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Al di qua delle apparenze

danzacurato1.jpgdi Franco Damico

Ogni ortodossia proscrive la seduzione, facendola ricadere dentro il cerchio dell’artificio ovvero del maleficio. E ha le sue buone ragioni, perché la seduzione è precisamente la sottrazione dell’oggetto cui si rivolge alla sua confortevole verità, e all’autorità che se ne fa garante. Se(d)-ducere significa infatti condurre via, condurre altrove, separare, rapire. Nel termine è già postulata l’appartenenza dell’oggetto a un’unità che lo rivendica e che teme di esserne, per ciò stesso, defraudata. Che questa unità si chiami Dio, o Sé, o Logos, o Società, non ha qui molta importanza.

Più che un esercizio di potere, al quale il gesto seduttivo viene spesso assimilato, si tratta allora di un effetto di prospettiva che alligna in seno a un potere più vasto, pervertendone i meccanismi e alimentandosi della sua cattiva coscienza. Perfino la nascita di Don Giovanni sarebbe difficilmente concepibile al di fuori del clima politico e spirituale della Controriforma: il Grande Seduttore è l’ombra gettata sul Grande Inquisitore a minacciarne la struttura di potere – e di sapere – edificata certo sulla verità di Dio, ma più ancora sul segreto che Dio, in verità, non esiste.
Ed è sintomatico che, in un movimento fin troppo proiettivo, al seduttore vengano addebitate le stesse malizie che costituiscono la moneta corrente dei censori: la doppiezza e la reticenza, il dispositivo binario del latente dietro il manifesto, le “coperte vie” dantesche, l’artificio di segni e di parole ornate che promettono ma non mantengono. L’inganno.

Anche gli psicologi ne fanno, a torto, il detentore di un segreto: quello del proprio vuoto d’identità, che gli permetterebbe di simulare un pieno corrispondente ai desideri della vittima, appagarsi della sua conquista, ed eclissarsi, infine, prima che l’occultamento originario si palesi nell’intimità di una relazione prolungata.
Ma questa economia del pieno e del vuoto, del significante e del significato, è sostanzialmente estranea alla seduzione, che costituisce anzi la revoca di qualunque significato nella sfida delle apparenze insignificanti, la destituzione di qualunque pieno nella vertigine del puro vuoto, il quale, al contrario, ossessiona il discorso che le si oppone come un rimosso sempre in procinto di ritornare. Il ‘segreto’ della seduzione, se in tal modo si vuole definirlo, non appartiene all’ordine dell’informazione taciuta, ma all’insinuazione ereticale che, in realtà, non ci sia proprio niente da dire.

Il concetto stesso di identità, altrove così enfatizzato, vi è denunciato come pretestuoso e fasullo. Nel Burlador di Tirso, il Re sorprende Don Giovanni che, col favore delle tenebre, ha appena approfittato di Isabella, spacciandosi per il suo promesso sposo:

IL RE: “Cosa succede?”
ISABELLA: “Mio Dio, il Re!”
IL RE: “Chi siete?”
DON GIOVANNI: “E chi volete che siamo? Un uomo e una donna…”

E poco prima, all’insospettita Isabella che gli domanda chi è, Don Giovanni risponde: “Chi sono? Un uomo senza nome”.

Neppure la logica mercantile del guadagno, foss’anche un guadagno puramente psicologico, pertiene dunque alla seduzione: uno degli espedienti preferenziali di Don Giovanni è, come si è visto, il travestitismo o, meglio ancora, lo scambio di persona. Quale guadagno psicologico si può ricavare dalla consapevole conquista di una donna che, a tutti gli effetti, crede di darsi a un altro? E la contabilità erotica evocata dal famoso catalogo mozartiano, questo precipitato ostensibile e gratificatorio del possesso, non è forse un’occupazione da servi? Non è forse la concrezione del sogno signorile dei Leporelli? Ad essi spetta infatti, da sempre, declamarlo sulla scena. Don Giovanni, lui non tiene cataloghi, perché la seduzione, lungi dall’inscriversi nel tempo profano dei commerci di qualsivoglia natura, è ‘solo’ un gioco: un gioco serissimo, ma pur sempre un gioco, e nulla, in nessuna forma, può essere esportato dal gioco stesso. Nessun guadagno.

La seduzione è l’azzardo della pura immanenza di segni che, con tutto il rigore di un rito sacrificale, si sbarazzano del mondo e delle sue implicite cauzioni, rivolgendosi direttamente al Cielo e intimandogli di esistere. Non è un caso che il Grande Seduttore, fattosi per una volta Sedotto, abbia infine un unico vero appuntamento, che a nessun costo può disattendere e in cui tutti gli altri sono come catturati e sussunti: quello con un morto.

 
[Immagine: Franco Damico, Curato che danza con la perpetua meccanica (bozzetto)]  
     
 

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12 Commenti

  1. Non so, non saprei giudicare questo testo. Ho bisogno di perderci del tempo e lasciarlo ruminare. Qualcosa mi giungerà. Sulla seduzione, come ho detto altrove, ricordo il bel testo di Malek Chebel, poi certe riflessioni di Bataille, alcuni scritti dell’amico antropologo Franco La Cecla (Saperci Fare). Ma di La Cecla andrebbero letti tutti i suoi libri (che sono molti e scorrevoli, fino all’ultimo Surrogati di presenza). Non delude mai per capacità di indurre a riflessione. Penso che parteciperebbe volentieri alla scuola di Paesologia di Arminio.
    Ma tornando alla seduzione ripenso al diario del seduttore di Kierkegaard, o a certi passaggi in Kawabata, in Alain De Botton, o Mahfuz, o Joe Bousquet; o a certi discorsi di Ervin Goffman o di Adam Philips; o di Luce Irigaray e di Erica Jong; o di Anais Nin.
    Chi è Franco Damico? potrei saperne di più?

  2. La seduzione è lo jo jo che avvolge la stabilità all’instabilità, è quell’interesse che circumnaviga la materia per raggiungere la forma. Forse per difendersi è sufficiente portarsi in trincea Schopenhauer, pensavo al “Sul mestiere dello scrittore e sullo stile”.

  3. Mi riferisco nello specifico a Esercizi d’amore di De Botton (Guanda). Vi ho trovato lampi geniali. Certo, mescolati a banalità.
    Altri suoi libri non mi sono piaciuti.

  4. Ho riletto sostituendo ‘scrittura’ a ‘seduzione’, e secondo me regge benissimo. Franco, t’ha mai detto nessuno che disegni da dio? :-)

  5. Io ho molto apprezzato. Aggiungerei alla lista degli autori più seducenti Klossowski e una diabolica massima di Barbey D’Aurevilly a proposito “di quell’antica e immortale razza dei Don Giovanni, alla quale, se Dio non ha dato il mondo, ha però permesso al davolo di darglielo”.

  6. Non avrei una cippa da dire su questo testo, che si sa mai che è importante e io come faccio a lasciarmi indietro un commento sulle cose che si sa mai che sono importanti? ho bisogno di perdere del tempo e venire qui a manducarvi sopra, beninteso senza uscire fuori tema:
    seduzione-seduttori-adduttori: ginnastica!
    non c’entra.
    seduzione-sedotta-abbandonata: cassonetto!
    no
    (invero questo sarebbe un argomento sociologico-politico-economico-storico-cronachistico-di colore, piacerebbe al mio amico antropologo che è il primo che mi viene in mente che mi ha chiamato poco fa e mi sa che i suoi testi interessantissimi mi fanno uscire fuori tema ma dovrò assolutamente parlarne rispondere per primo a questo post). Tornando a bomba, faccio con voi che mi guardate ammirati un brain storming e un brainsturbing con me stesso lasciando nel riquadro bianco del leave a reply nomi pepatini e stranieri e con la pronuncia dubbia al lettore mentale: si dirà giong o iong? màfuz o mafùz, kauabata o kavabata, chirchegord, chirchegard o chircanudda? siete o non siete abbacinati?
    E questo franco damico, perdio, (d’amico-cecchi d’amico-silvio d’amico-piccolo mondo antico, fogazzaro, fogar, antartide, si scioglie, al gore, gore tex, willer, bordon, veltroni, buonismo, buono, bonino, davico, damico) una biografietta potevi inserirla ci riempivo una paginetta protocollo quantunque piegata a tre quarti.
    Chi sarà mai questo qua che mi fa parere a me stesso -persino- che ne saprò dire meno del solito?

  7. “Ogni ortodossia proscrive la seduzione, facendola ricadere dentro il cerchio dell’artificio ovvero del maleficio.”
    mi piace questa frase perché non significa niente.
    trovo corretto iniziare un testo con una frase che non significa niente, perché pre-avverte il lettore dotato di normale senso comune, risparmiandogli la fatica di proseguire oltre, ma attira i cultori del niente come la cacca le mosche.
    dunque tutto bene.

  8. oh, ecco il sor pampurio di nazione indiana.
    non nego che la gag del “mi piasce… perché non significa niente”, presa in mezzo com’è fra l’ambizione e la stolidità, ti sia tragicamente congeniale, ma forse non dovresti pretendere tanto dai tuoi scarsi mezzi e limitarti a dire che tu, sor pampurio, sei incapace di reperirvi un senso, cosa che più d’uno troverà perfettamente plausibile. saluti

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sergio garufi
sergio garufihttp://
Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
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