«An horrible hybridization», il pastiche, la logica dell’ossessione e il tragicomico in Lolita di Vladimir Nabokov

di Lorenzo Geri

Se si riassume la trama di Lolita ci si rende conto come la fabula potrebbe dare luogo ad una narrazione strettamente verista (e l’assunto iniziale, secondo il quale Humbert è attratto da Lolita perché a dodici anni non ha potuto consumare la sua passione per una coetanea potrebbe trovarsi in un romanzo di Zola o di Capuana). Ma l’ “immoralità” del libro, il fastidio che suscita, non è nel tema, sia pure scabroso e conturbante, quanto nel tono e nei modi della narrazione.

Certamente Nabokov non ha fatto molto affinché il lettore non «aggrottasse le ciglia». Nessuna delle possibili strategie per farsi perdonare la scelta del tema è stata da lui adottata:
1) la narrazione è in prima persona, e non in terza: tutta la vicenda è filtrata dalla memoria selettiva di Humbert e dal suo immaginario pervertito;
2) la satira sdegnosa nei confronti dell’american way of life che si legge nelle parole del protagonista è scopertamente condivisa dall’autore;
3) gli stereotipi sono sfidati apertamente, da una parte esasperandoli (Humbert il corruttore viene dalla esangue Europa come accade nei romanzi Henry James; il romanzo è introdotto da una fittizia captatio belevolentiae dell’editore che presenta «Lolita or the confession a White Widow male» come un documento per gli psicoanalisti e i criminologi); dall’altra rovesciandoli (la piccola Lolita, non è vergine, e da un punto di vista sessuale appare più scaltra del pervertito e confuso Humbert; il protagonista fa tutto per mettere in discussione il rapporto tra carnefice e vittima).

A tutto ciò si aggiunge il fatto che lo stile in cui sono riportate queste confessioni fittizie è tutt’altro che sobrio, e che la narrazione, invece di scorrere in modo veloce e accattivante, si rivela contorta, allucinata, barocca:

Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to ta, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta.
She was Lo, plain Lo, in the morning, standing four feet ten in one sock. She was Lola in slacks. She was Dolly at school. She was Dolores on the dotted line. But in my arms she was always Lolita
. (p.1)

Si noti la ossessiva allitterazione in dentale (t) e labiale (p), lo scoppiettio sensuale del nome Lolita sulle labbra di Humbert; si noti il ritmo, trascinante, della prosa e della argomentazione; la climax e l’anticlimax che si intrecciano: prima la dichiarazione che Lolita è fuoco e peccato; poi l’infantile e disperato baloccarsi con le sillabe del suo nome; quindi l’enumerazione dei nomi dell’amata sino a tornare al punto di partenza, Lolita (nome primitivo, come Nana, e come Nana costituito da una allitterazione). Apparentemente il passo non è altro che un gioco di bravura, in fondo persino irritante. Ma per chi ha già letto il romanzo il passo risulta ricco di implicazioni: il nome Lolita, assaporato dalla vorace bocca di Humbert, ricorda i baci insistenti di quest’ultimo, spesso rifiutati con disgusto dalla “amata”; lo stilema fire of my loins rimanda al campo semantico della paternità, e per l’appunto intorno al tema di un grottesco incesto si gioca la seconda parte del romanzo; i molti nomi di Lolita richiamo i molti ruoli sociali della stessa, e alludono alla complessità del personaggio (Lolita è Dolores, Dolly, Lo… è la bambina ingenua, è l’alunna qualsiasi, è il nome sui documenti, ovvero la figlia banale di un madre banale; ma è anche Lolita, l’idolo erotico del protagonista).

Se l’incipit è barocco, la narrazione delle origini di Humbert che segue è secca sino alla crudeltà:

My very photogenic mother died in a freak accident (picnic, lightening) when I was three, and, save for a pocket of warmth in the darkest past, nothing of her subsists in the hollows and dells of memory [..] (p.10)

La voce narrante fa di tutto per conquistare la simpatia del lettore, e pure non nasconde gli aspetti più squallidi e ridicoli della sua perversione:

It happened for instance that from my balcony I would notice a lighted window across the streets and what looked like a nymphet in the act of undressing before a co-operative mirror. Thus isolated, thus removed, the vision acquired an especially keen charm that made me race with all speed toward my lone gratification. But abruptly, fiendishly, the tender pattern of nudity I had adored would be transformed into the disgusting lamp-lit bare arm of a man in his underclothes reading his paper by the open window in the hot, damp, hopeless summer night. (p. 20)

Humbert è spesso ingannato nel romanzo da false “visioni”, e vani “idoli”. È ingenuo a causa della sua perversione, che gli fa confondere la realtà con le sue ossessioni. Il suo primo matrimonio a Parigi, non a caso, si basa su un grottesco travestimento:

My choice, however, was prompted by considerations whose essence was, as I realized too late, a piteous compromise. All of which goes to show how dreadfully stupid poor Humbert always was in matter of sex. […] what really attracted me to Valeria was the imitation she gave of a little girl. She gave it not because she had divined something about me; it was just her style […] (p. 25)

Nelle prime pagine, nell’ambito della narrazione dei disgustosi espedienti escogitati dal protagonista per spiare le ninfette, il lettore viene addirittura messo faccia a faccia con uno sfacciato relativismo culturale, nutrito di erudizione, che se per il lettore di oggi non è sconvolgente, lo era certamente per quello del 1955:

[esempi dal mondo biblico e classico]
Hugh Borughton, a writer of controversy in the reign of James the First, has proved that Rahab was a harlot at ten years of age. [..] Here is Virgil who could the nymphet sing in single tone, but probably preferred a lad’s perineum. Here are two King Aknhaten’s and Queen Nefertiti’s pre-nubile Nile daughter (that royal couples had a litter of six) wearing nothing but many necklaces of bright beass [..] with their soft brown puppybodies, cropped hair and long ebony eyes. [..]
[esempi da popoli lontani]
Marriage and cohabitation before the age of puberty are still not uncommon in certain East Indian provinces. Lepcha old men of eighty copulate with girls of eight, and nobody minds
. (p.19)

A questo sconcertante catalogo, segue immediatamente un’affermazione che non può non offendere il lettore (soprattutto il lettore colto, già irritato dalla allusione alla omosessualità di Virgilio):

Dante, after all, fell madly in love with his Beatrice when she was nine, a sparkling girleen, painted and lovely, and bejeweled, in a crimson frock, and this was in 1274, in Florence [..] And when Petrarch fell madly in love with his Laureen, she was a fair-haired nymphet of twelve, running in the wind, in the pollen and dust, a flower in flight, in the beautiful plain as described form the hills of Valcluse. (ivi)

La grottesca rilettura di Dante e Petrarca è giustificata dalla mentalità monomaniacale di Humbert. Non è Nabokov ad essere irrispettoso; è il suo personaggio a mostrarsi incapace di leggere la realtà al di là del suo punto di vista, pur essendo un intellettuale; ecco allora che le vesti sanguigne di Beatrice diventano ben poco oneste, e il suo modo di vestire somiglia a quello della meretrice Rabah; i capelli a l’aura sparsi, richiamano nella mente della voce narrante il corpo nudo di una fanciulla che corre per i campi (l’errore è voluto: l’incontro avviene in una chiesa, ma i dati della erudizione sono sorvolati dalla perversione).
Il pastiche non è fine a se stesso, né serve solo a irridere il lettore (e siamo solo alle prime pagine!). Se infatti si analizza un parte di questo brano, da me intenzionalmente tralasciata sino a questo punto, si vede come, tra le righe, non manchi persino una condanna morale, o comunque un avvertimento da parte dello scrittore, che mette in evidenza il cinismo di fondo dell’argomentazione. Dopo la menzione a Rabah Humbert esclama:

This is all very interesting, and I daresay you see me already frothing at the mouth in a fit; but, no, I am not; I am just winking happy thoughts into a little tiddle cup. (ivi)

Happy thoughts sono le immagini di una bambina costretta a prostituirsi all’età di dieci anni: la frase si commenta da sola, come d’altronde il neologismo puppybodies («corpi da cucciolo») usato poco sopra. Humbert non si limita ad andare contro la morale e il senso comune; vuole anche corroderli con la sua analisi e rovesciarli (è un intellettuale). Ma allo stesso tempo si tradisce; non avrà «la bava alla bocca», ma il lettore percepisce lo stesso la malafede delle sue parole, e l’autocompiacimento dell’odioso personaggio (mai così odioso come nelle prime pagine: anche in questo Nobakov sfida il lettore). D’altronde, più che un dannato, Humbert si sente un predestinato, egli sa, egli ha veduto:

I am ready to believe that the sensations I derived from natural fornication were much the same as those known to normal big males consorting with their normal big mates in that routine rhythm which shakes the world. The trouble was that those gentlemen had not, and I had, caught a glimpse of an incomparably more poignant bliss. The dimmest of my pollutive dreams was a thousand times more dazzling than all the adultery of the most virile writer of genius of the most talented impotent might imagine. (p. 18)

Humbert, come un mistico, dichiara di aver catturato una scintilla di una realtà molto più pregante di quella quotidiana. Non a caso, egli avrebbe voluto essere un poeta. Ma tutto quello che riesce a scrivere sono versi come:

Faurlen von Kulp
may turn, her hand upon the door;
I will not follow her. Nor Fresca. Nor
that Gull.

versi che non sono altro se non la velenosa parodia di alcune poesie di Beckett e dell’Eliot dei Poems (si pensi a Sweenet erect, A cooking egg, ecc.). Anche dopo la sua emigrazione negli Stati Uniti, dopo i suoi delitti e l’incarcerazione, di fronte alla giuria immaginaria alla quale indirizza le sue memorie, egli si sente un poeta:

Nowadays you have to be a scientist if you want to be a killer. No, No, was neither. Ladies and gentlemen of the jury, the majority of sex offenders the majority of that hanker for some throbbing, sweet-moaning, physical but non necessarily coital, relation with a girl-child, are innocuous, inadequate, passive, timid strangers […] We are not sex fiends! […] Emphatically, no killers are we. Poets never kill. (p. 87-88)

In questa pagina, che riporta la perorazione in favore dei manici sessuali che dovrebbero essere lasciati liberi di compiere i loro riti masturbatori dalla società, la profanazione della poesia è assoluta; allo stesso modo totale è il fallimento di Humbert come poeta, non avendo egli ottenuto nessuna purificazione dal suo petrarchismo osceno. D’altronde la linea difensiva del protagonista in questa pagina è incentrata su una catena grottesca di sillogismi, che parte dalla accessorietà del coito (in precedenza disprezzato: that routine rhythm which shakes the world) che renderebbe gli adoratori delle ninfette dei sognatori e quindi dei poeti. E dato che per uccidere nel Novecento è necessaria la scientificità, i poeti, per definizioni, non uccidono. Ergo Humbert non avrebbe mai ucciso Charlotte.
Humbert fallisce anche come critico il suo unico saggio è una dissertazione (paper) dal titolo improbabile: “The Proustinian theme in a letter form Keats to Bailey”. Le sue uniche pubblicazioni sono una storia abrégé della poesia inglese scritta in francese, e una storia in più volumi della letteratura francese, scritta in inglese, ad indicare un’erudizione scolastica e vuota, e allo stesso a simboleggiare la sostanziale condizione di meticcio di Humbert, il cui padre era “a salad of racial genes” (p. 9). Come tanti intellettuali e personaggi romanzeschi del Novecento Humbert è incapace di scegliere e comprendere:

When I try to analyze my own cravings, motives, actions and so forth, I surrender to a sort of retrospective imagination which feeds the analytic faculty with boundless alternatives and which causes each visualized route to fork and re-fork without end in the maddeningly complex prospect of my past. I am convinced, however, that in a certain magic and fateful way Lolita began with Annabel. (pp. 13-4)

Humbert, addirittura, è presentato come uno dei tanti intellettuali emigrati negli Stati Uniti in seguito alla guerra:

Divorce proceedings delayed my voyage, and the gloom of yet another World War had settled upon the globe when, after a winter of ennui and pneumonia in Portugal, I at last reached the States. (p. 32)

Ecco la segreta ferocia del libro: l’analisi spietata nei confronti di Humbert diviene satira nei confronti della cultura europea e degli intellettuali europei emigrati; così come il contrasto con Charlotte e la complessa figura di Lolita diviene l’occasione per una satira non meno mordace nei confronti delle manie e i miti degli statunitensi. Nabokov, rifugiato senza più patria, anticomunista, capace di scrivere perfettamente in tre lingue, non fa niente per rendersi grato alla sua nuova patria, dimostrando un’onestà intellettuale ai limiti dell’autolesionismo. La satira della psicanalisi, ad esempio, fonde allo stesso tempo l’irrisione per la cultura europea e quella per la cultura americana: Humbert inganna più di uno psichiatra newyorkese con finti sogni e scene primarie. Uno di questi dottori è descritto chiaramente come un ciarlatano:

I added another week just for the pleasure of taking on a powerful newcomer, ad displaced (and, surely, deranged) celebrity, known for his knack of making patients believe they had witnessed their own conception. (p, 35)

Si noti il lessema celebrity, che esprime una delle maggiori ossessioni della società americana, nel contesto però di una satira dell’ossessione europea per le origini (vedere il proprio concepimento).
Pensando di prepararsi le armi per plagiare Lolita il colto e cinico europeo si fa irretire dal consumismo americano, e mischia profanamente lo shopping con la letteratura, il feticismo con l’adorazione dei poeti per la donna da loro canta:

What next? I proceeded to the business centre of Parkington and devoted the whole afternoon […] to buying beautiful things for Lo. Goodness, what crazy purchases were prompted by the poignant predilection Humbert had in those days for check weaves, bright cottons, frills, puffed-out short sleeves, soft pleats, snug-fitting bodices and feverously full skirts! Oh Lolita, you are my girl, as Vee was Poe’s and Bea Dante’s. (107)

La Beatrice di Dante diviene Bea, come Dolores diviene nelle braccia di Humbert Lolita o Lo. Questa scena è centrale per capire il modo in cui Nabokov disegna il percorso di perdizione di Humbert: la libertà inaspettata toglie ogni lucidità allo sguardo del colto europeo. L’America diviene una terra dei balocchi; l’identificazione del carnefice con la vittima è totale. Per avvicinarsi a Lolita, che pure vuole a tutti i costi vedere come una Beatrice, Humbert si inebria del cattivo gusto americano. In seguito, nel romanzo, durante il suo compulsivo viaggio coast to coast, Humbert si trova nella condizione penosa di dover divertire Lolita, che dopo aver divorato i suoi magazines pretende di essere distratta. L’America appare allora una terra desolata, costeggiata di musei risibili, motel e cinema (nessuno dei due personaggi si cura del paesaggio). Si instaura una tensione tra l’impulso a nascondersi nella camera da letto di Humbert e il desiderio di consumare in libertà che spinge Lolita alla fuga. Humbert compra Lolita con il denaro; ma per poterlo spendere Lolita ha bisogno della città. Non a caso la contraddizione esplode allorché Humbert è costretto a stabilirsi in una cittadina e trovare impiego presso un’università. Divenendo a tutti gli effetti un padre, Humbert opprime Lolita, ormai adolescente, al punto di spingerla a fuggire con un altro uomo.

Il linguaggio del protagonista è costellato di parole francesi, irritanti e fuori luogo, irresistibilmente comiche, ma allo stesso tempi cariche di significato simbolico: Humbert confonde le due lingue perché non è né europeo né americano, né francese né anglosassone. La sua patria è l’isola felice dove Lolita e le sue compagne vivono in un’eterna giovinezza. Quest’isola è come la versione letteralmente “pervertita” dell’isola di Utopia. Di quest’isola ideale, nella seconda parte del romanzo Humbert immagina di diventare il re e il patriarca. La sua sorta di comunità platonica, nella quale però, e qui emerge la comicità involontaria di un desiderio narcisistico e bulemico, l’unico uomo è Humbert, sorta di Teseo tra amazzoni-ninfette (come Teseo cerca, nella seconda parte del romanzo, di civilizzare Lolita). D’altronde già nella prima parte, dopo essersi da poco stabilito come pensionante nella casa di Lolita, nelle pagine del suo diario si immagina come una sorta di Noè dopo il diluvio:

Friday. I long for some terrific disaster. Earthquake. Spectacular explosion. Her mother is messily but instantly and permanently eliminated, along with everybody else for miles around. Lolita whimpers in my arms. A free man, I enjoy her among the ruins. (p. 53)

La tensione di Humbert verso un ruolo paterno lo spinge ad un paradossale e ipocrita moralismo, anche toni biblici che utilizza nelle sue prediche-ricatto. Forse soltanto in Portnoy’s Complaint l’ossessione erotica maschile e maschilista ha trovato un’espressione linguistica così compiuta. Si tenga conto però che il libro di Nabokov precede quello di Philip Roth di trent’anni e, in aggiunta, narra un’ossessione inaccettabile sul piano morale e sociale.

Nel romanzo la descrizione delle architetture americane sono altrettante snobistiche prese di distanza del personaggio (e l’autore) dalla vita americana di provincia:

The front [of the house] was graced with door chimes, a white-eyed wooden thingamabob of commercial Mexican origin, and that banal darling of the arty middle class, van Gogh’s “Arlésienne”. (36)

Anche gli interni non sono da meno, caratterizzati da un cattivo gusto per il quale la voce narrante non mostra alcuna benevolenza:

A door ajar to the right afforded me with a glimpse of a living room, with some more Mexican trash in a corner cabinet and a striped sofa along the wall. […] there was no question of my settling there. I could not be happy in that type of household with bedraggled magazines on every chair and a kind of horrible hybridization between the comedy of so-called “functional modern furniture” and the tragedy of decrepit rockers and rickery lamp tables with dead lamps. (pp.36-38)

Questa pagina è estremamente importante per capire la costruzione nabokoviana di una forma romanzesca originale. Humbert rifiuta l’ibridizzazione della media borghesia americana, in quanto è fuori dalle norme razionali del buon gusto (ciarpame messicano e Van Gogh). Allo stesso tempo lo scrittore fa svelare inconsapevolmente al suo personaggio l’essenza del romanzo: una mistura orribile (spaventosa) di farsa e tragedia. La tragedia è oscurata dal punto di vista pervertito del protagonista e dalla tensione comica della scrittura nabokoviana; eppure, a ben vedere, nel romanzo ci sono gli elementi per una tragedia perfetta. In particolare, Nabokov si dimostra un maestro dell’ironia tragica.

L’ironia tragica riguarda sopratutto il personaggio di Charlotte: la sua morte, desiderata dal marito, seguirà la scoperta del diario, ed avverrà per un incidente. Proprio nel momento della ribellione nei confronti di Humbert sarà colpita dalla morte, lasciandolo «solo tra le rovine», e padre adottivo di Lolita. L’ironia tragica, però, non si trova soltanto nella scena dell’incidente, ma ben prima, tra le righe della lettera mielosa con la quale Charlotte svela a Humbert il suo amore:

This is a confession: I love you. [so the letter began; and for a distorted moment I mistook its hysterical scrawl for a schoogirl’s scribble] […] The situation chéri is quite simple. Of course I know with absolute certainty that I am nothing to you, nothing at all, Oh yes, you enjoy talking to me (and kiddind poor me), you have grown found of our friendly house, of the books I like, of my lovely garden even of Lo’s noisy ways – but I am nothing to you. Right? Right. Nothing to you whatever. But if, after reading my “confession” you decided, in your dark Europian way, that I am attractive enough for you to take advantage of my letter and make a pass at me, then you would be a criminal – worse than kidnaper who rapes a child. (pp. 67-68)

Come nelle tragedie greche Charlotte predice il suo destino senza rendersene conto: menziona la figlia tra le attrattive della casa, ma di sfuggita e con ironia (per non dire apertamente che è lei stessa il motivo del lungo soggiorno di Humbert); definisce i modi del suo innamorato dark, senza immaginare che tutta la vita di Humbert è per l’appunto oscura e doppia; infine definisce l’uomo che ama uno stupratore di bambine, senza pensare minimamente che ciò possa essere vero. L’ironia della sorte è ben dosata dallo scrittore: Humbert legge da subito in modo distorto la sua lettera, confondendo per un attimo la grafia di Charlotte con quella di Lolita. Allo stesso tempo Nabokov inserisce richiami intratestuali all’incipit e l’explicit del romanzo. Il riferimento al giardino come delizia di casa Haze, richiama la scena della apparizione di Lolita, commentata indirettamente da Humbert con l’elogio dei gigli; Charlotte utilizza il soprannome Lo che rimanda all’incipit del romanzo, nel quale Humbert svela subito di aver posseduto Lolita; l’espressione “to take advantage of my letter” rimanda alle parole della poesia recitata da Humbert nel corso scena culminante nel romanzo:

Because you took advantage of a sinner
because you took advantage
because you took
because you took advantage of my disavantage
[…]
Because you took advantage of my inner
essential innocence
because you cheated me –
[…]
because of all you did
because of all I did not
you have to die.

Charlotte è destinata a morire perchè, senza saperlo e senza volerlo, ha sfruttato la debolezza di Humbert per farsi sposare. La sua colpa è quella di aver approfittato di un “peccatore”, spingendolo al delitto. Di fatti, a ben vedere, Lolita è la prima bambina che Humbert realmente viola. Prima che la morte di Charlotte avverasse il suo sogno, non aveva mai avuto la possibile di farlo. L’amore egoistico di Charlotte (dipinta nel libro come una pessima madre) causa il pervertimento paradossale di Humbert, che, chiuso nel suo sogno, in precedenza aveva in sé una essential innocence.

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4 Commenti

  1. Io ho letto (e se ho letto male l’autore mi perdoni) in questo saggio, che peraltro ho molto apprezzato, una strana, intrigante, umana commistione di fastidio e ammirazione. Lo capisco, perché anche la mia prima lettura non era esente da fastidio. Qui Lorenzo Geri dice, all’inizio, che il suo fastidio deriva soprattutto dallo stile, più che dal contenuto. Sì, però mi sembra una risposta parziale, diciamo una risposta di difesa più consapevole, più superficiale (però non sto definendo superficiale questo testo, perché non lo è, ma ogni testo, o anche film, o quadro, genera una risposta in noi lettori/osservatori che può essere di difesa, se tocca certe corde, o nervi, o ricordi, o fantasmi, spettri del passato che ci hanno lasciato ferite che poi la nostra parte razionale di adulti ha provveduto a nascondere, a ricoprire di callosità, proprio come fa la pelle) mentre un certo fastidio più profondo, forse, rimane sepolto sotto lo smalto, dove però continua a pulsare e a mandare segnali che si traducono in risposte. L’argomento di Lolita, la profanazione della giovinezza, la sua distruzione, la prigioniera, e la stessa giovinezza selvatica, rozza, arrogante di Lolita, crea la risposta che poi si incanala nello stile, perché sappiamo che è lo stile il veicolo delle emozioni. Proprio nello stile Nabokov fa viaggiare le sue provocazioni, le sue destrutturazioni. Attraverso lo stile Nabokov crea il suo gioco intrigante, un po’ perverso, tra autore e narratore, dove talvolta sentiamo l’autore che, nascosto, sornione, ghignante, fa muovere il narratore come un burattino. Però un maggiore distacco nella lettura, un maggiore ascolto di se stessi, forse, può fare superare il fastidio, può smussare la risposta di difesa, anche moralistica, che un romanzo nero come questo (perché di questo si tratta, un grande romanzo nero) provoca in alcuni di noi.

    Comunque, complimenti a Lorenzo, un bel corpo a corpo con Nabokov.

  2. Vi si riflettono le letture proustiane di Nabokov nel ritrovare da parte di Humbert una certa corrispondenza tra il suo primo amore adolescenziale e l’amore per Lolita ecco un qualcosa che si ripete. La sua è disperata illusione di fermare il tempo, almeno all’inizio; dapprima c’è comunque l’innamoramento per il genere cioè per la ragazzina-ninfetta, poi la scoperta struggente di amare proprio lei. Quando ripete il nome lo- li -ta lo fa come certi innamorati o anche certi poeti provenzali cadenzando il nome della donna amata.
    La figura di Charlotte è veramente drammatica e patetica.
    Ottima proposta.

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