Articolo precedente
Articolo successivo

Sanremo fase 1

di Cristiano de Majo

Stiamo tutti a Sanremo pe’ cantà
(Renzo Arbore)

Benvenuti nella città tautologica dovrebbe dire il cartello all’entrata, perché Sanremo è davvero Sanremo. E non può essere altro che questo, ogni anno, puntuale come il Natale, per cinque giorni da martedì a sabato: lo scenario dell’unica kermesse autenticamente italiana. E anche se dopo, Sanremo non è più Sanremo, e scompare, non importa, perché in questi cinque giorni si fa la storia. Si consumano – o si tentano – suicidi cruenti ed enigmatici. Si assiste a un luminoso repertorio di amore e squallore. Si ammirano smaglianti completi laminati di vecchi cantanti pugliesi. Si costruisce una narrazione seriale intorno all’organo riproduttivo del conduttore. Si lanciano per il pubblico ultra-ottantenne provocazioni come finte gravidanze e scollature osé con spalline che cadono per sbaglio. Si scrive, infine, una mitologia dell’ospite straniero.
Quest’anno, come ogni anno, il Festival – ci dicono i suoi più autorevoli rappresentanti – sarà pieno zeppo di novità, ma al tempo stesso – ed è questa la contraddizione tutta italiana, l’aleph capace di contenere l’alto e il basso, lo zero come l’infinito – resterà fedele alla tradizione. E così, in parallelo a una crisi di governo che sembra riportarci nostalgicamente all’età dell’oro del nostro sistema parlamentare (Andreotti decisivo?), la direzione artistica sciorina nomi del calibro di: Gianni e Marcella Bella, Johnny Dorelli, Fabio Concato, Al Bano. Tutti arrendevolmente disposti a cedere porzioni del proprio ego sotto lo scettro a ultrasuoni di Pippo “l’unico vero conduttore del festival” Baudo, l’uomo che sapeva suggerire (con successo) anche ai cavalli.
Alcuni sostengono che sia “lo specchio del Paese”. Difficile a dirsi, ma sembrerebbe di sì a giudicare dalla prima persona che incontro – addirittura sul treno notturno che mi porta verso il festival –, un anziano insegnante in pensione di Benevento, un uomo che nel corso della sua vita ha avuto la fortuna (o la sfortuna?) di toccare con mano – e dal punto di vista del pedagogo – l’inconciliabilità delle visioni politiche che si stiracchiano lungo l’arco del centro-sinistra, essendo stato allo stesso tempo l’insegnante di Francesco Caruso ma anche di un figlio dei Mastella. In compenso, lui, l’insegnante, odia Caruso e anche i Mastella, optando per un più rassicurante Casini o per un Follini dei primi tempi. D’altra parte prova una grande ammirazione per Pippo Baudo. “Pippo il Festival lo avrebbe fatto anche gratis perché è un professionista” dice, riferendosi all’annosa questione dei compensi extra ordinem stanziati all’ultimo minuto dal “comunista” Nicolais. Poi, aggiunge, “Sanremo mi piace anche come città, proprio urbanisticamente”.
Urbanisticamente, appunto, Sanremo è una striscia lunghissima che si stende sul mare. Sembra una città piacevole, elegante. Ma intorno al teatro Ariston cambia tutto perché prende forma lo Spettacolo. Ci sono quattro o cinque diverse fonti sonore che esplodono suoni irriconoscibili sulle facciate dei palazzi. È stato eretto un finto tappeto rosso davanti all’ingresso – finto perché è chiuso da una transenna e perché è stato costruito su una pedana e dunque non serve come tutti gli altri normali tappeti rossi per entrare in teatro, ma solo a fare le interviste sul tappeto rosso – intorno al quale si muove con passo zombiesco un’umanità variegata e inconcludente: il sosia di Pavarotti, il presidente del fan club Gianni e Marcella Bella, un posteggiatore napoletano. Su un Buick d’annata sono sedute giulivamente una sosia di Liz Taylor e un’altra sosia, mi dicono, di Michelle Hunziker (che però ha solo i capelli biondi come Michelle Hunziker). Mentre una troupe dell’Italia sul Due sta preparando il collegamento post-prandiale.
La Sala Stampa, mostruosa, gigante, con oltre quattrocento giornalisti accreditati è un vero e proprio suk dell’auto-rappresentazione. Ci sono giornalisti che parlano di vacanze – “a marzo puoi andare solo a Sharm o alle Canarie” – e di “dove bisognerà andare a mangiare stasera?” e un prete affamato di visibilità che si aggira per i banchi fino a quando non viene circondato da sei o sette colleghi che lo coinvolgono in un’intervista di gruppo su due piedi. Noi “giornalisti” siamo tutti felici di essere qui, eppure ironici, sarcastici su tutto quello che passa davanti ai nostri occhi e sfiora il nostro udito. Cose come le conferenze stampa per esempio. La prima a cui assisto presenta Sara Galimberti, una nuova proposta prodotta dai fantomatici Ringhio che porta a Sanremo Amore ritrovato, una canzone, afferma l’autrice Cristina Bozzi, “dal testo molto intenso”. Più tardi Pippo Baudo nelle vesti di supereroe ecumenico porterà a casa l’ennesimo successo politico della sua premiership televisiva: dopo le polemiche, gli orchestrali “esterni” hanno ottenuto un aumento di cinquecento euro sulla loro misera paga base di cinquanta euro al giorno. Questa volta Nicolais non c’entra, ma in fondo (da cinquanta a cinquantamila euro al giorno) teniamo tutti famiglia.

Print Friendly, PDF & Email

5 Commenti

  1. Intanto ho appena ascoltato una canzone bellissima, un pezzo non da Sanremo, proprio a Sanremo.
    Il terzo fuochista, cantata da Tosca, musica da brividi, un testo bellissimo.
    Incredibile.

  2. Ecco:
    uno a Sanremo sarebbe ben che facesse un giretto per “La Pigna”, solo un cento metri alle spalle del Teatro Ariston, così si disintossica di festival e cantanti/bisiness e baudingenere.
    La Pigna è un borgo antico, il cuore vero della vecchia Sanremo, uno dei centri storici più caratteristici di tutto il Mediterraneo, tutta scalette e dedali di viuzze, scalinate su fino alla Madona della Costa.
    E’ tutta conchiusa, compresa e compressa, come una conchiglia che nessuno vede.
    E uno va su e respira, non sente più il rumore del mondo e guarda giù dall’alto le luci lontane sul mare.

    MarioB.

  3. Mi hai anticipato, Mario. La Pigna è un incanto (anche se è un po’ scarrupata. ma in fondo è il suo fascino. Appena i festivalieri la scoprono la trasformano in una bomboniera).

  4. Eh, già Gianni, io a La Pigna ci sono stato per dei mesi e mi ci sono affezzionato molto, è un luogo bellissimo e semisconosciuto, benché anche Sgarbi( ahimè…) ne abbia parlato.

    MarioB.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Passione indiana

di Christian Raimo Devo scrivere questo post per dire una cosa che ho comunicato agli altri redattori ma che mi...

Ammazza che puzza, aho!

di Alessio Spataro

Il tempo di una foto

di Hyppolite Bayard Louis Pierson, Ritratto della Contessa Castiglione e suo figlio, 1864 C’è il tempo interno dell’immagine e...

Le forme imperfette del turismo della luce

di Christian Raimo Che cos’è che volevi dimostrare? Lo spacco sul labbro che continua a restituire sangue a chi non ricordava...

Martina si allena

di Marco Mantello Dal girone dei folgorati all’aureola dei precipitati dalle tegole di un capannone ai piallati, agli schiacciati sotto macchine troppo nervose per...

Hippolyte Bayard, un meraviglioso blog di fotografia

"... la fotografia non ha bisogno di essere garantita da qualcuno: la garanzia che quello che mostra è "vero"...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: