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Antisemitismo e razzismo negli adolescenti: l’esperienza di un docente milanese

di Lorenzo Galbiati

razquot3-small-38x291.gif Sei anni fa insegnavo in un liceo classico privato di Milano. Utenza: figli della Milano bene.
Durante il periodo in cui ricorreva la Giornata della memoria, i miei alunni di quarta liceo andarono a vedere “Gli ultimi giorni”, il documentario prodotto da Spielberg che raccoglieva testimonianze di alcuni ebrei sopravvissuti alla Shoah.
Al ritorno dalla proiezione, chiesi loro che effetto gli avesse fatto. Alcune ragazze dissero che ”faceva impressione” sentire quelle testimonianze. Ma non si andò oltre nell’analisi. Pensai: “sarà che io sono il loro insegnante di scienze, chissà”.

Insistetti raccontando loro la mia esperienza a Dachau, a 18 anni in gita scolastica, e quella, ben più pregnante, ad Auschwitz, a 21 anni. Cercai di descrivere loro le mie emozioni, il mio sgomento, l’importanza del dovere di ricordare; finalmente uno di loro reagì: “già che c’era poteva andare anche ad Hiroshima!” Risate. La verità che mi balenò per la prima volta alla mente, difficile da accettare, era che questi ragazzi si annoiavano e sviluppavano una sorta di rifiuto quando si insisteva sul dovere di ricordare la Shoah. Erano antisemiti? Non credo. Apatici, forse.
In seconda liceo avevo due ragazzi di Forza Nuova. Molto diligenti e seri in classe. Sentii da loro discorsi sul valore della famiglia e delle tradizioni ma anche sulla necessità di fermare l’immigrazione. Un giorno, parlando di libertà di espressione, manifestarono la loro indignazione per il fatto di non poter manifestare ostentando la croce celtica, che secondo loro era un simbolo di identità cristiana. Non parlarono mai di ebrei, non con me, almeno. Erano antisemiti? Razzisti? Non saprei. Forse lo stavano diventando, più o meno consapevolmente. Forse.
L’anno successivo insegnai in un altro liceo privato, sempre a Milano, questa volta scientifico. Rimasi in quella scuola per tre anni. La classe che seguivo di più, di cui ero anche coordinatore, era composta in gran parte da ragazzi “alla buona”, di provincia. Dei “bravi” milanesi, o dei “bravi” brianzoli. Quando si sfottevano tra di loro usavano darsi dell’”ebreo” a vicenda. Erano antisemiti? Non credo, e ora vi spiego il perché.
A quell’epoca conobbi un uomo di Action For Peace che aveva rischiato la vita andando in Cisgiordania al tempo del coprifuoco e dell’assedio al quartiere generale di Arafat; faceva parte di una delegazione internazionale che si proponeva di portare viveri e sostegno alla popolazione civile palestinese. Mi raccontò dei cecchini israeliani, appostati sulle colline, che per intimidire la delegazione pacifista sparavano a un metro dai loro passi, stando attenti a non colpirli (“per fortuna che i cecchini israeliani hanno un’ottima mira, sennò non sarei più qui”, mi disse). Seppi che organizzava incontri in biblioteche, associazioni, comuni, scuole per raccontare il suo viaggio e mostrare le diapositive che aveva scattato. Lo invitai nella mia scuola. Parteciparono molte classi a quell’incontro, e con molto interesse. I ragazzi della mia classe furono tra i meno contenti: “è stato di parte, quelli son terroristi”. “Certo che è stato di parte,” risposi io, “ha raccontato la sua testimonianza, che si riferiva all’assedio dell’esercito israeliano ad alcune città palestinesi, non agli attentati kamikaze contro civili israeliani.” Ma aveva anche esposto la storia del conflitto tra palestinesi e israeliani, in modo obiettivo, a mio parere – benché sappia che l’obiettività non esiste: diciamo allora in modo il più possibile obiettivo. Il fatto è che i ragazzi non erano tanto interessati a capire i termini del conflitto israelo-palestinese: per loro contava di più identificare chi fosse il “nemico”, il “nostro” nemico, colui che disturba o potrebbe disturbare il nostro benessere di occidentali. E chi era ed è il nemico? Gli arabi, non gli israeliani.
Ad ogni modo, non avevano grande simpatia per gli israeliani, né per loro né per gli ebrei in genere, tant’è vero che durante le giornate della memoria ridevano degli ebrei deportati. In conclusione, più che antisemiti, forse alcuni di quei ragazzi rischiavano di diventare razzisti o intolleranti verso chiunque potesse identificarsi come “diverso” e potenzialmente nemico della nostra identità di occidentali.
Poi andai a lavorare in un istituto professionale fuori Milano. Come al solito cominciai a sentire parlare di ebrei quando si avvicinava la Giornata della memoria: è la Shoah che passa come primo messaggio sulla condizione degli ebrei. Ebreo vuol dire Altro da noi che viene deportato, perseguitato, sterminato. Da chi? Dalla nostra civiltà, secondo le modalità storiche che ha assunto fino a pochi decenni fa. E’ questa, a mio parere, l’idea mentale che si formano gran parte degli adolescenti a scuola. Unita a un comando, a un imperativo etico che viene loro trasmesso in forma più o meno esplicita: il dovere di ricordare il crimine della Shoah, di cui sono responsabili i nazisti ma in ultima analisi un po’ tutti noi, occidentali cristiani. Non è questo che avevo cercato di inculcare anch’io negli alunni del liceo classico in cui avevo insegnato 4 anni prima?
In questa scuola professionale la professoressa di storia si era molto impegnata sul tema della memoria dell’Olocausto (parola quanto mai infelice e fuori luogo). Per tutta la settimana in cui ricorreva la Giornata della memoria gli alunni discussero di Shoah, nazismo, antisemitismo. Un giorno, al rientro in classe dopo la proiezione di un film sulla Shoah – non ricordo quale –, un ragazzo sedicenne mi chiese a bruciapelo: “Prof, lei da che parte sta, con gli ebrei o con Hitler?” Lo guardai: era serio e attendeva una risposta a quella che per lui era una legittima curiosità. Risposi che non c’era in corso una guerra tra Hitler e gli ebrei, non c’era la possibilità di scegliere tra due fazioni in lotta, stava avvenendo lo sterminio di un popolo da parte dei nazisti, quindi non ci si poteva che schierare per salvare quel popolo. La sua risposta fu rivelatrice: “sì però con tutti questi immigrati non si può sempre star qui a guardare…”
Nella scuola c’erano molti immigrati, per lo più marocchini e albanesi. Forse quel ragazzo, ora che aveva capito che anche gli ebrei erano “Altro da noi”, li aveva associati agli immigrati, che per lui erano sinonimo di problema da combattere. Era un razzista? Forse lo stava diventando.
L’Altro diventa un problema, io credo, soprattutto se viene identificato come forza antagonista, come popolo o gruppo che esiste (o è esistito) rispetto a “noi” in una relazione conflittuale, poco importa se di dominio o di oppressione o di esclusione. Gli arabi sono percepiti come tali, nella vita quotidiana, perché “diversi” culturalmente ma, ad esempio a scuola, stanno crescendo i momenti di scambio – o di rigetto; gli ebrei, verso i quali i contatti (per vari motivi) sono minori, vengono percepiti come il popolo perseguitato che se ne sta racchiuso in sé, che scappa da “noi” e che, semmai, si va a rifugiare in uno stato tutto suo, dove si difende senza sconti. Qual è, mi chiedo, l’effetto che si ottiene rafforzando nei ragazzi la percezione di questa dinamica conflittuale tra il “noi” e il “loro”?
In altre parole, come si deve combattere lo sviluppo dell’antisemitismo e del razzismo negli adolescenti?
Prima di rispondere a questa domanda, dovremmo capire noi adulti cosa siano oggi l’antisemitismo e il razzismo.
Quest’anno ho insegnato in un liceo scientifico statale di Milano. In classe quinta avevo un ragazzo ebreo che per l’esame di stato portava un approfondimento sull’antisemitismo e sulla situazione israelo-palestinese. Quando mi disse del suo approfondimento, gli chiesi come mai avesse fatto quella scelta. Mi rispose che c’era molta disinformazione sulle vere cause del conflitto arabo-israeliano. Annuii, poi gli chiesi, incuriosito:
“E secondo te su quale punto vi è maggiore disinformazione?”
“Molti non sanno che i palestinesi hanno lasciato la Palestina spontaneamente, per unirsi agli altri arabi in vista dell’attacco finale per distruggere Israele. Non è vero che sono stati cacciati dagli ebrei.”
Rimasi perplesso.
“Hai provato a leggere opinioni o testimonianze di segno contrario?”
“Ma sono tutte falsità…”
Gli portai degli articoli, gli dissi di leggerli e poi di decidere se integrarli o meno nel suo approfondimento:
“Non temere, io non ti farò alcuna domanda su questi argomenti, non sono il tuo prof di storia”.
Il ragazzo lesse alcuni articoli sotto i miei occhi, visibilmente contrariato. Poi iniziammo una lunga discussione a cui assistettero anche alcuni suoi compagni di classe. Il mio scopo era cercare di farlo mettere nei panni di un palestinese che viveva nei territori occupati (cosa peraltro non facile per nessuno).
Un giorno, in classe, fui provocato sulla questione israelo-palestinese: i ragazzi mi portarono un quotidiano che titolava sull’argomento per sentire la mia opinione sul terrorismo palestinese e sulla risposta (offensiva?) israeliana. Scontentai tutti – il ragazzo ebreo e altri ragazzi di sinistra che condannavano Israele – cercando di impostare il discorso sul formulare una definizione di terrorismo e una di guerra (a mio parere oggi le due definizioni, se applicate ai contesti reali, rischiano di coincidere). La discussione scaldò molti animi e sentii giudizi pesanti sugli israeliani da parte di alcuni ragazzi di sinistra – che erano ben distanti dall’essere antisemiti – e giudizi feroci sugli arabi (“sono stato in Israele, ho visto il muro, che poi non è un vero muro: da una parte, dove ci son le terre israeliane, trova tutte terre ben coltivate, dall’altra gli arabi non sanno che farsene della terra, son tutte abbandonate”) e su Arafat (“peccato che non l’abbiano ucciso”) da parte del ragazzo ebreo, che peraltro si dichiarava di sinistra e favorevole alla creazione di uno stato palestinese. Era dunque un razzista o un antipalestinese? Non credo, era solo un ragazzo molto emotivo; certo, verso i palestinesi o gli arabi in genere aveva sviluppato, o stava sviluppando, un’antipatia che rischiava di diventare preoccupante – e che io ho cercato di non condannare: ho preferito scherzarci sopra con lui, sapendo che era un ragazzo intelligente e capace di grande sensibilità.1
Per il Giorno della Memoria, quest’anno, nella mia scuola è arrivata la disposizione di leggere brani tratti da “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
Contemporaneamente, in Spagna, qualcuno dava a Primo Levi dell’antisemita (a una sua opera, per la verità). Era l’ambasciatore israeliano.
Tra gli articoli che ho dato da leggere al mio ormai ex alunno, ve n’è uno scritto da Ferdinando Camon per L’Unità, datato 31 gennaio 2006, che spiega questo fatto.2
“E’ proprio un destino che Primo Levi non venga mai compreso o accettato”, spiega Camon. “Adesso è la volta delle sue opinioni sulla storia degli ebrei, che a lui pareva spezzata in due tempi: c’è una storia degli ebrei che marciano verso la costruzione del loro Stato, e c’è una storia degli ebrei che, costruito lo Stato, marciano verso i territori vicini. L’ambasciatore d’Israele in Spagna, Victor Harel, protesta contro queste dichiarazioni, e definisce Levi “ambiguo”: le ha appena sentite in un teatro di Madrid, dove la “Conversazione” che Levi mi rilasciò poco prima di morire è stata messa in scena nel “giorno della memoria”. Il “Giornale”, che dà notizia della protesta d’Israele, e il “Corriere”, che la riprende, attribuiscono l’incomprensione dell’ambasciatore al fatto che lui sente e valuta oggi i giudizi che Levi esprimeva nell’86, che in quel momento potevano essere diversamente intesi e ben accettati. Non ho l’impressione che sia così. Anche in quel momento la valutazione di Levi sulla storia degli ebrei non veniva accolta da Israele: quella “Conversazione” fu offerta gratis agli editori israeliani, ma tutti (quegli interpellati) avanzavano delle riserve proprio su quei punti. Erano riserve politiche. In Germania le dichiarazioni di Levi ottenevano un’attenzione molto empatica, come pure in Polonia (il libretto è pubblicato dal Museo di Auschwitz). Ma cosa dice Levi in quei punti così controversi?
Dice: “Lo Stato d’Israele avrebbe dovuto cambiare la storia del popolo ebreo, avrebbe dovuto essere un zattera di salvataggio, il santuario a cui avrebbero dovuto accorrere gli ebrei minacciati negli altri paesi. L’idea dei padri fondatori era questa, ed era antecedente alla tragedia nazista: la tragedia nazista l’ha moltiplicata per mille. Non poteva più mancare quel paese della salvezza. Che ci fossero gli arabi in quel paese, non ci pensava nessuno. Per la verità ce n’erano molto pochi. Ed era considerato un fatto trascurabile di fronte a questa gigantesca “vis a tergo”, che spingeva là gli ebrei da tutta Europa. (…) Secondo me, Israele sta assumendo il carattere e il comportamento dei suoi vicini. Lo dico con dolore, con collera. Non c’è molta differenza tra Begin, Arafat, Khomeini”. E spiega perché: “Begin aveva dichiarato di avanzare per 40 chilometri, poi è arrivato fino a Beirut. D’altra parte che esista una componente di necessità in tutto questo è evidente, finché lo statuto dell’Olp non viene cambiato; e Begin non voleva che venisse cambiato, perché era il suo alibi”.
Oggi, a vent’anni di distanza da quelle parole, succede che un movimento terroristico diventato partito vince le elezioni in Palestina, e va al potere, ma ha nello statuto proprio quel programma (la distruzione dello stato d’Israele) nel quale Primo Levi vedeva uno stato di necessità per la politica di Begin, e cioè per una politica che costruisca intorno ad Israele una cintura di territori annessi che ne garantiscano la difesa. Non credo che l’ambasciatore sia nel giusto quando definisce “ambiguo” Primo Levi, e quando dice che quell’opera, messa in scena, “è un’opera chiaramente antisemita che disonora Israele”.
E così siamo arrivati al paradosso che nel Giorno della memoria del 2006 nel mio liceo si leggevano brani presi da “Se questo è un uomo” di Primo Levi, e si invocava il dovere di ricordare la Shoah, mentre in Spagna si metteva in scena la “Conversazione con Primo Levi”3, e l’ambasciatore israeliano ammoniva a porre attenzione a quell’ “ambiguo” scrittore, autore di un’opera “chiaramente antisemita”.
Chi è antisemita oggi? Chi razzista?
La ricerca di una risposta a queste domande continua.
Un nuovo anno scolastico è iniziato, per me e per molti studenti: una nuova occasione per cercare di capire come si sviluppano il senso di identità e le varie forme di (vero o presunto) razzismo quotidiano.

1Al colloquio orale dell’esame di stato, il ragazzo decise di integrare la “sua” versione sulla diaspora palestinese con le fonti “filoarabe” – non saprei dire se per opportunismo o per reale messa in discussione della sua precedente posizione – , facendo una buona esposizione, che la professoressa di storia considerò ben documentata ed equilibrata.

2 ( http://www.ferdinandocamon.it/articolo_2006_01_31_primo_levi_antisemita.htm ).

3 Sulla messa in scena della “Conversazione” nel Giorno della memoria, Camon precisa: “Io credo che sia stato sbagliato l’uso dell’opera nel giorno della memoria. Il giorno della memoria deve ricordare “Se questo è un uomo” e “I sommersi e i salvati”, non le riserve di Levi sull’espansione d’Israele. Non sapevo che l’opera fosse usata in quel giorno. Se mi avessero chiesto il permesso, l’avrei rifiutato o avrei dettato un chiarimento.”

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64 Commenti

  1. La prima cosa che mi viene in mente leggendo questo pezzo di Galbiati è che in effetti il vero paradosso è che in una cultura della cronaca e dell’eterno presente, pretendere di costruire una prospettiva storica sugli eventi è davvero difficile. Quindi è giusto interrogarsi sugli effetti che hanno sui ragazzi le varie “giornate della memoria”. Ma bisognerebbe non dare nulla per scontato. Inoltre se la memoria è rappresentata da un documentario come “gli ultimi giorni”, siamo messi male.

    Poi
    “E così siamo arrivati al paradosso che nel Giorno della memoria del 2006 nel mio liceo nel mio liceo si leggevano brani presi da “Se questo è un uomo” di Primo Levi, e si invocava il dovere di ricordare la Shoah, mentre in Spagna si metteva in scena la “Conversazione con Primo Levi”3, e l’ambasciatore israeliano ammoniva a porre attenzione a quell’ “ambiguo” scrittore, autore di un’opera “chiaramente antisemita”.

    Paradosso solo apparente, mi sembra. Nessun ambasciatore israeliano puo’ possedere il monopolio della memoria relativa alla Shoa. In qualsiasi paese, celebrazioni cruciali, a carattere nazionale, possono essere più o meno utilizzate a fini politici. (Dipende quali sono questi fini.)

  2. Sono veramente adirato, esacerbato,
    non ne posso più di ‘sta parola “antisemitismo”,
    non ne posso più che venga usata anzi strabusata ad libitum,
    con tutti i comodi,
    non la voglio più.
    Vorrei invece che si rovesciasse un bidone di lt.20 di pomodori marci in testa a ‘st’ambasciatore zuccone sciagurato e lazzarone,
    mica perchè è ebreo, no, no,
    ma perchè è un razzistone, lui, sì,
    ecco

    MarioB.

  3. “forse alcuni di quei ragazzi rischiavano di diventare razzisti o intolleranti verso chiunque potesse identificarsi come ‘diverso'” – ecco qua il terreno fertile per nuovi fascio-nazismi (cfr. H. M. Enzensberger, “Prospettive sulla guerra civile”): allora la domanda è perché lo sono, e come lo diventano?
    Sennò si fa dell’inutile retorica e la realtà marcia (procede ciecamente, e insieme marcisce) per conto suo: andando al cuore, oggi è tutto sbagliato e non ci se n’accorge neanche, si suppone che si possano sensibilizzare le coscienze senza modificare la realtà delle condizioni sociali di vita attuali…

  4. la seconda cosa che mi viene in mente dopo aver letto questo post è che è generoso di testimonianze, ma poco chiaro. Mi sembra che Galbiati metta insieme cose assai diverse e non è chiaro cosa poi deduca da queste varie esperienze.

  5. Franco Fortini
    “I cani del Sinai”
    1967

    nb: i tipi di Quodlibet ne hanno fatto una bella ristampa nel 2002, costa 8 euro e cinquanta

  6. @andrea inglese
    concordo del tutto con il tuo primo commento e riconosco che il tuo secondo colpisce il bersaglio quando afferma: “non è chiaro cosa poi deduca da queste varie esperienze”: non era mia intenzione esplicitare le mie deduzioni ma descrivere situazioni estreme da me viste e porre interrogativi che creino dubbi su come queste vengono spesso interpretate e affrontate. Dagli interrogativi credo poi si possa almeno intuire quale sia la mia posizione al momento.
    Non sta a me dire se io sia stato più o meno chiaro né se le testimonianze riportate siano “assai diverse” ma posso dirti che l’idea di scrivere questo articolo m’è venuta notando come ordinando le mie esperienze in senso temporale si delineasse un percorso che mi ha portato a cambiare la mia interpretazione su cosa siano e come si alimentino oggi il razzismo e l’antisemitismo.
    Mi pare infatti che le mie esperienze procedano presentando un crescendo nella dinamica dell’identificazione dell’Altro come pericolo da combattere. E tuttavia ho sempre evitato di dare del razzista a un adolescente.
    A un certo punto chiedo se noi docenti, a scuola, non rischiamo di rafforzare questa dinamica del “noi” e “loro”, specialmente nei confronti degli ebrei, con la Giornata della memoria – ma questo può valere anche verso gli arabi (gli islamici, meglio), in altro modo.
    Davvero non si capisce che ne penso io al riguardo?
    Gli esempi finali (il ragazzo ebreo, l’ambasciatore israeliano; purtroppo mancano nella mia esperienza equivalenti in senso islamico) dovrebbero lasciare intuire ciò che penso su come noi adulti rischiamo di diventare razzisti (Cfr. Mario B.) se continuiamo a stigmatizzare sul nascere ogni forma di dissenso politico o – come avrei potuto fare io – di espressione adolescenziale che, come giustamente hai scritto tu è frutto di una cultura senza storia, sempre più legata al presente – e al contingente e al tangibile -. Insomma, forse parliamo di una sottocultura.

  7. ti ringrazio Lorenzo per la risposta e i chiarimenti, che sono stati utili

    mi sembra senz’altro interessante, poi, discutere su questa questione, da insegnante (e anch’io lo sono): come comportarsi di fronte all’espressione di opinioni, convinzioni razziste a scuola, opinioni che si manifestano in un contesto di discussione “normale”?
    Su tale faccenda non credo tutti abbiano le idee chiare, e d’altra parte non si tratta di una situazione facile.
    La scuola innanzitutto non è un’istituzione che puo’ programmare dei cittadini non razzisti e neppure condannare le convinzioni personali di un allievo, nel momento in cui non diventano forme di aggressione nei confronti di altre persone. La scuola dovrebbe pero’ impegnarsi a mostrare la natura delle opinioni, la loro formazione, e gli strumenti che permettono di verificarle, approfondirle, metterle alla prova.
    Ma questo è un lavoro che spesso gli stessi insegnanti non sanno fare: trasmettere un opinione (il razzismo è cattivo) è molto più facile che trasmettere una modalità, una competenza, degli strumenti che permettano di testare una data opinione.
    La scuola dovrebbe innanzitutto mostrare che cosa sia l’ignoranza e che cosa sia la mancanaza di autonomia critica nei confronti di qualsiasi opinione corrente.
    Un esempio il ragazzo che portava l’approfondimento del problema israelopalestinese: non è importante fare il processo alle sue intenzioni, (era opportunista o no?), ma vedere che pur magari mantenendo salda la sua convinzione personale si è reso conto dell’opportunità in un contesto istituzionale, pubblico, di dover prendere in conto anche fonti arabe o palestinesi, per non indebolire o inficiare il suo lavoro. Insomma, ha appreso un metodo. Ha capito il concetto di pluralità delle fonti, ecc.

    Su quanto dici a proposito del giorno della memoria e del pericolo di rafforzare la dinamica del noi e loro, invece non sono d’accordo. Credo siano da criticare molte cose nelle modalità in cui sono organizzate, presentate o usate giornate della memoria, ma il principio di fondo è sacrosanto. Senza memoria non si sa dove andare. Semmai, bisogna chidersi se una giornata della memoria non assolvono 364 giorni d’oblio…

  8. Forse bisognerebbe anche chiedersi se è giusto che la “memoria” sia monopolizzata dal genocidio del popolo ebraico. Non solo perchè ci sono episodi simili che nessuno ricorda (massacro degli armeni, per esempio) ma perchè in questo modo la storia diventa rito, e il rito innesca sempre una contrapposizione tra credenti e non credenti, oltre all’uso che l’attuale stato di Israele fa di questa memoria irripetibile ed esemplare: un ricatto morale continuo al mondo, per poter continuare ad opprimere i propri vicini.

  9. “In conclusione, più che antisemiti, forse alcuni di quei ragazzi rischiavano di diventare razzisti o intolleranti verso chiunque potesse identificarsi come ‘diverso’ e potenzialmente nemico della nostra identità di occidentali”.
    Per Willis Carto, il fondatore della Liberty Lobby, i piagnistei degli ‘ebrei’ sono esagerati. Una delle tecniche preferite del negazionismo è proprio quella di ridimensionare il numero di vittime ebraiche mostrando che nei forni non erano finiti solo i furbi Yids, ma anche gli zingari, gli omosessuali, e via discorrendo. La “diversità”, insomma, meglio ancora ‘l’universalismo delle differenze’, diventa appiattimento dell’Uguale, feticismo dell’Identico. Un modo per azzerare il contamortiammazzati e ripartire da zero.

  10. bravo lorenzo veramente molto interessante il tuo post e pure scritto bene.
    Non solo Levi è stato considerato ambiguo ma anche Natalia Ginzburg e addirittura Hannah Arendt e molti altri. Ai politici non piace per principio l’intelligenza e il pensiero. E il non schierarsi, senza se e senza ma, è sempre visto con grande sospetto e non solo dagli ambasciatori israeliani.
    geo

  11. @Valter Binaghi
    Concordo senza “se” e “ma”. Purtroppo la realtà è questa.
    Come uscirne?

    @ Andrea inglese (e tutti)
    Giustissimo quello che dici sulla scuola e sul mio ex alunno.

    Sulla Giornata della Memoria: io non propongo di abolirla.
    Partiamo da questa premessa. Sono convinto che sia, come evento storico europeo mderno, una cesura senza eguali, talmente profonda che vada analizzata a 360 gradi, e non solo in senso storico.

    Detto questo, credo che quello che avviene a scuola – e anche in generale a livello nazionale e internazionale in quella settimana (perché ormai si sta trasformando nella settimana della memoria) -, proiezione di film mostre dibattiti ecc., rischi di diventare in parte controproducente proprio perché in questo modo fin da piccoli i ragazzi vengono stimolati a identificare gli ebrei come l’Altro da noi che viene sterminato e scappa.

    Inoltre, ciò che più mi sembra dannoso, è vedere professori che insistono nel dire ai ragazzi: “avete il DOVERE di ricordare!”
    E così succede che molti ragazzi, specialmente quelli dotati di meno senso critico e portati a reazioni più viscerali, iniziano a pensare: “se c’è stato il nazismo che li ha sterminati ora devono rompere le palle a me? io manco uno ne conosco di ebreo, e la mia famiglia nemmeno ecc.”
    Ecco, io credo che informare, e bene, su questo fatto sia ASSOLUTAMENTE DOVEROSO, ma non credo che dal punto di vista pedagogico sia utile a scuola voler trasmettere il DOVERE Di RICORDARE.

    (E di questo dovere sentiamo parlare da qualche anno in tivù in sempre più occasioni, con il risultato che dal dovere di ricordare si passa senza soluzione di continuità al dovere di difendere l’esistenza di Israele, che ovviamente è sempre in pericolo di ditruzione, e da lì a difendere le guerre di Israele “per difendersi” il passo è piccolo).

    Io insomma ho meno fiducia di te sul buon uso della memoria.
    Cosa propongo io?
    -Che la Giornata della Memoria non sia il modo principale con cui venire a contatto con il popolo ebraico. Proprio perchè rischia di alimentare la dinamica del noi e del loro, ci vorrebbero altre iniziative che bilancino questa dinamica e che immettano nei ragazzi l’idea che gli ebrei non sono solo dei perseguitati ma sono gente come noi, esseri umani che ridono e fanno la nostra vita. Utile quindi l’incontro diretto per parlare d’altro e per conoscere la loro cultura. Moni Ovadia che spiega la cultura ebraica e racconta le sue barzellette secondo me val più di molti momenti della settimana della memoria.
    -Che la si smetta col dovere di ricordare (controproducente), anche perchè non è esistito solo il genocidio ebraico ma molti altri, anche se di diversa entità e di diversa importanza storica. Il genocidio degli armeni, ad esempio, mi sembra giusto che rientri nei fatti storici da approfondire, anche perchè la Turchia non l’ha ancora riconosciuto. E da lì’ si dovrebbero ricordare anche le situazioni attuali in cui è in atto l’oppressione di popoli che rivendicano l’autodeterminazione sulla loro terra. Insomma, il genocidio ebraico inquadrato sì come evento cruciale dell’Europa del Novecento ma al contempo posto in relazione con altri genocidi e con altre situazioni tutt’ora presenti.
    ——-
    E si dovrebbe parlare anche dell’immagine che gli alunni si creano degli arabi o degli islamici in genere… ad esempio che accadrebbe se si decidesse di ricordare l’11 settembre? Nel 2002 e nel 2003 nelle scuole dov’ero si è fatto un minuto di silenzio l’11 sett. poi più.
    E un po’ mi son stupito…

  12. Caro Lorenzo, da collega a collega: il tuo sentimento anche doloroso del problema, la tua capacità di distinguere e far riflettere, è il modo per uscirne. Ormai diffido di tutto ciò che è istituzionale, e credo invece nell’iniziativa e nella consapevolezza del singolo. Nella mia scuola, quest’anno ho proposto di dedicare la giornata della memoria al massacro degli armeni. Verrà un membro della comunità armena a parlare nel mio liceo. Ti segnalo anche (ma probabilmente lo conosci già) un film importante, HOTEL RWANDA, che di solito faccio vedere ai miei alunni quando spiego la decolonizzazione e le sue conseguenze: è un buon modo per ricordare i massacri etnici dell’africa. Non si tratta di equiparare o privilegiare una strage sull’altra, nè di cedere al macabro computo delle vittime, ma di sottrarre la memoria alla tentazione delle celebrazioni, e restituirla al pensiero storico.

  13. non provo a rispondere alle critiche di Lorenzo Galbiati sul dovere di ricordare. Intervengo pero’ su due punti.
    Uno per Walter Binaghi: la sua è una reazione non isolata, eppure, a rifletterci, assurda. Si accusa il popolo ebraico di pretendere un’attenzione esclusiva alla vicenda della Shoa. Ma che significa? Ci si dovrebbe chiedere invece perché del genocidio degli armeni o dei tutsi non si parla, perché gli armeni non riescono a parlarne, perché i media se ne fregano… Che c’entrano gli ebrei. Loro hanno un lavoro di memoria da fare, e lo hanno fatto con difficoltà che sono proprie alla loro storia di ebrei, e poi di israeliani, e sono proprie alla storia di chi gli sta intorno.
    La memoria non è un genere di natura limitata, per cui se si ricorda la Shoa si dimenticano gli armeni… Almeno, a me non succede cosi.

    a lorenzo, che scrive:
    “dal dovere di ricordare si passa senza soluzione di continuità al dovere di difendere l’esistenza di Israele”
    Anche qui non sono d’accordo. Ma che c’entra? Forse che non siamo capaci di ragionare, di separare le questioni, di distinguere una necessità morale e storica da un’opzione politica discutibile? E’ sbagliato mettere nello stesso sacco memoria della shoa e politica dei governi israeliani. Invece, si puo’ fare (o ricordare), quello che degli ebrei e degli israeliani per primi hanno fatto: analizzare le forme di uso politico della shoa da parte di partiti e governi israeliani, o da associazioni ebraiche nel mondo, ecc.

  14. noto una differenza tra il moderatismo razionale di questo testo di Galbiati e suoi i commenti antisionisti/antisraeliani a un vecchio pezzo di Andrea Inglese. Ad ogni modo, ogni tanto qualcosa sfugge anche qui: “al dovere di difendere l’esistenza di Israele, che ovviamente è sempre in pericolo di ditruzione, e da lì a difendere le guerre di Israele ‘per difendersi’ il passo è piccolo”. Vorrei ricordare che Hezbollah l’altra settimana era in piazza a sventolare le bandiere della Vittoria.

  15. @roberto
    ho già constatato in passato la spocchia con la quale mi rispondi, quanto a te interessi poco capire ciò che dico, preferendo piuttosto analizzarlo in modo da fare collegamenti e deduzioni arbitrarie e gratuite per potermi giudicare e classificare in una delle tue categorie razzistiche.
    Bravo, ce l’hai fatta anche questa volta.
    Ti dico fin da subito, onde risparmiarti il lavoro, che oltre a antiisraeliano e antisionista sono anche antiamericano, antiturco, antiarabo, antislamico, antigiapponese e anche i marziani mi stanno un po’ sulle palle.

  16. i marziani stanno sulle palle anche a me, li detesto gli altri no, anzi… decido volta per volta.
    Chiaro che quando fanno le guerre aggressive e le rappresaglie feroci li odio tutti più dei marziani, ma forse non odio loro, ma la guerra che sarebbe l’ora di farla diventare un tabù (anche se qui i tabù non sono accettati) in attesa di fare la grande guerra ai marziani che prima o poi avverrà (anche perchè sto pianeta tra poco sarà inabitabile ;-)
    geo

  17. @andra inglese
    a lorenzo, che scrive:
    “dal dovere di ricordare si passa senza soluzione di continuità al dovere di difendere l’esistenza di Israele”
    Anche qui non sono d’accordo. Ma che c’entra? Forse che non siamo capaci di ragionare, di separare le questioni, di distinguere una necessità morale e storica da un’opzione politica discutibile? E’ sbagliato mettere nello stesso sacco memoria della shoa e politica dei governi israeliani.

    Caro Andrea, mi stupisco che tu non mi segua. Hai letto bene? Non sono io a mettere sullo stesso piano queste cose o a non ragionarci sopra: ti dico semplicemente ciò che io vedo e constato avvenire qui in Italia, sotto i miei occhi nelle trasmissioni tivù di approfondimento e non solo, nei commenti di molti sui giornali, negli atti e nelle dichiarazioni di molti politici di destra e di centro, in iniziative che vedo per le strade di Milano…
    Se mi vuoi criticare forse dovresti puntare il dito sul fatto che questa mia percezione sia errata e spiegarmi la tua.

  18. @roberto,

    hezbollah ha vinto (grazie a Dio, aggiungerei).
    Hezbollah può legittimamente sventolare ciò che vuole, almeno la propaganda in patria mi auguro gli sia concessa – visto che qui la prima vera sconfitta di Israele viene bellamente sottaciuta.
    E’ uscito un articolo interessante di Michelguglielmo Torri sulla cosa-vittoria, comunque la si voglia chiamare:
    http://khalasnews.splinder.com/post/9339047

    La strategia dell’attacco “per difesa” non funziona più neanche dal punto di vista dei “bruti” rapporti di forza.
    Domanda:
    sarà possibile un senno di poi in cui ci sentiremo collettivamente grati a il hezbollah?

  19. @inglese
    mi correggo: dovevo specificare meglio che ciò che ho scritto in parentesi si riferisce al mondo degli adulti alla politica… in effetti poteva esser letto in altro senso. l’ho scritto però perchè la mia memoria ha registrato solo da qualche anno il continuo uso nei media, specie in tivù, dell’espressione “dovere di ricordare” e di riflesso, contemporaneamente l’ha registrato a scuola.
    (ps la mia memoria registra anche che da un po’ di anni in tivù c’è la corsa a tasmettere sempre più documentari su nazismo fascismo ecc. come mai? sicuri che non c’entra niente con la guerra di civiltà ai nuovi nazisti/fascisti islamici? è un caso che rete 4 e cecchi paone siano i primi a trasmetterli?)

  20. no, lorenzo non è un caso, ormai salta agli occhi a tutti, basta sentir parlare o leggere l’orrido panella (da ferrara) che parla male dell’islam in generale usando sempre termini come fascista e nazista e facendo passare immagini che … basta ascoltare bush.
    Bastava ascoltare (durante la guerra in libano) le cronache da israele del ridicolo giornalista, claudio pagliara, che faceva dei resoconti addirittura saltellando per rendere il tutto più enfatico. Una volta disse: le truppe isreliane si ritireranno solo dopo aver bonificato la zona dagli hezbollah, ora uno può pensare quello che vuole degli hezbollah, ma la parola bonifica se dall’altra parte ci sono degli umani mi sembra molto significativa. Se poi si pensa che le bombe cadevano ovunque sui civili e sulle loro case l’espressione bonificare a una televisione pubblica diventa addirittura mostruosa.
    Ad ogni modo io non penso che gli hezbollah abbiano vinto(le vittorie sono un’altra cosa). Io penso che abbiano perso tutti.
    Speriamo serva per renderli tutti, in quella zona, meno folli.

    Uno dei problemi è che quel tipo di filmati ed espressioni sono, a mio giudizio, controproducenti per tutti perchè danno la stura al razzismo, e una volta scatenato il razzismo (fenomeno avanzato al momento) dopo, come diceva tullia zevi, ci riguarda TUTTI dissidenti politici compresi.
    Ma le gurre si sa che hanno fra conseguenze negative il razzismo e la contrazione dei diritti politici e democratici per tutti.
    geo

  21. Per Andrea: grazie del materiale sul Rwanda e sul film, davvero importante. Di tutto, mi convince meno l’applicazione della categoria Junghiana di Ombra alla banalità del male. Forse Girard qui sarebbe più utile: il capro espiatorio che placa le rivalità mimetiche del collettivo spiega meglio la cronicità della guerra (fenomeno sociale, non psicologico: bisogna essere in tanti a farla). Per quanto riguarda Israele e Shoah, so ben distinguere tra il pianto delle vittime e il vittimismo strumentale, ma il fatto è che stiamo parlando di una celebrazione istituzionalizzata che assume sempre e per definizione, volenti o nolenti, un carattere politico.

  22. “in tivù c’è la corsa a tasmettere sempre più documentari su nazismo fascismo ecc. come mai? sicuri che non c’entra niente con la guerra di civiltà ai nuovi nazisti/fascisti islamici?”. Qui siamo oltre Willis Carto, comincia a intravedersi la matrice del complotto sinarchista: il controllo ebraico sui mezzi di comunicazione. Cecchi Paone nuovo spione neoconservatore? (ma non aveva fatto coming-out?).

    “leggere l’orrido panella (da ferrara) che parla male dell’islam in generale usando sempre termini come fascista e nazista”. Cara Georgia, di grazia, lasciando per un momento da parte Otto e Mezzo, mi diresti a quali pezzi ti riferisci? Se sono quelli sull’iran khomeinista e il baathismo saddamita come derivazione del nazismo ti vorrei consigliare un bell’articolo di un amico. L’amico in questione non sta dalla parte dei Cazzuti o del Trust orientalista, anzi, ha scritto per Limes nel 2001. Be’, l’amico parla anche lui di fascismo islamista (per esempio i rapporti tra estrema destra e Fratelli Musulmani, estrema sinistra italiana e OLP).

    “sarà possibile un senno di poi in cui ci sentiremo collettivamente grati a il hezbollah?”. Diego, hai notato una cosa? Quando sventolano in piazza le bandiere dei Cedri è uno sventolio normale, il classico sventolio da manifestazione (più o meno pacifista). Invece le bandiere di Hezbollah sventolavano in uno strano modo. Tipo lancia in resta, scatto in avanti, infilzare ideale che fa da contrappunto alla ‘propaganda’ di Sua Eminenza Lo Sceicco Nasrallah. (ma dovrei farti vedere il video trasmesso dal tg, per darti un’idea più precisa).

  23. L’impulso distruttivo dell’uomo è parte di ogni singolo individuo, dell’uomo che ubbidisce ciecamente ad ordini ingiusti, che non si sforza, non fatica a pensare con la propria testa per riuscire a valutare ciò che è giusto da ciò che non lo è. E’ vero che la guerra bisogna essere in tanti a farla, è vero che siamo un’unica moltitudine, ma i drammi collettivi sono proprio un insieme di tragedie individuali. Se qualcosa di terribile arriva a sconvolgere le nostre esistenze o le nostre coscienze, dobbiamo trovare il coraggio per lottare e resistere. Nessuno ha l’esclusiva sugli orrori planetari, nemmeno il popolo ebraico. Il giorno della memoria serve da monito a tutti, così come la poesia di Primo Levi “Se questo è un uomo”. C’è sempre qualcuno convinto che gli esseri possano essere stati e tornare un nulla e procedono quindi impunemente ad applicare una qualsiasi delle tante collaudatissime ed efficaci tecniche di annientamento. Oppure se ne inventano una nuova.

  24. beh che ci siano delle persone (o gruppi) fascisti anche fra i musulmani non lo nego, ci sono ovunque :-), persino i sionisti italiani si allearono inizialmente con Mussolini, ma il caro panella non fa mai queste distinzioni.
    Cosa c’entri poi saddam con la religione, qualsiasi religione, me lo devi proprio spiegare, gli scricchiolavano persino le ginocchia se per pubblicità voleva farsi credere credente, e soprattutto cosa c’entrano i fratelli musulmani (legati o meno con l’estrema destra) con saddam che li ha sterminati quasi tutti, credo che gli islamisti siano presenti in maggior numero oggi in iraq, di ieri. Sotto saddam i fratelli musulmani erano sicuramente fuorilegge e ancora lo sono in siria.
    geo

  25. Risulta a qualcuno che sia stata mai fatta una gita scolastica a San Patrignano? Sarebbe un ottima occasione per un contatto con “l’Altro” e con chi si batte per salvare delle identità che altrimenti diverrebbero cenere…

  26. il post ha il taglio giusto, e se dice cose sparpagliate, è perché non vuol giustamente fare alcuna sintesi. il problema dell’Altro è il problema fondamentale – ma in filosofia. nella relatà c’è il problema degli altri, e gli altri sono in primis i prossimi, i vicini. succede all’incirca questo: se gli altri sono lontani, se ne dice un gran bene (come dei morti), ma più si avvicinano, e più i problemi insorgono. ad es. mi è capitato di essere in gruppo a vedere sulla bacheca i risultati delle ammissioni a un asilo nido: c’erano mamme proletarie (sarebbe pleonastico dire così…) che imprecavano contro le extra-comunitarie che avevano “fregato” loro il posto. io invece, che sono un democratico convinto, ho incassato senza problemi… e sulle pagine gialle ho guardato alla voce “asili nido privati”. i miei figli fanno spesso il gioco della targhe, solo applicato alle persone: aspettano che passi il primo italiano: io spiego loro che quando vedono un bianco non è detto che sia italiano, e nemmeno europeo. insomma, nel mio quartiere la maggioranza è di extracomunitari, e il razzismo si dirige soprattutto contro gli arabi (pochi anni fa contro gli albanesi): quotidiano, evidente (gli italiani qui sono in maggioranza leghisti).
    chiudo con 3 semiamnesie:
    1- in Germania c’è stato un gran dibattito quando venne deciso di erigere il monumento alla memoria dell Shoa a Berlino. contrario era uno scrittore assai acuto, che criticava il meccanismo perverso del Dover ricordare ossia celebrare.
    2- al mio paese di origine, mesi fa ho visto un film-documentario bellissimo (veniva dal festival di Alba) su un anziano israelita: si aggirava per il giardino, parlava sottovoce, ogni tanto consultava i testi sacri… e a un certo punto ha detto: “sapevamo che c’era la terra promessa, ma non che fosse abitata” (è un film minimalista su un fatto massimalista: la perdita della speranza).
    3- leggendo un ottimo studio di un’austriaca sulla gioventù di Hitler a Vienna (è riuscita a beccare gli ultimi barboni vivi dell’ospizio che ospitava l’imbianchino…), ho scoperto che il cliché diffuso da Hitler dell’ebreo-topo-riccioluto-puzzolente-infido viene dagli ebrei stessi: quelli ricchi e integrati, che non sopportavano (alla Eduardo) l’arrivo dei parenti poveri dall’est.

  27. @ Roberto

    Sì, il tuo è il destino di tutti i veri studiosi e pensatori, quello di non essere compresi, di non vedere riconosciuto il valore delle loro folgoranti intuizioni. Qui è il caso di ribadirlo una volta per sempre: quando si parla di antisemitismo e di razzismo, l’unica autorità in materia sei tu, gli altri possono al massimo leggerti, e imparare. E infatti, cosa vuole mai il Galbiati, coi suoi dubbi, quando basterebbe rivolgersi a te per avere la risposta a ogni domanda? Vedo poi, con una certa preoccupazione, che il mancato riconoscimento da parte del volgo, nelle persone degli altri commentatori, ti provoca stress e ti fa perdere qualche colpo: stavolta, infatti, non hai ancora tirato fuori, nell’ordine, il patriziato liberal, i santoriani, i girotondini, i nannimoretti, i diliberti, i fausti con l’erre moscia, la sinistra tutta, sempre più invischiata nel suo odio anti israeliano… Ma ti rifarai sicuramente, il post, come suol dirsi, è lungo.

    A proposito, visto che già ci siamo, quand’è che inizi il tuo nuovo lavoro di editorialista? E ti sei deciso, finalmente, tra il foglio e libero? Non vedo l’ora di leggere il tuo primo pezzo.

  28. @ diego

    Le migliaia di militanti hezbollah in divisa militare, con le donne intabarrate e velate e i versetti di un libro che si pretende, come altri, dettato dall’arcangelo per bocca del dio delle guerre, una generazione addietro sarebbero stati ragazzi palestinesi e libanesi in jeans e magliette colorate, col volto scoperto, che disegnavano falci e martelli sulle mura.
    basta questo per non ringraziare hezbollah, mai, qualsiasi cosa abbia fatto
    la logica per cui “il nemico del mio nemico è mio amico” è una logica infame

  29. dimenticavo:
    l’articlo di lorenzo è molto bello, soprattutto perché non ha tratto frettolose conclusioni. la sua perplassità e i suoi dubbi sono anche i miei, indipendentemente dalla più felice contingnza lavorativa e sociale nella quale insegno
    io sono conscio di una cosa (forse solo di quella): non è nel potere della scuola insegnare a non schierarsi, o “educare alla toleranza/convivenza”, o abrogare la logica amico/nemico
    la scuola può solo muoversi contro queste logiche, senza pretendere alcunché, e senza soverchie illusioni: è solo una parte, molto piccola anche se importantissima, di un sistema complesso che funziona se ogni parte coopera – altrimenti il sistema gira a vuoto, o s’incarta. nondimeno, noi che stiamo dentro la scuola non possiamo smettere di fare il pochissimo che è in nostro potere.

  30. L’ottimo metodo didattico di Lorenzo, aggiornato e circoscritto al conflitto arabo-israeliano, sembra ispirarsi a quanto sostenuto da Bertrand Russell nel saggio “Let the people think” (Free thought and official propaganda), in cui si consigliava di insegnare a scuola a leggere i giornali con incredulità e scetticismo, ad esempio facendo studiare agli scolari le ultime sconfitte di Napoleone leggendo contestualmente i bollettini trionfali del giornale francese “Moniteur”.

  31. Ringrazio per gli apprezzamenti Girolamo, Sergio G., Georgia, con la quale pare sia spesso in sintonia, db, Binaghi.

    @db potresti dire chi è lo scrittore di cui accenni al punto 1?

    @Georgia, scrivo dopo aver fatto un po’ di zapping ed essermi imbattuto più volte in immagini di nazisti contemporaneamente su rai 2 e su rete4…
    mai stati così tanti nazisti in giro… e senza contare i nazisti/fascisti arabi odierni che ormai pare dilaghino a vista d’occhio, a ricordarcelo c’è anche un certo Magdi Allam, vicedirettore del Corriere, che subito ha ripreso questa definizione di Bush. E’ un uomo che ama l’Italia, Allam, uno che ha esaltato Quattrocchi: un eroe di cui essere orgogliosi, disse alla sua morte, invitando al pentimento e alla contrizione i sinistrorsi che l’avevano chiamato mercenario e fascista. In effetti, se i fascisti son gli islamici…

    @girolamo
    il potere della scuola è sì limitato ma è determinante nella formazione di un ragazzo. non contano tanto le intenzioni né i contenuti: parlare di tollerenza, perorare apertamente la causa di valori da rispettare, di doveri di ricordare non sortisce grandi effetti, specialemente se si parla di questioni che poco riguardano la vita degli studenti. conta molto di più il metodo con il quale si impostano questi argomenti, e l’esempio personale.

  32. lasciamo perdere magdi allam che da quando viene pagato di pù ha fatto uno scarto di 360°. Forse non tutti sanno che al corriere ce lo ha messo berlusconi e lo hanno fatto fare addirittura vecedirettore ad personam, che è una carica fasulla, nel senso che il vero vicedirettore con responsabilità da vicedirettore sta a milano (mentre allam a roma), la carica ad personam serve solo a percepire uno stipendio da vicedirettore che è sempre un ottimo eccitante per dire e scrivere anche l’indicibile.
    Da allora il pluribugiardo magdi le spara grosse come bombe cretine e assomiglia talmente tanto al betulla-farina da far pensare che abbia la stessa fonte di informazioni ;-).
    Io credo che tutte le persone di buona volontà, o meglio di discreto intelletto, dovrebbero decidere di eliminare tutti i paragoni con nazismo hitler fascisti (a meno che non abbiano documentazioni e prove reali per poterlo fare).
    Basta, da una parte e dall’altra, con questi abusi semantici, il termine nazista ha allargato talmente il suo campo semantico che ormai rischia di ricoprirci e soffocare tutto il nostro linguaggio, e soprattutto cerchiamo anche di non usare il termine antisemitismo a sproposito perchè, usato contro chiunque avanzi dubbi su atteggiamenti e metodi simili a crimini contro l’umanità, si finisce per svuotarlo e svalutare una accusa che è bruciante, ma doverosa, ma solo se è vera, altrimenti è veramente sintomo di faziosità e arroganza usata prepotentemente verso avversari politici e si rischia di depotenziare la parola con tutti i rischi che comporta depotenziare una parola. Le parole sono importanti, molto importanti, farle sbarellare in politica dal loro significato si rischia di far sbarellare anche i comportamenti, i pensieri e i principi etico morali che a fatica abbiamo inserito nelle nostre società sempre meno civili.
    georgia

  33. da oggi negli Usa la tortura è legale.

    beh ho appena detto di non usare la parola nazista quindi … non la uso, ma aiutatemi voi a trovarne un’altra: Controriforma, inquisizione, criminali ….
    geo

  34. Sergio Garufi: “consigliava di insegnare a scuola a leggere i giornali con incredulità e scetticismo” (…). Per questa didattica del giornalismo mi sono conservato apposta il titolo del manifesto, taglio basso della settimana scorsa: “lo ‘sfortunato caso’ di Suor Leonella”.
    Db: “se gli altri sono lontani, se ne dice un gran bene (come dei morti), ma più si avvicinano, e più i problemi insorgono” (…).

    Georgia: “Forse non tutti sanno che al corriere ce lo ha messo berlusconi e lo hanno fatto fare addirittura vecedirettore ad personam, che è una carica fasulla”… Galbiati: “E’ un uomo che ama l’Italia, Allam, uno che ha esaltato Quattrocchi…”. E’ anche uno che gira sotto scorta per colpa di una fatwa. Altro che Paleologo.

    Db: “ho scoperto che il cliché diffuso da Hitler dell’ebreo-topo-riccioluto-puzzolente-infido viene dagli ebrei stessi”. Se può interessare, ne parlava anche il professor Revilo Oliver Pembleton, distinguendo tra razzismo magico e biologico.

    @ugolino conte
    Visto che personalizzi, mi spiace doverti informare che resto a scassare la minchia a sinistra. Ci credi? Io sono di sinistra! Ma com’è? Sei matto? Che dici? Al massimo sei un teodem, ecco cosa sei! Diciamo che godo intimamente a sentirmi dare del “razzista” da un Professore del calibro di Galbiati, ecco tutto. Mi riempie di significato la giornata. Finalmente posso prendere a calci il marocchino che vende cd sotto casa senza farmi troppi scrupoli! Grazie Lorenzo! Per quanto riguarda te, caro Conte, senti a me, facciamoci sotto, che ci divertiamo ad attentare l’Unione delle Felicità. Guardali, quelli là. Ieri sera addirittura Penati se la rideva di Prodi, della Finanziaria e di Anche i ricchi piangano. Eddai Ugolino, divertiamoci pure noi. Poco poco. Saluti.

  35. ROB
    E’ anche uno che gira sotto scorta per colpa di una fatwa. Altro che Paleologo.

    GEO
    ma fammi ridere quella della fatwa a magdi è una solenne buffonata mediatica. Lui dice di averla ricevuta dall’Ucoii la fatwa … come se l’ucoii avesse il potere di fare fatwe … ma non farmi ridere.
    Avrà ricevuto delle minacce (forse) come tanti, ma guarda caso lui ha la scorta e biagi non l’aveva, e l’avevano tolta pure alla boccassini, e molti altri che hanno ricevuto minacce non ce l’hanno, ma sgarbi l’aveva.
    Che mondo strano vero?
    Insomma mica voglio che levino la scorta a magdi allam per carità, il rischio di incontrare qualcuno che gli tiri dietro un treppiedi lo corre sicuramente, quindi si tenga pure la scorta oltre al lauto stipendio di vicedirettore ad personam, che vicedirettore non è, ma non ce la meni tanto per le lunghe che è di una ignoranza abissale;-)

  36. Su Magdi Allam, il “Pinocchio d’Egitto”, Valerio Evangelisti ha condotto un lavoro d’analisi esemplare: non a caso poco dopo il signor Allam scomparve da Repubblica, per ricomparire sul Corriere. Evidentemente al Corriere interessa poco sapere che il libro di Magdi Allam su Saddam non è altro che il plagio di un instant-book francese sconosciuto in Italia (ma che Evangelisti ha comperato, letto e riconosciuto). I link sono qui:

    http://www.carmillaonline.com/archives/2003/04/000155.html#000155

    http://www.carmillaonline.com/archives/2003/04/000162.html#000162

    http://www.carmillaonline.com/archives/2003/04/000175.html#000175

    http://www.carmillaonline.com/archives/2003/04/000194.html#000194

    http://www.carmillaonline.com/archives/2003/05/000225.html#000225

    Poi, sarà anche vero che ha una fatwa e gira con la scorta: ciò non toglie che se dice stronzate chiunque abbia un minimo di spirito critico ha il diritto/dovere di farlo notare. Altrimenti dovremmo autocensurarci sulla famiglia Costanzo e su quello che fa e disfa in televisione, visto che anche Costanzo gira (o girava) sotto scorta e aveva subito un attentato.

  37. @roberto
    “resto a scassare la minchia a sinistra….. Diciamo che godo intimamente a sentirmi dare del “razzista” da un Professore del calibro di Galbiati, ecco tutto. Mi riempie di significato la giornata….Grazie Lorenzo!”

    Caro roberto, secondo me tu non scassi la minchia a sinistra, la scassi e basta, forse solo perché ti piace scassarla. non stupisce quindi che tu goda se trovi uno che contraccambia: in questo modo hai il pretesto per rilanciare all’infinito.
    Ma si dà il caso che io non sia quell’uno, si dà il caso che non me ne freghi nulla di darti del razzista e l’unica cosa che penso quando leggo i tuoi commenti gratuitamente velenosi è che puoi permetterteli perché siamo su internet, e ciò mi fa rabbia, perchè vorrei proprio vedere come ti comporteresti se avessi me e/o altri di fronte.
    Quindi quando ho scritto “ho già constatato in passato la spocchia con la quale mi rispondi, quanto a te interessi poco capire ciò che dico, preferendo piuttosto analizzarlo in modo da fare collegamenti e deduzioni arbitrarie e gratuite per potermi giudicare e classificare in una delle tue CATEGORIE RAZZISTICHE”, non ho inteso dare a te del razzista: forse mi sono espresso male ma – come molti avranno capito, credo – intendevo dire che a te interessa solo trovare il modo per classificare ciò che io scrivo in una CATEGORIA DI RAZZISMO, tipo “razzismo antiisraeliano” o “antisionista” o …
    ah ecco, sostenitore del “complotto sinarchista”: la tua ultima trovata nei miei riguardi…. ti faccio uno scoop: sei sulla buona strada, il mio bisnonno, in Russia, fu il vero autore dei Protocolli di Sion!
    Buona giornata.

  38. “come ti comporteresti se avessi me e/o altri di fronte”.
    Forse una delle Perego Paola è uscita allo scoperto.

  39. più su vi consigliavo un libro, non so quanto ne valga la pena. considerando che sicuramente qualcuno di voi l’avrà già letto.
    penso che sia comunque inutile, ma ripeto: “I cani del Sinai” di Fortini. Un libro del ’69. per i meno (o più… a seconda dei gusti) volenterosi, Straub e Huillet ne trassero un film nel 1976, “Fortini/Cani”, scaricabile integralmente – nonché gratuitamente/illegalmente – da eMule.
    penso che sia inutile, io vedo terra bruciata – ma continuando a fare l’errore di intervenire (perché, ahimé, le budella si torcono tanto – data la giovine età) mi ritrovo chiamato in causa.
    orbene:
    “Quando sventolano in piazza le bandiere dei Cedri è uno sventolio normale, il classico sventolio da manifestazione (più o meno pacifista). Invece le bandiere di Hezbollah sventolavano in uno strano modo. Tipo lancia in resta, scatto in avanti, infilzare ideale che fa da contrappunto alla ‘propaganda’ di Sua Eminenza Lo Sceicco Nasrallah.”
    qui abbiamo a che fare con qualcosa di intoccabile, qualcosa che entra a pieno titolo nella sfera delle “impressioni” (turbamenti?) personali, fenomeno quantomai ingiudicabile. Certo, ne seguono altrettali “impressioni” -personali, ovviamente- sull’autore delle frasi in questione, impressioni che sarebbero comunque fuori luogo in un contesto pubblico del genere. credo.

    @Galbiati
    “Chi è antisemita oggi? Chi razzista?”
    E’ una domanda sbagliata. La domanda è “A chi, e in che modo, fa comodo che esista l’antisemita e il razzista?”. Sono due prodotti che vendono bene e rendono di più. Sono due prodotti che celano comodamente e con l’aurea semplicità delle sintesi dei complessi rapporti di scambio. E, soprattutto, non sono la stessa cosa. Ripeto, questo è importante: antisemitismo e razzismo non sono la stessa cosa. La peculiarità del termine “antisemita”, già a partire dall’errore che contiene (semita non è solo ebreo), è la sua specificità – un dettaglio che lo rende di per se più artefatto dell’aggettivo “razzista”. Quest’ultimo è un semilavorato, “antisemita” invece ha già pronto il packaging e una filiera distributiva dedicata. E’ un prodotto immediatamente pronto per il mercato, destinato ad un target ristretto ma costante nella sua mole di consumo: è un prodotto dall’investimento a basso tasso di rischio. La “Giornata della Memoria” è come Halloween: io non ricordo di aver mai festeggiato halloween (nonostante la giovine età), l’ho sempre visto solo al cinema americano (quando per la prima volta? E.T. mi pare) come una specie di carnevale in salsa dark. Eppure halloween è “sempre” esistito (laddove doveva esistere) così come l’Olocausto è sempre esistito da almeno due generazioni. Nel senso, la memoria storica dei vincitori del ’45 ha da subito, e legittimamente, lasciato che l’Olocausto assumesse la forma di “novità” e “estremo limite” col quale confrontarsi per qualsiasi possibile “ripensamento”. Per quelli giovini come me, l’Olocausto appartiene ad un “sempre presente” della vita. Poi la Giornata della Memoria. A me non piacciono nuove introduzioni nel calendario delle mie ricorrenze, lo ammetto, ma credo che in molti altri abbiano ingenerato il sospetto. Perchè dalla tal data, dal dato momento, un’autorità istituisce (o lascia correre la consuetudine di) ricorrenze? Un Re poteva farlo a suo piacimento, una “democrazia” perchè lo fa?
    @Galbiati
    “perchè non ci dici secondo te come vengono percepiti gli islamici a scuola in italia?”
    Sfortunatamente non sono poi così giovine. Posso dirti due cose.
    La prima sulla scuola italiana e me quando c’ero dentro da discente. Quando uscì il bel lagnolema di Spelberg (ottimo prodotto) lo vidi al cinema con mio padre. Confesso che non ricordo di aver mai seguito coerentemente una trama prima del raggiungimento della maggiore età, quindi non so perchè mi piacque. Il bianco e nero, la violenza cieca, il famoso cappottino rosso, la violenza cieca, il suono dei cognomi tedeschi, la violenza cieca e il dramma degli ebrei: non ricordo di essermi chiesto “perchè”, per me c’era il dato e la storia intorno. I nazisti cattivi, gli ebrei buoni: i nazisti erano automaticamente tedeschi, gli ebrei automaticamente ebrei. Forse non ero un bambino prodigio. (bambino poi, a pensarci bene ero già abbondantemente teenager)
    Pochi giorni dopo tornai a vederlo con la scuola, e fui contento non tanto per la festa in se (l’unico film che ci portarono a vedere al cinema, oltre Schindler’s list, mi pare fosse Balla coi lupi – il che già la dice lunga) ma per la possibilità di rivedere una cosa che m’era piaciuta molto, che m’aveva fatto piangere, che mi faceva canticchiare in testa quel motivetto straziante sempre mentre andavo e tornavo da scuola (da me vissuta come esperienza straziante, in effetti). Il bianco e nero, la violenza cieca, il famoso cappottino rosso, la violenza cieca, il suono dei cognomi tedeschi, la violenza cieca e il dramma degli ebrei: non ricordo di essermi chiesto “perchè”, per me c’era il dato e la storia intorno. I nazisti cattivi, gli ebrei buoni: i nazisti earano automaticamente tedeschi, gli ebrei automaticamente ebrei. E la ragazza di III F, seduta qualche poltroncina più in là, automaticamente ossessione. Il film-monumento, rivisto dopo meno di 60 ore, era diventata un’attesa di tre ore, senza che la mia cognizione in merito fosse cambiata di una virgola. La musichetta in testa restò ogni volta che pensavo alla ragazza di III F. Straziante, ahimè.
    Delirio volle che – adesso non ricordo con quale oscena motivazione – ci riportarono, dopo una settimana, a rivedere “La Lista” con la scuola. L’attesa di tre ore diventò un’atroce sofferenza, i ragazzi (me compreso) ridevano e applaudivano ad ogni “ebreo” morto, ad ogni sparo e sopruso, certamente inferiore a quello “reale” che stavamo subendo noi. Così fino alla fine: una ribellione inconsapevole nei confronti di una situazione paradossale – sei (nove per me) ore e rotte di Schindler’s List in due settimane. Senza aver messo mai piede al cinema (a parte il fatto dei lupi e gli indiani di cui sopra) né prima né dopo, con la scuola.
    Il giorno dopo qualcuno di quelli che fecero casino al cinema fu identificato, e (probabilmente, ma non ricordo benissimo) sospeso. Non ricordo se con l’accusa di razzismo o antisemitismo.
    Era il 1993, sette anni prima della legge 20 luglio 2000 n. 211, istituzione ufficiale della “giornata”.
    Era il 1993, e degli Accordi di Oslo NESSUNO ci diceva niente, o provava a spiegarci qualcosa. Ma forse sono io che ricordo male. Strana, a pensarci, la coincidenza tra il nostro Spielberg e gli accordi “di pace”.
    In quel 1993 per me gli Ebrei erano Ebrei e stavano legittimamente in Israele, in quanto vittima collettiva dei Nazitedeschi (questo nesso causale parte in automatico, se non dovesse succedere basta dire “antisemita!”), e gli arabi boh? Indiani e arabi (e lupi) erano la stessa cosa: sporchi ma simpatici. Uomini, comunque e malgrado tutto. Di certo non nazitedeschi (i cattivi).

    La seconda cosa che ho da dirti. Secondo me come vengono percepiti gli islamici a scuola in italia. Oggi, aggiungerei. Vengono percepiti, questo sì, sono dovunque cinema videogiochi giornali. Hanno una dimensione in più rispetto ai miei primi ’90: la dimensione della cattiveria.
    Anche se, data la mia non poi così giovine età, ho avuto modo di insegnare informatica a ragazzi in età scolare (14-18) ma senza scuola. In gergo li si chiama “drop out”. Com’è sano che sia, se ne fottono degli “islamici”, hanno ben altro per la testa.
    Anche se mi è capitato di essere invitato in un liceo classico per parlare della mia “esperienza” di “peacekeeper” (qualunque cosa possa significare) in Palestina. Mi sono portato le mappe dell’OCHA (niente foto di bambini morti, case crollate e cose così) e ho parlato per qualche ora. Per tutto il tempo non m’è sembrato che l’attenzione calasse (poi di esperienza ne ho poca, quindi chissà): hanno fatto domande. Sembravano interessati, alle mappe soprattutto, alla disposizione delle città. Alle linee di comunicazione, al sistema delle targhe. Cose che non conoscevano, di cui non sapevano nulla. A parte il muro. Posso fare poco di più.

    @Girolamo
    “una generazione addietro sarebbero stati ragazzi palestinesi e libanesi in jeans e magliette colorate, col volto scoperto, che disegnavano falci e martelli sulle mura”
    Vero, mannaggia. Verissimo terribile. Ma i tempi cambiano e sono tempi brutti. Ma proprio brutti, pure per noi. E i disegni non bastano più, le pietre ancor meno. Le parole… ci sono mille modi per deformarle.
    La Resistenza è bella solo nei romanzi. Ma è efficace anche nella realtà.

  40. resistenza degli hezbollah, esperienze di peacekeeper, bel sito o blog che sia, belle foto, frutto di lavori sul campo, passioni che si accendono allo scoppiare di guerre ingiuste, elargizioni di no-comment per interlocutori che la pensano diversamente, parole e parole, ragionamenti snocciolati… però non: ‘olocausto’; ma ‘shoah’. per iniziare. l’abc.

  41. Caro diego, grazie per le risposte.
    Concordo su quasi tutto. Anche quando scrivi:
    “Chi è antisemita oggi? Chi razzista?”
    E’ una domanda sbagliata. La domanda è “A chi, e in che modo, fa comodo che esista l’antisemita e il razzista?”. Sono due prodotti che vendono bene e rendono di più”
    capisco che vuoi dire e forse potresti pensare che visto il contesto in cui ho inserito quelle domande, non mi era aliena l’intenzione di far scaturire anche la tua.
    Interessante la tua reiterata esperienza di Schindlers List… scandalizzerà qualcuno… ma certo non insegnanti come me o come certi miei colleghi stanchi di portare alunni in gita a Monaco + Dachau perché non ne possono più di sentire le irrisioni agli ebrei dopo la visita…
    Non concordo però sul fatto che in Schindlers List ci sia il manicheismo buoni/cattivi in relazione a ebrei/tedeschi, e non solo per Schindler; e cmq visto il tema e lo sviluppo della rappresentazione non mi pare adeguato un giudizio sul film usando quella categoria.
    E poi non giudicare frettolosamente Spielberg: dimentichi che è un “antisemita” (almeno dopo aver girato Munich).

    Gli islamici invece dici che son percepiti come cattivi. Ma non basta, questa è una percezione superficiale. Ci vuole ancora tempo per capire come sedimenterà nelle coscienze occidentali l’archetipo di un islamico. Mi chiedo se il termine antislamico prenderà piede quanto quello di antisemita. Vedremo.

  42. @ diego

    una sola domanda: tu vivresti in un paese governato dagli eredi della resistenza degli hezbollah? cioè, baratteresti i tuoi diritti e le tue libertà ereditate dalla resistenza italiana con le regole e i diktat di un (sedicente) discendente di un profeta, e perciò intoccabile e infallibile? io no: se fossi palestinese tirerei le pietre contro l’esercito israeliano, se fossi libanese avrei marciato contro hezbollah e contro la Siria lo scorso anno. E tirerei le stesse pietre (anzi, forse una in più) che tiravo a Tsal contro hezbollah. ti dirò di più: per quanto infame sia la condizione palestinese nei territori occupati, è comunque migliore di quella che è loro destinata se vince hezbollah. poi, certo, ci sono ragioni da vendere sul perché i rivoluzionari di ieri sono i kamikaze di oggi, e sono ragioni comprensibilissime, che legittimano la presenza di hamas ed hezbollah come rappresentanti dei loro popoli nei loro governi e nei loro parlamenti: ma a me i dittatori fanno schifo tutti, anche quelli legittimati dal popolo.

  43. girolamo, ma dai fare ste domande retoriche è … solo retorica e pure spicciola.
    Che cavolo vuol dire: Tu vivresti, tu baratteresti ecc.
    Non è con questi ragionamenti EGOcentrici che si riesce a capire, IO non sono la pietra di paragone della storia degli altri :-)
    georgia

  44. @georgia

    se vuoi far finta di non capire va bene, vuol dire che non capisci.
    cmq: chi è che fa discorsi egocentrici? ho parlato di valori politici, usando “io” e “tu” perché io rispondevo a una persona altra, ma all’interno di un forum pubblico (o di una discussione pubblica). la domanda è retorica, ma nel senso che non è rivolta al solo diego, ma a chiunque metta a confronto un sistema di idee, costumi e valori col proprio, cioè con quello che condivide assieme ad altri. Se dico che i dittatori mi fanno schifo – che è un’affermazione etica e politica, non un tiramento egocentrico – intendo dire che all’interno del sistema di idee nel quale mi riconosco – e che non nasce con me, ma da una lunga tradizione collettiva: se vuoi banalizzare, dalla resistenza e dall’anarchismo otticentesco – è coerente non solo dal punto di vista logico, ma soprattutto pratico, che non “IO”, ma “TUTTI (quelli che si riconoscano in quei valori)” provino schifo verso i dittatori di ieri, di oggi e di domani. questi ultimi presentano un vantaggio: non sono ancora diventati dittatori, quindi possiamo fare qualcosa per evitare che lo diventino. se poi qualcuno/a è disposto/a ad acettare una dittatura sanguinaria, totalitaria, sessuofobica, intollerante religiosamente e politicamente, solo perché il dittatore in questione tuona contro “gli ebrei” [laddove dovrebbe tuonare semmai contro uno stato e un governo nel quale ci sono molti suoi simili, non contro un popolo o una fede], bene, nel mondo troverà molta compagnia: basta non sottilizzare sull’aspetto, una barba al posto di un paio di baffetti tedeschi o di un cranio pelato romagnolo, o di due baffoni georgiani, vuoi che sia…

  45. Veramente io ti ho capito benissimo.
    Io non ho contestato ne l’uso dell’io/tu retorico (che so bene quanto sia utile, scrivendo, usarli) nè i valori in cui ci riconosciamo ambedue. Ho contestato la tua domanda, secondo me invece di fare l’assurda domanda: Tu vorresti vivere in un libano con gli hezbolla al potere (cosa che tra l’altro non è neppure in discussione)? avresti dovuto domandare:
    Tu come libanese (con tutta la sua storia guerre occupazioni del sud per ben due volte ecc.) cosa faresti? vedresti gli hezbolla, come li vedo io, come dei terroristi?
    Io personalmente ti risponderei di no.
    Non mi piacciono (non amo la religione impastata alla politica), non sarei come loro (vivo in un posto dove posso permettermi senza alcun dubbio di non essere come loro), ma NON li vedo come terroristi, e anche l’Europa si è sempre rifiutata di inserirli nella lista dei terroristi nonostante le insistenze degli americani.
    tra l’altro gli hezbollah come movimento politico nascono durante la prima occupazione del libano, senza quell’occupazione oggi non ci sarebbero, e cosi anche i komeinisti in iran, senza i continui blocchi di ogni forma di democrazia autonoma (ad esempio mossadeq che osò nazionalizzare il petrolio iraniano) in loco, non ci sarebbero mai stati.
    Non è sempre necessario schierarsi in base a schemi così rigidi e virtuali(dove l’unico parametro di paragone sono io) per capire.
    georgia

  46. e se gli hezbollah, così come mohammad sadr e ahmadinejad, fossero degli alleati coperti degli USA?
    E’ un fatto che durante la prima guerra del golfo le armi e i ricambi americani all’iran passavano da israele.
    Secondo me la strategia degli usa prevede l’occupazione militare dell’area per un periodo lunghissimo, almeno quanto può durare il fanatismo dei radicali islamici sunniti. Il libano è la terza mossa dopo afghanistan e irak. Gli hezbollah hanno fornito il pretesto.
    Scommettiamo che il prossimo numero sarà la pace fra israele e siria con il ritorno del golan?! E si dirà che è stato merito degli hezbollah

  47. ma s’è mai dato che una parte in guerra sbraiti che ha vinto? non parla l’evidenza?
    e non vi sembra strano che il parlamento israeliano si affretti a contestare la condotta dei suoi generali se non fosse per dare credito alla tesi della vittoria di hezbollah?

  48. @ Diego
    a me invece viene in mente la coincidenza tra la “guerra preventiva” e l’uscita nelle sale di Minority Report !

  49. Per sdrammatizzare vi riporto la nota disciplinare (vera!) di una insegnante:

    L’alunno XX incita la classe a una crociata contro gli “infedeli”, da lui denominati, della classe accanto. Inoltre si offre volontario di fare come ariete e sfondare la porta. Alle mie richieste di smetterla, mi risponde “Dio lo Vuole”

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