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Antropodicea

di Christian Raimo

Com’è fatto l’inverno? In che modo le foglie alla fine cadono?
Da che parte scorre il sangue? Quand’è che hai sbagliato a cadere?
Dovevi dormire a lungo e non l’hai fatto?
Hai mangiato i cibi proibiti, senza lavarti le mani fino agli avambracci?
Hai ucciso la donna che amavi con un piccolo coltellino da caccia,
sorprendendola di notte mentre era avvinghiata al tuo corpo
e rideva nel sonno? Hai sorriso fuori luogo?
Non hai letto la notizia sul giornale della domenica
che parlava delle madri argentine in lutto per i figli
bruciati in piccole pire domestiche?
Hai stonato apposta il coro in onore dei soldati
in missione per conto del popolo unito?
Sei uscito per strada durante il fallout –
era maggio e scambiavi comunque i campi arati
per paradisi di zolle di formaggio?
Hai rovesciato una vela in mare aperto? Ti sei distratto?
Hai lasciato che le ferite di poco conto s’infettassero?
Non hai chiesto scusa alla vecchia maestra?
E il gloria? Hai già dimenticato le parole?
Non hai estirpato i tumori a morsi
quand’era chiaro a tutti che ne eri capace?
Ti sei ribellato al padre? Hai bevuto sabbia?
Hai lasciato che i tuoi figli girassero nudi
anche senza scarpe né un indirizzo dove cercarti?
Hai obbligato tua moglie a piangere di fronte a te?
Quanti animali hai visto crepare
senza muovere un dito?
C’è un tempo per il rancore e un tempo per l’attesa,
uno per incamerare aria e uno per espirare,
sul serio: l’hai tenuto presente? O ti sei tuffato nell’acqua gelata
a bocca aperta, senza cospargerti d’olio?
Ti sei mai offerto di accompagnare il tuo angelo custode
in un’altra famiglia, più sconosciuta di te?
Ti sei fidato di tuo fratello, quello ricco che lavora in tv?
Quanti alberi hai piantato nei giorni di festa?
Hai spento tutte le luci prima di stenderti supino
sul letto della tua stanza gigante e piena di musiche vuote,
pacchetti da appendere all’albero per ornamento?
E la tua guancia gonfia di cortisone e lividi
l’hai offerta in pasto ai parenti affamati di consolazione?
Hai ingerito abbastanza liquidi? La memoria,
hai tutelato quei ricordi che a parte te nessuno conosce?
E quelle bruciature sui polsi, è colpa tua?
Tutti quei discorsi sulla primogenitura
ti sono passati addosso come acqua fresca?
Quanti soldi hai messo da parte fingendo
di occuparti degli altri? Hai mai visto un ladro,
un ladro in faccia, l’hai mai visto?
Sei stato in grado di percepire la fragilità delle vene?
Che idea ti sei fatto di quest’inverno che stenta a venire?
Le foglie, accetti di buon grado il fatto che si accumulino in terra?
Che cosa porti nel sangue? E oggi, sei già caduto oggi?

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14 Commenti

  1. Io oggi ho raccolto tre foglie da terra,
    mezze -gialle- mezze- marron rinsecchite.
    Le ho posate su cartoncino bianco-una ad una, ho colorato un poco di nero e giallo la carta-poi sopra lo scotch e via. Quadretto.

    e l’autunno mi pare non cade più dai rami.

  2. Mi piace, Raimo, molto bella, piena di sfumature pure nell’apparente monotonia interrogativa, dal premuroso al canzonatorio dal severo al rassegnato con gli echi di una teodicea da Qohelet, ma molto umana, sembra il frutto di certe tue ultime riflessioni sul male, quando parlasti di Babel, dicesti che secondo te la soluzione era quella di non lasciare i bambini da soli, io non ero d’accordo, e mi pare adesso neanche tu: l’inverno, la notte, la fragilità delle vene sono da sempre, e non solo arte del contrappunto, come puoi dire luce senza che faccia buio?
    Fin qui tutto bene.
    Ma poi ci sono cose come quei “beati” o queste madri argentine…e il tempo s’è fermato.

  3. Belle domande e poste con bello stile.
    Si fa di tutto, io ho fatto di tutto. L’etica è una cosa complessa, in genere ci si arrangia con i rimorsi, pensarci prima mi pare sia cosa da pochi.
    Le foglie d’autunno sono un bel classico. Ma non c’è nulla di bello/poetico nell’autunno. La fine è solo la fine.

  4. non ho capito niente, ma è arrivato tutto, ogni singola parola, il suo suono. è un pezzo bello e malinconico, o forse la malinconia è mia e io la ritrovo appiccicata dappertutto.

  5. mi piace questa bella retorica iterativa/interrogativa in cui ogni domanda è una risposta gnostico-moralistica (in senso buono) – davvero bella – il solco di una certa vena etica del novecento (Pagliarani, il primo Raboni, Cesarano)…

  6. Ok, bello. Ma quando si va a pisciare tutti insieme sulla porta di casa di Eugenio Scalfari?

    Un po’ di coraggio, ragazzi, altrimenti non cambierà mai niente.
    Tutti a pisciare sulla porta di casa di Scalfari!
    Lo so, non è molto, non è quasi niente. Ma è meglio di niente. Potrebbe essere un prologo, un inizio…

  7. Come l’inverno
    che stenta a venire

    [nel modo in cui le foglie
    alla fine cadono
    anche se sbagliano a cadere
    ma oggi cadute e accettate
    di buon grado
    accumularsi a terra]

    così scorre il tuo sangue
    che porta cose

    nelle fragili vene.

  8. Tornerà un altro inverno
    cadranno mille petali di rosa
    la neve scenderà sopra ogni cosa
    e forse un po’ di pace mi dara
    odio l’estate…

    A pisciare! A pisciare davanti a casa di Scalfari!

  9. Una missione generica, che è stata così frustrata nel tempo, fratello, da trasformarsi in una povera ossessione.
    Se restano le briciole, riusciremo ugualmente a farne ali al folle volo?
    Saluti al Cannocchiale…

  10. ho visto in faccia una ladra farsi beffa di uomini morti da tempo (con un sorriso e più veloce del vento). Bel pezzo.

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