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La mia cosmica rivoluzione

arminio-ritratto-da-mario-dondero.jpg

di Franco Arminio 

Voglio la rivoluzione, nient’altro che la rivoluzione. La voglio da me stesso, prima ancora che dal mondo. La voglio perché la furberia dolciastra e la scalmanata indifferenza hanno preso in mano i territori della parola e anche quelli del silenzio.  Chi scrive viene tollerato a patto che rimanga nel recinto. Le sue ambizioni possono essere anche altissime, ma solo se vengono esercitate in luoghi millimetrici, invisibili. I fanatici della moderazione avanzano ovunque. In politica come in letteratura.

Io sono fuori dal mondo e fuori dalla vita. Non è un merito e spero non diventi una colpa. È andata così e sono fatti miei. Dal luogo in cui parlo, con la morte che mi passa nel cuore molte volte al giorno, io sono costretto ad ambire alla rivoluzione, non ho altra scelta. E se guardo un albero non gli chiedo soltanto di farmi ombra, e se vedo una donna non mi accontento delle solite cerimonie, voglio l’infinito e non mi basta neanche quello, dell’infinito voglio la radice, il luogo in cui inizia, voglio sentire come è cominciata questa infiammazione, questo delirio della materia che chiamiamo vita.

Ogni tanto qualcuno mi consiglia una cura: mastica bene… cammina… prendi i fiori di Bach…lascia il computer…mangia il riso integrale.

Io lo so che non ci sono cure, lo so che si muore veramente e la prima rivoluzione è contro chi applaude ai funerali, chi non porta più il lutto, chi nasconde la morte dentro gli ospedali.

Per me non c’è cura e allora c’è solo la rivoluzione. Non credo neppure nella pace dell’attimo, non credo nella distrazione dell’attimo. Io voglio correre sulla pista del tempo, con gli occhi aperti come una voragine. Venitemi dietro, dico ogni tanto. È un dire guastato dalla mia insicurezza, come se apparissi uno che non ha un luogo dove condurre in pace l’esasperazione che ribolle nascosta in ogni petto, ma solamente vuole placare la propria infantile insicurezza.

Rimane la sensazione che ogni intelletto sia messo a riposo dal disincanto e si cammina tutti sull’acque dell’ovvio e irrimediabile disastro che ci aspetta.

La rivoluzione significa non solo spostare o abolire i poteri, ma cambiare posto alle mani e al cuore. Dare a ognuno un nuovo corpo, ignoto e lontano come il cosmo, familiare e sicuro come gli abbracci di una madre.

(In onore del narcisismo arminiano nonché cosmico, nella foto: Arminio fotografato da Mario Dondero)

 

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104 Commenti

  1. -anche un apache d’iverno ha fame-
    -Lola diventa sempre più bella-
    -Il tempo è solo desiderio-
    -un gatto che perse gli amici-
    -una donna che si intrufola,
    ha un auto giallo metallizata.
    -anche un ratto si intrufola
    la notte prima de una luna plena
    ma subito se la squaglia
    non mi ha fatto molta impressione
    è stato come la visita di un tuo amichetto
    -oggi è lunedì un giorno come un’altro
    è solo che son da solo
    non c’è Briatore qui con me
    e neanche potrei volare attraverso il mondo
    -ma dica a me : lei quanto pesa?
    ha chiesto di noi due?
    ha chiesto in giro?ha chi ha chiesto?-
    -in che modo c’è bisogno di noi su questa terra?
    ed a che ora ci si sveglia per essere utili?
    sarà forse una questione d’onore?-
    -occhio per oppio pappa per troppi-

  2. voglio ringraziare pubblicamente f.k. lui ha capito uno scrittore deve ingrandire il suo io per vedere meglio il mondo che c’è dentro (e dentro l’io c’è sempre altro, c’è sempre il mondo)
    alle cinque di questa sera queste righe non c’erano. adesso che ci sono nel mondo non è cambiato niente. adesso sembra che non cambi mai niente, ma anche questa forse è solo apparenza

  3. Anch’io sono con te: voglio, voglio più volte la rivoluzione, la voglio per aprire la vertigine dell’in-finito, ossia il regno della libertà. Però, però … Però vorrei ricordare che “rivoluzione” non è concetto letterario, bensì: prassi che si rovescia. È – la rivoluzione – il processo di liberazione dalle griglie condizionanti (materiali e simboliche) della formazione economico-sociale capitalistica. Ecco: non è una metafora, bensì un compito reale e duro. È la condizione stessa della società, il suo non essere “un solido cristallo, ma un organismo capace di trasformarsi e in costante processo di trasformazione”. Ed è la richiesta pressante avanzata alla nostra pratica sociale di “abbreviare e attenuare le doglie del parto”. Non è letteratura, insomma. Ecco l’unico rischio che intravedo nel tuo discorso, Arminio (l’unico, perché il fondo lo condivido): che sia troppo letterario.

    i.

  4. hai ragione cara irene,
    la letteratura è il nostro primo nemico, specialmente quando la facciamo senza forzarne i limiti. la prima ad essere rivoluzionata deve essere proprio la letteratura.

  5. Di niente, Arminio. Piuttosto, ora potete vedere l’uomo che “movimenta” il web. Cliccate sulla foto, eccolo. Se cliccate due volte, la sua faccia esonderà dai vostri schermi.
    Arminio spesso non lo condivido, ma mi piace il suo modo di esibire le “trippe”. Narcisismo? Senz’altro. E chi non è narcisista, tra gli scrittori, scagli il primo sasso dal cavalcavia. La letteratura si fa col sangue, secondo me. O è meglio dedicarsi ai viaggi di Gente Viaggi. Sangue da poseur? Puo’ starci anche questo. Arminio ha capito che bisogna mettersi in gioco e rispondere colpo su colpo. Altrimenti si scrive su una webzine senza commenti. E questo va benissimo; ma qui ci sono i commenti e lo scrittore, l’autore del pezzo, è bene che si sporchi le mani, secondo me. Fine del sermone.

  6. Bel sermone, Franz. Sono pienamente d’accordo. Il punto è agire. Le parole possono insanguinare? Bene, ma non è sufficiente. Chi si mette in gioco veramente viene automaticamente emarginato e ignorato. La grande Cupola si combatte con 100,1000,10000 voci che dissentono. Il dissenso, poi, va gestito coralmente, essere “tanti diversi” disuniti rafforza le Major…

    Ciao
    Marco

  7. mi è piaciuto questo pezzo.
    trasuda esaltazione e verità. una verità condivisibile o meno, eppure degna di considerazione in quanto, appunto, odorante di autenticità.
    la rivoluzione per alcuni è l’unica possibilità. la mia inizia da me, pratica quotidiana, coazione a ripetere. in attesa, movimentata, della pienezza dell’attimo

  8. dovrei propormi come santone degli inguaribili o comuqnue di quelli che non vogliono guarire, quelli che non vogliono sapere di queste migliorie che non migliorano niente, i luminari dell’ansia e del fallimento. un santone che non si fa pagare, ma paga…

  9. Ma Arminio non era quello che si era arrabbiato con Biondillo perché aveva messo il suo faccione in Home Page?

  10. “uno scrittore deve ingrandire il suo io per vedere meglio il mondo che c’è dentro (e dentro l’io c’è sempre altro, c’è sempre il mondo)”

    finalmente.

    paola

  11. “Narcisismo? Senz’altro. E chi non è narcisista, tra gli scrittori, scagli il primo sasso dal cavalcavia. La letteratura si fa col sangue, secondo me. O è meglio dedicarsi ai viaggi di Gente Viaggi. Sangue da poseur? Puo’ starci anche questo.”

    rifinalmente.
    paola

  12. Niccianesimo, null’altro che un pallido distillato di niccianesimo in una forma perbenista di rivoluzione. In pratica: ben più che banale. Come quando a scuola, sui banchi, sin troppo giovani per capire, c’è il solito bulletto che si crede più forte, più “più”; lo incontri vent’anni dopo ed è ancora il bullo d’un tempo, ma vecchio e stanco, costretto nella sua parte. E tu lo capisci.

  13. bisognerebbe affezionarsi alla questioni, non a chi le propone. capisco che è difficile e sono qui a insistere perché penso che la mai sia una battaglia politica. parlare di rivoluzione, come faccio adesso, in un’accezione molto lontana e diversa dal parlare rivoluzionario “tradizionale” mi sembra meritevole di attenzione. e se questa attenzione manca, non è una disattenzione nei miei confronti, ma nei confronti della deriva in cui siamo immersi.

    p.s.

    poco fa alla televisione
    alla domanda chi è più di sinistra tra ferrara e travaglio
    fassino ha risposto ferrara.

  14. anche un mio amico carissimo e comunista ha definito il tono del mio ultimo libro troppo nicciano. e saranno nicciani tutti quelli che vi hanno aderito con entusiamo. a questo punto ci sarebbe da discutere e se si ragiona con calma e se non ci si fa prendere dalle apparenze un pò ci riusciamo a capire i toni che ognuno usa e dove ci possono portare.

  15. Sento per Arminio una profonda simpatia – nel senso più pieno della parola. Una sorta di ad-finitas. Come inquiete finitudini che si approssimano, e si sfiorano nel dibattersi. Questa necessità di rivuoluzione, e rivoluzione in radice. Una rivoluzione di orbite, e un’esplosione di fuochi.
    Però, devo pure dire che chi sta davvero fuori dal mondo e dalla vita, non ha parola. E dire che non ha parola, significa dire che non ha parola pubblica. Chi sta fuori dal mondo e dalla vita, e non conosce dentro, non conosce la presa di parola. Se uno si espone – come Arminio, come me, come chiunque qui “dentro” – non può “dirsi” solo fuori dal mondo, ma occorre che riconosca (anche, quantomeno) la sua internità. Che riconosca la sua condizione di soglia – una condizione non meno tragica, e credo senz’altro non più moderata – anzi.

  16. Insisto: mi pare tutto troppo letterario. E la letteratura è sempre la serpe della conservazione. Il problema, Arminio, è che in realtà tu non stai parlando della rivoluzione, ma di qualcosa di più piccolo, o forse ancora allo stato larvale. Quello di rivoluzione è un concetto vecchio come il mondo, o almeno come Spartaco. E nei secoli l’umanità lo ha precisato. Ora, se tu vuoi riproporlo – e io concordo sulla necessità di farlo – dovresti per lo meno uscire dalla letteratura e spiegarne le sue caratteristiche, quelle sue generali almeno. Ogni società si dibatte tra le possibilità di liberarsi e i freni che vengono imposti a questa stessa possibilità. La rivoluzione è la spinta che rende quella possibilità concreta; è l’esprimersi inventivo della negazione. Ma chiedo: chi rivoluziona e che cosa? Senza queste prime risposte, nessuna rivoluzione può iniziare. O inizia solo la sua nominazione. Letteratura, appunto …

    i.

  17. Il testo è “bello”, il contenuto sicuramente “lettarario”, il niccianesimo non so che c’entri, “quella” rivoluzione per certo non esiste né mai esisterà e questo mondo è il solo mondo possibile e certo non sarà cambiato da qualsivoglia iperplasia artistica di certo necessaria all’espletamento dei comuni bisogni corporali. Non esiste viagra per l’impotenza degli scrittori che sostituiscono un’anima che non esiste al solido esistente microscopio.
    Buonanotte

    Mario

  18. La vera rivoluzione sarebbe invertire il disfacimento, l’entropia semantica che separa i nostri discorsi e costringe a esibire solo più la propria ferita.
    Diventare metafore viventi. E’ questo che intendi, Arminio?

  19. molte cose ragazze in questi interventi e molto sensate. sono le sei del mattino. sono andato a letto alle tre. mi aspetta una giornata paesologica. non so se son nel mondo, certamente sono nei paesi (ed è curioso come nessuno mi contesti lo stridore tra questi miei interventi e il mio mestiere di paesologo).
    caro binaghi
    non so bene cosa si possa intendere metafore viventi, si potrebbe anche dire che siamo metafore del niente o che ci sono buone metafore e metafore scadenti.
    caro mario
    il mondo come unico possibile è questo, almeno in termini cosmici. però si potrebbe cominciare a togliere le pensioni ai signori dell’elenco pubbicato oggi dall’espresso. E con questo rispondo anche a irene. spero che la risposta non suoni banali, ma io non voglio apparire uno che traffica col mistero, un pretino che parla di dio e sfrutta la serva.
    caro marco
    una volta mi facevo chiamare la soglia e ben conosco le insidie e i piaceri della soglia. quando dico di essere fuori dal mando lo dico nel senso di una mia situazione edipica non risolta, dunque nel senso di come è fuori dal mondo un bambino. diciamo che sono fuori dal mondo degli adulti.

  20. sul niccianesimo irpino ci sarebbe molto da dire, un niccianesimo che potrebbe anche essere nominato cioranesimo.

  21. Forse non mi sono spiegato: niccianesimo fatto con due ceci. In pratica: un pentolone enorme pieno di acqua, che tu dici minestra, e due ceci due solamente, di cui uno mangiato in fase di cottura. Un fallimento.

  22. Arminio è un grande. Ha la stoffa del grande scrittore. E’ una delle poche vere novità qui in Italia. Scrive e pensa in grande con esame microscopico. Così risuona il cosmo. Il suo occhio sensibile vive geologicamente la vita. La sua res humana è destinata al superamento di sé: essere in questo mondo senza essere di questo mondo. Estingue in sé l’origine infetta del mondo. Risveglia il dolore che non si sente più perché ci siamo resi insensibili. Il suo è un grido cosmologico che attraversa lo spazio e il tempo come un’eco: ricordate il vostro dolore! recuperate la vostra sensibilità! Tornate bambini! Lui è affetto da una Sana Malattia! Il suo è il colpo d’occhio che sorprende la res facti sul fatto. I fellah dello spirito comprano e vendono altrove. Ma qui il puro splendore del suo pensiero – tante scaglie di un unico cristallo – vigila come una stella del firmamento.

  23. In questa prospettiva, che sia posa o verità poco importa, due ceci o un milione, o una mescolanza delle due cose, come la foto molto ingrandita con ben evidenti i quadratini dei pixel che nella loro mescolanza danno l’insieme, si scriverebbe non per se stessi soltanto, ma per una specie di consegna di cui non si conosce la causa e nemmeno lo scopo, il fine ultimo. Per un’urgenza superiore alle forze e alla volontà, ma anche per ipotizzare una diagnosi, un’ananmesi e una terapia, un coperchio al vuoto, ali di cera e sogni per volare chissà dove. Insomma la cura è la malattia e la malattia è la cura.

  24. in un altro post di arminio discutemmo sarcasticamente proprio di minestre. ci lasciammo male tra vapori cucinati.
    lui disse che non voleva rispondermi… una cosa così.

    sento la bellezza vera dei testi e ne frego se arminio non mi vuole rispondere e me ne frego e passo avanti quando leggo roba tipo “mi pare tutto troppo letterario” eh???? ma cosa? cosa vuol dire? uno che usa le lettere fa letteratura e uno che si fa usare dalle lettere è un poeta. arminio fa entrambe le cose e le fa eccellentemente a dispetto della cerchia di quelli che infilano una lettera dopo l’altra così tanto per fare un po’ di circo pubblicitario ad effetti speciali, nei quali mi capita di rientrarci pure io, ogni tanto.
    un saluto
    paola

  25. @ luminamenti

    Oddio!!
    “Estingue in sé l’origine infetta del mondo”

    E come si invera? Cosa vuol dire? Perché infetta? Chi ha infettato l’origine, ed il mondo? Come risuona il cosmo? Come può dirsi che non si sente più il dolore? Come si vive geologicamente?

    Urge indagine di mercato, ed un saluto

    Mario

  26. Anch’io apprezzo il modo in cui come dice fk, arminio “esibisce le trippe”.
    E molto spesso anche i testi. E sempre il modo in cui sta valorosamente qui a rispondere ai suoi lettori.

  27. Fuori dal mondo degli adulti, sì, è un’articolazione necessaria, o forse una disarticolazione, recuperare uno sguardo puro – e qua, io credo, non c’è da contestarti la tua forma di vita paesologa, ché lo sguardo del bambino è cartografico, credo. Materico, e insieme, in qualche modo, mistico e fusionale. E’ quello sguardo che riconquisti quando stai sulla soglia del mondo, quello sguardo di luce che conquisti quando vivi sul bilico. Ed è per questo che sento come una ferita non poter tornare a vivere, come ho fatto per qualche anno, sul limitare del bosco. Non in mezzo, appunto, nè in una radura – ma sul limitare (si tratta evidentemente, di fare del caso virtù). Sono stato ricacciato nel mondo, e ho perduto la pienezza di quello sguardo infante, barbaro. E pure, me lo porto dietro come costante rammemorazione, come memorandum che mi impone di riorientare lo sguardo quando questo cade a terra (quando, come mi ha detto un ragazzo marocchino che ha scontato brutali esperienze nel nostro sud agricolo, “hai un peso su collo e lo sguardo ti cade”).

  28. in tutto ciò dov’è quella che chiamasi ‘la realtà’? intendo, oltre le parole, l’ombelico spiritualeggiante, vagamente irrazionalista o nicciano degli autori qui su, qui intorno? ah certo, alla fine spunta il ragazzo marocchino. e siamo rivoluzionari, sì, rivoluzionari.

  29. tashtego, c’è la concreta possibilità che non si tratti di dissolvimento tout court, quanto piuttosto di un varco infradimensionale che punta chissà dove. Magari ti ritrovi dentro una bettola irpina a scolare falerno (ipotesi alcolica). O magari consustanziato nella costellazione dell’Io scrivente, dato il suo evidente potenziale attrattivo da buco nero (ipotesi egotica). O magari imprigionato su N.I. in un flusso di bit millenaristico (ipotesi e-gotica).

    Sia come sia, quando diventerà una popstar maledetta in stile Marilyn Manson, qualche produttore dovrà investire su “Essere o Non Essere Franco Arminio”, remake italo-nicciano del film di Jonze, un film pieno di alberi, motoseghe e nessun convenevole.

  30. caro fake, citavo il ragazzo marocchino perché sono stato ieri con lui, e tornava da questa esperienza che lo ha stravolto, e io ne sono stato stravolto. Quella frase mi ha fatto riflettere, e mi ha riflesso. Punto. Non era certo per dare patenti di “realtà”. Ma che cos’è la realtà, questo dovresti dircelo tu, che lo sai.

  31. Bello. Son d’accordo che il narcisismo è utile, che l’inquietudine del dover morire è la miccia verso la creatività, la bellezza, l’intensità della vita. Che ognuno questa rivoluzione estetica (ed etica) può farla nella sua giornata. Che credo nell’ideologia dei comportamenti e non delle parole. A questo proposito, ho appena finito un romanzo di una bellezza devastante: “Everyman” di Philip Roth.
    Ciao.

  32. “Per quanto mi riguarda non posso che condividere il rifiuto dello storicismo idealistico crociano e marxista. E sono anch’io contrario a quelle forme di storicismo volgare che immaginano la storia come una perfetta sequenza di causa e di effetto, un tempo lineare e continuo. Ma quando all’insegna dell’antistoria trovo un fronte larghissimo che va da Cassola a Citati, dalla Ginzburg a Elsa Morante, da Montale a Pasolini a Manganelli e a tanti altri, davanti a questo piatto dove galleggiano resti di Nietzsche, Heidegger, Valéry, Rilke, Guénon, Camus, Gandhi, e un po’ di zen, vien voglia di dire ‘grazie, ho già pranzato’.”

    chi è? booh. e comunque, da fake, da cursore, esprimevo soltanto un fastidio, una idiosincrasia perchè mi pare che da qualche tempo lo spazio di cui sopra è occupato irriducibilmente da questa ondata post-new age. strano che garufi non sia ancora apparso. decostruzionismi, riflessioni sull’origine e il fondamento, cocktail di vago marxismo e puntuto esistenzialismo, poetiche egotiche in bello stile. tutto ok, a patto che non si passi il limite (la ridondanza).

  33. E’ Fortini (facile, ho usato Google ;-) – però la presenza di Pasolini in quella schiera era un indizio forte…).
    Sono d’accordo, è una questione di misura. E condivido che venga la “voglia di dire grazie ho già pranzato”. In fondo (in realtà, soprattutto a pelle) il No ci fa scudo, ci pone sempre in attrito, e ci spinge salutarmente a vedere sempre le cose dal buco del culo, per così dire. Ma è salutare pure saltarlo il limite, eccedere “per versi”. Del resto (per restare alla concretezza del marmo delle mie zone apuane) non c’è verso senza contro…
    Che ci sia un Arminio che si espone nel suo modo/mondo – ciò è bene, a parer mio. Che si indaghi (fallimentarmente, va da sé) sul fondamento e sull’origine, ciò è bene. Per quanto mi riguarda, ascoltare e cercare di comprendere e cercare di ri-scrivere la condizione del sottoproletariato migrante, è tutt’uno con quest’indagine. E’ il contro del verso, diciamo.

  34. mi sembra sia d’accordo sulla necessità vigile di ‘segnalare gli incendi’ possibili. dell’indistinzione, dell’indistinto. il regime dell’eclettismo, il senso ‘confusivo’, abbattiamo le frontiere, allarghiamo la percezione, marx + fromm, vaghezza semantica. oltre tutto l’importante non è il ‘cosa’ vi state dicendo e scrivendo, è il metodo.

  35. Se capisco bene, chiedi un senso definito alle scritture. Non mi pare che su Nazione Indiana questo manchi. Mi pare che il senso di ciascuna scrittura sia sempre enunciato con chiarezza. Non vedo il rischio confusivo che tu dici, ma posso sbagliarmi.
    Quello che non capisco però è quando dici “il metodo”. Intendi che qui si sta parlando di noi stessi?

  36. discorso complesso, direi fondativo. comunque è un vecchio punto, negletto, valido anche a proposito della Savianeide. per procedere, sarebbe utile un discorso sui metodi. non lasciare irrelati aspetti come il successo o l’insuccesso editoriale; presenza, funzione e modi di ricezione di uno scrittore o di una scrittura all’interno del campo letterario; poetiche e idee di letteratura (e di ‘mondo’); qualità o limiti di stile; traiettorie del suo percorso (non basta un libro: c’è una freccia, una direzione di significato nella sua ricerca? è coerente? si ha la forza di creare palinsesti, come in un unico ‘macrotesto’, ancorchè plurale? inciampa, tradisce, come prosegue?); e soprattutto valutare il metodo, l’officina, il laboratorio, il cantiere di uno scrittore o di una scrittura. come si lavora? perchè, se si scrive, si scrive in un certo modo? non il risultato, la forma finale, ma i processi di formazione. eccetera. sarebbe interessante inaugurare una rubrica tipo ‘metodi’ (come ‘gusto’ alla fine del tg5), per capire, svelare, interrogare i metodi di lavoro di arminio, rovelli eccetera eccetera. saluti.

  37. per me il metodo serve anche se vuoi raccontare di essere uscito a far la spesa. La vaghezza semantica o è un modo per conservare la ricchezza dell’unione dei contrari o è una furbizia per celare la propria incapacità di argomentare. Anche chi usa l’indefinito argomenta a suo favore. L’estetica del vago non può sfuggire ad un’etica del linguaggio. Se non dici chi sei, cosa vuoi, che cosa vuoi combattere, quali mezzi vuoi adoperare allora non vuoi agire, se non attraverso un lirismo conservatore.

  38. “L’estetica del vago non può sfuggire ad un’etica del linguaggio.” D’accordo. Il linguaggio (e la scrittura, che di etica si nutre- Sini docet…) si radica in una forma di vita, e quella forma di vita va dichiarata. Però: non basta la scrittura stessa a dichiararsi? Una forma di vita non è già dichiarata, esposta in una scrittura?

  39. Sono appena tornato dalla mattinata paesologica e ringrazio tutti quelli che hanno espresso parole di umana comprensione e anche apprezzamento per la scrittura. A chi mi dà la sua mail posso mandare alcuni dei testi che scrivo sui paesi. Mi sembra che lì dentro si realizzi una giusta sintesi tra le cose che vado esponendo su nazione indiana e lo sguardo sulle cose. Qui l’aereo vola con una sola ala….
    Torno qui verso il tramonto e cerco di rispondere meglio. Adesso vado a Cairano, dove non mi aspetta nessuno.

  40. svelare capire interrogare.
    povero, povero flaubert (per fare un esempio)
    sarebbe bastata una rubrica al Tg5 per evitagli il processo.
    a saperlo.
    un saluto
    paola

  41. è proprio vero. come diceva lui, per fare solo un esempio, il sogno è un’arte fatta solo di parole, fatta di niente, fatta sul niente. dove anche sangue e carne, corpo e materia, come nelle tue scritture (ridondanti) si fanno solo rumore e sanno di niente. ora, ti prego, fallo solo per me: non sproloquiare di queste ‘parole’ col tuo stile nominale e assertivo, elencatorio, in-finito. niente di personale. meglio i ‘paesi’ di arminio.

  42. tornando a casa pensavo a prodi che dice alla televisione: il calcio è fermo. da domani la domenica dedicatela ai poeti.

  43. Franco,
    mi sa che con i poeti, le domeniche, ci scapperebbero anche più morti. No? (sangue inutilmente versato).
    :-)

  44. ma è una strage già adesso, tutti scontenti, tutti appesi a cose che durano un minuto e poi devi ricominciare tutto. prima accadeva una cosa e sapevi dove sistemarla e dove andarla a prendere se ti serviva. tutti i pensieri che sono comparsi oggi su questa colonna prima ti arrivavano in due anni. siamo naufraghi in mezzo alle parole. è vero, la storia non è finita, come dice magris, ma prosegue soprattutto a parole (a cominciare da quelle che si dicono in queste ore sulla violenza negli stadi)

  45. @NI3

    H2SO3

    :-)

    paola

    ps: tra le materie che le ridondano non si dimentichi più d’elencare
    sperma, saliva, muco, merda, orina, pus.
    grazie.

  46. cara polvere
    se mi mandi la tua mail mi piacerebbe tenerti aggiornata sulle mie scritture, ogni tanto, ovviamente.

  47. il mio indirizzo di posta elettronica è
    farminio@libero.it

    questi interventi su nazione indiana non sono pagati e non fanno punteggio per la carriera univesitaria (ma non è un problema perché io sono maestro elementare)
    questi interventi dovrebbero servire almeno a trovare qualche persona con cui poi il discorso continua da un’altra parte, tranquillo e appartato.

    stamattina sono penosamente triste. la giornata mi sta davanti come un muro invalicabile. più che cercare aiuto dovrei aiutare, ma anche questo è difficile

  48. “VENITE A PRENDERVI
    QUESTO PEZZO DI NOSTRO CUORE
    E TENETELO CARO, COME UN AMULETO
    CONTRO LA BARBARIE CHE AVANZA,
    COSI’ ALLA MODA,
    COSI’ FURBA E FUNEBRE”

    per chi non l’ha mai vista credo sia un’esperienza necessaria andare a vedere mariangela gualtieri

  49. A me Arminio piace. Se penso a tutta quella ferraglia letteraria che va in televisione e che invece di approfittare del culo di un uditorio vasto si limita a sputacchiare battute spiritose.
    Invece Arminio mi piace.

  50. ieri sera ho visto un programma tutto dedicato a uno scrittore. mi è sembrato ben fatto e mi è sembrato giusto farlo. mi chiedo perché lui e non altri, perché dopo lui non altri

  51. caro arminio
    si capisce che è tutta colpa delle donne e degli scrittori che si credono importanti. la tua scrittura è vivissima grazie a quelli che ti amareggiano il cuore, il cuore, il cuore, il cuore.
    io posso darti quello che vuoi, che vuoi che vuoi che vuoi
    ma
    temo che gli altri gli altri gli altri,
    gli scrittori che si credono importanti,
    non ti daranno nulla
    nulla nulla nulla nulla nulla nulla

  52. Io, invece, la settimana scorsa, ho visto un programma nel quale uno scrittore, che avrebbe avuto tante cose da dire, si è recluso in una chiacchiera amabile. Se c’è una cosa che odio è la chiacchiera amabile.

  53. Poi ne ho visto un altro, Piero Sorrentino, e mi sono detto: “Questo è uno scrittore. Così deve parlare uno scrittore in televisione. Mi piacerebbe vederne di più, come lui, in televisione”.

  54. poco fa in una lettera privata un amico mi faceva notare che non dobbiamo inventare un nuovo corpo ma proteggere quelli esistenti. e poi mi faceva anche la sensata obiezione che la rivoluzione si fa con gli altri. il punto è tutto qui. in che modo, in che luogo possiamo raccoglierci?
    certamente non in televisione o attraverso la televisione.

  55. no, caro nicolò. io voglio il mondo, voglio teste spalancate.
    parlavo di questa televisione. è chiaro che se il miserabile centrosinistra fosse un pò rivoluzionario e cambiasse la televisione, è chiaro che sarebbe un luogo anche quello. sottolineo anche…

  56. Per ora l’unica forma di resistenza praticabile è quella policentrica. Un po’ come facevano i partigiani. O, meglio, come predica Chomsky. Ma il mio riferimento alla televisione non voleva certamente immaginare un traghettamento di noi tutti in televisione. Pensavo, piuttosto, all’esito mortificante di certe apparizioni letterarie nel tubo catodico, facendo, per comodità, del tubo catodico metafora del tutto da cui si è estromessi. Insomma, va bene le postazioni appartate ma collegate tra loro come unica occasione di resistenza, ma perché quando si esce da esse, il massimo che si riesce a fare è la battuta spiritosa? Non dico di cercare il Messia (anche perché ci sono solo sacerdoti), non dico di lavorare come pedagoghi (anche perché abbiamo solo pedagogisti), insomma, non credo a queste stronzate, ma almeno non prostituiamoci regolarmente con la chiacchiera amabile.

  57. capisco e condivido.
    il guaio è che oggi quando tentiamo di metterci insieme nascono tanti equivoci.
    pensa al mio testo. c’è un contenuto, ovviamente opinabile, ma c’è anche una musica e se questa musica non ci fosse stata non lo avrei pubblicato. occorre avere il coraggio di dire che la musica non c’è sempre, che la musica non ce l’hanno tutti, altrimenti si cade nell’autismo corale (tema di un libro a cui sto lavorando)

  58. Va di corsa questo testo. Veloce come il treno che si deve prendere e c’è quella fermata e tu lo sai.
    Porte che si aprono e dentro c’è l’odore di treno, non c’è la luna.
    Eppure la luna si racconta.

  59. Il testo è bello, per carità. ma è ancora ” letterario”. fuori dal mondo? fuori dal mondo è chi non ha voce per niente. i braccianti agricoli. i muratori. quelli caduti in disgrazia. gli alcolizzati per scelta e quelli per forza. i poveri di spirito, li vogliamo aggiungere? tu la tua bella platea mi pare che ce l’hai, fai pur sempre parte di una comunità, seppur viruale. ciao

  60. bello cara elena il modo di leggere questo testo.
    caro rostand
    il problema non è di avere due o cento commentatori.
    nessuno è fuori dal mondo. il problema è di vedere quanto crediamo al mondo che c’è fuori di noi. sono discorsi difficili. qui si possono solo avviare, poi magari chi a pazienza li prosegue altrove. io ho messo apposta la mia mail in un precedente commento.

  61. Ma la platea secondo me non conta, è la relazione quella che fa il gioco.
    Anche nelle parole. A volte alle proprie parole si dà poco la possibilità di essere sovvertite da altri.
    Suppongo che per i braccianti i fuori dal mondo siano tutti quelli incapaci di sollevare anche una piuma, fisicamente una piuma.

  62. Franco caro, ti scrivo in pubblico perché ho poco tempo per tornare sulla mail. E’ inutile che fai il rivoluzionario. Ti devi prendere l’Entact, e lo sai bene! Nicciano o non nicciano, è Ciasullo il nostro salvatore. Ti viglio bene, fratello. Andrea

  63. fratello andrea
    prendere l’entact,
    o prendere l’amore,
    dilemmi di questi giorni…
    intanto ho preso il raffreddore….

  64. Il gesto di Franco Arminio.

    Fatti noi quasi di sovrapposte lamine (Margherita Guidacci)

    …Così quando Quine in From a Logical of View, alla domanda che lui stesso si è posta: che cosa c’è? risponde, con tranquilla ironia: c’è tutto.

    Uno degli atti dell’universo è stato appena compiuto. Poi, più nulla. Restava il soffio, fine di ogni parola e gesto uniti – soffia sulla candela dell’essere, in virtù della quale tutto è stato. Prova. (Igitur, Mallarmé)

    Perfetto. C’è una musica e se non ci fosse stata non l’avrebbe pubblicato.
    Avevo detto: risuona il cosmo. Noi siamo il cosmo. Un microcosmo che rispecchia il macrocosmo. Se tu suoni bene lui ti risponde.

    Apro una parentesi. Ho assistito personalmente a questa verità partecipando a una preghiera di un gruppo Sufi dopo un’estenuante ricerca durante un viaggio in Turchia. Ho assistito all’impossibile.

    Ma tornando ad Arminio. La paziente emersione della sua scrittura cantabile, che ora si leva chiara e vibratile, io la vedo come risultato di una vita assorta a raffinare l’eloquio fino a farlo coincidere col cuore.

    Armino pratica l’arte.
    L’arte è la sua capacità (la capacità della mente quando si manifesta come pura attenzione) di riflettersi mercé suoni o tocchi di pennello o colpi di mazzuolo o frasi ispirate (Elémire Zolla).
    Arminio possiede ed è posseduto dall’arte.

    La musica quando riesce è estetica. L’estetica è sensibilità: chiara mente naturale m’insegna un maestro del Sang-ngak-cho-dzong ! Il non sentire è sempre un non sentire abbastanza. Vale a dire, un non sentire abbastanza realtà. Ma di realtà c’è ne più di quanto uno creda! Il soldato che sgancia le bombe dal cacciabombardiere non vede e non sente che cos’è, la gamba del bambino ridotta a poltiglia, la sua vita per sempre azzoppata, accecata, umiliata. Lui agisce solo in base al desiderio di eseguire gli ordini alla perfezione. Non sente abbastanza realtà. Non sanno quello che si fanno, disse Qualcuno. Questo è il senso della parola “sapere” in questo contesto. Quanto più il sentire è ottuso e insufficiente, tanto più spazio prende quella componente pulsionale-aggressiva, e più in generale tendenziale, e tanto più viene a contare nei comportamenti. Uno che giudica sempre in modo “ideologico”, ad esempio, è uno che vuole sempre arrivare da qualche parte. Non ha bisogno di mentire per ignorare il vero. Una sua paradossale esemplificazione è la proporzione inversa che spesso si osserva tra sensibilità ed eccitabilità, o fra adeguatezza del sentire e agitazione emotiva. C’è un piccolo gioiello letterario, la pièce giovanile cechoviana Ivanov. Quest’uomo “inutile” è un bell’esempio di di emotività al limite dell’isterico, tanto più sfrenata e autocompiaciuta quanto ridotta pare l’estensione o la profondità del suo sentire – quanto più al fondo, arido e indifferente è il suo cuore.

    Come rivoluzionare?
    Chi non sa fare altro che giocare con la vita ha bisogno del gesto, affinché la sua vita divenga per lui qualcosa di più reale di un semplice gioco passibile di venire orientato in qualunque direzione. Nel mondo della merce – che è il mondo della reversibilità generalizzata, in cui ogni cosa si confonde e si trasforma nell’altra, in cui non vi è altro che equivoco, transizione, effimero e mescolanza – soltanto il gesto taglia di netto. Esso incide, nel lampo della sua geniale brutalità, un’irredimibile “dopo” all’interno di un “prima” che a malincuore si sarà costretti a riconoscere come definitivo.
    Il gesto è evento. Ognuno di noi deve trovare il suo gesto. In un mondo abitato ormai da uomini senza gesti. Arminio ha trovato il suo. E’ evidente! Il suo gesto apre una ferita nel caos del mondo, e conficca al fondo di questa ferita il suo coccio di univocità. Si tratta per lui di fissare così profondamente nella loro diversità le cose ritenute differenti, che ciò che le ha separate non possa mai più, in alcun modo, essere cancellato.
    E’ bene notare che, per quanto privato di tutto, l’uomo dispone ancora, nella sua nudità, di un’incoercibile facoltà metafisica di ripudio: quello di dare la morte agli altri e a se stesso. La morte, ogni volta che sopraggiunge, produce uno strappo ignominioso nel tessuto del corpo del mondo. Il nichilismo compiuto – che non ha compiuto un bel niente eccetto la dissoluzione di qualsiasi alterità in un’immanenza circolatoria senza confini – è costretto comunque a subire, in questo caso, una sconfitta: a contatto con la morte, la vita cessa improvvisamente di essere qualcosa di scontato. Il dovere di decidere, che sancisce ogni esistenza propriamente umana, è sempre stato intimamente connesso all’incontro con questo abisso.
    Michael K, il personaggio principale del meraviglioso romanzo di J.M. Coetze, La vita e il tempo di Michael K, è una figura del rifiuto assoluto.
    K. è sempre attivo e in movimento. E’ un giardiniere, un uomo comune, così semplice che non sembra neanche appartenere a questo mondo. In un paese immaginario, diviso dalla guerra civile, egli viene continuamente bloccato da gabbie, barriere e posti di blocco costruiti dalle autorità, ma cerca con calma di rifiutarli e di continuare a muoversi. Michael K non si muove per il gusto del moto perpetuo. Le barriere non arrestano solo il movimento, ma la vita stessa: con il suo rifiuto assoluto egli vuole rimettere in moto la vita. Vuole soltanto coltivare zucche e curare la vigna. Questo è il suo gesto! Il rifiuto dell’autorità da parte di K è assoluto e la sua assolutezza e semplicità lo pongono a un livello di purezza ontologica altrettanto assoluta. K si avvicina al livello della nuda universalità: un’anima umana al di sopra e oltre ogni classificazione, un semplice homo tantum. Questi uomini comuni, con il loro rifiuto assoluto, non possono che sedurre la nostra avversione per l’autorità – e in particolare il rifiuto della servitù volontaria è l’inizio della liberazione. Molto tempo fa Etienne de la Boétie ha sostenuto una simile politica del rifiuto: “Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi; non voglio che vi scontriate con lui (il tiranno) o che lo facciate crollare, limitatevi a non sostenerlo più e lo vedrete, come un grande colosso cui sia stata sottratta la base, cadere d’un pezzo e rompersi”.
    La Boétie riconobbe il potere politico del rifiuto, il potere di sottrarci alle relazioni di dominio e di sovvertire, nel corso di un esodo, il potere sovrano che ci sovrasta. Questo rifiuto è certamente l’inizio, l’inzio della liberazione, ma è solo l’inzio. In se stesso il rifiuto è vuoto. Michael K è un’anima bella, ma il suo essere assolutamento puro sta in bilico su un abisso. La sua linea di fuga dall’autorità è completamente solitaria e procede sul bordo del suicidio. Come dice Spinoza, se ci limitiamo a separare la testa del tiranno dal corpo sociale ci ritroveremo tra le braccia il cadevere mutilato della società. Abbiamo bisogno di creare un nuovo corpo sociale, un nuovo mondo vita, una nuova comunità arricchita dall’intelligenza collettiva e dall’amore della comunità e da quella intimità a cui si perviene quando si abbandona l’idea che soltanto io conosca la mia persona privata e che sia impossibile conoscere gli altri: l’intimo è il prossimo e tutto esiste mercé l’intimità.

    Nel folto della giungla impenetrabile
    Dondolano le scimmie,
    Scivolano i serpenti,
    Si succedono i giorni e le notti.
    All’improvviso ti vedo,
    A strisce come sole e ombra unificati.
    Frughi e annusi con calma, le orecchie diritte,
    Ascoltando suoni che strisciano e suoni che frusciano.
    Hai antenne ipersensibili.
    Spostandoti dolcemente, battendo ogni luogo,
    Premendo le zampe munite di artigli,
    Muovendoti camuffata dal sole,
    La tua meravigliosa pelliccia splendidamente pulita
    Non è mai stata toccata o manomessa da nessuno.
    Ogni pelo vive di vita propria.
    Nonostante il tuo balzo felino e le elusive imprese di soppiatto,
    Fingendoti mite,
    Sbavi leccandoti la bocca.
    Sei affamata di prede.
    Sobbalzi come una giovane coppia nell’orgasmo,
    Spieghi alle zebre perché sono bianche e nere,
    Sorprendi gli orgogliosi cerbiatti
    Insegnandogli il senso dell’umorismo assieme alla paura.
    Quando ne hai abbastanza di vagare nella giungla
    Balzi come un rappresentante del sole:
    Fiuti balzi afferri sbrani artigli:
    E una tigre così mite raggiunge il suo scopo.
    Che splendore essere una mite tigre!
    Vagare, vagare senza fine,
    Balzare, balzare con scaltra mitezza,
    Leccarsi i baffi con un rutto appagato.
    Oh, che bello essere una tigre!

  65. grazie luminamenti. stampo il tuo intervento e leggo con calma. intanto mi pare un gesto di smisurata attenzione, oltre che a me, a quello che gli uomini hanno fatto e faranno. sono gesti un pò folli, quella preziosa follia che stiamo perdendo in cambio di un pò di venale senso pratico.

  66. Tanto per precisare: il chiamarsi fuori dal mondo di intellettuali o artisti quale te, farminio, non può certo dirsi equivalente al “sentirsi” ingiustamente fuori dal mondo dei manovali, braccianti et similia. per alcuni di essi ( tanti, credetemi, io li ho conosciuti, li conosco, vivo per le disperanti strade del sud) stare al mondo in modo degno è avere un suv parcheggiato nel garage, una bella casa, magari con piscina etc…insomma, avere la “roba”. triste, ma è così, come ben magra soddisfazione per essi, che si evapora come brina al sole, è saper di poter alzare cinquanta kg con un solo braccio, quando l’emaciato e ricco signorotto di turno gli sputa in faccia i veleni del suo cafonissimo gippone, non so se mi spiego. cmq mi ripropongo di leggerti su cartaceo, arminio. promesso.

  67. gli scrittori importanti qui non si fanno vedere………….
    hanno altro da fare……………….
    arminio ha fatto e sa fare assai meglio…………..
    arminio è un millepiedi……………..
    gli altri hanno due piedini e li tengono nelle pantofole………………….
    la rivoluzione verrà presto………………………
    gli scrittori famosi non saranno più tali……………………..

  68. sono un’amica di arminio, leggo i suoi testi da trent’anni, le poesie che arminio scriveva all’inizio degli anni ottanta sono tra le più belle poesie mai scritte in italia, le poesie che nessuno ha letto, le poesie che portava nelle tasche cercando qualcuno che le volesse leggere

  69. aspetto che mi rompo una gamba per scegliere tra quelle migliaia di poesie giovanili quelle che mi piacciono ancora adesso. mi piarebbe almeno contarle, credo che non saranno meno di cinquemila, escluse le varianti allo stesso testo

  70. ma fatevi visitare, e da uno bravo se possibile…

    vedere poi gente, come tashtego o alcor, che si accoda a questo osceno teatrino di esaltati senza remissione del ridicolo, la dice lunga sul valore dei blog e sulla loro (imminente) ignobile fine.

    requiescant.

  71. veramente non mi accodavo.
    però ho deciso di leggere Franco Arminio.
    allora ieri mattina alla libreria dell’Auditorium di Roma – al termine della bella lezione di storia di Anna Foa sul rogo di Giordano Bruno – chiesi allo scortese e annoiato giovane che sedeva al banco delle “informazioni” di quali titoli di Franco Arminio disponeva la libreria e quello ha fatto la sua ricerchetta, poi ha detto “nessuno”.
    nessuno? ho detto io.
    nessuno, ha risposto lui, che si vedeva che già gli giravano.
    la ricerca prosegue, sto dando un senso a questi miei giorni.

  72. caro t
    puoi chiedere direttamente all’editore sironi
    il mi viaggio nel cratere
    l’ultimo, circo dell’ipocondria,
    da poco è stato ristampato e presto sarà più facile trovarlo.
    un pò di testi inediti posso mandarteli in via elettronica se mi dai la tua mail

  73. caro farm
    so che posso chiedere a sironi e se costretto chiederò.
    però io sono di quelli che gli piasce avere un libro tra le mani prima di comprarlo, che se lo sfogliano dalla fine, lo leggiucchiano, lo squadernano leggermente togliedogli la verginità per poi, se del caso, scegliersi una copia intatta in fondo al mucchio: al mucchietto, diciamo.
    prossima tappa: feltrinelli a viale g. cesare: magari ce l’hanno.

    domani invece esce il mio, di libro:
    Francesco Pecoraro, Dove credi di andare, Mondadori, sedisci euri per duecento pagine.
    compratelo e non ve ne pentirete.
    forse.

  74. Sono un amico di Arminio da 25 anni, credo, forse di più. Non ne sono sicuro perchè mi sembra di conoscerlo da sempre. Come da sempre conosco i suoi versi e vi dico che di poche cose sono sicuro e che una di queste è la bellezza e la forza di questi versi. Non faccio altro che riempire la mia casa di libri e passare la gran parte delle notti a leggere, invece che a riposare, e posso assicurarvi che pochissimi autori, veramente pochi sono al livello di Arminio, anche tra i cosiddetti classici. Quando questi versi saranno conosciuti, spero presto, mi darete ragione.
    Ha scavato per anni. Ha tolto come uno scultore la pietra in più che era intorno alle sue figure e soffiato con paziente nervosismo intorno alla nebbia che copriva le sue illuminazioni. Pulito e levigato i gradini che scendevano dentro di sé. Vedrete i risultati.
    Ma questo sarebbe solo esercizio letterario. Arminio non è solo questo. Sarebbe veramente riduttivo e quel che produce andrebbe ad aggiungersi alle centinaia di libri che affollano inutilmente gli scaffali delle librerie.
    Arminio è anche una sentinella politica e militare. Così lo chiamo quando ci incontriamo. La sentinella dell’Irpinia d’Oriente. I suoi scritti non sono esercizi di stile, ma una personale rimessa in gioco in ogni pagina e questo scritto che compare qui lo dimostra. E nello stesso tempo è una chiamata alle armi. Non della rivoluzione fin qui pensata, ma una presa di coscienza della nostra mente, della nostra vita, del cambiamento necessario, vitale, impellente. Oppure la nostra fine sarà veramente miserevole. Che fortuna avere Arminio come compagnia alla nostra passeggiata terrestre!

  75. In bocca al lupo, Tash! Ho visto i temi della tua raccolta: “le conseguenze della lotta per la sopraffazione altrui, che costituisce la principale attività del corpo sociale d’Occidente”. Molto interessante.

  76. leggerò anche io, caro t.
    per nel corpo sociale d’occidente è in atto una terza guerra mondiale, una guerra non tra gli stati ma tra gli individui.
    la guerra tra gli scrittori prende forme assai penose.

  77. arminio!
    manco alla feltrinellona di piazza argentina hanno un tuo titolo.
    maledetti.
    però mi hanno detto che sta per arrivare il circo dell’ipocondria.

  78. “pace non cerco guerra non sopporto” (dino campana).
    C’è la concreta esigenza di una rivoluzione (estetico-nicciana-narcisistica) e la voce di Arminio la condivido in pieno.
    C’è il sogno di una rivoluzione che ti faccia cambiare pelle e sensazioni.
    C’è il desiderio di una rivoluzione accanto ai millepiedi e lungo strade larghe di sole…

  79. ‘C’è la concreta esigenza di una rivoluzione (estetico-nicciana-narcisistica)’

    chiamasi ‘sovversivismo piccolo-borghese’. è ambivalente: si generalizza il concetto di ‘rivoluzione’, vitalismo, eccetera. può portare nella stessa misura alla rivoluzione proletaria ma anche all’imperialismo, al nazionalismo, alla guerra.

    cordiali saluti

  80. Sono una “comunista” in erba
    Ci provo , ad essere comunista, ci provo e non demordo nonostante la mia infinita finitezza.
    Essere comunista significa prima di tutto prendere atto della propria finitezza, guardarci dentro spietatamente, guardare la miseria, l’egoismo, la pavidità, l’avidità, la vigliaccheria, l’opportunismo, la saccenza, l”ignoranza”, la pigrizia, l’arroganza, il male insomma di cui siamo fatti, la PAURA
    Riconoscere che siamo fatti di questo ma anche della possibilità di riscattarci.
    Prendere atto che la barbarie che riconosciamo fuori ,noi la contempliamo in noi stessi, tutta intera e non ne siamo mai immuni per sempre, non siamo mai defintivamente “salvi”.
    Viviamo di piccole barbarie tutti i giorni, camuffate dall’ ineluttabilità del vivere, dal “fine che giustica i mezzi”, dallo stato di “emergenza” in cui si trova sempre la nostra vita e l’umanità e allora tiriamo fuori tutti i nostri begli alibi.
    Ne abbiamo uno per ogni situazione che ci inchioda alle nostre responsabilità, alla nostra miseria e che ci costringe a guardare.
    Ne abbiamo di grandi e piccoli, ne abbiamo per tutti i gusti.
    Basterebbe metterci in un campo di concentramento e la necessità stessa di sopravvivenza ci metterebbe nella condizione di esprimerla tutta, la barbarie.
    E questo penso sia il motivo, a volte, del silenzio di molte vittime dell’olocausto;
    essere stato sottoposto ad una prova tanto disumana , l’averti tolto ogni alibi e averti messo nella condizione di riscattarti o maledirti in una situazione al limite delle possibilità umane, deve aver lasciato dentro un’impronta talmente grande di inadeguatezza e di “colpa” da dover nascondere e tacere, almeno con gli altri, con gli altri che non hanno visto e subito l’”ORRORE” della “BARBARIE”
    Il comunismo non può prescindere dalla consapevolezza, perché è la consapevolezza stessa.
    Metto in comunione tutto quello che ho con te perché sei uguale a me, perché siamo naufraghi sulla stessa isola, perché siamo umani con lo stesso destino, perché io ti riconosco un mio pari, perché tu sei il mio specchio, perché io esisto perché esisti tu, perché il mio dolore è come il tuo, la mia gioia è come la tua, la mia paura è come la tua.
    Ma la consapevolezza non ci folgora per sempre, non ci illumina per sempre, la consapevolezza la si ottiene per gradi, a fatica , durante tutto il percorso della vita ed è per questo che mi definisco una comunista in erba, che la strada è lunga ed infinita.
    Essere comunisti significa farsi carico di una grande responsabilità, quella di essere UOMINI.
    E riconoscerci, avere la capacità ed onestà di sorprenderci spesso “caporali” ci dà la spinta orgogliosa a non farci piegare le ginocchia dalla paura.
    Indulgenza e coraggio
    Sono “comunista”, o meglio aspiro ad esserlo.
    È la mia spina al fianco perché mi riesce bene, essere COMUNISTA , quando mi sento in condivisone con gli altri, la condivisione dell’anima, gli altri che incontro in modo ideale, nel mio pensiero, nei miei momenti magici, quando sono in comunione spirituale con me stessa e riconosco l’altro con compassione. E allora lì sono COMUNISTA.
    Ma è questione di attimi, attimi di illuminazione e beatitudine.
    Per il resto c’è la vita e lì faccio tanta fatica, e sono preda di tutte le contraddizioni del mondo.
    La vita, quella che definiamo vera, quella che è fatta di atti, quella che è fatta di movimento, mi sottopone a continui prove, mi saggia la mia capacità di esserlo, comunista, e mi dà la misura della distanza fra l’IDEALE e la mia finitezza.
    È una spina al fianco, un dolorino sempre presente, continuo, a volte fastidioso a volte lancinante.
    E l’inadeguatezza che esprimo nel vivere la vita da “comunista”,nel testimoniarla, la fatica che mi costa, le omissioni che metto in atto, stanno a ricordarmi sempre quanto sia veramente lontana dal meritarmi l’appellativo di “comunista”.
    Faccio del mio meglio, faccio quello che sono in grado di fare oggi, alla luce del mio percorso, del punto in cui mi trovo, ora, per non farmi “contaminare” in modo indecente e mi sparo anche delle belle balle quando il mio definirmi “comunista” mi impone di tradurre in atti, fatti, testimonianza questo IDEALE.
    E allora ricorro a palliativi, surrogati:
    fare un po’ di elemosina, adottare bambini a distanza, prendere posizioni “rigorose” nei confronti delle istituzioni, appoggiare qualche partito, partecipare a manifestazioni,imbucare una scheda in un’urna di “sinistra”, sempre più disincantata, mettere in atto una resistenza passiva, prestare attenzione, qualche volta, a quello che acquisto, a quello che dico, a quello che faccio disperatamente consapevole che anche il più piccolo gesto, il più insignificante avrà una risonanza da qualche parte della terra, sarà motivo di sofferenza o riscatto da qualche parte della terra.
    A volte mi sento proprio una comunistadimmerda.
    Ma tant’è, io ci provo.
    Ecco, essere “comunisti”, riconoscersi “comunisti” è la nostra condanna e la nostra salvezza.
    Il più comunista dei comunisti, il COMUNISTA lo hanno messo in croce .
    E la sua fine non è allettante, non è precisamente un bel modo per fare pubblicità alla scuola della CONSAPEVOLEZZA
    Ma chi vuole iscriversi alla scuola del “Comunismo”, l’aspirante “comunista” deve mettere in conto che non esiste il 6 politico.
    Penso che il premio cui possiamo aspirare , noi aspiranti comunisti, e per noi intendo l’umanità intera, sia la Possibililità di essere UOMINI
    Viva il comunismo, viva il desiderio, viva il sogno.

    La funambola in rosso…. rosso colore dell’amore

    baci fraterni a tutti, miei cari compagni di viaggio.

    la funambola

    ad arminio dedico questa poesia che a lui piacerà sicuramente.
    Fiorire – è il fine – , chi passa un fiore
    con uno sguardo distratto
    stenterà a sospettare
    le minime circostanze

    coinvolte in quel luminoso fenomeno
    costruito in modo così intricato
    poi offerto come una farfalla
    al mezzogiorno-

    colmare il bocciolo – combattere il verme –
    ottenere quanta rugiada gli spetta-
    regolare il colore – eludere il vento –
    sfuggire all’ape ladruncola

    non deludere la natura grande
    che l’attende proprio quel giorno –
    esserte un fiore, è profonda
    responsabilità.

    Ecco, io, ti chiamerei…primula e qui ho intravisto altri timidi fiori.
    un bacio commosso.

  81. @ funambola

    Potrei passare la giornata nel tentativo di rispondere al tuo “atto d’amore” che mi ricorda Majakowsky, e dovrei ripercorrere le “argomentazioni” che questa notte ho -confusamente- lasciato da georgia: non è più tempo, e la strada che ci proponi si è fatta così stretta che a fatica ci passano le perorazioni.
    Ma può essere che voi, giovani, abbiate occhi più acuti e corpo più agile e che dunque, l’impossibile no, ma il difficilmente possibile possiate realizzarlo. E nessuno vorrà comunque mai chiamarlo “comunismo” poiché davvero dio non esiste ed i morti non resuscitano, mai.

    Mario

  82. non sono io che sono giovane, sei tu che sei vecchio :)
    io, poi, non sono propriamente di primo pelo.
    non toccarmi il comunismo poi, che mi inquieto.
    penso poi che le strade che non si sono percorse siano le uniche possibili visto che le “percorribili” ci hanno portato troppo, troppo, troppo lontano da noi.
    un bacio sincero
    la funambola
    è per mario

  83. “rivoluzione contro chi non porta più il lutto”

    franco è speciale perché viene da un posto dove ancora succedono cose speciali, sebbene sempre meno, dove la metafora ancora s’accavalla con la vita, è vita

    è speciale perché è autodidatta della vita e della testa, o meglio perché non è cresciuto nella mangiatoia comune, sebbene (ahimé?)
    sia poi quello il campo dove cercare un confronto, o un conforto da comunicazione, da comprensione, da dialogo

    ammanta di parole e ideali anche la sua rattusità

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