Esplorando Beckett

[È da poco uscito il n° 35 di Testo a fronte interamente dedicato a Samuel Beckett e curato da Chiara Montini e da me. Inserisco qui la presentazione della sezione da me curata e il sommario del numero. Di seguito posto il mio intervento su L’innominabile. A. I.]

La peggiore cosa che potremmo fare, credo, a ridosso del centenario beckettiano, è quella di dare per acquisito e assodato ciò che, almeno in Italia, non lo è. Per questo nel preparare questo numero abbiamo scelto di viaggiare su di un doppio binario, uno attento a certi bilanci critici e a certi confronti attuali, e un altro più documentario, volto a recuperare ed evidenziare delle tappe importanti della riflessione critica sull’opera di Beckett.

Interessarsi ad un autore come Beckett significa inevitabilmente avvicinare questioni quali il bilinguismo, l’autotraduzione, la traduzione. Da questo punto di vista, l’opera beckettiana non può non sollecitare un interesse tutto particolare in una rivista come Testo a fronte. Ma nel contempo, la complessità e la ricchezza di questa stessa opera, richiedono un’attenzione alle questioni più generali che la riguardano, questioni di poetica e di strategia letteraria. L’opera di Beckett, infatti, non solo è da noi ancora in corso di traduzione, ma già sollecita in qualche caso nuove e più consapevoli traduzioni. Inoltre, porre la questione delle traduzioni nei confronti di uno scrittore bilingue come Beckett, significa situare la pratica della traduzione in una zona indistinguibile dalla creazione: l’autotraduzione beckettiana è sempre una nuova creazione, una variazione fondamentale del testo.

Per questi motivi abbiamo suddiviso gli interventi su Beckett in due distinte sezioni. Una, di cui si è occupata soprattutto Chiara Montini, riguarda la critica relativa al bilinguismo e le testimonianze dei traduttori di Beckett; l’altra, di cui mi sono occupato soprattutto io, si propone di offrire uno sguardo molteplice sulla poetica beckettiana. Ho fin dall’inizio rinunciato a raccogliere i contributi, in modo da offrire una prospettiva armonica e compatta, che male si attaglia ad un’opera la cui forza e peculiarità è quella di sottrarsi ad ogni presa globale e disinvolta. L’idea è stata semmai quella di valorizzare le relative divergenze e le diversità degli approcci, sfuggendo il più possibile da studi eccessivamente minuziosi e locali, che appartengono ad una ormai consolidata produzione accademica di matrice anglosassone.

Il primo contributo è un saggio di un autore giapponese, Kuniichi Uno, figura poliedrica di traduttore e studioso sia dell’opera di Beckett che di quella di Deleuze, nonché filosofo e professore di letteratura francese all’Università Rikkyo in Giappone. Uno ci offre una lettura dei meccanismi di fondo che animano l’opera beckettiana, andando poi a coglierne le più varie manifestazioni, attraverso generi ed epoche diverse.

Segue un breve, ma denso intervento di Alain Badiou, uno dei maggiori filosofi francesi viventi e un assiduo frequentatore dell’opera beckettiana. Badiou ha dedicato ben tre lunghi studi a Beckett, uno dei quali è uscito come volume autonomo, Beckett, l’increvable désir (Paris, Hachette, 1995) e gli altri due sono confluiti in altrettante raccolte di saggi, “L’écriture du générique: Samuel Beckett” in Conditions (Paris, Seuil, 1992) e “Être, existence, pensée : prose et concept” in Petit manuel d’inesthétique (Paris, Seuil, 1998).

A questi due approcci che non rinunciano ad un esplicito taglio speculativo, seguono gli interventi di due poeti italiani di diverse generazioni, Giancarlo Majorino (classe 1928) e Giuliano Mesa (classe 1957). Qui il discorso si fa ad un tempo incursione critica sull’opera altrui e testimonianza nei confronti della propria opera.

Ai poeti subentrano i critici, il primo dei quali è il francese Bruno Clément, autore de L’Œuvre sans qualité. Rhétorique de Samuel Beckett (Paris, Seuil, 1994), divenuta un’opera di riferimento nell’ambito della più recente letteratura critica beckettiana. Il contributo di Clément è particolarmente interessante, in quanto focalizza la sua attenzione proprio sui procedimenti di lettura e di “annessione”, che l’opera di Beckett ha suscitato in Francia presso filosofi come Badiou e Deleuze, o presso psicoanalisti come Anzieu. Seguono poi due saggi incentrati su L’Innommable (Paris, Minuit, 1953) / The Unnamable (London, John Calder, 1959), ossia su di un’opera di snodo non solo nella vicenda di Beckett, ma di tutto il Novecento letterario. Il saggio di Alessandro Baldacci attraversa The Unnamable, guardando verso la seconda metà del Novecento, e in particolare verso il capolavoro di Ingeborg Bachmann, Malina. Il mio studio, invece, giunge all’Innommable venendo da Pirandello, dalla sua poetica dell’umorismo e dal dramma Sei personaggi in cerca d’autore. Il romanziere Giorgio Mascitelli (Nel silenzio delle merci, 1996 e L’arte della capriola, 1999) chiude questa prima serie, soffermandosi su un aspetto fondamentale della narrativa beckettiana, la dimensione carnevalesca e basso-comica particolarmente evidente nel linguaggio coprolalico della Trilogia.

La seconda serie di testi raccolti offrono un sintetico ma significativo scorcio della ricezione critica di Beckett in Italia. Ricezione che, salvo in qualche caso, non ha certo avuto i suoi momenti di massimo fulgore nelle accademie . E s’inizia, infatti, con un testo del 1964 di Antonio Porta, che coglie subito le conseguenze del bilinguismo beckettiano sugli esiti del dettato poetico. Segue una lungimirante Nota di Fortini del 1966, in cui è posta la questione fondamentale del ritmo nella prosa beckettiana, e più in generale del sottile e continuo travaso dei procedimenti poetici nell’alveo della scrittura narrativa. Passiamo poi agli anni Settanta, e all’accurata ed elegante lettura di Cesare Garboli di una pièce teatrale, Not I, messa immediatamente in relazione con la matrice romanzesca della scomposizione del soggetto, che ha nell’Innomable sia il suo punto di crisi culminante sia di avvio per una nuova e multiforme strategia attraverso generi e media differenti.
Di Aldo Tagliaferri, primo tra i “critici militanti” dell’opera beckettiana, oltre che suo curatore e traduttore, è inutile qui contabilizzare i meriti. Sia ricordato almeno che la sua monografia Beckett e l’iperdeterminazione letteraria (1967 e 1979) ha permesso, in Italia, di instradare nella giusta direzione un’intera generazione di lettori e aspiranti critici. La sua Cronachetta, apparsa nel 2000, è da considerarsi un graffiante bilancio dell’ardua ricezione di Beckett da parte della nostra cultura. Concludiamo la sezione, con un articolo commemorativo di Gabriele Frasca del 2006, anche lui critico, curatore e traduttore di Beckett, che mostra come sulle pagine di un quotidiano nazionale si possa affrontare in modo chiaro e rigoroso la complessità del fatto letterario, della poetica di un autore, senza per forza limitarsi all’orizzonte del luogo comune, dell’aneddoto biografico o della particolarità psicologica.

Nota
Un’esaustiva rassegna delle letture beckettiane in Italia sarebbe più che interessante. Non solo per una storia delle influenze, ma anche per una della ricezione culturale. Un autore come Beckett era di difficile “annessione” in uno spazio culturale come quello italiano dalle partizioni nette e dalle fedi incrollabili. Poi vi sono gli incontri mancati, come quello con Landolfi (Il caso Beckett, 1953), che terminava una lettura de L’Innommable ritenendolo un interessante referto per studi psichiatrici. Ma vi sono stati anche incontri felici ed equilibrati, come quello con Celati (Su Beckett, l’interpolazione e il gag, 1975). Oppure letture acute, ma unilaterali, come quella di Manganelli (in particolare, Murphy, 1962) o occasionali, come quelle del Montale critico teatrale del «Corriere», spettatore nel 1953 dei primi allestimenti parigini di En attendant Godot. E, infine, vi sono anche i regolamenti di conti, affettivi e spietati, come quello di Moresco (Il manierista del nulla, 1999).

SOMMARIO

Prima Sezione

Samuel Beckett, Quattro prose brevi

Sentito al buio 1 (1979)

Sentito al buio 2 (1979)

Una sera (1980)

Secondo la storia che mi han raccontato (1973)

Nota

Samuel Beckett, Una traduzione di Montale

Eugenio Montale, Delta

Traduzione di Samuel Beckett

Nota di Andrea Inglese

Seconda sezione

0 Andrea Inglese, Esplorando Beckett

1 Kuniichi Uno, Il rovescio della lingua

2 Alain Badiou, Quello che accade

3 Gianni Puglisi, Il piacere estetico dell’assurdo

4 Giancarlo Majorino, Gli ultimi fuochi

5 Giuliano Mesa, Domande

6 Bruno Clément, Ciò che i filosofi fanno con Samuel Beckett

7 Alessandro Baldacci, Eclissi dell’io. Su The Unnamable e Malina

8 Andrea Inglese, Una voce in cerca di personaggi: Beckett e Pirandello

9 Giorgio Mascitelli, Appunti per una lettura del Beckett coprolalico

*

10 Antonio Porta, Beckett in poesia

11 Franco Fortini, Nota per Beckett

12 Cesare Garboli, Io non sono io

13 Aldo Tagliaferri, Cronachetta italiana intorno a Beckett

14 Gabriele Frasca, Beckett & Beckett: il doppio come identità

Terza sezione

1 Chiara Montini, Breve panorama critico intorno alla critica del bilinguismo

2 Ruby Cohn, Samuel Beckett auto-traduttore

3 Erika Ostrovski, Il silenzio di Babele

4 Patrick Casement, La relazione di Samuel Beckett con la madrelingua

5 Raymond Federman, Lo scrittore come auto-traduttore

6 Pascal Sardin-Damestoy, Eccentricità e auto-traduzione in Samuel Beckett

7 Chiara Montini, Spostamenti. Verso la poetica bilingue di Samuel Beckett

*

8 Ludovic e Agnès Janvier, Tradurre Watt con Beckett

9 Elmar Tophoven, Tradurre Beckett

10 Gabriele Frasca, Nota del traduttore (su Watt)

*

Quaderno di traduzioni

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4 Commenti

  1. Quando Moresco definisce Beckett Il manierista del nulla , forse vuole comunicarci il suo horror vacui.

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