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Io in contumacia

roberto-aloi-spiaggia-ditalia-1945-olio-su-tavola.jpgdi Maria Valente
Ma voi sapreste indicarmi
la direzione ruvida dei mari?
Ho imparato ad annusare i cambi
di stagione dietro i vetri blindata,
ma non mi fermerà quell’istinto di
anima accovacciata, seduzione di
statica per rimanere chiusa tra
parentesi, a chiave, rosicchiata.


Ho smesso da un bel pezzo di
redimermi i fallimenti e  sono pronta
a farmene una ragione (un fascio di
luce non un fascio di funzioni) istruire
percorsi- da una parte all’altra dello
schermo scorre la mimica, gesticolare
a tempo come per motivare colpi
di luce in –grata di silenzi. Correrò
il rischio di questa percezione
parallela alla dimensione d’anonimato:
un corpo espanso, una struttura aerea,
in cui a scanso di equivoci, mi oriento-
ma è per difetto di postura se latito
un luogo comune io penso io avanzo
e non è colpa di nessuno se mi ritaglio
(un dominio privato come un nome)
o un dettaglio e subirti a discapito
(come dirti che c’è come piove
o fa)’ piano.  E a volte è chimica,
a volte patafisica sono tre parti di acqua
e una di vento e la notte aderisco alle stelle
scorrendo via, lattea e d’argento, per
arroganza di vivere, assurdità di morire.
Oppure cercarsi un etimo di (seta cruda)
di conio ruvida, una cantiga d’amigo
e d’escarnho, in gergo si chiama radice
questo ignorare cosa sia l’imbarazzo
di fermarsi pure ad essere felice, ma quanto
dolore ci vuole a farsi sera? A sbarazzarsi
di quest’io logoro, sul lastrico, abusivo. 
Levigare le superfici s’impone l’esigenza
di raggiungere  peso e volume conformi
alle cicatrici, ne consegue il distacco
delle pareti lacere – placenta, resta una fame
chimica di sentimenti al dettaglio, E’ il taglio
che fa la differenza perché si può morire di
purezza, di carezze imbevute d’aceto
-avrei voluto un cielo a goccia e resina
un cielo tutto lucido stagnola e m’infilavo
i suoi giorni a rovescio, ma ne indossavo
solo lo stesso nome di stoffa comune- deve
avermi scambiata per qualcun’altra- viola
incarnita ed abrasa, e intanto passi pure,
ma con metodo. E avrei voluto essere
più leggera delle parole o appena più
discreta, ma una promessa è come un ingranaggio
sempre troppo remoto, un meccanismo
inceppato che ha bisogno di un moto
rettilineo uniforme e una scommessa
è solo un altro modo di usare ancora
le parole sbagliate, ma avrei voluto
anch’io essere allegra come bottiglie
vuote di ricordi e intanto tutto passa
e restano le frasi di circostanza,
apri una porta sull’acqua tra due assi
sconnesse e in pozza mi rapprendo
i vetri scalzi. Una battuta d’arresto.
Sarà che mi rattristo con poco,
ma voglio intitolarmi tra due mari
o vergogna dell’arte (cercando di
afferrare) per questa debolezza di
parole pagate a caro prezzo, forse
mi sto perdendo appena un poco
al di sotto del vento- ma voi potreste
inseguire il profumo delle parole-
fiore su un dirupo? o voi potreste
catturare parole-ghiandaie tenendo
stretti i pugni liberare vocali?
(ma voi potreste
eseguire un notturno
su un flauto di grondaie?)
le parole di ghiaia, banali.
le parole sopruso.

(Immagine: Roberto Aloi, “Spiaggia d’Italia”, 1945, olio su tavola.)

 

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38 Commenti

  1. Bella Mari’, e ci sento dentro un cambiamento anche, rispetto alle poesie che avevo letto un anno fa. Più “tu”, meno gabbie e – segno di lotta e resistenza – più indicativi-futuri semplici…

  2. Un altro poco e mi commuovo, perciò finiamola, eh!? E diciamolo che siamo tutti amici e ci vogliamo tutti bene e che perciò ce le spariamo grosse ;-)))
    Grazie di cuore

  3. Diventare se preferita di così, mia rischi la Sàppilo! poeta continui.

    Poeta, continui!
    (ad libitum)

  4. Io non sono amico tuo, Maria. :-(

    Quando leggo poesia non sono amico di nessuno…
    prendi atto della realtà e … smettila di sfuggire alle tue responsabilità ;-))

    lello

  5. così maria si trasforma in palline di naftalina o in sacchettini di fiori profumati da mettere nell’armadio stagionale, diventa i suoi stessi abiti e soprabiti: appesa, piegata, anche stropicciata come qualcosa caduta dietro tutto il resto.
    oltre quelli, di odori, maria ne sente altri esterni che dall’osteoporosi blindata degli infissi, lesinano o sconciamente la raggiungono, ingroppati all’aria.
    maria sente anche i suoi odori esterni, continuamente a capo, iniziando dalla fine, che la risucchiano in un amarcord profondamente compromesso (come spesso lo sono gli amarcords) da fumi d’aceto, da suppurazioni di ferite all’apparenza cicatrizzate e ormai pulite, da promesse rimaste solo vertebre fossile a pesarsi una sopra l’altra.
    maria si sente lontana da tutto, perchè dal tutto non le viene riconosciuta una forma d’aria da occupare e da spostare…

    “ma ne indossavo
    solo lo stesso nome di stoffa comune- deve
    avermi scambiata per qualcun’altra-

    maria rifiuta di non trovare il suo nome e qui la ribellione femminile al circoscrivere l’utero e il “cuore” solo come aggettivi senza valore aggiunto, rifiuta l’anonimato di se, quanto anche il mare sa come chiamare a se la sabbia, o il vento.
    la vita stabilisce dei nomi.
    maria vuole recuperare il suo e recuperando il suo, desidera tutti i nomi del mondo: e qui pare scriva la maria bambina costruendo con le parole una culla per la maria donna

    Sarà che mi rattristo con poco,
    ma voglio intitolarmi tra due mari
    o vergogna dell’arte (cercando di
    afferrare) per questa debolezza di
    parole pagate a caro prezzo

    a caro prezzo: le donne quando parlano scacciano le bugie, sfiniscono il baro, alimentano l’attrazione per la verità e proprio per questo, l’ira. pagano sempre un prezzo molto alto. è il prezzo per poter ricordare il proprio nome.

    in chiusa maria si allarga come una bella di notte, di notte.
    di quelle appoggiate al muro, che sembrano tanti pensieri nati da poco e non pensano all’eternità e questo mi piace: l’ho sentita molto “mia”, come dall’inizio…
    la tristezza, la melanconia si stemperano in versi di una dolcezza quasi ammonitrice, con domande che sono già risposte e un saluto in caduta leggera che si portano dietro l’arsura, il sangue tamponato qui e là, si portano dietro maria come la notte fa con quelle voci che si sentono vicine vicine e poi lontane, in strascico fino a non udire più niente

    ci ho provato.
    è la prima poesia che leggo di maria.
    scusate gli errori

    un saluto
    paola

  6. altra correzione:

    maria sente anche i suoi di odori, interni – al posto di

    maria sente anche i suoi odori esterni,

    ehm.

  7. Ringrazio di nuovo cominciando da Marco Saya, il primo estraneo che interviene, ha per me un significato particolare, perché quei due impostori di Conte Ugolino e Ponzio Pilato li conosco bene ;-)))
    poi Cara Polvere che è stata molto dolce ed ha “poetato” commentando come al solito.
    Non ha molta importanza se quanto scrivi corrisponda o meno, per sino la mia poesia, in un certo senso non mi corrisponde, cioè non è esattamente quello che avrei voluto che fosse, contraddice tutte le mie idee poetiche e me la lascio perciò volentieri alle spalle, come qualcosa che parla troppo di me e che non mi appartiene, proprio come dicevi tu, Cara Polvere: Maria è lontana da tutto, anche da me.

    Un abbraccio particolare a Lello: e non preoccuparti, ché quando inizio a scrivere come dico io, allora sì che mi faccio un markettone coi fiocchi
    ;-))))
    ma direi che come inizio non c’è male!

  8. Può darsi, Maria.
    Ma, credimi, io sono di formazione “vociana” in queste cose.
    Quindi,
    “Quando leggo poesia non sono amico di nessuno…”.

    E, ripensandoci, credo di essere anche di formazione “mazziniana”. Ricordi?

    “Io non ti conosco
    io non so chi sei
    so che ho cancellato (n.d.r.: prima di leggere)
    con un gesto il nome tuo…”

    (Erano “sogni”, se non ricordo male, ma chi se ne frega).

    A questo punto, se la matematica non è un’opinione, per la nota proprietà, anche Voce è “mazziniano”. Un vero scoop!

    p.s.

    Credo ci sia bisogno di tenere ben d’occhio (io lo faccio già da tempo) anche Cara Polvere…

  9. Una poetessa greca che amavo molto, Yanna Savvidou studiosa di Marina Cvetaeva, mi raccontava – ed io ogni volta che potevo glielo richiedevo – la storia delle lettere, di quando poverissima a Parigi, non potendo permettersi i francobolli, andava in stazione e appena il treno partiva dal binario vi gettava dentro le lettere per gli amati Rilke, Pasternak…sperando che qualcuno a bordo gliele recapitasse.
    Maria l’ho vista – in realtà l’ho incontrata solo al luogo dell’origine quello delle madri capuane- correre da un treno all’altro e percorrere in lungo e in largo la penisola. Perchè era ed è, lei stessa, poesia. E di questi tempi, scusate, non è poco.
    effeffe

  10. Maria, sono versi bellissimi. E’ un testo che toglie il respiro per quanto è denso. Ecco il mio sogno è vederti su un palco a leggere questi e altri versi. Anzi mi piacerebbe ascoltarti insieme ad altre voci femminili, che escono dall’ombra. Non emozionarti… coltiva. E’ troppo questo talento per esser parcheggiato in un cassetto.

  11. Ugolino tu sei conte comunista
    io comunista dandy
    faciamo a gara a chi si mangia più bambini?
    effeffe
    ps
    i miei però come disse el Garouf, devono essere eleganti…

  12. La concomitanza di tempi prova in modo incontrovertibile che io non sono maria luisa. E mi toglie una possibilità lungamente coltivata: salire anch’io su quel palco…

    Vabbè, me ne vado da solo, prima che qualcuno mi ci mandi. Esco, magari incontro tashtego.

  13. @Maria Valente

    infatti è maria.
    non è di nessuno.
    nemmeno mia che l’ho incrociata appena
    men che meno di chi l’ha evocata.
    alla fine se ne va.
    senza titoli di coda come è giusto sia.
    senza lasciare promesso niente.
    e senza permettere a nessuno un giudizio.
    dando i fianchi all’angolo per poi sparire tra l’amaro e il dolce.
    a me maria si è data una forma tra le forme, c’era e non c’era, ha chiuso e aperto. ha avuto sete e ha bevuto.
    io che l’ho incontrata ho bevuto
    maria non è il poeta che ne de-scrive.
    il poeta l’accompagna come s’accompagna un’ombra smarrita ma non al corpo che l’ha persa bensì al nonluogo in cui io possessori e posseduta la seguo, svuotandomi le tasche del vissuto personale perchè in ogni verso come questi tuoi, maria è parte di quello che sono
    un saluto
    paola

  14. La concomitanza di tempi prova in modo incontrovertibile che io non sono effeffe. E mi toglie un’altra possibilità lungamente coltivata: essere scambiato per lui…

    Vabbè, me ne vado da solo, prima che qualcuno mi ci mandi. Ma non esco, tashtego l’hanno già visto rientrare. Prima o poi capiterà anche da queste parti: la poesia lo attira come il miele le api. Intanto, comincio a papparmi i due pargoli che ho infornato un’ora fa. Dovrebbero essere cotti a puntino.

  15. Per sette minuti ho perso l’occasione di provare in modo incontrovertibile che non sono Cara Polvere.

    @lla quale

    Le assicuro che mai sguardo fu speso più saggiamente…

  16. maria poetessa di certo e intenso presente, di sicuro avvenire. bravissima, i tuoi versi sono battiti di cuore accelerati nella nebbia di un mattino invernale.

  17. maria luisa scusa cos’è questo bisogno di etichettare tutto? di mettere il prezzo? la valente è un talento poetico e basta, senza se e senza ma, senza sesso (siamo inglesi…)

  18. scusa ponzio dici “prezzo” nel senso di apprezzamento? è l’unica cosa che ho detto nel mio commento. un apprezzamento totale e gratuito. ciao!

  19. eh, adesso, addirittura litigare per me…
    ringrazio di nuovo tutti, ad uno ad uno, ho apprezzato Maria Luisa per l’incoraggiamento, ma davvero non sono timida, e tu l’hai visto con i tuoi occhi…in vita mia ho letto in pubblico 3 volte: la prima non mi fecero neanche terminare tra fischi e pernacchie, la seconda partecipai ad uno slam per debuttanti e vinsi il primo posto, la terza in uno slam per poeti professionisti arrivai ultima: 2 fiaschi su 3 è una buona media, in fondo ;-)
    per cui smettiamola, davvero, nessun talento, a me per prima questa poesia non basta.
    Però Ponzio su una cosa aveva ragione, forse lui che ha letto qualche altra cosa sa che sono anche molto maschia, poco femminile, ma poi basta scorrere i miei commenti anche qui su Ni per capire che non ho proprio belle maniere, non è una maschera, sono così: da piccola giocavo con robot, macchinine e aeroplanini e da grande ho poche figure femminili di riferimento in poesia, e sempre donne molto maschie: tipo Vicinelli, Rosselli… e nelle mie citazioni non c’è mai una donna. Per fino la scrittura del corpo, così tipicamente femminile, e di cui anch’io ho scritto, la sento limitante: il corpo (come l’anima) : né più né meno che un cantuccio.
    Allargare lo sguardo andare avanti, di questo c’è bisogno. A che serve una poesia che parli solo di me? Per cui, davvero, su questa poesia non ho altro da dire.
    In ogni caso, ancora grazie a tutti voi.

  20. solo due cose:
    la poesia stessa è scandalo nel senso di coperto, da non mostrare, uno zoppicamento del se… certo.
    ci vuole coraggio a esporla. bisogna bypassare l’imperativo moderno

    abbasso l’autoreferenzialità!

    ma Maria Valente non ce la fa a fare questo passo e se ne accorge quando scrive:

    A che serve una poesia che parli solo di me? Per cui, davvero, su questa poesia non ho altro da dire.
    In ogni caso, ancora grazie a tutti voi.

    lo scandalo per Maria non è non farla leggere (ecco, Lello Voce)
    scandalo è che la leggano, che ci poetino:-) sopra.

    allora ha senso permetterne la lettura se poi la si rifugge
    o quantomeno la si nega con evidente terrore dell’autoreferenzialità?
    e poi quale sarebbe il poeta non autoreferenziale?
    cosa è il contrario di autoreferenziale?
    a me sembra una ritrosia inutile e non so fino a che punto sincera la domanda che Maria si pone e ci pone…

    è come come chiedersi:
    a che serve la poesia se non a liberare l’intestino del poeta?

    suvvia. un po’ di onestà.
    la si smetta con questi pozzi neri camuffati da oasi.

    pane al pane
    vino al vino

    bah… e poi mi chiedo come mai l’autoreferenzialità espressiva diventi solo cibo succultento per i posteri…
    comunque cara Maria, dovresti accettare le letture di chi passa di qui, nello stesso momento che decidi di postare una cosa tua o altrimenti chiudi i commenti.
    tutto ha un prezzo, come dice la gregoracci in tivvù.
    eggià
    un saluto
    paola

  21. @ Michele
    e per certi piatti che partono bene ma poi scopro pieni di conservanti , alla fine, almeno io, in certi casi, ho bisogno del bicarbonato per digerirli.
    paola

  22. Sarà il Natale, ma noto una certa reattività nell’aria. Comunque sia, ho capito l’equivoco. Non intendo dire voci femminili, nel senso di espressione della propria femminilità, ma nel senso di voci di donne. Stavo scrivendo un testo in inglese e “female” mi è rimasto attaccato alle punte delle dita.
    A parte questa spiegazione su un aggettivo usato impropriamente, penso che lo scrivere sia un atto corporeo, che siamo in un mondo fatto di materia e di corpi sessuati. Che cosa sia indice di femminile o di maschile non saprei dirlo. Sono cresciuta con la passione per i motori, per la meccanica e non ho mai invidiato chi ha trascorso l’infanzia in tutù e scarpette rosa. E allora? E’ su un altro livello che si gioca quanto ho detto. Nessuna etichetta. Ma la voce, l’espressione, lo sguardo di una donna che legge i suoi testi. E sono molto istintiva quando ascolto o leggo poesie. Non cerco narrazioni, cerco il potere della parola di aprire nuovi mondi di sensazioni, altri livelli di percezione del reale. Le tue parole, Maria, hanno una forza di questo genere. Espressione maschia? Espressioni violente o rabbiose? Entrare nella parte ombrosa e oscura dei sentimenti? Ben vengano, ma escono e scaturiscono da una donna, da un corpo di donna. Ho scolpita nella memoria la voce stridente di Chandra Candiani e la potenza delle sue parole e del suo sguardo sul mondo. E’ una donna che non risponde ai canoni di femminilità tradizionali. E’ una voce di donna appassionante da ascoltare per farsi trasportare in un universo parallelo. E non è parlar di sé, è il proprio sguardo, che proviene da un corpo sessuato, sul mondo interiore e su quello esterno. E’ vero, corpo, anima… sono limitanti, ma che ci possiamo fare? In questa vita ci tocca così.

  23. A volte sento come limitante la mia appartenenza a NI. E’ quella regola non scritta, ma condivisa da molti, che prescrive il silenzio qualora il testo di un amico non dovesse piacerti. Il risultato è che siamo circondati da figure che ricordano Moncada, il protagonista del libro dell’austriaco Alexander Lernet-Holenia, un maestro della piaggeria e della captatio benevolentiae. Che problema c’è a dissentire da un amico? Ponzio ha espresso una riserva che condivido, a maggior ragione conoscendo il tuo impegno femminista, le serate alle presentazioni di libri di sole donne ecc. Anch’io penso che il talento cristallino di Maria non meriti di essere confinato nelle mestissime gabbie di un genere. Certo che è “donna” e che la sua espressione “scaturisce da una donna”, ma è anche giovane, e meridionale, e tutte queste etichette non la esauriscono e neppure le rendono giustizia, la limitano solo. A lei auguro quindi di non finire nel ghetto di un’antologia di testi di “sole donne”, o di “autori giovani”, o di “scrittori meridionali”, e a te e a chi legge auguro un buon Natale.

  24. marialuisa,secondo me el Garouf vorrebbe essere invitato alle tue feste di solo donne che è meglio di quelle organizzate da franz per uomini soli però a me piacciono quelle imbastite da Jan per solo uomini ma non mi dispiacerebbe, lo confesso, che Helena mi invitasse alle sue donne…
    effeffe
    comunque ho uno scoop: Maria Valente è Andrea Inglese
    Andrea Inglese è un nick
    Natale è il nick di Pasqua

  25. Io ho letto. Sì, ho letto. Ho preso quella luce, sì, ci ho provato con le mani. Ma non bastava, mi è salita in bocca e ha coltivato dentro. Non più parole, lingue. Lingua di luce, istantanea, ma pastosa come il cemento appena “moltato”. Ho letto da una grata, di parole, non di silenzi. Da una maglia, piena di nodi e i nodi: ti sbattono in faccia, ti colpiscono.

    Doveva rimanere il silenzio.

    Io ti rispondo a mio modo.

    “Al margine della traccia di lacrima impara a vivere”

    La veduta strabica
    e un corpo è in lacerazione,
    ciò che spinge non lo vede.
    Sputa i pezzi quel plasma nero.

    La faccia strappa la linea, si dilata, si deforma,
    solo pelle che lotta
    contro massa che preme.
    Questa massa nera. Un vigore
    che trascina guance, preme occhi, vuole bocca.
    La contrazione livida, è nelle braccia.
    E’ nel crampo della pancia,
    è nella spinta contro “cadere”.

    C’è comunque un guardare
    attraverso il nero di roccia.
    In alto, c’è quel puntare
    ai margini della goccia.

    Una lacrima messa fuori
    da considerare; una lacrima slegata
    rotola: dalle conche dei suoi occhi
    le tue abluzioni.

    Sole s’è fatto goccia s’è fatto pozzo,
    la sua profondità allarga la macchia.

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di Sergio Garufi
sergio garufi
sergio garufihttp://
Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
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