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Nuovo cinema paraculo / L’infinita infanzia

di Christian Raimo

Asserisce uno speciale su MTV che Sofia Coppola è la più grande regista giovane del mondo. Può sembrare esagerato, ma tutto sommato è un’affermazione abbastanza convincente. Se consideriamo, come spesso ci accade, il termine “mondo” come sinonimo di quel luogo ridisegnato dalle fondamenta dall’immaginario americano (leggi hollywoodiano), Sofia Coppola è sì la più grande regista vivente. Perché forse è oggi la regista che più di chiunque altro è riuscita con i suoi tre film a trasferire sullo schermo – in maniera assolutamente coerente e capillare, didattica quasi – l’autorappresentazione che il famigerato Impero americano ha di se stesso.
Nel Giardino delle vergini suicide era un gruppo di adolescenti senza un’identità individuale a raccontarci cosa vuol dire crescere in un piccolo paese dell’America profonda, immersi nell’immobile contemplazione estetica della morte iper-romantica delle cinque sorelle Lisbon – cinque ragazze, dai tredici ai diciassette anni, che vanno a suicidarsi per motivi inafferrabili una dopo l’altra. In Lost in translation ci veniva incontro svagata e innocente una Scarlett Johannson, mogliettina troppo giovane in viaggio di nozze in un Giappone esotico come un videogioco spettacolare, che naufragava completamente imbambolata tra la hall del suo acquario-albergo e le strade febbrili e sfocate di Tokyo. Ogni tanto sbocconcellava una frase col suo casuale compagno di dispersione, l’attore di pubblicità in eterna trasferta interpretato da Bill Murray. In Marie Antoinette sono Kirsten Dunst e Jason Schartzman a interpretare due ragazzini senza arte né parte che diventano protagonisti della storia loro malgrado. L’idea è questa: Luigi XVI e consorte si ritrovano a regnare la Francia alle porte della Rivoluzione Francese e a vivere il governo della nazione come un meraviglioso kindergarten. Troppo impacciati per fare sesso, preferiscono provarsi i vestiti o accoccolarsi davanti a un tramonto meraviglioso con la stessa ignara malinconia con cui i loro coetanei di oggi ascoltano la strepitosa colonna sonora del film o si rannicchiano come feti davanti alla tv. Fuori le guerre impazzano, il popolo è allo stremo, in Iraq muoiono centinaia di migliaia di persone, l’odio cresce a dismisura.
I film di Sofia Coppola sono film sull’infanzia protratta; sul modo in cui quest’infanzia estenuata ha invaso, fino a sostituirla, la giovinezza. In-fanzia che andrebbe presa in senso letterale, etimologico, ossia: l’età in cui non si parla, in cui al mondo ci si rivolge con sguardo incantato, di scoperta, stupore, e in cui per le scelte di vita vale ancora la fascinazione estetica e non la responsabilità, il coinvolgimento etico.
Per questo nei suoi film, nella provincia americana del Giardino delle vergini suicide dove uno sciopero degli addetti al cimitero proibisce di seppellire i cadaveri per tredici mesi, nella Tokyo dalla pioggerellina perenne di Lost in translation, nella reggia di Versailles di Marie Antoinette trasformata in un camerino da sfilata, nella cameretta dei desideri, si vive come in luoghi protetti, in zone temporaneamente autonome, in isole che il tempo non tocca. In cui diventa forse finalmente possibile quello che non riesce ai bambini del Signore delle mosche di Golding: lì i piccoli naufraghi, isolati da tutti, cercavano di inventare delle regole nuove che eliminassero quelle terribili degli adulti, ma tutto andava storto perché il male e la violenza e la sopraffazione rinascevano come in qualunque terra conosciuta, e adulti si diventava per forza anche contro le proprie intenzioni.
I personaggi di Sofia Coppola ce la fanno invece, hanno avuto la possibilità di non crescere, e riescono a prolungare il tempo della propria infanzia, l’espressione della propria innocenza (o meglio non imputabilità) fino al suo limite estremo. Che certo è sempre la morte, ma senza la durezza del confronto con l’età adulta.
In questo senso questa regista virtuosa della macchina da presa, aderendo totalmente a un’estetica radicale (proprio per una prospettiva morale che è assenza di quella stessa prospettiva), coglie, sintomatizza l’anima più sottile dell’America: il trauma senza dolore, la sofferenza anestetica della mancanza del senso di colpa, il gioco infinito.
Nell’intervista a MTV è proprio lei a far suo lo spirito di totale ludismo di Marie Antoinette: “È stato fantastico il primo giorno delle riprese trovarsi con tutti quei camion davanti alla reggia”, dice con un grande sorriso. Così quando nelle ultime scene lei, la piccola e leggiadra regina di Francia, apre le grandi finestre di Versailles e si affaccia di fronte alla folla dei contadini poveri, dei rivoltosi venuti a chiedere la sua testa, immersi in un buio che finora ci era stato sconosciuto, il suo sguardo è quello di una ragazzina veramente innocente, a cui nessuno ha insegnato che cos’era il reale, il male, il mondo esterno. Sul serio: che cosa le si può rimproverare?

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41 Commenti

  1. non è una virtuosa della camera perché ha un’ottimo operatore e si affida alla direzione delle fotografia, eccellente. Dice voglio verde, voglio rosso o che altro…Diciamo che sofia coppola è un ottimo, eccellente manager, di quelli che sanno di cosa c’è bisogno, quale è il momento per farlo a chi affidarsi per realizzare, cioè è molte cose, ma non una virtuosa della cinepresa. In Italia siamo meno abituati a questo genere di “regista” (ma esiste anche qui)

  2. @al commento qui sopra: embè? dove sta il problema?
    @raimo: nuovo cinema paraculo è la mia rubrica preferita su nozione indiana, anzi su tutto quanto si scriva di cinema.

  3. non avrei saputo dire meglio, del perche’ mi incazzo a vedere i film della coppola. e se fosse meno innocente mi incazzerei di meno.

  4. Si, la Coppola è infernale. Però c’è di peggio: la Campion, per esempio.
    (L’ultima grande regista a mio avviso è Agnes Varda).

  5. Esatto: per comprendere appieno questa massima di Gianni Biondillo basta vedere un film qualsiasi di Jane; anche se consiglio vivamente, per avere la prova del nove, “Holy smoke”, col povero Harvey Keitel e la tettona di Titanic (ora non mi viene in mente il nome).

  6. Massì, Raimo è troppo intellettuale, non dice chiaramente quello che pensa: per fortuna ci pensa Krauspenhaar a chiarire il senso del post con quell’eloquente “Sì, la Coppola è infernale.” E la Campion, ma certo è peggio, e vedo che anche Biondillo non si esime dal sottile esercizio della critica cinematografica.

    Se il livello dei commenti deve essere questo, a ridatece Borso.

  7. Perchè, si sta facendo della critica cinematografica?
    Cosa ha da dire, lei, su Holy Smoke di Jane Campion? Dica dica…

  8. ha ragione krauspenhaar: la coppola è infernale. quinlan si rivolta nella tomba assieme a welles.
    la coppola non vale una coppola di emme. è bravissima nel videoclip, però. slargato a dismisura. raimo è un intellettuale, non è troppo intellettuale. cosa significa pensieri oziosi? è un nome? una dichiarazione d’intenti? i pensieri oziosi sono i padri dei vizi pensosi? a che pensa pensieri oziosi quando non scrive? (quando scrive, poi, pensa quello che scrive?)

    cosa diavolo significa la seguente affermazione del buon raimo: “Sofia Coppola è sì la più grande regista vivente. Perché forse è oggi la regista che più di chiunque altro è riuscita con i suoi tre film a trasferire sullo schermo – in maniera assolutamente coerente e capillare, didattica quasi – l’autorappresentazione che il famigerato Impero americano ha di se stesso”?
    nel giardino delle vergini suicide, per dire del più riuscito a mio parere, io ci ho visto l’america, non il “famigerato impero americano”.
    bravo raimo, comunque.

  9. «… il suo sguardo è quello di una ragazzina veramente innocente, a cui nessuno ha insegnato che cos’era il reale, il male, il mondo esterno. Sul serio: che cosa le si può rimproverare»?

    le si può rimproverare di non chiamarsi Pricò

    c.p.

  10. Ma in effetti ha ragione. Fate tanto i critici letterari, poi non sapete dare alla critica cinematografica il giusto valore sparando sentenze a destra e a manca. Condivido in qualche modo il concetto esposto da Raimo, ma me la prenderei di più sulla mancanza in questi film di una chiara consapevolezza del vuoto esistenziale nei personaggi, piuttosto che attraverso una generica presa di posizione “ideologica”.

  11. @ Sandro
    “…ma me la prenderei di più sulla mancanza in questi film di una chiara consapevolezza del vuoto esistenziale nei personaggi, piuttosto che attraverso una generica presa di posizione “ideologica”….

    Ahò: ma che te stava a di’ Raimo, se non questo?
    Solo: era tra le righe, quindi espresso in modo più potente. Uno scrittore fa accussì, aumenta la potenza delle cose che dice mettendole tra le righe. Altrimenti non ci sarebbe differenza tra una critica cinematografica didascalica e una critica cinematografica letteraria.
    Cioè, la tragedia e la miseria umana dei personaggi della Coppola (e della sua estetica) sta tutto in questa adesione totalitaria – e quindi orrendamente innocente – alla realtà senza la minima consapevolezza che la realtà in questione è un sogno cavo.
    Afferrato lu cuncettu?
    Ma tu vedi se dopo tutte le avventure per il cosmo mi devo mettere a fare il divulgatore…
    Mo’ mi so’ rotto, vado a dormire

  12. @Galaxy: “Cioè, la tragedia e la miseria umana dei personaggi della Coppola (e della sua estetica) sta tutto in questa adesione totalitaria – e quindi orrendamente innocente – alla realtà senza la minima consapevolezza che la realtà in questione è un sogno cavo.”

    cioè, scusa, ma lost in translation di cosa parlerebbe se non proprio che “la realtà è un sogno cavo”?

  13. @ J Galaxy: “Altrimenti non ci sarebbe differenza tra una critica cinematografica didascalica e una critica cinematografica letteraria.” Questa mi piace, ci rifletterò su.

  14. @ uno che passava:
    no, zcusa, volevo dire l’assenza di consapevolezza dei personaggi…
    mi so’ scvegliato… minchia che dormita!

  15. Ok Christian,
    analisi azzeccata del contenuto. Perfetto!
    Ma parliamo dei film della Coppola, parliamo ancora dello specifico filmico, perché è questo che la differenzia da altri registi. E’ questo il Cinema.

    Perché la grandezza della Coppola non sta nella possibilità di non crescere e prolungare l’infanzia dei suoi personaggi (questa è scrittura) ma nella sua regia. Queste cose stanno bene anche in un libro e mi piacerebbe allo stesso modo leggerle. Ma sarai d’accordo con me che se mi dessi le sceneggiature e i contenuti dei film della Coppola io non sarei in grado di metterli in scena con la sua grandezza, e nemmeno ci riuscirebbe Lynch (semmai lo farebbe in maniera altrettanto grande ma diversa), e qualsiasi altro bravo regista.

    Allora ti chiedo, facciamo i critici fino in fondo, dove sta la grandezza della Coppola? Perché è brava?
    E non mi dire perché dipinge l’America in quel modo o perché manda a cagare le responsabilità e i doveri perché è già stato fatto mille volte al cinema e in letteratura.

    La grandezza è in come lo fa. Ma non sento mai parlare del come lo fa. Di come usa l’immagine (il cinema) per immaginare quello che ha scritto (e tu hai rilevato) sulla carta.

  16. A me “Lost in translation” non dispiacque. La noia come rivelazione della futilità universale, lo spaesamento geografico ed esistenziale di due persone diversissime catapultate all’altro capo del mondo, il jet-lag dell’anima.

  17. Simone! Scusa, ma io devo essermi perso l’attesissima tua “pars costruens” sullo specifico filmico! Mi dici dove la trovo, pls? E, di striscio: non c’entrassero per niente i contenuti, Sofia non farebbe solo calli-filmo-grafia?

  18. Sofia Coppola: esempio di cosa può un cognome illustre, nonostante la scarsa inventiva e la totale assenza di capacità a mettere insieme una trama che sia trama.

  19. (Quella dei giornali, prima che si creino equivoci: presentarono Lost in translation come un vero capolavoro, pfui a loro!)

  20. Grazie, l’onore è tutto mio. Vi seguo con interesse crescente (una specie di erezione d’interesse, ecco).
    Le mie sexy star spesso mi chiedono cosa vuol dire mise en abyme, mitopoiesi, queste cose qua. Vi giro la domanda. A chi risponde un bel giro… sulla giostra!

  21. mise en abyme è un tipo di lingerie molto di moda in Francia tra i sessanta e settanta, ma ancora oggi ha i suoi adepti che in essa vedono il segno distintivo dell’eleganza sexy. “se deshabiller la mise ne abyme” è il massimo dell’erotismo. Cosa s’intenda per “abyme” (letteralmente “abisso”) te lo lascio intuire.
    Da cui il modo di dire: “ma che bella mise che hai!”

  22. Vorrei rispondere a quelli che parlano di specifico filmico e dunque della peculiarità del cinema di lavorare con immagini in una dimensione temporale. Sono d’accordo: spesso non si parla di questo lato dei film, specie tra chi detiene rubriche cinematografiche e che spesso liquida il tema con un commento sul genere: “Bella la fotografia.” Ma credo anche che le immagini nei film sono vincolate, più che nei videoclip, più che nella videoarte, alla storia ed è qui che i film della Coppola sono fallaci, a mio parere. Credo che tutti i suoi film soffrano di un problema di “diluizione” della storia. Credo che sarebbero potuti durare la metà del tempo e che l’unico sentimento convogliato dalla loro lunghezza sia la solitudine, la noia dei protagonisti (e del pubblico).
    Anche la sceneggiatura, che dei film è la base, ha le sue regole e la sua specificità e, similmente a ciò che accade alle storie per il teatro o per romanzi, le buone sceneggiature si piegano a dettami vecchi come Aristotele, che affermò la necessità della drammatizzazione. E quanto è vero che non c’è drammatizzazione senza conflitto, non c’è storia senza drammatizzazione.
    Le storie della Coppola un conflitto ce l’hanno. Purtroppo ne hanno uno solo, che per il pubblico di oggi non è abbastanza, ammesso che fosse potuto bastare ad un pubblico del passato.
    Marie Antoniette deve avere un bambino, deve, più in generale, adempiere ai suoi compiti di sovranità. Scarlet Johanson doveva trovare la maniera di comunicare, di intrattenersi in una città impermeabile al suo sguardo. Le Vergini Suicide, Lux in primo luogo, dovevano essere adolescenti e fare i conti con una madre repressiva fino alla psicosi.
    Quello che credo succeda in una buona sceneggiatura è che il protagonista prova a superare l’empasse in una moltitudine di modi diversi, forse ci riesce, forse no, forse questi tentativi portano la storia in una direzione diversa. Tutto questo evita una monotonia che alla Coppola non manca mai. Una protratta descrizione, un susseguirsi di stati d’animo, forse plausibili e affascinanti, accompagna Maria Antonietta, ma senza dar vita a situazioni feconde. Fori Orario come esempio massimo di quello che cerco di esprimere.
    Il lato migliore del film è l’assenza del popolo e della rivoluzione francese, perché incornicia il punto di vista di sua maestà. Ma la scena al balcone, quando finalmente la regina fa i conti con il suo popolo, mi ha lasciato delusa: da una parte una donna inerte, dall’altra una folla che “inferocita” c’è l’aveva ricamato sul retro degli stracci che indossava, perché mancava la percezione di una minaccia. Qual è il POV del pubblico in quella scena? Non quello della folla, che, in quanto popolo, tenderebbe a semplificare, no? A vedere Maria Antonietta beffarda, o spaventata, non inerte, non portatrice di un sentimento complesso, dubbio, inafferrabile. E la folla la vedevamo con gli occhi di Maria Antonietta? Allora la regina infante non deve aver temuto troppo per sé, per la sua vita, per i suoi figli. Non era un infante, la superficialità con cui ha agito per tutto il film deve averla resa sorda a qualsiasi stimolo. Io credo che i bimbi piangano quando gli vien tolto un giocattolo e che non c’è maturazione senza stadi. Dunque non è maturità la sua, in quel momento. Maria Antonietta non si evolve, passa dalla rassegnazione alla rassegnazione.
    Per farla breve Sofia Coppola mi annoia, ma come Head of Marketing dell’Alfa Romeo la vorrei per girare i miei spot pubblicitari. Concludo con la frase che ho sentito bisbigliare al cinema la sera della proiezione di Marie Antoniette: “Era meglio Lady Oscar!”

  23. Francesca hai parlato della sceneggiatura del film. Voglio che mi parli di quello che viene dopo la scrittura. Voglio che lasci perdere la sceneggiatura e mi dici cosa è successo quando la Coppola è scesa in campo e cosa è successo quando il montaggio ha scelto di darci quello che in quel campo è successo. Basta letteratura, alla quale il tuo post si vincola. Parlami di quello che hai visto e non di quello che avresti anche potuto semplicemente leggre.
    Cosa hai visto? Quello che hai visto è contemporaneo? Vecchio? Come si pone con la nouvelle vague? Kubrick c’entra? Visconti? Lo zoom lyndoniano serviva a qualcosa? Perché quel montaggio, perché la diluizione? Perché tutte quelle trsparenze in Lost? Perché Lynch paragona per certi versi la Coppola a Tarkovskij. Voglio che tu mi parli del montaggio, molto importante al fine di capire come lavora la Coppola e cosa vuole intendere.
    Le parole lasciamole ai romanzieri.
    Tu ora parlami dell’immagine della Coppola, della sua poetica dell’immagine. Che è, e questo ce lo devi, almeno almeno il 50% del su cinema.

  24. ho sentito la parola lost? parlami delle dissolvenze in lost simone! ti prego, i’m addicted!

  25. Ma non vi siete scocciati di scrivere e leggere sempre il solito predicozzo sull’america, intriso di moralismo spicciolo degno delle peggiori fiction italiane????
    La Coppola non è una grande regista, intendiamoci, ma uno che scrive ancora “famigerato impero americano” farebbe bene a posare la penna per qualche tempo.

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