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Liberateli!

Appello per la liberazione di Rahmatullah Hanefi e Adjmal Nashkbandi

Siamo angosciati per la sorte di Rahmatullah Hanefi. Il responsabile afgano dell’ospedale di Emergency a Lashkargah è stato prelevato all’alba di martedì 20 dai servizi di sicurezza afgani. Da allora nessuno ha potuto vederlo o parlargli, nemmeno i suoi famigliari. Non è stata formulata nessuna accusa, non esiste alcun documento che comprovi la sua detenzione. Alcuni afgani, che lavorano nel posto in cui Rahmatullah Hanefi è rinchiuso, ci hanno detto però che lo stanno interrogando e torturando “con i cavi elettrici”.

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17 Commenti

  1. Angosciati?
    Ma finiscila. Chi vuoi che ti creda?
    Altroché Corona.
    E’ questo il vero scandalo sociale: appropriarsi di nomi esistenti per comunicare un dolore inesisistente al fine di sentirsi in qualche modo importanti.
    Che schifo.
    In Corso garibaldi a Milano in questo momento c’è uno che sta dormendo sotto i portici. A quest’ora sono 3 gradi. Portagli una coperta.
    Un’azione del genere fa poco rumore?
    Troppo poco politica?
    Mi fai schifo.

  2. @UVZ: chi è che ti fa schifo, che non ho ben capito?

    Una coperta ad un barbone se la si vuole portare lo si fa e non lo si reclamizza.
    Emergency sta in Afghanistan esattamente come chi a Milano o a Port Bou o a Barberino del Mugello, porta la minestra a chi sta in strada, solo che cambiano le “proporzioni”.
    Mi sembra che l’appello non lo abbia lanciato Biondillo o chi per lui, ma proprio quest’associazione a cui “mi fai schifo” a cuor leggero proprio non lo direi… e chi firma non riceve l’attestato di merito o il bollino blu da mettersi in fronte buono e giusto.

    Anzi ti dico una cosa sgradevole: quando porti la citata coperta o dai i venti euro, che magari sono gli unici nel portafoglio, a qualcuno per strada, mosso da pietà o da empatia, lo fai e non solo te ne scordi, ma te ne vuoi proprio scordare. Perché non ti senti affatto meglio. Ti senti peggio.
    Dando concretamente quel poco che puoi ti si butta addosso l’immensità di quel tanto che non puoi. Ti senti addosso la meschinità del cosiddetto “bene” e non è una sensazione tanto diversa dal firmare una petizione standotene a casa in poltrona.

    E più fai e più questo aumenta. Più sei consapevole più fai certe cose anche per inerzia: non per adesioni ideologiche, ma perché sei orribilmente disarmato.

  3. qualcuno – e forse a questo punto lo farò io – dovrebbe comporre uno zibaldone dei comunicati “leggi e aderisci” che vengono pubblicati sui blog, spediti via mail, etc., da sosteniamo saviano a i genitori di maria sono alla ricerca di una cura per il morbo di godenthal: essi costituiscono proprio l’esatta misura della nostra inadeguatezza morale rispetto alla sofferenza, e sono allo stesso tempo il metro del nostro grottesco egocentrismo. Mobilitiamoci, aderiamo, e ce la facciamo.

  4. Finalmente. Meglio tardi che mai. Ringraziato Biondillo, mi sembra opportuno riportare un paio di dichiarazioni che potrebbero aiutare a riflettere su quello che sta succedendo nel post-liberazione.

    1) Gino Strada si è rivolto al nostro governo travicello ammettendo:
    “l’amarezza nel constatare che non per noi, ma per altri in Italia, la sorte di due afghani, uno dei quali indispensabile alla liberazione di Daniele, non è poi così importante”. A sentire i boatos, pare che nei giorni del sequestro il direttore di Repubblica fosse pappa e ciccia con Strada; oggi invece si fa negare anche al telefono e se gli va bene Strada è costretto a richiamare.

    2) L’altra testimonianza è quella espressa da una operatrice della cooperazione internazionale che lavora in Afghanistan dal 2002 e che non la manda a dire. La sua lettera, piena di domande (e per una volta senza boriose certezze), è apparsa oggi su un quotidiano italiano.

    Dice la volontaria rivolgendosi a Mastrogiacomo: “è stato rapito mentre faceva il suo lavoro rispettando le norme di sicurezza raccomandate a chiunque sia in Afghanistan? Ha pensato a non mettere in pericolo altre vite, oltre alla sua? Ha misurato le possibili conseguenze dei suoi atti? Sapeva che chi ha scelto la via della impudenza ha pagato a volte con la morte? (…) Aveva un compito eroico tutto suo, una missione speciale? Per questo meritava di essere salvato pagando un simile prezzo?”

    Ancora: “Quanti talebani vale un italiano? Quanti sforzi afghani e internazionali, pericoli e perdite avute per catturarli, è lecito mettere sull’altro piatto della bilancia con cui Mastrogiacomo è stato pesato? E quanti interpreti, autisti, insomma quanti afghani possono essere sacrificati all’informazione? Mastrogiacomo non avrebbe potuto, tra un flash e l’altro, magari sottovoce, chiedere scusa?

    Ancora: “Se è vero che Gino Strada ha detto ‘Meglio i talebani che un governo amico degli americani’ vorrebbe spiegare a nome di chi parla? Perché la maggioranza degli afghani – per quanto mi riguarda tutti gli afghani che conosco, alcuni dei quali rischiano lavorando con noi, sapendo che nessuno pagherà per loro in talebani – crede in una svolta democratica del paese, non vuole né il ritorno dei talebani né che i contingenti militari lascino l’Afghanistan, e chiede: ‘come mai ci aiutate a costruire uno stato democratico, fate ospedali, scuole, tribunali, e poi per salvare uno di voi accettate il ricatto dei nemici della democrazia?'”.

    Ancora, a proposito di Strada: “Perché mentre molte organizzazioni umanitarie agiscono in silenzio, lasciando la politica a chi compete, il leader di una delle tante, di innegabile valore e dichiaratamente neutrale, parla pubblicamente di politica in modo non neutrale? (…)”.

    La conclusione: “Contenta solo per lui, auguro lunga vita a Mastrogiacomo. Mentre se la gode penserà ogni tanto che, grazie alle modalità e al prezzo della sua liberazione, in Afghanistan il pericolo di rapimenti è aumentato e la situazione è ancora un po’ meno facile, non per colpa degli italiani?”.

    “Sono tutt’altro che un’eroina, se fossi rapita certo vorrei aiuto. Ma mi unisco qui a chi, lavorando in Afghanistan, ha lasciato disposizioni scritte di non trattare oltre limiti ragionevoli, che escludono di pagare costi tali da creare problemi a due governi, quello afghano e quello italiano. Anche se la paura al momento mi spingesse a chiederlo”.

    La cooperatrice si chiama Susanna Fioretti.
    http://www.coopitafghanistan.org/emergenza_afgh/stea.htm

  5. Vorrei aggiungere che essere sensibile alla sofferenza per una persona di un paese lontano non impedisce la preoccupazione della miseria nel propio paese.
    Condivido Ophelia e Carla.

  6. vabbé, diamogli il Nobel, che non si nega a nessuno. Ovviamente alla Fioretti neanche lo straccio per pulirlo, manco una parola, pure a dire che cazzate spara ‘sta stronza. No, il solito silenzio tanto profondo da sembrare infastidito.

    Detto questo, teniamo presente che Hanefi è nella mani dei servizi afghani perché ha fatto quello che gli avevano chiesto gli italiani: liberare Mastrogiacomo. E chi glielo aveva chiesto? Emergency di Strada. E chi lo aveva chiesto a Strada? Il Governo Italiano. E chi lo aveva chiesto al Governo Italiano? Il quotidiano la Repubblica.

    Quindi, ricapitolando, ora che Strada dice di non aver chiesto niente a nessuno e che il governo italiano dichiara di aver agito d’accordo con il governo di Kabul senza nulla pretendere da Strada, beh, allora, non sarà che Repubblica deve darsi da fare? Qualcosina in più di un editoriale?

    Oppure è soltanto colpa di quei demoni kiplinghiani dei servizi afghani che a loro volta sono manovrati dai padroni americani? Perché se è così, più che il Nobel, a Repubblica&Co. potremmo dargli un IgNobel.

    Se poi vogliamo chiuderla ironicamente, considerate che il mullah Dadullah, che dalla trattativa mi sembra averci guadagnato anche un fratello prigioniero, pare abbia accusato il governo afghano di disinteressarsi del destino di Adjimal, l’interprete di Mastrogiacomo ancora nelle mani dei Tabelani. Eccoli, i ‘moderati’ talebani con cui dovremmo sederci al tavolo di pace. I paraculi infoiati di Allah.

  7. @ O.C.

    Il silenzio dei blogger di NI al tuo post è un segno di civiltà comunicativa. Hai postato frammenti (quanto lunghi?) virgolettati di un testo (una lettera?) pubblicata senza titolo e senza fonte (da quale quotidiano?), non reperibile in rete digitando il nome dell’autrice (molti link, nessuno utile) o il nome+”gino strada” (nessun link). E ti aspetti commenti?

    Posso provare a dire qualcoas sul tuo post (quanto tuo? quanto di S. Fioretti? mah…).

    1. Un giornalista viene rapito dai talebani afghani. Faceva il suo mestiere, faceva lo sbruffone? Non lo so, so che commenti del genere se ne sono letti alla morte di Baldoni, e qualche giornale (come Linus: altri invece hanno gongolato, neanche tanto nascostamente) ha ritenuto che tali commentatori meritassero una pedata nel culo col quale avevano commentato. Peccato non avessero gli scarponi chiodati.

    2. Sta di fatto che a Emergency viene chiesto di stabilire un contatto che il governo italiano evidentemente non è in grado di stabilire da solo. E questo mi genera un dubbio: se siamo lì in pace e non in guerra, perchè non abbiamo abbastanza credito da parlare (dico mica stipulare trattati: solo parlare) con una delle parti in guerra?

    3. Emergency non si chiede cosa ci facesse Mastrogiacomo laggiù: fa parte della sua etica non interrogarsi sulle vite che cerca di salvare. L’etica medica è questa: magari il ferito che salvi tornerà a sparare, ma intanto a te sta di doverlo salvare. Emergency lo fa: diventa il canale attraverso il quale il governo italiano entra in comunicazione con i rapitori e ricevere una lista di nomi che può girare al “governo amico” afghano. È andata così. Se poi qualcuno vuol credere alla favola di Karzai che libera 5 talebani all’insaputa del governo americano, faccia pure.

    4. Infine, tu (tua sponte o attraverso S. Fioretti, vai a sapere) accusi Gino Strada di rilasciare dichiarazioni politiche. E perché non dovrebbe? Anche decidere di considerare i feriti esseri umani dotati di pari diritti indipendentemente dalla parte in cui militano è una scelta politica. Ha forse detto cose che non erano note? Ha espresso pareri fino a ieri impensati? Lo si conosce, se non piace si può benissimo evitare di contattarlo, lui ha altro da fare, oltretutto. Ma tirarlo in ballo e poi accusarlo di essere Gino Strada e di dire cose degne di un Gino Strada…

    5. Resta che, un paio d’anni or sono, il credito di Gino Strada era, politicamente parlando, talmente alto da metterlo in condizioni di poter chiedere la luna: entrare in politica, chiedere un ministero, fondare un nuovo partito (circolavano già gli organigrammi, a cominciare dalla presidenza affidata a Cofferati, pensa un po’…). Cos’ha fatto Gino, nel momento in cui poteva chiedere ed avere? Se n’è tornato negli ospedali irakeni e afghani. Non è neanche andato a votare, non era in Italia durante la campagna elettorale. Ammetterai che per uno su cui si sprecano le insinuazioni di protagonismo non è il massimo, no?

    6. Qualcuno vuole dargli il Nobel? Sai che novità! Chiunque può candidare chiunque al Nobel. Se poi per caso lo avesse davvero, cosa credi che farebbe dei soldi? Comprerebbe ambulanze (come ha fatto Dario Fo) o aprirebbe un altro ospedale. Non è che dia l’impressione di sapere o volere fare altro nella vita.

    7. Dimenticavo, per onestà e chiarezza: sono un sostenitore (anche economico) di Emergency, se si ricordassero di mandarmi la tessera sarebbe l’unica tessera politica nel mio portafogli. Quindi in questo post non sono imparziale, anzi: sono fazioso, sinceramente e apertamente fazioso. E sono felice di esserlo.

  8. Gentile Girolamo,

    sono felice che sostieni Emergency, faccio la stessa identica cosa con Medici Senza Frontiere, quindi figurati. Che senso ha appuntarsi le stellette sul petto? Fregatene della faziosità.

    Non trovi che invece sarebbe utile approfondire le parole di Fioretti? No, mi sa che non trovi. Capita. Saranno pure antipatiche e puntute, quelle parole, ma così, a occhio, mi sembravano un’appassionante trasvolata sulle politiche di cooperazione internazionale. La voce di una insider, non solo quella degli outsider.

    Perdona se non ho citato la fonte, ma difendo questa scelta. Sai, dopo un po’ uno si stufa di essere calpestato da scarponi fiorati. Certe volte alle fonti è meglio mettere il silenziatore. Tanto ci sono fonti e fonti, e stai tranquillo che certe procedono bene in vista, sotto i riflettori, con la fanfara alzata.

    Il problema non è Gino Strada, che a mio incivile parere fa il suo (criticabile?) mestiere. Curare mediare trattare. Il problema è la guerra.
    Le ripercussioni della politica onusiana e della Nato in Afghanistan, se ogni paese impegnato in quel teatro si comportasse come ha fatto l’Italia (a proposito, come si è comportata l’Italia?).

    Un esempio da manuale di ripercussione è la terza notizia scorrendo il link qui in basso. Il titolo è “Taliban: ‘will free Afghan medical team for prisoners’ “. http://www.aopnews.com/today.html

    Grazie per la tua attenzione,
    Cordialità

  9. @ O.C.

    scusa se insisto, ma se on vuoi dare gli estremi della lettera di S. Fioretti fai almeno la fatica di riportarla per intero. Non ho l’abitudine, per principio, di commentare testi parziali, scorciati o di seconda mano, indipendentemente dal contenuto. La rete è già piena di troll che commentano dopo aver sleggiucchiato un paio di righe.

  10. Gentile Girolamo,
    nessuna insistenza. La lettera è stata riportata per intero, tranne un paio di paragrafi superflui. Quindi nessuna scorciatoia.

    L’invito resta sempre quello di commentare la notizia apparsa ieri su Afgan on line. Il nostro caro Dadullah anche oggi continua a criticare Karzai perché non sta facendo tutto il possibile per liberare i prigionieri.

    Buona serata

  11. @ O.C.

    Se il contenuto della lettera coincide con quanto hai riportato, la mia risposta a te coincide con quella che darei a S. Ferretti.
    Dadullah non mi è particolarmente caro, non foss’altro che per avere (lui o i suoi amici talebani) già per primi sequestrato e torturato il rappresentante afghano di Emergency attualmente detenuto (e forse torturato) dai servizi segreti di Karzai.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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