La possibilità di un’isola

houellebecq.jpg di Sergio Garufi

L’impressionante battage pubblicitario che precedette l’uscita de La possibilità di un’isola, l’ultimo attesissimo romanzo di Michel Houellebecq, se da un lato contribuì in modo considerevole a favorirne la diffusione presso il grosso pubblico, dall’altro indispettì diversi critici letterari, costretti a confrontarsi meno con un libro che con un fenomeno mediatico e di costume. La tentazione di rimandarne la lettura a polemiche sopite, o addirittura di liquidarlo preventivamente con la celebre battuta di Scheiwiller (“non l’ho letto e non mi piace”) sulla base delle sole anticipazioni giornalistiche, sedusse molti lettori di professione. Si sarebbe però fatto un torto non tanto all’opera quanto all’autore, uno dei pochi ancora in grado di confutare la snobistica equazione secondo la quale consenso uguale a disvalore. Vargas Llosa ha affermato di recente che “nell’attuale letteratura schizofrenica, i romanzieri pare si siano divisi il lavoro: ai migliori tocca il compito di creare, rinnovare, esplorare e spesso annoiare; agli altri, i peggiori, quello invece di mantenere l’antico scopo di questo genere: stregare, incantare, intrattenere”. A Houellebecq si deve almeno riconoscere il merito di aver abbattuto questa rigida barriera, riassumendo in sé il meglio di entrambe le categorie.

Ma veniamo al libro. Frutto di una lunga gestazione durata quattro anni, La possibilità di un’isola è un romanzo articolato e ambizioso, strutturato secondo la fortunata formula del dittico, in cui l’avvincente narrazione alterna i resoconti paralleli della vita di Daniel, comico di successo, acuto e cinico fustigatore dei giorni nostri, con i commenti di Daniel24 e Daniel25, i suoi cloni neoumani che vivono duemila anni dopo la loro matrice. Tante sono le analogie con Le particelle elementari, la sua opera più riuscita, a tal punto da far sospettare che si tratti dell’ennesima glossa di quel capolavoro. Innanzitutto lo stile gelido e spietato, da referto autoptico; poi la visione patologica e mortificante del sesso, unico motore di una società che sollecita “i desideri fino all’insopportabile” e, al contempo, “rende la loro realizzazione sempre più inaccessibile”. E ancora le frequenti digressioni sociologiche, filosofiche, letterarie, scientifiche e religiose, che spiegano come il declino morale e culturale dell’epoca di Daniel abbia poi generato le devastazioni che fanno da sfondo al finale fantascientifico, in cui si aggirano come selvaggi i pochi esseri umani sopravvissuti, osservati con distacco o ripugnanza dai “neoumani”.

In questo senso, non si può non ammettere che lo scrittore francese si ripeta, giri intorno alla stessa idea centrale, rimugini la medesima ossessione apocalittica che innerva, con alcune significative varianti, anche i libri precedenti; vedi l’aziendale esordio de l’Estensione del dominio della lotta e il lirico Piattaforma. D’altronde è lui stesso ad ammetterlo, quando, volendo motivare l’impasse creativa del protagonista, scrive: “le persone si fanno conoscere con una o due produzioni di talento, non di più; è già abbastanza che un essere umano abbia una o due cose da dire”. Già, ma è il voltaggio espressivo, la capacità di modulare quell’unica nota, ciò che fa realmente la differenza. E la variazione sostanziale viene svelata da una citazione distratta, quasi accennata, a Disgrace (il titolo originale del libro da noi tradotto con Vergogna) di J.M. Coetzee. Houellebecq ha letto il sudafricano e ne ha assimilato lo sguardo da etologo, l’analisi lucida e impietosa dei comportamenti umani come azioni dettate da istinti bestiali, miranti al mero soddisfacimento dei propri bisogni. In ambedue i romanzi (e si potrebbe iscrivere in questo filone pure Mammiferi di Mérot), le uniche figure positive e innocenti sono i cani, le sole creature capaci di amore incondizionato, forse perché privi di autentico amor proprio. Tutti gli altri vengono descritti, con insistenza percussiva, quali animali che si contendono il cibo e le femmine, primati in lotta per la supremazia; come ad esempio il profeta della setta degli elohimiti, “il maschio dominante assoluto”, “la scimmia numero 1”.

Insomma, l’uomo è esattamente ciò che sembra essere, “una specie animale discesa da altre specie animali con un processo di evoluzione tortuoso e penoso”; nient’altro che materia destinata a decomporsi, in cui non rimarrà “più alcuna traccia di attività cerebrale, né qualcosa che possa essere assimilato a uno spirito o un’anima“. La causa di questa regressione irreversibile, e insieme il cuore di tenebra del racconto, è la morte dell’amore, inteso come sentimento altruistico di annullamento dell’individualità, il cui decesso è dovuto alle eccessive complicazioni, ai sacrifici e alle responsabilità che esso comporta. “Siamo solo corpi desideranti”, dunque, e ai corpi invecchiati, senza più attrattive per gli altri – tipo quello di Daniel1 – non resta altro da fare che togliersi di torno, con il suicidio o con il mesto isolamento dal gruppo. La vita di un essere umano si può così sintetizzare alla stregua di quella di un bovino da supermercato: “Nato e vissuto in Francia. Macellato in Francia”. Riconosciuta la suprema impostura della procreazione, che ci incatena ancora una volta alla ciclica condanna delle cause e degli effetti, l’unica possibilità di salvezza risiede allora nello sposare il progetto degli elohimiti: estinguere la razza umana facendosi clonare e rinascendo privi di aspirazioni e di passioni.

Ma nella splendida chiusa, la memoria dell’identità del lontano predecessore umano, riversata nel clone da lui derivato, spingerà Daniel25 a disertare la sua missione di replicante, affrontando un lungo e solitario viaggio alla ricerca delle proprie radici attraverso una Spagna sconvolta da cataclismi naturali e post-nucleari. In questo deserto assiologico e fisico si compirà il fallimento di ogni speranza. Giunto in una landa desolata senza traccia di vita e privo della compagnia del cane Fox, ucciso dagli umani, Daniel25 si rende infine conto di non provare più alcun desiderio, compreso quello di perseverare nel suo essere. Ora l’inanità del mondo non gli sembra più accettabile. Capisce quindi di dirigersi verso “un nulla semplice, una pura assenza di contenuto”. Anche per lui, come per il suo remoto progenitore e per chiunque, “la felicità non è un orizzonte possibile”.

Print Friendly, PDF & Email

47 Commenti

  1. Ah belli. A me Houellebecq piace. Mi piace assai. Però: a differenza di quello che si dice in giro, l’ultima parte della “Possibilità di un’isola” mi pare una mezza puttanata. Cioè: fantascienza anni Cinquanta fritta e rifritta. Mentre quando va sul presente, sul disfacimento dei rapporti sentimentali e emotivi, coglie nel segno.
    Davvero: la conclusione è brutta.
    Come del resto i versi alla fine delle “Particelle elementari”.
    E’ stupefacente Houellebecq: uno dei pochi casi di grande scrittore costituzionalmente antimetafisico (più del suo maestro Easton Ellis, in cui la metafisica del glamour si sposa e cortocircuita con quella del quadro della montagna in Glamorama) (oddio, chestoaddi’. me sembro Genna…) Però realmente: quelle parti lì fantascientifiche so’ brutte brutte brutte.
    Però il pezzo di Garufi è molto bello, eh. Semplice e rispettosa disparità di idee su alcuni argomenti.
    Su, frati e sore de Nazzione Indiana: prendete esempio dal sottoscritto: stima pur nella disparità di idee. Stima pur nella disparità di idee.
    Avanti, troll del cazzo, ora tutti insieme: “stima pur nella disparità di idee…”
    baci,
    me vado a fa’ un caffè

  2. stima pur nella disparità di idee.
    lavazza qualità oro?
    p.s. houellebecq è un nome d’arte raffinatissimo.

  3. Ho sofferto per l’identificazione – vista la narrazione in prima persona – a corrente alternata con Daniel1 e poi con Daniel25 a causa delle due diverse prospettive utilizzate dall’autore. Eppoi non è questo certo il genere di opera letteraria da cui poter trarre facile consolazione: alla fine sono convinta che la felicità non è un orizzonte possibile, anche se non sono il clone di niente e di nessuno.

  4. parfrasavo gaber alla cazzo.
    houellebecq ha una marcia in più. contrariamente a quanto dice garufi nel suo bel pezzo, la meglio prova del malmostoso francese è estensione del dominio della lotta, secondo me. è dal mondo aziendale che nasce il cancro irreversibile, è dal lavoro (o dalla mancanza dello stesso). facce della stessa medaglia, la condanna è comunque implacabile. l’infelicità dell’ uomo contemporaneo così magistralmente descritta da mh trova le sue radici non nell’inconscio freudiano, ma nel conscio della dicotomia occupazione/disoccupazione.
    per essere felice l’uomo contemporaneo ha una sola possibilità: fuggire a lanzarote (vedi omonimo libretto dello scrittore)

  5. bravo sergio. per la prima volta con mh ci troviamo di fronte a qualcuno che ci fa sentire qualcosa di agghiacciante.
    che poi la felicità non sia un orizzonte possibile è forse una delle poche esperienze ancora a portata di mano

  6. Ok, lo compro, non fosse altro che per confrontarmi con un’idea secondo me malposta, cioè quella della felicità impossibile, ma ne riparliamo dopo che l’avrò letto, cioè quando le cose descritte nel libro si saranno avverate.
    Grazie Sergio, ben recensito, mi ha stanato.
    Mario

  7. Houellebecq, fantastico, perfetto.
    “La possibilità di un’isola”, grandioso.
    Peccato che in Italia non abbiamo scrittori come lui, del suo genio.
    Ma per fortuna ci sono scrittori come Houellebecq, al mondo, pochi, ma ci sono.

  8. non capisco come mai questa recensione è stata scritta (o forse solo postata) proprio ora? forse una provocazione? si avvicina il natale e il prossimo caso da commercializzare? ricordo che acquistai il romanzo proprio un anno fa di questo periodo, e non ne rimasi deluso alla lettura, stranamente intendo, anche perché il corriere della sera e la repubblica ne avevano parlato sino alla nausea.

    restando al testo, e banalizzando, sono d’accordo con chi afferma che il finale non è un gran che, e probabilmente il romanzo è anche troppo lungo considerando il tipo di narrazione parallela tra i vari daniel.

  9. Io non capisco, invece, il senso della domanda: occorre recensire solo libri appena usciti o più semplicemente quelli appena letti? Anche se, magari, di 20 anni fa?

  10. Perchè non ci sono srittori come H. in italia?
    Questa è una bella domanda, un’altra sarebbe, in italia si pubblicherebbe uno scrittore come (del suo genio) H.?
    Cosa si oppone.

  11. non intendevo scrivere che il recensore in questione abbia voluto commercializzare qualcosa. mi chiedevo solo se la scelta di pubblicare adesso il commento su NI di un libro come quello di M.H. avesse una motivazione altra che il caso, o il fatto che Garuffi abbia letto ora il romanzo (forse).

    ma soprattutto Gianni, visto questo tuo appunto, in prospettiva, credo che sia utile affermare che nulla è “dovuto” e nulla “occorre”, forse nemmeno la curiosità.
    spero sarai d’accordo almeno con questo.

  12. sì mi hai convinto….emergerò dalla mia melmosa ignoranza e mi trascinerò a comprare questa fatica letteraria…ad ogni modo thanks per la segnalazione!
    cià

  13. @ TOPORIFFI

    Non ne vedo, non ne leggo di autori come Houllebecq.
    Leggo parecchi giallisti e thrilleristi, questo sì.
    Un Ammaniti che ha messo su un centone buono per la spazzatura. Un Evangelisti che si è gettato nel romanzo storico, con un risultato a dir poco imbarazzante… Che resta? Anzi, chi resta? Tre scrittori. Tre e basta. Almeno per me. I soliti tre, che non starò a dire per l’ennesima volta.

    In Italia non lo si pubblicherebbe: c’è già chi urla allo scandalo per Massimo Boldi e “Olè”, figuriamoci se un editore pubblicherebbe un autore anarcoide e italiano con un calibro di genio alla Houellebecq. Direbbe: “Cagata immane.” O si cagherebbe nelle mutande. Pe evitare di cagarsi nelle mutande, lo rispedirebbe al mittente.

    D’altro canto l’editoria italiana, tolti tre, l’editoria italiana mette sul mercato librettini innocenti. E quando no, scritti alla boia d’un giuda, come Free Karma Food… tanto per. Che poi la collana 24/7 è proprio brutta, ma brutta proprio, tranne per “V per vendetta”. Il resto, da mettersi le mani nei capelli. Comunque: qualche libro bello c’è, niente di che, ma qualcosa di bello c’è, soprattutto tra gli editori piccoli o piccolissimi. Se sono già “medi”, ahia. All’inizio osano e fanno bene, dopo: la piattezza, libri talmente educati che “Piccolo mondo antico” a confronto sembra rivoluzionario, roba piccante davvero, che mette il dito nella piaga.

    Ciao

    g.

  14. sono sicuro che i 3 scrittori alla pari con mh sono dante, leopardi e manzoni. giusto?

    p.s.: free karma food, cos’è, un lassativo cinese?

  15. @ gilcagnè:

    Sei proprio fuori rotta.
    Uffa. Uffi.

    Umberto Eco, Aldo Busi, Sebastiano Vassalli.

    E’ la milionesima volta che lo ripeto. Uffa. Uffina. :-)

    In merito al tuo Pronto Soccorso (P.S.): Sì: a me ha fatto un effetto lassativo, ma proprio brutto, bruttissimo, praticamente incollato alla tazza del cesso per delle ore. :-)))

    Ciao

    g.

  16. scusa iannozzi, ogni tanto leggo anche qualcun altro.
    con busi però sulla tazza del cesso ti addormenti, con rispetto parlando.
    puoi fare un’altra decina di nomi a quel livello, se ti ci metti d’impegno, insomma se ti spremi.
    ciao

  17. gilcagnè

    Io mi spremo.
    No, niente.
    A me piace Busi.
    Non solo a me: è uno dei pochissimi che allo stile impeccabile unisce una sapiente narrazione rivoluzionaria, mai banale.

    Può non piacerti: ma indubbiamente gli riconoscerai che ha classe.
    E se no, non ci farò su una malattia.
    Avrai altri che ti piacciono di più: niente di male. Il mondo è bello perché è di diversi gusti.

    Ciao

    g.

  18. E’ mai possibile che, ogni volta che ti si incontra in rete, sei sempre indaffarato con cessi e con materiali scatologici variamente assortiti?

    Hai proprio la fissa, ragazzo.

  19. @ Lazzaro Visconti Pera

    Possibile che tu debba nasconderti sempre con un nickname e che ti si ritrovi sempre e solo nei soliti posticini?

    Ci sono i giardini per passeggiare: e lì non m’incontri di sicuro.

    Adieu

  20. Jamais dire “adieu”, cher Iannozzi.

    Au revoir est moins difficile à supporter.

    Je baise.

    Lazaire Viscomtes Poire

  21. @gilcagné
    “contrariamente a quanto dice garufi nel suo bel pezzo, la meglio prova del malmostoso francese è estensione del dominio della lotta, secondo me. è dal mondo aziendale che nasce il cancro irreversibile, è dal lavoro (o dalla mancanza dello stesso). facce della stessa medaglia, la condanna è comunque implacabile. l’infelicità dell’ uomo contemporaneo così magistralmente descritta da mh trova le sue radici non nell’inconscio freudiano, ma nel conscio della dicotomia occupazione/disoccupazione.”

    ho l’impressione che quello di houellebecq – all’apparenza monotono e ripetitivo – sia in realtà un percorso di nichilismo beckettiano (“fallire, fallire meglio”). l’esordio narrativo (“estensione del dominio della lotta”) sin dal titolo sembra dichiarare che la metastasi della civiltà occidentale abbia il suo focolaio nell’indebita applicazione alla sfera affettiva delle logiche economiche, nel consumismo sentimentale insomma, di cui fa un’impietosa autopsia del desiderio. ma credo che sul banco degli imputati vi sia qualcosa di ben più profondo e radicato, ossia il principio stesso di individuazione, che sarebbe a dire l’ominazione tout court. la fantascienza è solo un pretesto, è la convenzione narrativa all’interno della quale rappresentare il progetto di un’umanità geneticamente indifferenziata che cerca di fornire una soluzione proprio a questa questione (ne “le particelle elementari”); progetto che fallisce ugualmente perché quell’amaro paradosso (l’uomo nuovo non è più un uomo, è una sorta di robot) alla fine si vanifica (ne “la possibilità di un’isola”): il clone privato di desideri non conserva nemmeno più il desiderio di persistere nella sua condizione. forse, come per ogni scrittore che si rispetti (anche nel senso riflessivo, cioè che abbia rispetto per se stesso), per houellebecq la scrittura è un peso, e il sogno utopico della liberazione dalla letteratura coincide con quello della liberazione dall’umanità.

    @angelo petrelli
    “mi chiedevo solo se la scelta di pubblicare adesso il commento su NI di un libro come quello di M.H. avesse una motivazione altra che il caso, o il fatto che Garuffi abbia letto ora il romanzo (forse).”

    in genere, sulle riviste cartacee le recensioni e i minisaggi riguardano esclusivamente libri appena pubblicati o autori di cui ricorre qualche anniversario. a me non dispiacerebbe se almeno qui ci si svincolasse da questa logica ottusa, e si perseguisse un’accorta strategia dell’inattualità.
    se non altro per dimostrare che i libri non sono mozzarelle che scadono pochi giorni dopo averle comprate, e che degli scrittori defunti si può parlare anche senza attenersi rigidamente alle date apposte sulla loro lapide.

    grazie a tutti per l’attenzione.

  22. Scusate l’OT, ma è da tempo che mi chiedo:
    ma dove originano locuzioni tipo “la metastasi della società occidentale”,
    usata dal comunque bravo Garufi?

    Oserei dire che tutto parta da Don De Lillo,
    ma non ne sono certo.

    Marco

  23. era solo ironia, stefano.
    come dire che in tema di “l’uomo è una bestia” darwin ha un diritto di primo-genitura e non c’è de lillo che tenga.
    o.t.
    qui a roma c’è un farmacista che si chiama pure lui de lillo ed è il capogruppo di forza italia in campi-d’oglio: vedi tu alle volte, le coincidenze.
    alle comunali tappezzò le strade con la sua faccia da c., manifesti che li vedi ancora ingiallire sotto i viadotti: la vita è un inferno, c’ha ragione houellebeq.

  24. Avevo capito che eri ironico, grazie, ma speravo mi illustrassi per esteso le (tue) ragioni di quella “primo-genitura”, su cui appunto concordo. Fa lo stesso, forse in effetti è la mia domanda a non avere senso.

  25. @stefano
    Per esteso non potrei, per mancanza di tempo e di capacità.
    But.
    Posso aggiungere qualcosa.
    La mia sensazione è che Darwin non l’abbiamo ancora assimilato per niente, e questo non tanto come paradigma scientifico, come teoria dell’origine delle specie e più in esteso, della vita sulla terra, quanto come paradigma esistenziale e alla fin fine, poetico.
    Dico questo perché vedo una totale predominanza dall’antropo-centrismo anche nelle forme di pensiero molto materialiste, perché percepisco un’accanirsi nello spiritualismo, non necessariamente religioso, come se ci fosse (c’è sicuramente) un’accanita resistenza di massa al percepirsi non solo come materia-nella-materia, ma come prodotto del caso.
    Qualora si verificasse davvero un’accettazione di massa, una “presa de coscienza”del nostro vivere-pensare-agire esclusivamente nella materia, per la materia e tramite la materia, il nostro muoverci principalmente allo scopo di soddisfare desideri ciechi, cioè pre-definiti da un processo evolutivo misterioso e in gran parte non conoscibile, qualora si accettasse di essere dei semi-lavorati per la maggior parte determinati geneticamente, eccetera, qualora ciò avvenisse innanzi tutto tra gli intellettuali, si scriverebbero libri diversi, poesie diverse, si girerebbero film diversi, si farebbero una filosofia diversa e politica diversa e soprattutto si comincerebbe DAVVERO a domandarsi qual è un agire etico al di fuori di ogni dettato religioso, al di fuori di ogni concezione sacrale della vita.
    Ecc.

  26. “…il nostro muoverci principalmente allo scopo di soddisfare desideri ciechi, cioè pre-definiti da un processo evolutivo misterioso e in gran parte non conoscibile…”

    E’ proprio quell’avverbio di negazione, scaturito probabilmente dal tuo inconscio, che rende tutta la costruzione “una” ipotesi al pari delle altre, plausibile, fideistica o masturbatoria al pari di “tutte” le altre.

    Elevarla al rango di ipostasi, farne “la” ipotesi, “la” dottrina, “la” teoria, ti apparenta, tu lo voglia o meno, al novero dei propugnatori delle filosofie che “giustamente”, dal tuo punto di vista, combatti.

    Un “sacerdote” come un altro: ciò che cambia è solo l’ “oggetto” del culto, il rituale e le forme in cui viene presentato.

    E’ una mia idea, chiaro…

    Lazzaro Visconti Pera

  27. @tash (per la 2a volta, spariscono i commenti…)

    Grazie. Ho ancora meno tempo e capacità di te; per intanto, con il tuo permesso, fisserò a mo’ di commento questa tua breve riflessione sotto l’ur-post del mio blog, perché c’entra, anche se sembra contraddirlo. Sembra.

  28. lazzaro visconti pera, io ti chiedo questo:
    se il commento qui sopra, invece che di tashtego, fosse di un tuo collega, tipo il visconte serbelloni mazzanti vien dal mare, tu l’avresti parimenti così bistrattato?

  29. Bentornato snaporaz, era un po’ che non ti si guatava costì. Tutto bene? Lo sai che non ti ci vedo proprio nelle vesti dell’avvocato? E’ un vestito che ti sta un po’ stretto, diciamo che ti ingrausa. Ti sembra che abbia bistrattato il buon vecchio “nuovo” tash? Ma dài! Sai bene che lo amo. In fondo sono plebeo come lui, nonostante il titolo, regalato a mio nonno da una contessa che era rimasta molto soddisfatta dell’aratura del suo prato…

    Tash, se proprio vuoi sottilizzare, vedi che ti ho dato anche del “plausibile”

    plau|sì|bi|le
    agg.
    1 CO che può essere accettato come vero, possibile o logico: addurre scuse plausibili
    2 BU lett., degno di plauso, di approvazione

    E’ vero che, per me, fideistico e plausibile sono due sinonimi di masturbatorio, ma tant’è. Forse solo snaporaz potrebbe, con la sua logica, trovare il punto esatto dove i relativi campi semantici si dividono. Prova a chiederglielo…

    O.T. sub specie p.s.

    tash, avendo chiuso i commenti sul tuo blog, ti sei perso un complimentone: la tua riflessione sul Bounty è una delle cose più belle lette ultimamente, non solo in rete. Opera del “vecchio” tash, comunque. Ed è proprio per questo che ti ho dato del “plausibile”. Pensa come ti connotavo se tu non l’avessi scritto… Ti saresti tenuto per l’eternità (va là, scherzo, mi è venuta così) il “fideistico” e il “masturbatorio”.

    Lazzaro Visconti Pera

  30. non mi fido, lazzaro: il tuo è il solito vecchio sistema aristocratico del bastone e della carota.
    i commenti sono chiusi ai non iscritti a splinder, per via di uno che si masturbava commentando, o viceversa.

  31. Comunque i miei complimenti sono sentiti e sinceri, perché il testo è davvero bello e profondo.

    Spero che quel “non mi fido” non fosse rivolto a me. Il tuo ospite onanista aveva un solo problema, a mio modo di vedere: non l’aveva mai vista dal vivo.

    p.s.

    Tash, sia chiaro che questa era solo una parentesi. Dal prossimo post si riprende a “menarsele” (menarsele, non menarselo). Do you remember Ridley Scott?

  32. Anzi, visto che ho ancora qualche minuto libero prima della meritata vacanza, riprendiamo subito, mister coerenza. Bèccati questo!

    tashtego Says:
    October 7th, 2006 at 19:46

    strano inglès, tu sei intelligente, eppure cedi alla tentazione di censurare: il troll va ignorato, naturalmente.
    questo lo sanno tutti.
    io ho uno che quotidianamente si masturba nel mio blog, che dovrei fare?
    smanettare tutto il giorno per cancellarlo?
    impedire i commenti a tutti?

    p.s.

    Ma tu, ti senti più Carradine o Keitel? Ti lascio la scelta.

    Lazzaro Visconti Pera

  33. spero che non entri nell’uso comune di inchiodare uno ad un suo vecchio commento.
    purtroppo ho dovuto chiudere anch’io, perchè l’invasività del troll era davvero non più sopportabile.

    naturalmente il “non mi fido” si riferiva a te, l’azzaro.

  34. oi’ maronn’, franci’, ma cumm’ si’ app’ntùt’, m’ par’ nu riccio, nun s’ sap’ mai cumm’ t’ s’adda piglià. ormai vir’ prièv’t’ ‘a tutt’ part’! e càrm’t nu’ poc’!

    Comunque, tash, spero tu non creda che l’onanista del tuo sito sono io. Quello avrà sì e no venticinque anni. Anch’io vado per i venticinque. Per gamba. Pensa che a capodanno ne festeggio settantacinque.

    Ciao, alla prossima.

    Tuo Lazzaro Visconti Pera

    p.s.

    franci’, nun t’ preoccupa’. chill’ nun t’ vo’ converti’, va sul’ pa’ via soja. lass’l’ sta’, che t’ cost’…

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

DeLillo

di Christian Raimo Qualche mese fa Tommaso Pincio sul Manifesto faceva il punto sulla produzione di romanzi americani sull’11...

Titoli

di Sergio Garufi Non so se esiste una storia dei titoli in arte e letteratura. Una trattazione breve ma...

Carteggio Raimo-La Porta

Filippo La Porta to Christian Raimo Caro Christian, ho appena fatto una recensione al libro da te curato (Il corpo...

Buràn

Di cosa parliamo, quando parliamo di cibo? Sappiamo, lo abbiamo sempre saputo, che il mondo è fatto non di atomi,...

L’ingegnere in blu

di Linnio Accorroni Chi conosce il D’Orrico style, recensore optimo e maximo che sulle patinate pagine del “Magazine” del Corriere...

840266

di Sergio Garufi
sergio garufi
sergio garufihttp://
Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: