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Il fattore C. La comunicazione del governo alla prova dei sei mesi #3

di Edoardo Novelli 

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Terza parte dello studio di Edoardo Novelli (qui la prima e qui la seconda). Questa volta, intervista a Gianluca Luzi, inviato di Repubblica. gv.

In che consiste il suo lavoro? 

Nel seguire l’attività del Presidente del Consiglio in Italia e all’estero. Ho cominciato dieci anni fa, proprio con il primo governo Prodi, poi ho continuato con D’Alema, Amato e poi Berlusconi, che ho seguito più degli altri nel corso dei cinque anni del suo esecutivo. Con Prodi adesso è un po’ diverso perché siamo più giornalisti a seguirlo tra Roma e Bologna.

Quali sono i suoi interlocutori, quali le sue fonti? 

Io mi occupo principalmente dell’aspetto pubblico dell’operato di Prodi. Il mio lavoro è dunque più una cronaca ufficiale o, quando parla non ufficiale. Le mie fonti sono innanzitutto l’ufficio stampa del Presidente e quindi il suo portavoce. Berlusconi ne aveva fatto una vera e propria struttura che aveva in Bonaiuti il suo capo e tutta una serie di professionisti che si occupavano dei vari aspetti della comunicazione, dagli aspetti logistici legati agli spostamenti del Presidente, fino all’interpretazione di alcuni passaggi della sua attività politica. Con Prodi è lo stesso, anche se la situazione è più articolata e confusa rispetto all’era Berlusconi. 

Quali sono gli elementi che la facilitano nel lavoro? 

Una buona cura della comunicazione sulla logistica, che è un elemento fondamentale nella vita politica di un Presidente del Consiglio. Sopratutto quando si sta all’estero, il trovarsi al posto giusto al momento giusto è determinante per non perdere la notizia. Non tutti sanno che noi in Italia non funzioniamo come in Usa, dove chi segue il Presidente viaggia con lui, è embedded. Noi viaggiamo per conto nostro, e dobbiamo essere lì, dove si presume che lui sia. Per questo abbiamo bisogno di una struttura che ci informi per tempo dei dettagli e degli spostamenti. 

È facile seguire Romano Prodi e il Governo? 

No, non lo è. Per una serie di motivi, alcuni banalissimi, altri più complessi. Primo è difficile da seguire perché parla malissimo, con un tono di voce incomprensibile, e non riesce proprio a farsi seguire. Una volta, uno o due anni fa, ero a New York per seguire Berlusconi all’assemblea dell’Onu, ma per curiosità andai a sentire una conferenza informale di Romano Prodi nella hall del suo albergo. Lui era sistemato su una poltroncina e intorno a lui i giornalisti, a semicerchio. Era una cosa estemporanea e dunque non c’erano microfoni. Dopo due, tre, minuti i giornalisti hanno cominciato ad avanzare di cinque centimetri, in cinque centimetri, verso Prodi, fino ad arrivargli praticamente sulle ginocchia, perché altrimenti non si sentiva nulla. 

Secondo motivo? 

Prodi è una persona umorale e molto irritabile. La sua bonomia parrocchiale nasconde una persona che ricorda le cose, che te le fa pagare. D’altra parte la politica non è per i buoni. Il risultato è che non puoi mai prevedere la sua reazione alle domande. Anche se questo certe volte ci favorisce da un punto di vista giornalistico, perché arriva a dire anche cose strampalate, per esempio quelle sulle guardie svizzere. Che poi ha ritrattato, ma che aveva detto. 

Terzo? 

Prodi ha un ambiente molto familiare intorno: i giornalisti che lo seguono da vicino sono tutti bolognesi, tutti suoi amici di vecchia data, rispettosissimi della sua riservatezza. Prodi predilige avere intorno giornalisti che lo rendono tranquillo. Quando non succede, scatta un cortocircuito, anche nel suo staff. Uno staff formato su un’idea antica: il comunicato, i problemi seri etc. Tutto questo comporta sicuramente una difficoltà a seguirlo, soprattutto per chi come me era abituato al suo predecessore, che non solo sapeva utilizzare la forma della comunicazione politica, ma in qualche modo la favoriva. 

Quindi il politico che dà anche una bella forma, facilita il vostro lavoro? 

Ma certamente, perché mi fa scrivere un bell’articolo, perché è divertente, perché te lo leggi e perché soprattutto se voglio essere aggressivo e stuzzicarlo in una conferenza stampa, con Berlusconi si può, perché sa come lavoro; invece con Prodi non si può fare e chi ci prova si scontra con una reazione che può essere molto stizzita. Ad esempio il “Ma siamo matti?”. 

Le differenze nel lavorare con il governo Berlusconi e il governo Prodi dipendono da ragioni di natura umana, caratteriale o organizzativa? 

Da tutte queste cose. Con Berlusconi c’era un modo di dire tra i giornalisti: “Berlusconi non ti delude mai”. Non c’è mai stata una volta che tu andavi a seguire Berlusconi e tornavi a casa senza il pezzo. Lui sapeva quello che tu volevi e anche se non diceva niente, diventava notizia anche questo. Se la sinistra organizzava una manifestazione sindacale lui metteva un carico da undici tale per cui ammazzava il titolo degli altri. Questo era, in termini di comunicazione politica, formidabile. In questo è stato unico. 

Prodi e il governo sono divertenti da seguire? 

È una delle persone meno divertenti da seguire. Diventa divertente perché il suo “Ma siamo matti?” tiene la scena per settimane con reazioni a catena che rendono divertente il fatto. Ma intendiamoci, lui sa di non essere divertente e non vuole esserlo. Infatti ha impostato tutto il suo personaggio sulla serietà e non sullo spettacolo. 

Lei ha avuto modo di sperimentarlo sul campo? 

Ultimamente sono stato all’inaugurazione della Fiera di Levante di Bari. Prodi era davanti a una platea istituzionale: Presidente della Regione, della Provincia e Sindaco di Bari. Tutti di centrosinistra. C’era un clima di fredda noia, lui ha detto al pubblico quello che voleva sentirsi dire e la manifestazione è finita. Quando c’è andato Berlusconi, è vero che i suoi gli hanno organizzato le truppe cammellate, ma si è creato un clima d’attesa e di sorpresa diffusa, la gente accorreva. Spettacolo. Ma Prodi non vuole lo spettacolo, sa di non essere capace di farlo, per cui non lo cerca neanche. 

Prodi comprende le esigenze della stampa e dei giornalisti? 

Sì e no. Un giorno, durante il suo tour europeo successivo all’elezione, c’erano delle condizioni atmosferiche pessime che rendevano difficile il nostro rientro in Italia e lui mi diede un passaggio sul suo aereo. Fu molto gentile da parte sua, ma non si rese conto che tutti gli altri giornalisti rimasti a terra volevano ucciderci. Questo per dire che certe volte fa le cose in maniera un po’ ingenua. Non ha un ufficio che sa quello che si può dire e quello che non si può, quello che si deve o non deve fare. Gli manca un consigliere capace di dettargli la linea come Alastair Campbell per Blair o Karl Rove per Bush. Per i governanti italiani questa figura non c’è mai stata. 

Lo percepite più come un alleato o un avversario? 

Lo vediamo non come un avversario, perché è una persona corretta, cordiale, ma comunque non è una persona con la quale è facile stabilire un rapporto spontaneo. Con i bolognesi, forse sì, perché percepisce la loro familiarità. 

Avversario nel senso che non vi potete fidare delle sue notizie. 

In questo Prodi è bugiardo come sono bugiardi gli altri. 

È stato cambiato qualcosa negli strumenti e nelle pratiche della comunicazione  di Palazzo Chigi? 

Non mi risulta che il governo Prodi abbia apportato alcuna modifica o novità. D’Alema introdusse una conferenza del suo portavoce ogni lunedì a Palazzo Chigi. Un’idea presa dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. Durò pochissimo, perché le domande cominciarono a diventare pericolose. Berlusconi, è noto, prese la sala stampa di Palazzo Chigi, un posto burocratico e triste, e la trasformò in un qualcosa a metà tra un parrucchiere e una discoteca di provincia: stucchi bianchi, specchi, colonnine ioniche e corinzie, con un grande ritratto dell’Europa sullo sfondo. Il nuovo governo ha conservato l’apparato della discoteca, ma ha tolto il ritratto dell’Europa, lasciando lo sfondo azzurrino che sembra Forza Italia all’ennesima potenza. 

E il governo in che maniera vi percepisce: come degli alleati o dei rivali? 

Come delle potenziali minacce da tenere a distanza.     

 

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