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Il giornalismo italiano e l’islam: letture

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un’inchiesta di Roberto Santoro

Indice delle puntate pubblicate su Nazione Indiana

  1. Introduzione. Il giornalismo cazzuto
  2. Il trust orientalista
  3. Il fante atlantico. Gian Micalessin embedded a Falluja
  4. Un giornalista giusto. David Frum, l’americano che non fa sconti
  5. Il manager religioso. La top ten fondamentalista di Massimo Introvigne
  6. Reportage dall’inferno. La discesa di Cristina Giudici nell’Islam italiano
  7. La mafia islamica. Una risposta ai lettori di Paolo Granzotto


LETTURE

BIBLIOGRAFIA
Ian Buruma e Avishai Margalit, Occidentalismo, Einaudi 2004, p.131
Noam Chomsky, Bagno di Sangue, Edizioni il Formichiere 1975
Angelo d’Orsi, I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad, Bollati Boringhieri 2006
Renato Farina, Le parole di Osama, Libero 2005
Francis Fukuyama, Esportare la democrazia, Lindau 2005
Sébastien Fath, In God We Trust. Evangelici e fondamentalisti cristiani negli Stati Uniti, Lindau 2005
David Frum, Estirpare il Male, Lindau 2004
Cristina Giudici, l’Italia di Allah, Bruno Mondadori 2005
Ayaan Hirsi Ali, Non sottomessa, Einaudi 2005
Michel Houellebecq, Le particelle elementari, Bompiani 2005
Massimo Introvigne, Fondamentalismi, Piemme 2004
Bernard Lewis, L’Europa e l’Islam, Laterza 2002
John Micklethwait e Adrian Wooldridge, La Destra Giusta, Mondadori 2005
Antonio Negri e Michael Hardt, Impero, BUR 2003
Norman Podhoretz, La Quarta Guerra mondiale, Lindau 2004
Jonathan Randal, Osama, Piemme 2005
Jean Richard, La grande storia delle Crociate, Il Giornale – Biblioteca Storica 2005
Edward Said, Orientalismo, Feltrinelli 2001

RASSEGNA STAMPA
Fausto Biloslavo, Un progetto italiano ridà un po’ di luce a Kabul, il Giornale, 3 ottobre 2005; Libere le signore “Germe” e “Antrace”, il Giornale, 21 dicembre 2005
Emanuele Boffi, Non è stata chiusa una scuola, Via Quaranta è stata chiusa perché non era una scuola, il Foglio, 21 settembre 2005; Le ambiguità di Via Quaranta. Come una scuola si spaccia per tale sapendo di non esserlo, il Foglio, 27 settembre 2005; Quei ragazzi di Via Quaranta chiusi nel microcosmo casa-moschea, il Foglio, settembre 2005
Chiara Campo, E Via Quaranta si arrende: lezioni sospese, il Giornale, 10 settembre 2005
Gianmarco Chiocci, In Via Quaranta insegna il maestro del terrore, il Giornale, 9 settembre 2005
Maurizio Crippa, Il kamikaze della Revolucion, il Padrino e le madrasse di Santa Rosalia, il Foglio, 24 settembre 2005
Giusi Di Lauro, Studente islamico investito dopo le lezioni in strada, Libero, 21 settembre 2005
Giuliano Ferrara, Il terrorismo è la tecnica, ma sono feroci combattenti della guerra islamista, il Foglio, 8 luglio 2005; Una guerra vinta. Punto, il Foglio, 17 dicembre 2005
Marcello Foa, L’Islam con i jeans che vive in Tunisia e scomunica soltanto gli estremisti, il Giornale, 31 ottobre 2005
David Frum, Appeasement, il Foglio, 19 ottobre 2005; Il domani dell’Iraq, il Foglio, 20 luglio 2005; Neorealismo, il Foglio, 6 luglio 2005; Peace mom / 1; Consigli al Cavaliere, il Foglio 2 novembre 2005
Cristina Giudici, Occhi chiusi a Cremonistan, il Foglio, 27 luglio 2005; Oltre le porte chiuse del Ramadan italiano, il Foglio, 28 ottobre 2005; In Fuga da Allah e da Maometto, Il Foglio, 19 febbraio 2005; Anche l’Italia ha le sue fragili periferie multiculturali, 10 novembre 2005
Paolo Granzotto, Islam, storia di un dialogo mancato, il Giornale, 21 settembre 2005; Anche la Chiesa festeggia le vittorie sull’Islam, il Giornale, 17 novembre 2005; L’Islam e le campane che suonano a mezzogiorno, il Giornale, 23 novembre 2005; La Sicilia Musulmana che inventò ‘u pizzu, il Giornale, 28 settembre 2005; L’imam di Torino e la tassa sui miscredenti, il Giornale, 11 settembre 2005
Victor Davis Hanson, Ideali e muscoli, il Foglio, 16 dicembre 2005
Francesco Kamel, Test d’ingresso e classi speciali per gli stranieri, il Giornale, 29 settembre 2005
Andrew F. Krepinevich Jr., Così l’America può vincere la pace in Iraq, il Foglio, 10 settembre 2005
Massimo Introvigne, Stato e Islam, soluzioni canadesi e dilemmi italiani, il Giornale, 15 settembre 2005; Islam, la Consulta è la via Italiana all’integrazione, il Giornale, 2 dicembre 2005; Ecco perché Al Quaida sta perdendo, il Giornale, 8 ottobre 2005; Dopo l’Afghanistan Al Qaida decide di sbarcare a Gaza, il Giornale, 23 dicembre 2005; Anche in carcere la rete islamica arruola adepti, il Giornale, 16 dicembre 2005; L’Islam moderato sarà la benzina del motore turco, il Giornale, 28 novembre 2005; Turchia nell’Unione Europea: l’ombra del fattore R, il Giornale, 5 ottobre 2005; E l’Islam moderato guarda alla Turchia, 22 ottobre 2005; Il mistico spione, il Foglio, 12 novembre 2005
Liz Cheney ci spiega che la democrazia è donna, come l’energia che sta cambiando il medio oriente, il Foglio, 3 dicembre 2005
Glauco Maggi, Tre anni di carcere all’aguzzina di Abi Ghraib, Libero, 29 settembre 2005
Mattias Mainiero, L’islam avido che non cede nulla, Libero, 20 settembre 2005
Vittorio Mathieu, Tolleranza Zero, la politica vincente del Viminale, il Giornale, 14 settembre 2005
Giulio Meotti, Studenti alle prese con l’ora di simulazione di storia e cultura islamica, il Foglio, 21 ottobre 2005
Gian Micalessin, Voglio raccontarvi l’altro Iraq, il Giornale, 22 ottobre 2005; Sono entrato nel regno di Al Zarqawi, il Giornale, 24 ottobre 2005; Io, 23 marines e quattro jeep nella trappola letale di Falluja, il Giornale, 23 ottobre 2005; Panico tra i pellegrini, mille morti a Bagdad, il Giornale, 1 settembre 2005; Trappola di Zarqawi, il Giornale, 15 settembre 2005; I palestinesi festeggiano e bruciano le sinagoghe, il Giornale, 13 settembre 2005; Gaza, strage alla festa di Hamas, il Giornale, 24 settembre 2005; Sharon abbandonato dal Likud, il Giornale, 31 agosto 2005; Gaza, una studentessa la Lady Bomba di Hamas, 12 ottobre 2005; La Rice spalanca le porte ai palestinesi, 16 novembre 2005; Egitto al voto, Mubarak vuole stravincere, 9 dicembre 2005; Elezioni palestinesi a rischio. L’ANP ora vuole rimandarle, 22 dicembre 2005; L’Iran: ‘Israele deve scomparire dalla terra’, il Giornale, 27 ottobre 2005; E l’Iran adesso sconfessa le parole del suo presidente, 30 ottobre 2005; Teheran ora chiede di trattare. L’UE: prima fermi i piani nucleari, 7 novembre 2005
Cristina Missiroli, Usa, la carica delle ‘pasionarie’ conservatrici, il Giornale, 8 novembre 2005
Andrea Morigi, Se lo Yemen chiude le scuole coraniche nessuno protesta, Libero, 23 settembre 2005
Nadia Muratore, Se insulti Bin Laden lo dico al maestro, il Giornale, 14 settembre 2005; Tredicenne marocchina sfregiata con una svastica, il Giornale, 30 settembre 2005
Carlo Panella, Monaco ’72, Storia di una strage e di una vendetta di stato, il Foglio, 8 dicembre 2005; Un lavoro per Hamas, 13 settembre 2005; Le tracce del nostro islam portano anche alle banlieue della rivolta, Il Foglio, 10 novembre 2005
Marianna Peluso, Tra vent’anni un europeo su 5 sarà turco, Libero, 23 settembre 2005.
Stefano Pistolini, Leggere Sean Penn a Teheran, il Foglio, 3 settembre 2005; Stefano Pistolini, Quanto Strauss c’è in Bush?, il Foglio 26 febbraio 2005
Daniele Raineri, Gli 11/9 mancati. Quattro storie di apprendistato di al Quaida, il Foglio, 10 settembre 2005
Marco Respinti, Il pensiero convervatore, la fine (mancata) della storia, il Foglio 13 settembre 2005
Christian Rocca, Saddam si dice Duce, il Foglio, 8 dicembre 2005; Riformare l’Onu? Il New York Times suggerisce di chiuderla, il Foglio, 13 settembre 2005
Amy Rosenthal, Un po’ di quote rosa. Così la scrittrice Manji cerca di ‘curare’ la sua fede, il Foglio, 19 ottobre 2005; Sharon va avanti, l’Autorità palestinese no. Michael Oren ci dice perché, il Foglio, 9 dicembre 2005
Marino Smiderle, Nozze islamiche, dodicenne tenta il suicidio, il Giornale, 5 dicembre 2005
Lorenzo Tedeschi, Significato e fine del Trust grosoliano, in “Rassegna di politica e storia”, giugno 1964
Massimo Veronese, Poker di regine, il Giornale, 11 settembre 2005
Stefania Vitulli, Sesso, casa, lavoro, religione: così vivono da noi i figli di Allah, il Giornale, 9 dicembre 2005
Gianandrea Zagato, In Via Quaranta si insegna a sottomettere le altre culture, il Giornale, 8 ottobre 2005
Franco Zeffirelli, Afef è simbolo di dialogo, non una pedina politica, il Giornale, settembre 2005
Gianluca Zucchelli, Londonistan, il Foglio 13 settembre 2005

VISIONI

Cyril Endfield, Zulù, GB 1964
Shekar Kapur, Le quattro piume, Usa 2002
Peter Mac Donald, Rambo III, Usa 1988
Trey Parker e Matt Stone, Team America, Usa 2004
Ridley Scott, Black Hawk Down, Usa 2001
John Wayne, Berretti Verdi, Usa 1968

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7 Commenti

  1. A proposito di Abu Omar, la Cia e Fonte Betulla:
    “Lo scandalo vero è un altro, come un bambino dotato di logica elementare dovrebbe capire di primo acchito. Lo scandalo è che la solita alleanza di magistrati democratici e giornalisti democratici, e spezzoni di servizi democraticamente deviati, e viltà varie, ha fatto saltare il gioco e il banco, ma questa non è la roulette, questa è la sovranità dello stato italiano, il privilegio dell’esecutivo, la ragione per cui esisten una politica che in tempi di guerra si attiva e si giustifica a difesa della sicurezza dei pendolarie della stabilità dei grattacieli, con tutto quello che significa”.
    (Giuliano Ferrara, “Il mondo alla rovescia”, il Foglio 11 luglio 2006)

  2. @nazione
    Chi era veramente Shamil Basayev? Il capo della guerriglia cecena o un pericoloso terrorista? Una figura leggendaria come Comandante Marcos oppure un infiltrato del controspionaggio russo finito fuori controllo? (anzi, nella rete della sharia sponsorizzata dai Saud)? Che strano, il Foglio sembra dare più credibilità alla seconda tesi. Peccato che, quando si parla dei trascorsi afgani di Bin Laden, gli stessi giornalisti facciano orecchio da mercanti.

    Basayev è saltato in aria l’altro giorno, maneggiando esplosivi che conosceva come le sue tasche (altre fonti mormorano di un missile che l’ha bruciato vivo). Le famiglie dei bambini di Beslan non hanno pianto.

    Su il manifesto di ieri, 11 luglio, non c’è la foto del Dubrovka. La redazione preferisce un bel ritratto funebre di Basayev, nel ’97, quando il macellaio faceva campagna elettorale a Grozny. Mi viene da dire, un’immagine più ‘pedagogica’. Lui, benvestito, che da politico consumato spiega alle vecchiette cecene perché bisogna fare la secessione. Per fortuna, nell’altra foto – nel taglio basso –, il “mito”, la “leggenda”, torna a imbracciare un più rassicurante fucile mitragliatore.

    Biblio
    Astrit Dakly, “Muore Basayev, mito e terrore dei ceceni”, il manifesto 11 luglio 2006;
    “Putin imbandisce i tavoli del G8 con l’annuncio dell’uccisione di Basayev”, il Foglio 11 luglio

  3. @aggiornamenti
    Il tribunale yemenita di Sana ha assolto per insufficienza di prove 19 sospetti terroristi, affiliati alla cellula di al-Zarqawi, accusati di aver pianificato attacchi contro gli Usa per conto di Al Quaida. Il verdetto è stato accolto in aula dagli imputati con il grido “Dio è grande!”.

  4. @sulla Fonte Betulla

    Ora, uno se ne può uscire sghignazzando, come la mamma che becca il figlioletto con le mani nella marmellata. Ed è la strada seguita da Alessandro Robecchi, il fantasista da cabaret che firma un fondo sul manifesto del 10 luglio.

    Il titolo del pezzo è “L’ora del dilettante”. Il dilettante sarebbe il ragazzino con le dita sporche, Renato Farina, il vicedirettore di Libero. “La faccenda del rapimento dell’imam Abu Omar” scrive Robecchi “sembra saltata fuori da una gag di Aldo, Giovanni e Giacomo”, e a sostegno della sua tesi ridolina, giacché c’è, il giornalista cita pure l’ispettore Clouseau.

    Il tono dell’editoriale suona tutto così: Farina è un “soave baciapile”, “ascendente ciellino con la luna in Fallaci”, uno così “devoto” che si faceva stipendiare dal Sismi.

    Insomma, fa parte della cricca del Foglio – altrettanto “esilarante” -, quei beoni che credono che sia in corso “una quarta guerra mondiale” e di stare “dalla ‘parte giusta’” (noi sappiamo quale, dopo aver letto Frum). Frottole, quindi, che nel finale l’autore liquida così: “Meno male che non c’è, ‘sta guerra mondiale, sennò, pensate in che mani…”.

    Rileggendo la lettera spedita da Farina a Vittorio Feltri (“Direttore, se ho fatto la spia perdonami”), io non ci vedo solo frizzi e lazzi. Certo, può far sorridere che quel “corpaccione”*** di Farina abbia voglia di scendere in campo, embedded, al seguito di un fante atlantico. Paragonarsi a Wojtyla, poi, qualche preoccupazione sulla salute psichica del soggetto(ne) la dà.

    Ma nella lettera di Farina leggo anche (molto) altro. Quella tradizione interventista (“mi sono comportato alla mia maniera: alè, in battaglia”), la retorica della vittoria mutilata (“è stato amputato il mio onore”), il militarismo cristiano (“ho cercato di difendere questo nostro Paese e la sua civiltà cattolica”), che abbiamo visto agire nelle imprese coloniali italiane, dalla Libia in poi.

    Ancora una volta, l’irrazionalismo europeo novecentesco bussa alla porta, assumendo pose estetizzanti e gesti clamorosi (‘artistici’). Farina invidia Ferrara e Graham Greene, “che se ne impipano di una deontologia professionale che vieta di essere giornalisti e attenti ai servizi”.

    Robecchi invece vede solo il lato beckettiano della vicenda, ma non ci spiega ‘storicamente’ da che cosa sia stata prodotta questa discrepanza tra realtà e ideale, tra fatti e crociate, giornalisti e combattenti. E la dissacrazione surreale del mondo non è forse un’altra delle componenti di quella ‘cultura della crisi’ che tra i suoi cantori ebbe Beckett e Ionesco?

    Fantastoria: se la vicenda dell’imam fosse un capitolo della lotta intestina tra servizi ‘democratici’ e ‘conservatori’, all’epoca del secondo governo Prodi? Lotta che si riflette nella grande stampa (la Repubblica contro il Foglio, l’un contro l’altro armati)?

    ***Farina si autodefinisce così.

  5. @sull’Iran
    La visita romana del negoziatore iraniano Alì Larijani è stata inutile. Sul nucleare, Teheran non fa passi indietro. Anzi, invita i paesi del G8 riuniti a San Pietroburgo a non prendere decisioni ‘avventate’ contro l’Iran.
    Il presidente Ahmadinejad dà un altro strappo alla corda, minacciando di uscire dal TNP se “l’Iran arriverà alla conclusione che i paesi occidentali non hanno una buona volontà e sincerità nella loro offerta”. In più, rimanda unilateralmente ogni decisione alla fine di agosto 2006.

    Ecco la descrizione dell’ultimo incontro di Larijani con i membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU: “Il resoconto dell’incontro tra i sei e i rappresentanti iraniani, narrato alla Reuters da anonimi funzionari, descrive più che altro un dialogo tra sordi. Larijani, dicono le fonti diplomatiche, avrebbe portato tutti all’esasperazione, ‘non avendo mai menzionato la questione nucleare’ in lunghi discorsi che ‘menavano il can per l’aia’. ‘Una sessione negoziale completamente vuota’, scrive l’agenzia, nella quale gli iraniani ‘hanno lamentato soprattutto la mancanza di fiducia’”. (Ester Nemo, “Onu: per l’Iran ‘tempo scaduto’”, il manifesto 14 luglio 2006.

    Il ministro degli esteri D’Alema era fiducioso sul ruolo di mediazione che avrebbe potuto svolgere l’Italia nella vicenda del nucleare iraniano. Subito dopo l’incontro con Larijani, però, emerge “un quadro preoccupante, perché nonostante le pressioni e l’offerta incoraggiante che è stata avanzata ancora non vengono segnali concreti di una svolta positiva”. Sorrisi grandi quanto un buco nell’acqua.

    D’Alema media per cautelare i nostri interessi economici con l’Iran. Ma l’Iran è il regista dei movimenti di truppe Hezbollah nel Libano meridionale, e quindi, tra un accordo e l’altro, qualche gomitata a Larijani sulla situazione ai confini israeliani potevamo anche dargliela.

    @sull’Hezbollah
    Sentite cosa dice Il deputato libanese al-Ahdab su Hezbollah, in un’intervista apparsa su “Avvenire”: “La nostra constatazione è che il Libano continui a pagare, e da solo, il prezzo del conflitto arabo-israeliano. Questa non è una strategia vincente. L’abbiamo sopportata per 30 anni, ma ora basta. (…) Purtroppo l’Hezbollah si comporta come il braccio di potenze regionali. E questo non è più condiviso dalla totalità dei libanesi”. La giornalista allora gli chiede: “(Hezbollah, ndr) Potrebbe essere stato spinto dall’Iran che, nei giorni scorsi, ha alzato il tono contro Israele?”.
    “Non è da escludere”. (Camille Eid, “Beirut ostaggio dell’Hezbollah”, Avvenire, 13 luglio 2006).

    @dei diritti e delle pene
    Nel 1970, l’Iran ha firmato il “Trattato di Non Proliferazione Nucleare”(TNP). Ha iniziato a sviluppare un programma nucleare per “usi civili”. Ignacio Ramonet sostiene che “c’è il diritto indiscutibile dell’Iran – potenza regionale di 76 milioni di abitanti e grande fornitore di idrocarburi, ma anche consapevole dell’inevitabilità del calo della produzione petrolifera – a preoccuparsi del proprio futuro energetico, e a puntare sulle tecnologie nucleari civili. Nonostante più di 2000 ispezioni compiute dal 2003 in poi, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) non ha mai potuto fornire la minima prova dell’esistenza di un programma nucleare militare da parte della repubblica popolare islamica”. Ramonet difende i diritti del governo iraniano, ma ne sottovaluta i doveri. Nel 2003, l’anno del giro di vite contro Teheran, l’Iran ha dovuto accettare le restrizioni dell’AIEA solo perché un manipolo di dissidenti aveva denunciato al mondo la svolta atomica dei mullah. Evocare la crisi energetica per giustificare la rincorsa nucleare iraniana, come fa Ramonet, è un po’ paradossale, visto che parliamo di un fenomeno che, sul piano strettamente geofisico, è (post)datato al 2050, Ignacio Ramonet, “Iran atomico”, Le Monde Diplomatique, n.7, luglio 2006.

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jan reister
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Mi occupo dell'infrastruttura digitale di Nazione Indiana dal 2005. Amo parlare di alpinismo, privacy, anonimato, mobilità intelligente. Per vivere progetto reti wi-fi. Scrivimi su questi argomenti a jan@nazioneindiana.com Qui sotto trovi gli articoli (miei e altrui) che ho pubblicato su Nazione Indiana.
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