Su Cordelli e Di Mauro su Siti

di Nicola Lagioia

La grazia con cui qualche critico casca stagionalmente nelle botole spalancate dagli scrittori attraverso la crudele buona fede dell’innovazione letteraria è spesso il certificato (superfluo) della qualità di quest’ultima. Se però il tonfo è fragoroso come quello di cui si sono resi protagonisti Franco Cordelli e Enzo Di Mauro dalle pagine dello scorso «Alias» in relazione a Troppi paradisi di Walter Siti, la faccenda inizia a farsi preoccupante se non dolorosa. Perché Cordelli e Di Mauro sono tutt’altro che sprovveduti, hanno una storia importante alle spalle – e invece, con una naiveté spericolatamente affine a quella di chi non riesce proprio a parlare di un libro se non trova l’aggancio “giornalistico” o “di costume”, commettono il peggior errore in cui possa incorrere chiunque voglia provare a occuparsi di letteratura: confondere lo scrittore con un suo personaggio.
D’accordo, il protagonista di Troppi paradisi ha lo stesso nome del suo autore, come Siti è omosessuale e fa il professore universitario, ma non c’è bisogno di essere contre Sainte-Beuve per capire che pure l’omonimia tra autore e personaggio, quando è immersa in una lingua, una struttura, un movimento drammaturgico squisitamente romanzeschi, è romanzesca anch’essa. Cordelli e Di Mauro rimproverano a Siti i disvalori di cui sarebbe portatore il protagonista del suo romanzo – esibizionismo, narcisismo, ricerca del successo – ossia tutti i mali dell’Occidente frivolo e spettacolare. Tralasciando il proditorio trasferimento di questi attributi dal Siti-personaggio al Siti-in carne e ossa, dimenticare che la narrativa dell’ultimo secolo è retta in parte da prime persone singolari capaci di incarnare, di assumersi il peso, vale a dire, dei dissesti e delle contraddizioni del proprio tempo, significa mandare al rogo in un attimo pagine e pagine di grande letteratura.
La convenzione del nome fittizio non serve a rendere i legami di Nathan Zuckerman con Philip Roth, di Ferdinand Bardamu col Céline-Destouches del Voyage, più laschi di quelli esistenti tra il Siti e il Siti di Altri paradisi. Ma il punto non è questo. Il punto è che molti scrittori di valore, trasfigurando nella sostanza letteraria l’elemento autobiografico, si rendono protagonisti di una fondamentale operazione etica la cui dimensione è spesso proporzionale alla sgradevolezza e alle miserie dei loro protagonisti e alter-ego – proprio il contrario di ciò che lamentano Cordelli e Di Mauro. Quanti di noi sopporterebbero il narcisismo e l’ambigua misoginia di Nathan Zuckerman e di alcuni suoi doppi, Mickey Sabbath in testa? Eppure, chi meglio dei personaggi di Philip Roth è riuscito a rendere il vitalismo, catastrofico e salvifico al tempo stesso, degli Usa del secondo dopoguerra? Chi reggerebbe a un invito a cena con Victor Ward, la futilità fatta persona (pardon, personaggio), il fotomodello protagonista del Galmorama di Ellis – altro autore messo all’indice da Cordelli e Di Mauro –, così vicino agli ambienti, alle dinamiche, al successo frequentati dallo scrittore di Los Angeles? Eppure, se vogliamo capire qualcosa sulla bidimensionalità degli yuppie e degli addetti allo show-business, poche letture sono efficaci quanto American Psycho e Glamorama.
Ma alter ego a parte, quale personaggio letterario veramente riuscito non deve tutto allo sforzo identificativo compiuto dal suo autore? Nella famosa scena dei Sotterranei del Vaticano in cui Amédée viene lanciato giù dal treno in corsa, André Gide è Lafcadio (cioè il suo assassino) – così come Dostoevskij riesce a essere sia il candido protagonista delle Notti bianche che il Nikolaj Stravogin dei Demoni, e così via. Negare ai grandi scrittori questa capacità demoniaca porterebbe al risultato di eliminare dalle pagine di un romanzo i personaggi mettendo al loro posto delle semplici voci critiche. Si arriverebbe cioè (questo il risultato a cui involontariamente tende la critica di Cordelli e Di Mauro) alla sostituzione della letteratura con la sociologia o la sua riduzione ad apologo. Se poi il problema consiste nel condannare gli io narranti pervasivi e indifendibili, la condanna è costretta a estendersi a una delle più grandi operazioni etiche dell’ultimo secolo letterario, che proprio di un io narrante pervasivo e indifendibile si è avvalsa: Meursault, impiegato di Algeri. Lo Straniero di Camus, insomma, emblema della condizione umana del suo tempo anche senza i corollari del Mito di Sisifo.
Se Cordelli e Di Mauro sono fuori bersaglio, la rinuncia di Walter Siti a un nome fittizio per il protagonista del suo romanzo è allora un vezzo? No, per il semplice fatto che non sembra obbedire a un impulso del momento ma a una precisa ragione estetica: quella di utilizzare il meccanismo del reality-show (metafora dell’Italia contemporanea e contesto di Altri paradisi) per sovvertirlo eticamente: nel Grande Fratello la pretesa di veridicità porta alla mistificazione e al pervertimento della vita, in Troppi paradisi la dichiarazione di artificiosità (l’autobiografia di fatti non accaduti) diventa un coefficiente di verità attraverso cui si rivela la vita (mistificata e pervertita, rispetto a qualunque prospettiva di umanesimo) dell’Italia contemporanea. È questo che Cordelli e Di Mauro non hanno capito, soprattutto quando la loro accusa di prepotenza destrorsa giunge a investire monoliticamente, oltre a Siti, Houellebecq, Moresco, Easton Ellis, Scarpa, Baricco. È sufficiente pensare a quante analogie esistano tra Baricco e Michel Houellebecq per capire che, se in tutto questo discorso c’è un lapsus da destra autoritaria, riguarda più che altro i polpastrelli di chi vuol fare di tutt’erba un fascio.
Il dualismo Siti-Siti non mi preoccupa, insomma, ma altrettanto non si può dire della sovrapossizione di Cordelli e Di Mauro. Perlomeno in questa occasione: a tutti può capitare una giornata no.

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34 Commenti

  1. Hai ragione @La Gioia, quel pezzo è stata una lettura sconfortante anche per me, e condivido soprattutto questo:

    “in Troppi paradisi la dichiarazione di artificiosità (l’autobiografia di fatti non accaduti) diventa un coefficiente di verità attraverso cui si rivela la vita (mistificata e pervertita, rispetto a qualunque prospettiva di umanesimo) dell’Italia contemporanea. ”

    ma non solo, dici molte cose su cui metterei la firma.

    Tra l’altro Cordelli è spesso un lettore sensibile, non capisco come abbia potuto prendere un granchio simile.

    E perché a quattro mani? Mah.

  2. Franco Cordelli si vende i libri che gli mandano le case editrici alle librerie dell’usato. Anche Trevi. Anche Augias. Anche Lodoli. Lagioia dì all’ufficio stampa della tua casa editrice di non mandare più i vostri libri a questi morti di fame. Scusa l’interruzione.

  3. … e si fosse sotto qualcosa che non sappiamo (io poi, non la so di sicuro..)? Certe stroncature – è vizio antico – sono vendette consumate fredde… può darsi che il libro c’entri poco o nulla…

  4. Non ho letto le critiche a Siti, ma non posso che essere d’accordo con le parole di Lagioia. D’altronde se, come dice, l’innovazione letteraria ha una sua “crudele buona fede” mi pare giusto che tale faccenda di bersagli sbagliati inizi a farsi “dolorosa”.

    Ma forse più che bersagli sbagliati o vendette (come suggerisce marco) non è che c’è di mezzo una sorta di pigrizia critica che si ferma subito al primo scalino?

    Domani andrò a recuperare il libro che avevo regalato a mia madre.

  5. Soprattutto quello che colpisce nella lettura di Cordelli e De Mauro è la tendenza a credere la letteratura uno spazio monodimensionale, appiattito, dove al di là o al di fuori della lingua, esiste un continuum etico-estetico che intreccia autore-storia-personaggi-lettore.
    Così si nega al romanzo, ad ogni romanzo, di essere principalmente portatore di dubbi e di domande. Di essere creatura ambigua, spacciandola invece (il messaggio!) per modello di orientamento e risposta.
    Se qualcosa colpisce s stordisce in Ellis ad esempio è la profonda disperazione che impregna le sue pagine; al di là poi di un certo impatto mimetico con quel mondo, necessario alla scrittura, necessario anche all’orfico della scrittura (Callois). Contemporaneamente, nei libri di Ellis, c’è un movimento di avvicinamento e di fascinazione verso quel mondo, e una ritrosia disgustata e spaventata.
    Nel libro di Siti si riproduce la stessa ambiguità, amplificata dall’utilizzo di un nome-non-fittizio.
    Semmai è all’interno del romanzo che andrebbero mosse delle critiche se a qualcuno non piace: passaggi di scrittura spesso piatti e un impianto non originalissimo nelle sue conclusione antropo-sociologiche. Mentre è proprio l’ambiguità di base il suo punto di forza, quel tracciare un confine fra adesione ad un mondo (quello dei media) e suo rifiuto, su cui il personaggio-romanzo cammina in equilibrio diffiicle.

  6. Ed è piuttosto interessante, e indicativo di una certa sciatteria documentaria che è a sua volta spia di assai altro, l’autogol finale del pezzo di Cordelli-Di Mauro: “Walter Siti mette in esergo una frase, tratta da una lettera inviatagli da Ernesto Ferrero in data 27 novembre 1991, che dice: Faccia il mostro e non rompa le scatole”.
    Quella frase non è mai stata scritta a Siti, ma a Dante Virgili, ed è citata da Antonio Franchini in “Cronaca della fine”.
    E sì che Siti li aveva pure avvertiti nella nota iniziale: “Anche qui più un fatto sembra vero, più si può stare sicuri che non è accaduto in quel modo”.

  7. Non credo affatto che “le piattezze” della prima parte del libro, quelle digressioni apparentemente immotivate, che hanno fatto pensare anche a me, sulle prime, che il romanzo fosse fallito, le sue “conclusioni antropologiche” (che però non vedo, non mi pare tragga conclusioni antropologiche) ma insomma, quella apparente zavorra saggistica che all’inizio ha rallentato la lettura siano dei difetti.

    Siti è uno scrittore di tale qualità che sarebbe bastata una sua rilettura prima di con segnarlo e quella di un editor per vederle e cancellarle.

    Non sono difetti, sono la materia opaca di cui il Siti protagonista è costruito, un professore universitario intelligente e non geniale, abbastanza onesto da vedere quello che succede e abbastanza mediocre da non sapervi porre rimedio, uscito dal grigiore micro-borghese della sua famiglia d’origine eppure ancora piccolo borghese lui stesso, con i suoi “maglioni di cashmire” e le sue vacanze intelligenti. i suoi fastidi, le sue freddezze, Un accademico piccolo-borghese come ne ho incontrati a decine, il cui unico scarto sembrerebbe l’omosessualità.

    Il Siti protagonista è un uomo riflessivo, affettuoso e un po’squallido, anaffettivo e un po’ cinico, che diventa un grande personaggio quasi eroico, nella sua dedizione, come può diventare eroico un uomo comune che segue quel pochissimo che il tempo di offre per la sua ossessione e aprendosi a qualcosa che è dentro di lui e che è incomprensibile, e creando, questo va a gloria di Siti narratore, un personaggio, il culturista, grande per tratto, come un nuovo discobolo acciaccato e destinato alla rovina, una specie di divinità minore e decaduta, la grande puttana innocente perversa e infantile.

    Dovrei rileggerlo per essere più precisa, ma non facciamoci ingannare dalla “cattiva scrittura”. la “cattiva scrittura” di Siti è la grandezza del libro. E la cosa curiosa è che se adesso a bruciapelo e un mese dopo che lo ho letto mi chiedessero a che scrittore lo avvicinerei, mi verrebbe in mente Svevo, non certo Pasolini. Che pure è stato la sua stella guida. Per la temperatura.

    Io credo che sia stato attaccato perché ci mostra la verità. E per uno scrittore intelligente come Cordelli vedere un altro che riesce a mostrarla, quando tutti non cercano che quel momento di grandezza, sia stata una ferita dolorosa. Che forse lo ha accecato, perchè non credo alla vendette a freddo.
    Resta il fatto che non capisco le quattro mani, ma è una curiosità minima, solo pettegola, diciamo così:–)

  8. Si può apprezzare una critica (questa di Lagioia) ad una recensione (non letta) ad un libro che non si è letto? Be’: io lo faccio.

    p.s. io comunque i libri in più non li vendo all’usato, li regalo.

  9. non ho ancora finito il libro di siti (sono a tre quarti) e a tratti lo trovo ripetitivo, forse mi aspettavo un’altra scuola di nudo (che mi lasciò di stucco).
    comunque ho letto anch’io la “recensione” cordelli-de mauro su alias e l’ho capita poco, non so, non mi è chiaro dove volessero andare a parare gli autori… l’unica cosa chiara era il loro disappunto.
    il motivo del mio intervento però è un altro: voglio ringraziare sentitamente temperanza per il suo accostamento siti-svevo, che ho trovato illuminante.

  10. Sì, Siti ha uno stile piatto, quotidiano. Ma per fortuna noi milanesi almeno ne facciamo una lettura quotidiana, anche perché è gratis (io personalmente lo preferisco quando critica i film).

  11. Il problema di Cordelli è che non ha mai saputo raccontare e per questo invidia mortalmente tutti quelli che invece lo sanno fare. Lo stesso è accaduto in questo caso nella recensione al romanzo di Walter Siti.

  12. “Mi dispiace, non gioisco mai della morte ne’ dei nemici, ne’ degli amici. Mi dispiace che sia morta prima di redimersi”.

  13. Insisto: quasi tutti i critici italiani contemporanei si vendono i libri che le case editrici gli spediscono alle liberie dell’usato. Il problema è tutto qua. Il problema sta a monte. I critici italiani sono dei pezzenti, che non lavorano, che quando gli arriva per esempio il libro di Walter Siti, la prima cosa che fanno è: guardare il prezzo e capire quanto ci possono svortare – non capire quanto talento c’è in quel romanzo, in quel narratore. E’ così, è triste ma è così.

  14. Se qualcuno ancora interessato a qualcosa di meglio della vendita dei libri inutili passa di qui, Siti ha risposto su Alias a Cordelli e DI mauro. Non ve ne riporto neppure una riga, così se siete curiosi sostenete il manifesto:–)

  15. I critici si rivendono i libri, per fortuna così li si può comprare a prezzi ridotti…
    Solo che non ho capito: “Un accademico piccolo-borghese come ne ho incontrati a decine, il cui unico scarto sembrerebbe l’omosessualità”. L’omosessualità come scarto da cosa? Dall’essere piccolo-borghesi? Non credo che temperanza intenda che l’omosessualità è incompatibile con la mentalità piccolo-borghese, o peggio qualcosa che riscatta un’origine o una condizione piccolo-borghese. Sicuramente non intendeva questo, almeno si spera qui…

  16. @Z.Baumann

    No, hai ragione, non intendevo quello, dovrei star più attenta, soprattutto quando scrivo di un libro così profondamente serio come quello di Siti, intendevo, un po’ grossolanamente come scarto narrativo rispetto alla letteratura prudente ed estetizzata alla quale ci hanno abituati:–)

    La ragione di quella frase è privata, in qualche modo, riassumeva le reazioni dei suoi colleghi, di cui sono stata testimone, soprattutto al primo libro, che non ho letto, l’omosessualità come già allora la raccontava (e appena posso leggerò anche quello)

    Aveva “imbarazzato”, perché finchè è allontanata dalla forma non disturba, ma quando è esplicitata in un modo così diretto, quotidiano, privato, bisogna (!) avere intorno un’aura che la allontani, come in fondo la fama di Pasolini la allontanava e la rendeva “eroica”.
    In Siti no, non è eroica, e questo disturba molto più di quanto non si possa pensare.

    Insomma, hanno pensato e anche detto a mezza bocca molti, NON SI FA.

  17. E anche adesso qualcuno dice NON SI FA, non si tocca il reality show, che è altrettanto imbarazzante. Mettile insieme, l’omosessualità come lui la racconta e il reality show come lui lo racconta, e vedi le reazioni.

  18. scusi sciura temperansa, non ho capito bene, dice che all’isola dei famosi ci sono i culatoni?
    non mi dica che raul casadei è culo, neh?

  19. ah, scusino, ma il dotur lagioia l’è mica quello delle mozzarelle? complimenti dotur, la mia sciura le ha fatte in carossa e l’erano propri bon. grassie dotur.

  20. Inserisco il mio contributo quando ormai i commenti a questo articolo si sono esauriti. E dunque scrivo sulla lavagna di un’aula vuota, quando già è suonata la campanella e tutti sono usciti. Mi sono attardato tra i banchi per finire di leggere, fino in fondo, quattrocentoventicinque pagine, il romanzo di Walter Siti. E per questo voglio dire la mia, anche solo per il bidello.

    Troppi paradisi è un romanzo profondamente etico. Non parla di omosessualità, ma della disperata ricerca occidentale della “beatitudo huius vitae” laddove a quella “illius vitae” non crede più nessuno. Ma l’autore va anche oltre, non predica un ritorno al trascendente, ritiene cioè naturale e forse giusto averlo rimosso, e ci indica la via di fuga che l’occidente si è costruita per sfuggire alla sofferenza. La tecnica, l’artificializzazione della realtà. In fondo è quello che, da Psiche e techne, Umberto Galimberti predica da anni. L’essenza dell’umanesimo (occidentale) sta nella scienza e dunque nella tecnica. Una tecnica che arriva persino a modificare noi stessi, il nostro corpo. Sembra di leggere il manifesto di Mishima all’inizio di Sole e acciao. Il recupero della corporeità, con tutti i suoi eccessi, come aspirazione massima in una post-realtà dove non c’è più spazio per la parola. Ma in Siti il riscatto etico avviene quando ci avverte che in questo paradiso il dolore è sempre lì, fatto di persone vere che soffrono. Un’etica del dolore che l’occidente non affronta, ma semplicemente rimuove chirurgicamente.

    Ovviamente la mia è solo una delle tante possibili chiavi di lettura di questo notevole romanzo. Un romanzo a tratti crudo, feroce, pornografico, ma mai volgare. Si vede che è stato scritto in varie fasi (o almeno questa è l’impressione che dà), ma nel complesso tiene bene e, soprattutto, il Siti narrante, con le sue considerazioni fuori campo, ci offre uno sguardo disincantato che riesce ad arrivare quasi sempre alla radice delle cose.

    cp

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