25 Novembre – Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

In base ad un agghiacciante calcolo statistico diffuso anni fa da Amnesty International, ogni minuto e mezzo un essere umano appartenente al genere femminile viene sottoposto a violenza. Bambine, adolescenti, ragazze e anziane. Generazioni di donne accomunate dall’essere possibili oggetto di soprusi da parte dei compagni di vita, amici, colleghi e in parte minore da sconosciuti. Le statistiche annuali con i dati delle violenze sulle donne non cambiano molto. Anzi, la sensazione che molto sia ancora sottoposto a silenzi omertosi o dettati da pudori sociali è forte e  presente. Una volta all’anno, il 25 novembre, si esce dal silenzio per ricordare come esista ancora l’idea di una presunta colpa da scontare, come l’autodeterminazione di corpi, esistenze e decisioni vitali siano ancora definite oggetto di aggressioni maschili, di pressioni sociali, di anatemi religiosi. (MLV)

Vi propongo, come spunto di riflessione per la “Giornata contro la violenza sulle donne”, un testo di Luisa Muraro, docente di filosofia ed elemento fondamentale della “Libreria delle donne” di Milano e dell’Associazione “Diotima” di Verona. Il testo risale a circa dieci anni fa, ma è ancora attuale nel riconoscere la forza propulsiva dei desideri e della libertà femminile nella ridefinizione delle relazioni uomo e donna negli ambiti privati come in quelli pubblici.

Salti di Gioia di Luisa Muraro

Se qualcuno o qualcuna vi dice che questi sono tempi brutti, chiedetevi di chi è questo pensiero. Potrebbe essere di vostra suocera dopo tre ore di coda alla USL, di un intellettuale che ha perso la strada e non sa più dove si trova, dell’amica che presta la sua opera in un campo profughi, di un adolescente in difficoltà con la scuola e la vita… E poi lasciatelo entrare, questo pensiero, e prestategli l’attenzione che vi pare giusta, ma non fategli prendere il posto che è e deve restare di un altro pensiero: questi sono i tempi della fine del patriarcato, dopo quattromila anni di storia e chissà quanti di preistoria. È finita! È finita! È finita! Può darsi che questa non sia la forma precisa del vostro pensiero e può darsi pure che questa non sia il vostro pensiero, ma, se gli farete un posto, oltre a trovarvi con un timpano in più per i mille discorsi intorno ai nostri tempi, avrete dato un riparo simbolico al corpo femminile, senza il quale io temo che non ci sia un limite alla prevaricazione.

L’essenziale non è discutere o dimostrare la fine del patriarcato ma, semplicemente, fare un posto a questo pensiero. La realtà che cambia, senza che abbiamo registrato il cambiamento, rischia di fare solo confusione nelle teste. Ci sono femministe, persone bravissime, che bruciano di desiderio del cambiamento e non si accorgono che il cambiamento è in corso. Come mai? Forse le cose sono andate troppo in fretta, è una risposta, ma non va, perché il patriarcato ha cominciato a finire almeno duecento anni fa (Jane Austen, Leopardi) o settecento (Guglielma Boema). O forse le cose non sono veramente cambiate, è un’altra risposta, seguita solitamente da un elenco, purtroppo lungo e vero, di sventure e ingiustizie che si abbattono sulle donne in ogni parte del mondo. Risposta insidiosa, che mette avanti solo la sofferenza, con il risultato di privarci dell’intelligenza della realtà che cambiando favorevolmente al sesso femminile. O forse, altra  risposta, le cose desiderate non arrivano come le abbiamo aspettate e capita così che non vengano riconosciute proprio da che le aveva aspettate e anticipate. Ma non sarebbero arrivate se non fossero state desiderate e anticipate, questo va detto. Se qualcuno vi dice che tutto dipende dalle profonde trasformazioni del sistema produttivo, sappiate che non è vero, perché non è mai successo che il sistema produttivo abbia cambiato se stesso e nostri modi di vivere senza l’azione di desideri messi in pratica e in parole. La fine del patriarcato dipende, certo, da fatti materiali esterni (anticoncezionali, mercato del lavoro…) ma insieme a fatti materiali interni (pratica di rapporti fra donne, amore femminile della libertà…) e fatti morali, come il coraggio e la creatività di quelle che ci hanno aperto la strada. Da anni, anzi da secoli e forse da millenni, vi sono state donne che hanno desiderato la fine del controllo maschile sul corpo femminile fecondo. E che hanno agito e parlato di conseguenza, pronte a cogliere o inventare ogni occasione per avanzare in questo senso, dal fidanzamento con Gesù alla psicoanalisi, dai pellegrinaggi all’UDI, dal lavoro di fabbrica allo studio indefesso, dalla pillola al gruppo femminista.

Come mutazione sociologica, la fine del patriarcato ha chiesto e chiederà ancora tempo e forze. Ma il fatto simbolico di un corpo femminile non più destinato all’uso privato familiare o sociale deciso da uomini è qui davanti a voi, nella verità indistruttibile di queste parole. La cosa è fatta. È finita. Non è una crisi, è una fine. In questo mondo unificato, un evento simile non è che qui accade e là non può accadere. La Conferenza del Cairo 1994 e quella di Pechino 1995 lo hanno dimostrato.

Ma se a voi pare che non sia accaduto tutto né molto di ciò che avete desiderato per voi stesse, le vostre figlie, le vostre simili che vivono vite più difficili, se pensate che restino aperti problemi e drammi troppo grandi per autorizzare salti di gioia, non oso contraddirvi. Vi suggerisco però di prestare attenzione alle sofferenze risparmiate. Fino a pochi decenni fa, nel mondo intero, la donna che restava incinta senza essere sposata era esposta, poco o tanto, alla vergogna sociale. Oggi non succede, e, dove succede ancora, è diventato possibile a una maestra di scuola, a una suora, a un’assistente sociale, a una sorella maggiore… impedire il ripetersi di una simile barbarie che, nella mia giovinezza, mi riempiva di orrore.

Perciò oggi mi sento di fare salti di gioia. E se qualcuno, dall’alto di una cattedra o dallo schermo della televisione piange o predica sulla bruttura dei nostri tempi imputandola alla crisi dei (suoi) valori, vi suggerisco di scusarlo, pensando all’angoscia della maschilità nella sua difficile transizione dal privilegio sessista a un dove ancora tutto o quasi da disegnare. Ma, certo, dovevano essere “valori” strani e ambigui se la mia, tua, femminile libertà li ha messi in tanta crisi.

(Il testo è apparso sulla rivista Via Dogana n.23 (settembre-ottobre 1995) e nella raccolta  “Femminismo” a cura di Adriana Moltedo – Millelire Stampa Alternativa 1996)

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16 Commenti

  1. A quando una “giornata mondiale contro tutte le inutili e dannose giornate mondiali contro qualcosa ” ?

  2. La deriva di questi dati e di questi tempi, racconta di una “tarma bulimica”, raffigurata da questa dilagante violenza che pare non avere mai fine, in un orrendo scenario che sembra avere spaccati un po’ ovunque e che raggiunge l’interesse solo di chi ne è parte in causa. La violenza la si percepisce su scenari globali, non solo nel suo lato fisico e comportamentale, gli sguardi, le parole, gli atteggiamenti circoscrivono una violenza latente ma per nulla indolore. La violenza è negli indirizzi del quotidiano proprio perché è quotidiana, è così radicata che passa quasi inosservata laddove non è rappresentata nelle sue forme più acute, che purtroppo vedono spesso protagoniste loro malgrado le donne. Spero serva a qualcosa fissare una data sul calendario, ma non è solo con iniziative simili che si possono ottenere risultati, la società è aggrovigliata su se stessa, gli elementi istintuali hanno preso il sopravvento, l’ironia, lo sberleffo dei decenni passati si sono dissolti creando cumuli di profittevole seriosità. Sempre più difficile scambiarsi un sorriso, una società che non sorride più è violenta a prescindere!

  3. Che commento è il tuo, Bruno? Parlare della violenza contro le donne – è la prima causa di mortalità per gli individui di sesso femminile – ti pare accessorio e inutile, anzi, peggio, dannoso?

  4. Cristina,
    Bruno, in fondo, è un ammiratore dell’autore di “donne con le gonne” e “il tuo culo e il tuo cuore”. Direi che tutto si spiega… ;-)

  5. Suggerisco l’ultimo dossier pubblicato sul tema dalla rivista che curo (www.cafebabel.com). Nel quale emerge che il fenomeno è trasversale a tutti i paesi europei – sopresa: i paesi nordici non sono da meno – e persino ai sessi. Da alcune ricerca canadesi emerge che i casi di violenza coniugale contro uomini, per quanto strano possa sembrare, è in grande aumento. Complimenti tra l’altro agli autori di questo blog.

  6. @ Adriano
    Grazie dell’indicazione. Io segnalo anche Diario del mese sul tema stupro. E’ proprio un gran numero, più che segnalarlo lo consiglio
    @ Gianni
    …cadono lo stesso le braccia…

  7. Si dovrebbe dire “nessuna violenza” e punto. Non esiste un privilegio femminile per cui le donne non dovrebbero essere oggetto di violenza. Esiste un interesse comune per cui la violenza può essere esercitata solo dai soggetti ad essa deputati e solo nelle forme convenute. e punto.
    In tempi oramai remoti io ho picchiato una donna (l’amore è o no una strana cosa?) e non me ne sono mai pentito: ci si amava al parossismo e non era una storia facile. Poi certo vi sono molte altre cose, ed ho fatto intera la mia parte affinché il mondo fosse meno invivibile (con scarso successo…) ma quella modestissima violenza non riesco ad associarla all’ignobiltà: ci sono “forme” e “respiri” diversi per lo stesso atto, e chiamare il giudice non è sempre la scelta più “umana”.

    Sperando di non essere frainteso…

  8. Treno a Vapore, in generale hai ragione.
    Ovvio che bisogna esser contro Tutte le Violenze.

    Ma tu stesso cominci a fare dei distinguo, rammentando una violenza da te esercitata in passato su una donna. Che qui non voglio né posso giudicare (e neanche mi interessa approfondire). Discuto di metodo, che tu depenni e poi recuperi a tua discolpa, specificando persino il tipo di amore che ti aveva colpito.

    La violenza sulle donne è altra cosa dalla violenza in senso generale. Altrimenti non avremmo neanche la consapevolezza che la violenza sugli ebrei sia diversa da quella contro chi ti soffia un parcheggio e lo ammazzi con un pugno. Quella contro gli ebrei era un programma politico, quella del parcheggio la furia di un pazzo solitario.

    Sulla violenza contro le donne incidono tradizioni millenarie religiose e multireligiose. Gli stessi Greci pensavano che noi godessimo più degli uomini (e avevano ragione) e che il nostro odore fosse troppo forte e insopportabile(sicché andavano a banchetto tra loro). E prima ancora Eva se la faceva col diavolo. E poi però queste streghe sono anche le vostre mamme e alla fine abbiamo quella cosa lì che governa il mondo.
    Troppe mitologie di difesa maschile hanno infierito sulla figura della donna.
    Io credo che nella liberazione e rispetto della donna ci sia anche il recupero per una migliore e svelata identità dell’uomo, finora schiavo esso stesso di quello che si è inventato.

  9. Treno a vapore,
    cosa significa il fatto che tu una volta abbia picchiato il tuo amore per troppo coinvolgimento? Nulla, assolutamente nulla, se non per la donna in questione. La giornata di ieri non è un privilegio ma semplicemente una segnalazione che in tutto il mondo, tutto, senza distinzione alcuna, le donne subiscono quotidianamente violenze , e molto spesso ,tutt’altro che modeste.
    Cerchiamo di non confonderci.
    maria

  10. Cribbio stavolta non posso tacere.

    @Bruno e @Treno a Vapore
    Ma è proprio necessaria la posa intellettuale, la battuta sarcastica, la riflessione labirintica, in una parola il distacco anche quando si parla di violenza, di questa violenza, con dati, numeri e parole misurate? …quelle delle autrici, s’intende, mica le mie.

    In ogni caso, appunto, grazie a Maria Luisa.

    Francesca

  11. Io non ci credo alle giornate mondiali contro quello e pro questo. Sono insensibile ? Non credo. Mi sembrano qualcosa fatta per tacitare le coscienze delle persone, per incassare la solidarietà e la comprensione di un giorno. I giorni del’anno sono 365, possiamo pure dedicare un giorno a ciascun orrore del mondo e non risolvere nulla. Qual è l’alternativo, quale sarebbe il modo più giusto per lottare ? Non lo so. Però questo delle giornate “contro” non impedisce che la fame nel mondo dilaghi, che l’infanzia continui a essere sfruttata e offesa, che le donne siano sempre più vittime di violenze e emarginazione. Semmai il contrario : dedicare una giorno inutile a questo argomento, che ha pari valore degli altri, mi sembra riduttivo, pretestuoso, inefficace.

  12. @ francesca

    Hai ragione Francesca, e mi scuso. Ci so fare poco con le parole e non volevo segnare nessun distacco da quella che davvero è una tragedia. Ho testimoniato per la mia lunga vita e come ho potuto le stesse idee che leggo dietro le tue parole. Ho fatto uno scivolone personale probabilmente fuori luogo. Mi dispiace.

  13. Grazie per questo pezzo. Ci sono molte ragazze che non possono difendersi. Una giornata non è sufficiente ma permette una riflessione e rompe il silenzio.

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Maria Luisa Venuta
Maria Luisa Venuta Sono dottore di ricerca in Politica Economica (cosiddetto SECS-P02) Dal 1997 svolgo in modo continuativo e sistematico attività di ricerca applicata, formazione e consulenza per enti pubblici e privati sui temi della sostenibilità sociale, ambientale e economica e come coordinatrice di progetti culturali. Collaboro con Fondazione Museo dell'Industria e del Lavoro di Brescia e Fondazione Archivio Luigi Micheletti. Sono autrice di paper, articoli e pubblicazioni sui temi della sostenibilità integrata in lingua italiana e inglese.
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