seguendo la luce
banchi di sardine di delfini di squali
alle prese con albe inondate mi capita
di risalire il corso del tempo
avvolta dalla folle velocità dell’universo

3
come passerà il sogno di nuovo
nelle nostre vite senza livellare
l’alba e la quasi notte?

4
per l’azzurro del mare le ferite
e gli abbracci ho voluto
tracciare la giusta oscurità
delle risposte lente
e dei buchi di assenza
tradurre
nella ripetizione dei sogni rotondi e precoci
il rovescio azzurro dei divieti

5
modo di vivere che toglie il fiato
a terra sul ventre delle solitudini
divento a piccoli passi
il suono che mi segue

6
chi ha detto che bruciare risolleva
dalla materia e dal vuoto
chi ha detto niente malinconia
tenebre o turbini
restiamo accostati alle radici
capaci di nodi e di tango?

7
su piccola scala
cosa affascina
se non la ripetizione
di uno stesso noi esploso mutante
fra i paradossi
dell’arte il nero la pioggia
segreta dark
coltello alla gola
il mondo continua
ci diciamo addio
chiudendo gli occhi
palpebre rallentate
fra le apparizioni

8
ma non mi abituo
al nero dei soldati e degli archivi
non so in che ordine
ripetere l’opaco di una civiltà

9
mezzogiorno, comparsa dietro la nuca
torrente di morti e scintille
la voce riprende il suo ritmo alle porte
dell’immobilità

10
da quale angolo della rovina
ci ricorderemo
di sollevare la tenerezza
cortina d’acqua piccola notte
diagonale di oblio?

* * *

Claude Beausoleil

Traduzione di Maria Teresa Carbone

L’origine della strada

alla memoria di Gérald Leblanc,
poeta delle esplosioni e degli inizi

Questa solitudine comune generata
dai sogni la riconoscerai
nei luoghi transitori
di fronte ai dubbi
dove ti rintraccia

Strada all’origine
della prima lettera
del primo suono di una musica
onirica
dimenticata

La riprenderai
questa corsa
summa d’intensità
attraverso il coraggio
di un continente ferito

Tu che vai verso un tempo
le cui rovine precedono
una immensa perdita annunciata
l’intranquillità
ti sconvolge e tu infuri

Strada delle Americhe tu sorgi
strada delle fughe
degli incontri e dei segnali
strada delle città e dei cerchi
l’eco persiste in te
divelta

***

Questa costruzione possibile nata
da un caso a capofitto
a passi perduti
la fisserai fluida
nella tua memoria volontariamente
contro lo sconforto oscillante
ritmato

Strada del giorno tu ritagli
stretto l’orizzonte debordato
strada di intime confessioni
jazzando le geografie
della scorciatoia
rossa
come le deviazioni future

La trasporti nei tuoi bagagli questa strada
agrimensore di una scienza cocciutamente affermi
le musiche del territorio
nello scavo utopico
delle eccedenze
infiltrata

Tu che non giuravi che in seguito
saresti stato quello
che può vedere
credere e assumere
la lingua intesa
fessura
negli ostacoli

Strada screpolata
disfatta inondata
strada di mattine e di reale
strada immaginaria
ringalluzzita rocchettara energica
ostaggio di una coscienza
reinventata

***

Questa in sottomissione trasformata in tragitto
solo per altri
tu l’hai portata a portata di voce
attraverso la prova
quando la fede isola
insondabile

Strada fessurata rabberciata
rotoli le parole alla deriva
strada-oceano
legata ad altri percorsi
infinita

La poesia ti inventa ribelle
nelle sue esplosioni
infatuata di quotidiano
di passione in scoppi di risate
movenza
irresistibile

Tu hai iscritto le tue parole di Acadia
nella solitudine di una città
altrove allo scarto
nel seguito del viaggio
di cui la lingua
ha portato gli smarrimenti
nel cuore di una strada d’infanzia
al colmo delle pulsioni

* * *

Esce il n. 220 de “l’immaginazione”, rivista edita da Piero Manni e diretta da Anna Grazia D’Oria: si tratta di un fascicolo monografico dedicato a La poesia del Québec oggi, a cura di Francis Catalano e Stéphane Despatie (della rivista Exit). Le traduzioni, la revisione e il coordinamento sono di Maria Teresa Carbone, Marco Giovenale, Laura Pugno, Michele Zaffarano.
“l’immaginazione” – Anno ventunesimo, numero 220, aprile 2006, La poesia del Quebéc oggi
INDICE
In copertina
Robbert Fortin, La chemise

Le foto
Robbert Fortin, Éléphant 1
Robbert Fortin, La chaise du poète
Robbert Fortin, Roulant la vie
Robbert Fortin, Nous sommes, nous serons, nous pensons
Robbert Fortin, Éléphant 3
Robbert Fortin, Éléphant 2

Introduzione
Anna Paola Mossetto,
Un rapido viaggio sulle piste della nuova poesia del Québec
Francis Catalano, Stéphane Despatie,
Uno scorcio sulla poesia contemporanea di espressione francese in Québec

Gli autori e i testi
Martine Audet, Gli apparecchi da calcolo (estratti)
Claude Beausoleil, L’origine della strada
Mathieu Boily, Dio il rimbalzo
Linda Bonin, A partire da qui
Denise Brassard, Fine d’est
Nicole Brossard, Poesie
Francis Catalano, da Panoptikon
Paul Chamberland, Fugaci
Jean-Paul Daoust, Poesie
Carole David, Poesie
Jean-Marc Desgent, Quando uno fa male, l’altro che fa…
Louise Desjardins, Tutti i gusti sono gusti
Stéphane Despatie, Malva ciaccona
Hélène Dorion, Traverses
Danielle Fournier, Sei sola e lo sai
Jean-Sébastien Huot, Servizio a domicilio
Benoît Jutras, Adesso sei un’isola
Bertrand Laverdure, Microtrilogia per ragazza piacente lettrice pubblica
Hélène Monette, Poesie
Pierre Nepveu, La donna che dorme nel metrò
Yves Préfontaine, da Suite in rosso
André Roy, I letti di Montréal

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