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Metabolismi e sostenibilità – 1

di Maria Luisa Venuta

Oggi, 30 Ottobre 2006, si conclude a Torino l’incontro mondiale delle comunità del cibo Terra madre, la manifestazione biennale collaterale  a Slow Food. E’ la seconda edizione che porta in Italia la discussione in corso da anni sui temi della sostenibilità, della biodiversità e della capacità del sistema Terra a sostenere i consumi e gli utilizzi delle risorse naturali da parte della popolazione umana.
In questi giorni, inoltre, a fronte dell’avvicinarsi dell’inverno si ripresentano all’opinione pubblica i temi dell’emergenza degli inquinamenti atmosferici nelle città, dati da sovrapposizione delle emissioni da traffico veicolare, da combustione degli impianti di riscaldamento privati e dai processi di produzione dei sistemi industriali.
Polveri fini, riscaldamento globale, scarsità delle risorse a disposizione e perdita progressiva delle capacità di assorbimento delle emissioni e dei rifiuti stanno diventando ormai argomenti “notiziabili”, con il rischio di appiattire notizie e percezioni su un livello di allarmismo senza possibilità di innescare meccanismi di riflessione e di azione positiva.

Prendiamo spunto da questi eventi e dal richiamo “stagionale” ai temi ambientali, per riprendere la riflessione sulle politiche riguardanti lo sviluppo sostenibile locale e globale, che dagli anni Settanta si stanno strutturando come modalità sistemica di risposta e di indirizzo agli impatti del mondo antropico sul sistema naturale.
 

Il concetto di sostenibilità in evoluzione
 
La consapevolezza e la diffusione di conoscenza sul tema dello sviluppo sostenibile sono in una situazione dinamica, che inizia con studi ed analisi condotte all’inizio degli anni Settanta. Ogni decade successiva coincide con l’acquisizione di una nuova consapevolezza, con cambiamenti nel rapporto con l’ambiente e con l’utilizzo delle risorse (oggi utilizziamo materiali molto diversi da quelli in uso nel passato anche recente).

Schematizzando, possiamo utilizzare la scansione degli studi commissionati dal Club di Roma, composto da scienziati e decision makers, per proporre una lettura del grado di conoscenza e di intervento sul tema della sostenibilità dello sviluppo dagli anni Settanta ad oggi.
 
Nel 1972 il Club di Roma commissiona al MIT uno studio sul futuro della Terra. Viene pubblicato Limits to Growth (tradotto erroneamente nella versione italiana come “Limiti allo sviluppo”, con una stortura del concetto di base, limitare la crescita economica). Viene messo in evidenza come i combustibili fossili, motore dell’economia mondiale, sono esauribili. L’ambiente viene considerato per la prima volta un fattore da considerare come vincolo all’espansione economica annunciata negli anni del boom economico. Il testo è centrato su un modello economico con algoritmi matematici che dimostrano che la fonte primaria delle nostre economie, il petrolio, si esaurirà nell’arco di venti, trent’anni al massimo. Previsione catastrofica rivelatasi, per nostra fortuna, parzialmente errata. Ma questo è il limite dell’approccio scientifico al problema della misurazione dell’impatto dell’uomo sulla natura: si basa su considerazioni reali ma parziali, e le ipotesi sono spesso legate alla veridicità dei dati disponibili (in quel caso il potenziale dei pozzi petroliferi fornito dalle società di produzione) e dalla disponibilità di strumenti di misura e di calcolo.
 
Nel 1987 viene pubblicato il rapporto Our Common Future da parte della Commissione Indipendente per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite. Viene introdotta la definizione della sostenibilità che mette in relazione il benessere economico sociale e ambientale con la salvaguardia delle risorse naturali in modo che il livello raggiunto sia equamente distribuito nelle popolazioni attuali e preservato per le generazioni future. Si introduce così il concetto di responsabilità intra- e intergenerazionale. Il 1992 è l’anno della conferenza delle Nazioni Unite di Rio di Janeiro. La responsabilità locale verso l’ambiente viene messa in connessione con gli effetti sulla qualità dell’ambiente a livello globale.
Negli ultimi dieci anni si diffondono protocolli ed accordi internazionali per definire obiettivi e modalità di riduzione dell’impatto delle attività umane sull’ambiente. Si parla di ecoefficienza, della necessità di ridurre di un Fattore 4 l’utilizzo delle risorse naturali. In altre parole l’obiettivo è duplicare l’efficienza di produzione e ridurre della metà l’uso delle risorse (il capofila degli studi sul concetto di Fattore 4 è un centro di ricerche e di eccellenza territoriale tedesco, il Wuppertal Institut, con studiosi di riferimento come Friederick Schmidt-Bleek e Stefan Bringezu).
 
Su questi temi il Club di Roma finanzia nel 1995 il rapporto “Tacking Nature into Account”, nel quale si definisce la necessità di inserire la contabilità ecologica a fianco della contabilità tradizionale nei sistemi statistici nazionali e locali, come nelle aziende produttive.
A distanza di tre anni, nel 1998, il Club di Roma pubblica il rapporto “Ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza della produzione”, introducendo i temi dell’eco-efficienza nel mondo industriale.
L’eco-efficienza unisce gli obiettivi di eccellenza economica d’impresa con quelli di eccellenza ambientale, permettendo all’azione della direzione aziendale di contribuire al raggiungimento dello sviluppo sostenibile (Giorgio Nebbia, Le Merci e I Valori Per una Critica Ecologica al Capitalismo, Jaca Book 2002): usare minori quantità di risorse e produrre meno rifiuti significa risparmiare denaro e generare profitti (efficienza economica), mentre produrre minori quantità di rifiuti e usare minori materie prime significa proteggere l’ambiente, conservando le risorse naturali e riducendo l’inquinamento (efficienza ambientale).
Per quanto riguarda la nostra realtà locale, i termini descritti rientrano pienamente nelle politiche ambientali ed economiche dell’Unione Europea, nei sistemi statistici europei (Eurostat) e in quelli nazionali (nel caso dell’Italia di ISTAT) già dal 1997 e attualmente, nelle legislazioni nazionali che recepiscono le direttive europee, sono parte integrante di qualsiasi piano o programma che abbiano un impatto rilevante sull’ambiente.
 

I concetti scientifici di riferimento
Lasciando ad ulteriori interventi la possibilità di approfondire parti delle questioni ecologiche sollevate (biodiversità, dematerializzazione dell’economia, energie rinnovabili, partecipazione o modifiche dei comportamenti individuali e collettivi, attribuzione di valore dei beni comuni), vorrei in questa sede introdurre due concetti base inseriti nei documenti e nelle politiche a cui ho accennato: capacità portante e metabolismo industriale. 
Nel momento in cui si valuta quanto e come la Terra sarà in grado di sopportare il carico dei consumi ambientali dell’economia, o in altre parole il carico antropico, si fa riferimento al concetto di carrying capacity, capacità portante di un ecosistema.

E’ il concetto cardine intorno al quale si muove l’ecologia degli ultimi decenni. La capacità portante di un ecosistema esprime le possibilità  del sistema di fornire risorse per alimentare la popolazione, intesa come insieme di qualsiasi organismo vivente, che la abita e mantenere preservata la sua capacità riproduttiva. Nel calcolo della capacità portante di un ecosistema si considera sia il potenziale delle risorse a disposizione, sia la capacità e la velocità con le quali il sistema riceve e metabolizza i rifiuti, le emissioni. La grandezza del sistema considerato è direttamente proporzionale alla difficoltà di misurare la sua reale capacità portante (è facile definire l’evoluzione di uno stagno rispetto a quello di un territorio nazionale o dell’ecosistema Terra). Inoltre le ipotesi del grado di evoluzione e di esaurimento dell’ecosistema si basano su algoritmi che prevedono, a fronte di osservazioni reali e di ipotesi sulle condizioni future, l’andamento del sistema. I criteri di calcolo della capacità portante risultano relative all’arco di tempo considerato e alla determinazione dei confini fissati del sistema da analizzare.
In questo senso il calcolo dell’evoluzione della Terra e della vita restante del pianeta è sicuramente relativo e si scontra anche con la difficoltà di scindere il peso del carico antropico da quello dell’evoluzione del pianeta in assenza della popolazione umana. Ogni valutazione teorica è quindi parziale e da ricondurre ai parametri e agli algoritmi definiti per studiare il processo evolutivo terrestre.
Ad oggi, sappiamo che il carico della popolazione umana sull’ecosistema terrestre è, per dimensioni e per velocità, più elevato della capacità portante del sistema, ma non siamo in grado di definire modalità e tempi degli impatti e delle evoluzioni future se non con un grado di incertezza elevato. In queste condizioni le decisioni circa l’indirizzo da dare allo sviluppo economico rispondono unicamente a criteri precauzionali, malgrado molteplici studi sui possibili tempi di esaurimento del pianeta.
Di fronte a questa consapevolezza e alla necessità di dotarsi di strumenti che possano invertire velocemente l’andamento di crescita degli impatti dell’uomo sull’ambiente, l’approccio di monitoraggio e di riduzione degli output del sistema (emissioni, rifiuti) si è rivelato poco efficace e molto costoso. Inoltre riguarda solo la fase di assorbimento degli effetti del carico antropico, ignorando la necessità di ridurre il prelievo delle risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili.
Per fornire un approccio di sistema che ponesse in relazione gli output agli input, si sono sviluppati studi, analisi e definizioni di strumenti intorno al concetto di metabolismo industriale.
Ogni processo di produzione e di consumo, che avviene nella tecnosfera, si può considerare come un processo di un essere vivente.  Un sistema economico consuma materiale ed energia in entrata, li trasforma in forme utilizzabili e li espelle sotto forma di rifiuti dal processo. Questo può essere definito come metabolismo industriale. Il concetto di metabolismo nel contesto biologico riguarda i processi interni di un organismo vivente. L’organismo necessita materiali ricchi di energia e con un basso carico di entropia, per provvedere al proprio mantenimento e alle proprie funzioni, nonché per permettere la crescita e la riproduzione (Georgescu Roegen N., The Entropy Law and the Economic Process, MA Harvard University Press, 1971; Daly H, Beyond Growth. The Economics of Sustainable Development, Beacon Press 1996).
L’organismo infine espelle materiale con un elevato carico di entropia. In modo analogo al metabolismo biologico, consideriamo il metabolismo delle attività industriali come il totale dei processi fisici necessari per convertire materia grezza e energia in prodotti finiti e rifiuti (F.Hinterberger, F.Luks, M.Stewen, Economia, ecologia, politica, Rendere sostenibile il mercato attraverso la diminuizione delle materie, Edizioni Ambiente 1999).
Il metabolismo industriale è applicato all’analisi dello sviluppo sostenibile su differenti livelli di scala: globale, nazionale, regionale, di settore, a livello aziendale, per sito produttivo e per singola unità abitativa.
(1. continua)

 

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7 Commenti

  1. Grazie Georgia. Sistemato il pasticcio tecnico. Prova ora… Comunque il link che dai è interessante, almeno per i riferimenti enologici. :-)

  2. Già, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Peccato che il ragionamento abbia un ‘piccolo’ baco: Cina, India e Russia (per non parlare dell’Africa e del Brasile) se ne battono i maroni dello sviluppo sostenibile: hanno qualche miliardo di persone da sfamare e sono stufi di rimanere alla porta a guardare noi che ci divertiamo.

    Buona giornata. Trespolo.

  3. Grazie Maria Luisa. Mi sembra che è di questo tipo di informazioni di cui è necessario disporre, per cominciare a riflettere sia sulle opzioni istituzionali sia su quelle più radicali e non ufficiali.

  4. finalmente qualcuno che parla con cognizione di causa, grazie maria luisa. questa analisi precisa, chiara e competente denuncia una situazione gravissima e al contempo testimonia una consapevolezza e un impegno che fanno ben sperare. sabato leggevo su “lo specchio”, l’inserto de “la stampa”, che il buco dell’ozono sopra l’antartide si sta riducendo progressivamente, e questo grazie alla messa al bando dei cfc in seguito al protocollo di kyoto. è la prova che esiste una “responsabilità intergenerazionale” e che non tutto è perduto. se il metabolismo terrestre – per usare la bella immagine di maria luisa – è incontestabilmente alterato, e se è vero – come sostiene vandana shiva – che il nostro processo evolutivo assomiglia a quello di una cellula tumorale, che si moltiplica distruggendo tutto ciò che la circonda, è altrettanto vero che mai prima d’ora ci si era interrogati così a fondo sull’impatto che la nostra presenza e i nostri stili di vita hanno sull’ambiente (il c.d. “carico antropico”). non so quanto un comportamento individuale maggiormente consapevole, in assenza di una legislazione coercitiva erga omnes, possa influire sull’inversione di questa tendenza negativa. probabilmente poco o nulla. però sono convinto che attendere che ci venga imposto un comportamento virtuoso sia profondamente ingiusto. e questo a tutti i livelli, cioè sia politico che economico che ambientale. dichiararsi pacifisti e ostentare un alto tenore di vita a me sembra intollerabilmente contraddittorio e ipocrita. come dice ralf dahrendorf: “fino a quando alcuni paesi sono poveri e, ciò che è peggio, condannati a restare tali perché esclusi dal mercato mondiale, la prosperità resta un vantaggio ingiusto. fino quando ci saranno individui che non hanno diritti di partecipazione politica e sociale, i diritti dei pochi che ne fruiscono non possono considerarsi legittimi”. un bel segnale in questa direzione poteva essere, per esempio, assegnare il premio nobel per l’economia – e non quello esornativo e paternalistico per la pace – a muhammad yunus.

  5. cara maria luisa
    oggi ho concluso un lavoro molto interessante
    indovina dove?
    terra madre (per gli allestimenti)
    se serve posso mettere su materiali sull’evento
    effeffe

  6. “Chi va matto per la braciola di cavallo alla barese è un paria gastronomico, indegno di sedersi a El Bulli di Rosas così come al Joya di Milano, ristorante sconsigliato alle donne con bambini, a meno che non vogliano imitare quella madre vegana di Altamura il cui latte povero di sostanza ha fatto morire di fame la figlia”.

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Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta Sono dottore di ricerca in Politica Economica (cosiddetto SECS-P02) Dal 1997 svolgo in modo continuativo e sistematico attività di ricerca applicata, formazione e consulenza per enti pubblici e privati sui temi della sostenibilità sociale, ambientale e economica e come coordinatrice di progetti culturali. Collaboro con Fondazione Museo dell'Industria e del Lavoro di Brescia e Fondazione Archivio Luigi Micheletti. Sono autrice di paper, articoli e pubblicazioni sui temi della sostenibilità integrata in lingua italiana e inglese.
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