La meraviglia (Lingua Sovrana – 4)

di Marco Rovelli

Qui è rimasta la forma del tuo seno. Il tuo seno perfetto. Alto, della forma esatta della mia mano. L’aureola grande, a raccolta. Il centro di irradiazione che indica altrove. Il tuo seno, mosaico di luce scomposta, la mia lingua lo sa parlare, del tuo seno la mia lingua conosce ogni giunzione e percorso, la mia lingua ha perlustrato ogni senso del tuo seno.
Di sensi il tuo seno è pieno.
E il gesto con cui mi offri il seno da baciare. Deponendo ogni pudore mi riveli l’inizio. Il mio. E nel tuo seno scompaio. Assorbito nella perfezione di una forma che conosce la gravità della terra, che la sfida e la vince. Il tuo capezzolo sfrontato è un gesto di verità. Fa segno alla verità di un luogo assoluto, un luogo dove ogni spazio è condensato, e prima di ogni spazio è condensato il tempo: in quel picciolo ruvido è il senso pieno, come pieno è il tuo seno.
So a memoria la pelle indurita e corrugata del tuo capezzolo, i piccoli solchi che stanno come scrittura del suono primordiale, l’OM che mi fa venir meno. Ecco un altro senso, dunque, il senso dell’OM tatuato sul tuo piede, l’OM che si traccia sulla terra come orma, e che di ogni tuo passo fa un suono dell’inizio. Ondeggi, oscilli, e nella tua andatura è presa ogni rifrazione, prodotta ogni resistenza. Il tuo passo è il tuo seno in movimento. La stessa grazia, la stessa potenza, la stessa pienezza. Lo stesso Sì tracciato sulla terra, a ogni passo ne prendi possesso, le imprimi sopra il tuo nome, il tuo OM, il tuo Sì. Al ritmo del tuo culo, che è spirito.
Il tuo seno, il tuo passo, il tuo culo. Trinità che si raccoglie nel tuo volto: è il tuo volto che esprime il tuo nome, il tuo volto è nome puro senza nome. Sul tuo volto è raccolta ogni perfezione.
E poi, più in fondo del fondo, il tuo sesso, la tua fica, che non si può dire.

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24 Commenti

  1. Bellissima, biondissima, statuaria, snella, frizzante, raffinata, ti aspetta tutti i giorni, attraente signorina per dolcissimi relax in ambiente riservatissimo, climatizzato, primissima volta, intrigante, mozzafiato, ex finalista Miss Ungheria, supercompletissima, Natascha il suo corpo ti sazia, bambolona tutto pepe, inguaribile porcellina, momenti indimenticabili, quinta naturale, stupendo fondoschiena, caldissima, solo distinti, irresistibile, anche la domenica fino alle 21.00, ti farò arrivare alla stazione del piacere, pronta per divertimento vero, massaggio con qualcosa in più, preliminari lunghissimi, intrattenimento da te o da me, senza limiti, ti farò impazzire con calma, sarò la tua padrona bollente, nuovissima, chiama subito, hai trovato la cura, stai zitto, ascolta e godi, veramente brava, provare per credere, sono dolcissima come la panna montata, assaggiami e vedrai.

  2. in verità ho i capelli rossi, sono italiana e arrivo solo a una quarta, comunque naturale.
    per gli amici faccio lo sconto.
    per il mio uomo è gratis.

  3. Bell’omaggio al simbolo femminile! E’davvero un canto amoroso. Il seno è un miracolo della natura; un invito erotico per tutti. Da bambina il seno mi ha sempre affascinata come un’ossessione. Ma aspetto il testo che dirà la bellezza del sesso maschile senza oscenità o ridicolo.

  4. Non vorrei passar per pignolo ma l’aureola è quella dell’iconografia dei santi. Intorno al capezzolo sta l’areola -che mi pare (anche se non sono credente) ancor più divina ;-))

  5. Giusta pignoleria, hag. Non si scherza con i santi. Né con le cose divine.
    Che dire? E’ stato un osceno lapsus linguae.
    (e lo lascio: che la santità sfolgori).

  6. L’unica idea chiara e distinta che questi articoli di “lingua sovrana” evocano in me consiste nel fantasma dell’autore, che si configura nell’immaginazione come un vero “uomo universale”, sensibile a tutto, perfetto a 360 gradi: intelligenza e sentimento, astrazione e sensualità, spirito e materia. Che invidia!

  7. Leggendo il post ho avuto le stesse sensazioni di Véronique: finalmente una descrizione sensuale di un simbolo della femminilità fatta con sensibilità e delicatezza, priva di allusioni e provocazioni svilenti.

  8. che noia che barba che noia

    Uno che scrive bene non è uno scrittore.
    E più costui si accanisce, più la nevrosi se lo mangia.
    O. Rank docet.

    Good luck, anyway

  9. dunque, fammi capire, il collegamento tra lingua sovrana 3 , “L’amicizia è lo spazio ludico dove la lingua si espone in quanto tale, in quanto factum loquendi” e lingua sovrana 4 è la parola lingua, cioè il fatto che in italiano e in un certo numero di altre lingue, almeno europee, (appunto) la stessa parola designa l’rgano presente nella bocca e il principale strumento fonico di comunicazione tra gli umani. Questa coincidenza è un segno di qualchecosa di profondo, al di là dell’ovvio fatto che la lingua che abbiamo in bocca è uno strumento cardine del parlare? Certo il salto dal 3 al 4 è coinvolgente.

  10. @ Antonio
    Era per chiudere l’itinerario figuralmente, con un’icona della lingua (sì, qui la coincidenza è principalmente solo verbale, ma la lingua è il vettore del sapore, e il sapore è la radice del sapere…): volevo tentare di dire la lingua che fa segno sovrano all’inesprimibile.
    Poi, certo, magari ha ragione tashtego, forse è meglio non dire.

    (a craniocleziano – che intravedo dietro il suo nickname – non dico nulla, invece, ho riconosciuto i suoi idioletti, e sinceramente mi spiace per il rancore che si porta dietro)

  11. Ho un problema coi “seni perfetti”.
    A parte il fatto che esistono almeno una decina, a dir poco, di declinazioni fattuali del concetto di “seno perfetto”, mi domando se sia possibile per uno scrittore che scrive sotto l’effetto di un “sano” arrapamento – ma non abbastanza “sano” da farlo astenere dalla scrittura per dedicarsi all’indicibile oggetto del suo arrapamento – mi domando dicevo, se sia possibile per lo scrittore arrapato in questione astenersi, parlando di seni, dallo scrivere la parola “perfetti”, benché abbia notato che riesce a non-usare la nota formulazione “capezzoli turgidi” per ripiegare su un più elegante “sfrontati”, che evoca il noto fenomeno della proiezione del capezzolo femminile, opportunamente sollecitato, nello spazio circostante.
    Mi piacerebbe quindi leggere, almeno una volta, parole di arrapamento scrittorio che si astengano dal definire “perfetti” i seni cui si riferiscono, anche se mi rendo conto che qualità e arrapamento tirano in direzioni diverse e opposte.
    Si ergano dunque i capezzoli sotto i sapienti colpi di lingua dello scrittore – fattuale et oratoria e organolettica, salivosa – e schizzino fuori dalle pagine, buchino ancora una volta gli schermi dei nostri computer, instupidiscano le nostre menti e le nostre parole col ripetersi eterno del fenomeno della TURGIDITÀ.
    Ma almeno si prendano in considerazione i seni “non-perfetti” che, secondo la mia esperienza non poi così limitata, sono la maggioranza.
    Ci faccia sentire, lo scrittore arrapato, orgogliosi anche noi dei seni “non-perfetti” che ci sono concessi in uso (temporaneo et precario, certo).

  12. Il giovane mullah teneva molto alla sua barba, l’aveva fatta crescere in osservanza degli hadit, gli insegnamenti del Profeta. Il suo cespuglio folto, con grossi peli neri, dritti, che spuntavano dalle narici e gli si arricciavano sul naso, era rigoroso e integro come la sua fede. L’occupazione preferita del mullah, durante la prigionia, era quella di attorcigliarsi la barba intorno alle dita, una virtù teologica che corrispondeva ai suoi pensieri più puri sulla dottrina del Profeta.
    Quel giorno, i cani crociati lo avevano legato mani e piedi a una sedia, in una cella desolatamente vuota. Da ore il mullah non poteva toccarsi la barba e si stava innervosendo. La pesante porta della cella si aprì di colpo e la prima cosa che il mullah vide entrare furono le cosce appena depilate del sergente maggiore Parker.
    Abu-Kemal provò un’ondata di ribrezzo davanti a quel genocidio di peli innocenti. Fissò gli anfibi slacciati della donna e risalì con lo sguardo finché non mise a fuoco la puttana ebrea in tutto il suo squallore. Era vestita come le sgualdrine dei formicai occidentali. Erano venuti a tentarlo. Dio mi perdoni se ti guardo.
    Il mullah chiuse gli occhi con l’assoluta determinazione di non aprirli mai più. Ma quei cani gli ficcarono nelle orbite una specie di doloroso pungiglione che lo costrinse a tenerli aperti.
    Il sergente Parker si stava divertendo. Quei turbanti impotenti ogni volta la incuriosivano. Bastava costringerli a ciucciare per sottometterli. Erano timidi e provavano una vergogna infinita nell’essere violentati. Il peggiore disonore possibile.
    Infinito come la prigionia che avevano davanti.
    Il sergente si avvicinò con cautela al mullah. Lui era legato alla sedia, il collo bloccato da una tenaglia per evitare che la mordesse.
    Il sergente si inginocchiò e gli fece vedere il tanga. Era piegata a terra, belava impazzita, poi si mise a cavalcioni del mullah muovendo ritmicamente il pube sulla tonaca del prete. Sentiva che il dottore si stava indurendo.
    Là sotto qualcosa si muoveva nonostante la fierezza del credo.
    Continuò a spostare il bacino con estrema regolarità mentre ogni tanto gemeva, lanciava un mugolio marziale, un sospiro tradotto in arabo dagli esperti dell’Agenzia. Questo genere di tortura era la nuova frontiera della guerra hard. Il mullah si lanciò in avanti con tutte le sue forze ma la sedia era incollata al pavimento. Il sergente scoppiò a ridere, adesso lo chiamava “dear”, “daddy”, gli faceva vedere la lingua, se la passava sulle labbra, si metteva sull’attenti, intonava “God Save America”.
    Il mullah non riuscì a resistere all’ultima mossa, il piedino sotto la tonaca. Gli venne il cazzo durissimo. Cercava in tutti i modi di pensare ad altro, salmodiava, pregava, ma il membro si era inturgidito, la forma ricurva e tozza si vedeva benissimo anche da lontano.
    Il sergente maggiore armeggiò nella borsetta e con una mossa plateale tirò fuori le forbici. Quando Kemal capì che la puttana ebrea gli stava fissando la barba, il mullah iniziò a dimenarsi all’impazzata. Gli stava leccando la barba! La baciava e se l’attorcigliava insalivata al collo…
    Il sergente alzò la tunica del mullah e gli strinse il cazzo illibato. Segava e attorcigliava. Impugnò le forbici e tagliò i primi peli del naso.
    Il mullah le schizzò sulla divisa.

  13. Avete letto le riflessioni in libertà sul seno di Malek Chebel? O quando parla degli interstizi? o dell’ombellico? o dei punti di flesso erotico? o quando parla del simulacro?
    Mark Chebel, Il Libro delle seduzioni, Bollati Boringhieri.
    Ci sono altri suoi libri, ancora purtroppo non tradotti in italiano che meriterebbero una grande diffusione.

  14. polemica? quale? su cosa?
    nemmeno io credo sia il caso di richiamare qui il Cantico dei ecc.
    mi sono permesso di perorare la causa dei seni non-perfetti.
    ecco tutto.

  15. Temo tu mi abbia travisato per altra persona.
    Io non ti conosco di persona, ma ho letto il tuo blog.
    Resto della mia opinione.
    Senza rancore, ci mancherebbe!

  16. Ma è possibile che nessuno si è accorto dello scarabocchio non-dubuffettiano che si è inteso propinarci con la scusa della paccottiglia
    dicktunerizzata ( sugli scarponi di Van Gogh presto di dovrà pur sentire la mancanza o si risbarrino nuovamente i sacelli del torrione che era tutto e anche il suo contario per il traghettatore di Diotima) la cui propalazione a rotto gli argini e non mi consente più tanto agevolmente di fumarmi il mio tosco antico . Rovelli non faresti meglio a ritornare nel tuo vero elemento: Lukacs e il discorso del rettorato del Nostro.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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