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Accusativo del soggetto

di Antonio Sparzani

Una vera eresia, si sarebbe detto ai tempi del latino e del greco, e ancora adesso si direbbe per il tedesco e il russo e varie altre lingue anche europee. L’accusativo, con questo nome che sembra sottintendere una minaccia, è il caso del complemento oggetto, ciò che subisce l’azione, non di chi la fa, del soggetto

Come ribadiscono nel loro bel libro, I sette vizi capitali (Einaudi, 2000), Carla Casagrande e Silvana Vecchio, la civiltà occidentale comincia con l’ira, la ménis, davvero la prima parola della nostra letteratura..

Mènin aèide theà Pelèiadèo Achilèos, (uso l’accento metrico e non quello grammaticale, e anche una traslitterazione un po’ grossolana) così suona l’incipit dell’Iliade, che non è, come ci hanno forse raccontato a scuola, la storia della guerra tra Achei e Troiani, ma è la storia dell’ira di Achille.

Il soggetto principale è l’ira, questo démone fortissimo che scatena nel cuore di Achille prima l’abbandono della lotta, a causa degli sgarbi di quell’arrogante di Agamennone, – e quindi il sopravvento dei Troiani – e poi, per la rabbia per l’uccisione di Pàtroclo da parte di Ettore, il rientro di Achille e quindi l’uccisione dell’eroe troiano.
Mènin è accusativo, complemento oggetto di aeide, canta, ma la grammatica è infida, bada alla forma, non al ruolo da protagonista dell’ira, filo conduttore di tutta l’Iliade.

Lo stesso accade con l’Odissea: àndra moi ènnepe moùsa, polýtropon hòs mala pòlla: qual è mai il soggetto di tutto, è Ulisse, Odìsseo, l’anèr, l’uomo protagonista di un viaggio indimenticato. Àndra è l’accusativo di anèr. ed è la prima parola del primo canto, grammaticalmente complemento oggetto, ma nella luminosa posizione del soggetto di tutto il poema, colui che agisce, non che è agito.

Lo stesso dicasi per l’Eneide, gli antichi sapevano quel che si facevano: Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris, ancora così, le armi e l’uomo canto, tutti complementi oggetti che sono i veri soggetti di una lunga storia.

Nella letteratura italiana, l’esempio più bello è quello dell’Orlando Furioso: Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, tutti complementi oggetti di io canto nell’analisi logica della proposizione, ancorché l’italiano non preveda per i sostantivi alcuna desinenza specifica per il caso accusativo, ma con grande evidenza i soggetti attivi di tutto il poema.

Gli esempi moderni che ho in mente usano invece una costruzione più diretta: il protagonista appare subito, ma anche grammaticalmente come soggetto della proposizione: il grandissimo Middlemarch di George Eliot (Mary Ann Evans, costretta a firmarsi con un nome da uomo) Miss Brooke had that kind of beauty which seems to be thrown into relief by poor dress, ecco una descrizione fulminante (Miss Brooke aveva quel tipo di bellezza che sembra esser messa in rilievo dalla povertà dell’abito), si entra subito in un tratto non banale della protagonista del romanzo; o la Montagna incantata di Thomas Mann: Ein einfacher junger Mensch (un semplice giovane uomo), che dà anch’esso in quattro parole un quadro distillato del personaggio: Hans Castorp è un semplice giovane uomo, non è ancora rotto a tutte le astuzie della vita, né esperto di amori e raggiri, e poi – sfumatura intraducibile – Mensch e non Mann, non si sottolinea la sua mascolinità, ma il suo essere un essere umano.

In questi testi, quello che mi colpisce è la capacità di entrare nel merito subito, di mettere al primo posto la cosa più importante, di tirarti dentro dalla prima parola, l’ira canta, o dea, non cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta, no, l’ira canta, o forse meglio ira canta, senza l’articolo, che pure in greco sarebbe lì a disposizione; l’uomo raccontami o dea, non Musa quell’uom dal multiforme ingegno. E anche l’Ariosto, Le donne, nominiamole subito, perdio, che son loro che muovono il mondo (l’Ariosto non aveva dubbi al riguardo, leggete con sufficiente malizia il sesto verso della seconda strofa…).

Altri grandissimi cominciano con un fare che aggira l’argomento, la prendono alla lontana, così senza parere. Stately, plump Buck Mulligan came from the stairhead, e via con lo spettacolo di Buck Mulligan che si fa la barba, è per altri versi lo straordinario incipit dell’Ulisse joyciano, che tuttavia segue un percorso psicologico differente. Si potrebbe continuare con quel ramo del lago di Como dei Promessi Sposi o con la frivola conversazione in francese con cui inizia Guerra e Pace. Ma credo possa bastare.

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9 Commenti

  1. La forma,
    la sua importanza
    rende l’incipit più forte….

    Quel ramo del lago di como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, quasi a un tratto, a ristringersi…..

  2. Aujourd’hui maman est morte. Ou peut être hier. Je ne sais pas.
    (Camus, L’étranger)

    Quasi un “romanzo” a sè.

  3. Bellissimo intervento.

    Piccola nota del grecista: nel greco di Omero, l’articolo non è disponibile, ma è ancora pronome dimostrativo.

    Ma questa noticina grammaticale non conta più di tanto.

    “Chi le farfalle cerca, sotto l’arco di Tito?”

    (Sì, lo so, Carducci è palloso, retorico etc. etc., ma qui ci stava, dài).

  4. Grazie per aver portato l’attenzione su aspetti tanto apparentemente marginali, quanto realmente fondativi. Forse perchè erano altri tempi, ma in passato si sapeva che l’oggetto della narrazione è più importante del “soggetto” che racconta (o canta). Ma forse non sono i tempi. Sono i soggetti ipertrofici infestanti che hanno preso il dominio (!).

  5. E’ bello “la fuanambola”, anche fosse un refuso, dà un bel suono, sembra una funambola più allegra.
    Grazie D, ci stava proprio. Io poi penso che sia spesso opportuno cercare le farfalle sotto l’arco di Tito e ti ringrazio della tua osservazione sull’articolo in Omero, ancorché marginale per la mia tesi. In verità anche nel primo canto dell’Iliade qualche “ta” vhe sembra proprio un articolo si può forse trovare, comunque appunto, poco importa. Grazie in ogni caso.
    Grazie anche per L’étranger!!!

  6. Inizio per inizio …

    “C’era una volta…
    – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
    No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
    Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno
    si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.”

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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