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Diamo tutto il potere agli editor

editor.jpg di Flavio Santi

In questi ultimi mesi vari segnali ci invitano a riflettere sull’editoria moderna. Un romanzo (Il primo di Gaetano Cappelli, Marsilio), che racconta come un editor trasformi in oro tutta la “roba infame” che riceve; alcune dichiarazioni di Carla Benedetti dalle pagine dell’“Espresso” (“ci sono nell’aria inquietudini e vibrazioni che urtano contro i formati impoveriti della narrativa, oggi spacciati per i soli possibili”); le riflessioni di Antonio Moresco e altri (Giuseppe Caliceti, Gianni Biondillo, ecc.) sul sito di Nazione Indiana. Una volta tanto parliamo del sistema che produce anziché dei prodotti, sembrano suggerire questi segnali. Un consumatore vuole sapere cosa c’è dietro una bottiglia d’olio, una confezione di mozzarelle, una scatola di acciughe, ecc.: non varrà lo stesso per un lettore? In soldoni: un mercato come il nostro che libri produce? Si può partire da un’impressione molto prossima alla certezza (già sottolineata da Moresco in un suo intervento in rete): oggi gran parte della letteratura dei secoli passati verrebbe rifiutata dai comitati editoriali delle case editrici. Si pensi soprattutto al secolo per eccellenza del romanzo, l’Ottocento, a capolavori inarrivabili. I romanzi di Balzac sarebbero giudicati troppo lenti e involuti da qualsiasi direttore di collana, così Anna Karenina (“plot troppo lento, manca di dinamismo, sviluppa in ottocento pagine ciò che potrebbe economizzare in cento”) o i Fratelli Karamazov (“troppi fili lasciati sospesi, trama eccessivamente divagante”). Per non parlare di gente come Proust. Ci si trova in una situazione strana e ipocrita (aveva ragione Gramsci a dire che è il vizio italiano per eccellenza): si continua a legittimare – giustamente – la grandezza di questa letteratura, ancora in questi anni si è sentito parlare di nuovo Proust per Alessandro Piperno (!), senza però svelare l’ipocrisia che oggi un’opera come La recherche (che già all’epoca faticò non poco a trovare un editore) verrebbe rifiutata da chiunque. Eppure la collana della “Repubblica” dei classici dell’Ottocento ha funzionato bene. Quindi? Quindi forse il problema è nelle case editrici, ormai troppo atrofizzate in certi parametri, e non nei lettori che sono molto più svegli e intelligenti di come vogliono farceli passare. Tutto questo per ribadire che il lettore vuole libri necessari, e non preconfezionati da furbi (ma fino a che punto poi?) broker editoriali.
Un recente successo, Gli Schwartz di Matthew Sharpe (Einaudi), è stato rifiutato in patria da ventitré editori. Anni fa in Francia una casa editrice aveva bocciato un libro di… una sua autrice di punta, Marguerite Duras. Era successo che un buontempone avesse inviato in lettura a nome suo un romanzo della Duras e che fosse calata inesorabile la mannaia degli editor. Ma si potrebbe andare indietro negli anni: che dire di André Gide che boccia senza appello La recherche per poi fare marcia indietro qualche anno dopo? Certo, si dirà: “Sono fatti naturali, importante che alla fine siano usciti!” Verissimo, ma non si può nascondere che tutto ciò significa che standard di giudizio troppo bassi e omogenei – solitamente quelli di molti attuali comitati editoriali – possono portare a errori madornali. Quelli stessi che stanno condannando la televisione italiana alla ripetitività mortale. Come sarebbe bello se solo si evitasse, almeno in letteratura, di toccare il fondo. Navighiamoci a vista, di quel fondo, ma per favore evitiamo di toccarlo! Quello che si legge è il risultato di una scrematura arbitraria, di cui non ci si può che fidare (ma a volte con che brividi…). Su questa vita di limbo dei libri c’è una bella ma tremenda considerazione di Antonio Franchini in Cronaca della fine (Venezia, Marsilio, 2003): “Così anche delle grandi opere si finisce con l’avere un giudizio diverso, quando le si è seguite nel loro farsi, come se, visti dattiloscritti, anche i futuri capolavori portassero sempre con sé le stimmate della debolezza, l’inerme fragilità che accompagna ciò che non è sempre esistito, ma un giorno è venuto al mondo, è nato”. Questa riflessione rende bene lo stato di incertezza che non risparmia niente e nessuno in quel lasso di tempo in cui, in effetti, un libro è ancora un “niente” gettato su una scrivania di radica di noce, che sia Tolstoj, Balzac o Bruno Vespa.
A volte, insomma, si ha il terribile sospetto che siano gli editor a fare la letteratura anziché gli scrittori. Quindi, per semplificare le cose, ed evitare atroci dubbi futuri, ecco una soluzione: basta con gli autori! che siano gli editor d’ora in poi a firmare i libri! O che comunque si riconosca all’editor non più uno statuto secondario e all’ombra, ma di primaria rilevanza. Tanto per essere chiari: che risulti in copertina con l’autore e non negli stitici ringraziamenti finali.

[pubblicato su Liberazione, il 06.04.2007]
per l’immagine, consultate gli altri lavori di Peter Kuper, qui.

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108 Commenti

  1. molto EFFICACE l’immagine!
    merito dell’occhio “professionale”?
    Complimenti a Peter Kuper.

  2. Io ho il sospetto che gli editor riscrivano. E va bene, cioè male. Un asino presenta il suo sterco, però è un asino di quelli che devono essere pubblicati, mettiamola così; ed allora l’editor prende lo sterco perché così gli vien comandato, se lo porta a casuccia e lo sistema perché sia appetibile alla moda del momento, a quello che il pubblico vuole, ovvero: niente che sia lontanamento vicino anche solo al concetto di letteratura, semmai il contrario, puttanate. L’editor prende lo sterco, e ne ha tanto, e come un condannato alla catena di montaggio sforna libri tutti uguali fra di loro.

    Mettiamo i puntini sulle “i”: gli editor non sono la Motown. Sono solo dei condannati a una catena di montaggio , quindi capaci di sfornare lavori in fotocopia partendo dallo sterco che gli vien dato in mano.

    Se fosse vero che… allora Leonardo Colombati avrebbe dovuto avere un successo quasi uguale a quello di Piperno, almeno per le vendite. Sino ad ora non si è realizzato questo miracolo di vendite, nonostante l’imbarazzante pubblicizzazione del libro.

    Leggetevi i Classici, quelli veri, che siano in allegato a La Repubblica, al Corriere, che siano Oscar Mondadori o edizioni Adelphi. Leggetevi i Classici e lasciate perdere i prodotti fotocopia. Oppure impegnateci pure soldi e testa in simili prodotti editoriali, tanto fa lo stesso.

    g,

  3. Colpevole O.T. per i guardoni: sono apparse le foto degli Indiani a Torino in “Letture Indiane”.

  4. Il nostro è un tempo così autoreferenziale con il vizio di guardarsi continuamente le spalle….peccato perché se si guardasse allo specchio almeno avrebbe qualcosa di più sensato da raccontarsi. E’ un’epoca che non fa rumore per questo si rifugia nel chiasso, io credo solo nelle storie che leggo! Detesto l’eccesso di personalizzazione, il vero padrone del libro è il lettere non lo scrittore! Adoro le storie che mi camminano dentro, che si impossessano del mio tempo, lo scrittore è solo un postino, a volte un bravo postino, ligio e conoscitore della zona in cui opera, puntuale e preciso, amico dei custodi dell’animo e anche di quelli di qualche palazzo. Banale da dirsi, l’identità di un libro la si scopre pascolando lentamente nelle sue pagine, a volte lo sterco che magari è in copertina serve solo a concimare il terreno per un raccolto più fertile nel divenire….

  5. Posto che molti libri vengono rivoluzionati e riscritti dagli editor, fatto di per sè nè positivo nè negativo se non si conosce il manufatto grezzo e il conseguente risultato finale, ma non credete che questa questione è abbastanza trita e ritrita e soprattutto abbastanza vuota? Non credete che affermare che i Karamazov oggi non verrebbe preso in considerazione è rischioso? Non esiste una prova, di questo. E’ un affermazione basata davvero su un pregiudizio. E dove troviamo, oggi, la forza d’urto di un libro così? Credete che un editore oggi non troverebbe una nicchia dove pubblicarlo? Secondo voi gli editori badano solo a pubblicare porcherie in serie?
    Ma Coetzee, poi, fa fatica ad essere pubblicato? (Per citare un grandissimo scrittore contemporaneo). Non credete che la letteratura non è statica, ma dinamica? Nel senso che è normale che il romanzo contemporaneo esprima l’estrema velocità e frammentarietà dei nostri tempi fin dalla fonte, fin da come esso è impostato nella sua struttura interna?
    Non credete che il romanzo tradizionale sia entrato finalmente in crisi? Che sotterraneamente altri tipi di scrittura vengono sempre più alla luce? Che sempre più contaminazione esiste per fortuna tra i generi?
    E’ verissimo, d’altra parte, che i grandi editori si stanno sempre più trasformando in commercianti, che non amano rischiare, che chiedono la trama forte e l’impegno debole. (Sull’appiattimento linguistico non so, a me pare che molta roba avrebbe bisogno di un gran lavoro di lima, di essere molto asciugata, ché i tempi di Gadda sono finiti e di Gadda comunque ce ne è uno).
    Ora, davvero, se si pensa che gli editor facciano sostanzialmente i libri si pensa male, e si fa peccato, ovviamente; l’autore è l’autore, l’editor – mi riferisco a un libro di qualità- puo’ soltanto dare dei consigli, aiutare, non riscrivere. Dev’essere il consigliere e lo sparring-partner, nel migliore dei casi. Riscrivere un testo è una follia se si ha a che fare con uno scrittore di talento. Si riscrivono le boiate delle pippe, dei cantanti, degli attori, dei non-scrittori insomma. Se un editor provasse a riscrivere qualcosa di mio lo prenderei a calci. Allo stesso tempo, l’editor – quando è bravo – è una figura molto importante, perchè è davvero uno che lotta per la causa, che, quando è bravo e onesto, è l’occhio esterno che guarda l’orizzonte con più chiarezza, perchè la visione chiara non è sempre dell’artista, dell’autore, troppo immerso nell’opera, troppo coinvolto. Cose risapute, direte voi, ma mai abbastanza ripetute, dico io, dal momento che in questo paese anche i giovani scrittori si sentono in dovere di tornare ciclicamente su questi argomenti. Insomma, se uno è bravo puo’ avere la consulenza dell’ editor senza sentirsi affatto sminuito nella propria *autorialità*, ma da questi si farà rispettare con il suo *fare letteratura*. E con la sua personalità; che da che mondo e mondo un artista di valore ha anche una personalità forte e si fa rispettare.

  6. ma lo sai, K (alias fk), che sono proprio d’accordo con te e speravo in una reazione così da parte di qualcuno?

  7. Mi fa molto piacere, caro Gianni. Non se ne puo’ più di questo ciarlare a vuoto degli *addetti ai lavori*. Infarcito di pregiudizi. Ma che ne deve sapere il critico X o lo scrittore Y di come funziona? Non lo puo’ esattamente sapere nessuno. Perchè gli editor non sono tutti uguali, e non sono tutti uguali nemmeno gli scrittori. Troppe variabili. Per non parlare di quelli (abbiamo qui qualche esempio, mi pare) che parlano avendo visto un bel film proiettato nella loro testa.

  8. E’ un momento buio, medioevale, dove anche gli editor hanno un ruolo, quello di portare sul mercato dei prodotti che sembrano libri finiti e compiuti, cioè delle storie. Ma se la materia prima è sterco, anche dopo l’intervento dell’editor sterco rimane e mai un qualche cosa di originale: libri mordi e fuggi, come i panini Mc Donald’s. Ci si può avvelenare mangiandoli qualche volta, ma si provi a fare una dieta di soli panini Mc Donald’s e, poco ma sicuro, uno si prenota la fossa al cimitero, senza epitaffio però, perché quello è un extra non compreso nel funerale standard. Così per i libri prodotti dagli editor: se ne può sopportare uno, due, alla fine se si leggono solamente libri di editing si diventa lobotomizzati, felici d’aver scelto la via della lobotomizzazione. Ma a ogni medioevo dovrà pur seguire un nuovo periodo di luce: e se così non sarà, allora l’umanità è destinata ad estinguersi, prima nel pensiero, poi si spera anche nel corpo.

  9. Chi parla di sterco dovrebbe farsi uno stage gratuito in redazione, per capire come funziona una casa editrice. Ma quando pensi di sapere tutto, di conoscere il mondo (editoriale) meglio degli addetti ai lavori, c’è poco da discutere. Inutile pretendere rispetto. Conviene sorridere e ascoltare, in fondo è divertente.

    Per quanto riguarda l’altra affermazione, “Se un editor provasse a riscrivere qualcosa di mio lo prenderei a calci”, anche qui, nonostante lo sparring-partner e le altre verità risapute sul mestiere editoriale, mi sa che qualcosa, sotto sotto, non quadra. A meno che non fosse ironica, ma non mi sembra.

    Saluti

  10. D’accordo con Gianni e Franz. A proposito, chi fa l’editor a un editor? Il romanzo “Non muore nessuno” strombazzatissimo di Perroni (ne ho scritto su Fernandel) risulta deludente e senz’anima. A riprova che non bastano le idee e la tecnica se manca talento e fuoco sacro. Di contro, “Il Primo” di Gaetano Cappelli è un gran bel romanzo, dove il mondo dell’editoria è rappresentato con esilarante sarcasmo e stile brillante e paradossale.

  11. Daccordo anch’io con Gianni e Franz. Quando facevo il lettore e revisore per casa editrice che non nomino, gli unici libri su cui mi è stato chiesto di intervenire pesantemente erano libri di non-scrittori (testimonianze, diari, gossip, biografie) che si doveva pubblicare per ragioni legate all’argomento trattato o alla notorietà dell’autore. Per quanto riguarda la narrativa, nessuno si prende la briga di restaurare o rifare un brutto romanzo, se non altro per l’abbondanza di invii che sommergono le case editrici. Coi romanzi si tratta a volte di “asciugare”, se l’autore si è fatto un po’ prendere la mano da digressioni eccessive, ma nel complesso direi che non si tratta di operazioni che possono “snaturare” il prodotto. E anche la storia dei Karamazov che verrebbero respinti è stucchevole. In Italia si è pubblicato anche Perceber di Colombati, che è ben più arduo da digerire, e qualcuno l’ha persino letto. Esperimenti se ne fanno e come. Certo non si può chiederli a un piccolo editore che ha solo una collana di genere.
    La mia impressione è che questa paranoia degli editor nasca da una sorta di complottismo di ritorno, da parte di gente che non è riuscita a farsi pubblicare e immagina scenari lugubri per giustificarlo.
    Il vero problema in questo paese non è che non si pubblicano scritture pregevoli e impegnative accanto a libri di più facile intrattenimento, ma che la quasi totale eclisse dello spazio critico non permette più di evidenziare le une dalle altre.

  12. Confermo. Il problema, in soldoni, si riduce a questo: ci sono “scrittori per caso” (la Carrà, Iva Zanicchi, Gianni Morandi, Vanna Marchi e altri personaggi che si sono fatti il nome in ambiti non specificamente letterari) per i quali l’intervento dell’editor è di necessità invasivo e determinante. Poi ci sono scrittori fatti e finiti (tipo Lucio Angelini, per citarne uno a caso) per i quali l’intervento dell’editor si riduce (o dovrebbe ridursi, salvo prosopopee dell’editor) a un mero controllo delle sviste:- )

  13. Aggiungerei una breve considerazione: gli editori non stanno lì per scoprire, pubblicare ed estollere al firmamento dell’Arte (sempre con la A maiuscola, mi raccomando!) i genii sconosciuti che quei cattivoni degli editor vorrebbero sopprimere. Gli editori stanno lì per pubblicare roba che si venda, altrimenti dopo sei mesi chiudono. Se poi la roba che si vende sono le memorie di Vanna Marchi non è colpa loro. Ma forse un vero Artista (con la A maiuscola) dovrebbe saper tirar fuori un capolavoro anche dalla storia di Vanna Marchi. O no?

  14. No Santoro, non era ironica, per niente. Se uno prova a scrivere una cosa col sangue e questa per caso, per avventura o disgrazia, per quello che vuoi tu, gli viene sbattuta in faccia, il minimo che si puo fare, per me, è rimandare la *sbattuta* al mittente.
    A te non quadrano, a mio avviso, troppe cose, e a me, senza però voler offenderti, non quadri tu.

  15. sa dottor Kraspenauer, negli anni di modesto studio e di lavoro precario ho scoperto in merito al mestiere di scrittore qualcosa che s’avvicina molto all’acqua calda. tant’è. mi riferisco ad una scala di valori, indubbiamente elitaria, che scarta dal fattore-editor, e però potrebbe servire a chiarire un po’ le questioni che animano gli addetti ai lavori, come lei.
    il signor Parise, per esempio, come saprà, è stato uno di quegli scrittori un po’ ribelli e capatosta che, sin dal suo primo libello con neri pozza, ha sempre rifiutato interventi e riscritture da parte dei suoi (tanti) editor e editori. difatti ne ha cambiati un bel po’, con il tempo, come sa, di editori. rimandava al mittente, perchè la sua scrittura (nomade, come è stato detto) grondava verità e ‘sangue’ eccetera. forse anche, come dice lei, perchè aveva ‘personalità’. ma soprattutto – ecco la mia scoperta – perchè uno scrittore vero, come ritengo sia parise, va misurato lungo i *decenni* della propria attività (se ha tempo e sorte di campare abbastanza), in rapporto gli snodi plurali e polimorfi della propria officina ideologica e letteraria. è scrittore vero, dunque, chi riesce a comporre un *macrotesto*, un palinsesto, non so come meglio chiamarlo, che sia anche un progetto complesso, stratificato, sorprendente o coerente, molteplice, di metodi e di scritture di intervento e di interpretazione sulla realtà. ecco un vero scrittore. e in tal caso, a lui piacendo, può anche rifiutare le correzioni partecipanti di un editor anche acuto e di qualità. perchè quel progetto ce l’ha già dentro, forse dalla sua prima opera, in nuce, e piazza libro dopo libro i pilastri di una costruzione alta, alta, alta. il che non vuol dire stipare 3, 4, 5 gialletti o sperimentare o combinare come si vuole linguaggi e generi (un po’ di poesia, un po’ di romanzi, un po’ di saggistica), per credersi o essere indicato come uno scrittore, un grande scrittore, un interessante scrittore, come invece accade oggi.
    ad esempio, il buon saviano è solo all’inizio. e promette bene, visto che gomorra l’ho letto: ed era un mattone, ben fatto e potente. ma solo il primo mattone, il primo pilastro. e invece vai con le roboanti menate e i dibattiti e le cordate e il gossip sui suoi editor e editori. per un solo libro, passa per chissà chi (è proprio il segno dell’anemia della nostra cultura attuale). altre sue scritture, tra cui l’ultimo libello uscito con il corsera, mi dicono che funziona. dunque, piano piano, con calma e pazienza, sta costruendo il suo macrotesto. promette di essere un vero scrittore.
    calma e gesso, dunque. e gli editor non c’entrano una cippa. ma lei, lei, e tanti come lei, che oggi si credono chissà chi, e vengono indicati chissà come, chi cazzo è? ce lo ricorderemo del krapsenauer, dei kraspenauer, tra tot anni? insomma, se ce la fa, a comporre questo macrotresto, siamo contenti per lei. altrimenti, forse è il caso di abbassare un po’ tutti la cresta. (ovviamente senza offesa, lei per me è solo un esempio).

  16. K (alias fk), Biondilllo, Binaghi, Tramutoli sono competenti, conoscono evidentemente più di una casa editrice e più di un editor. Soprattutto estremamente realistico è l’intervento di K (alias fk) delle 01:08.

    Gli altri, da Flavio Santi a Iannozzi o montano la panna o non sanno quello che dicono o hanno avuto un’unica esperienza e credono di aver visto e capito tutto.

    Mi sono sempre chiesto a che serva creare falsi probliemi e dare un’immagine dell’editoria così avulsa dalla realtà, realtà che certo non è tutta rosa, ma che non corrisponde a quella data qui sopra ed è invece estremamente articolata. A intrattenere il pubblico, immagino, come le foto delle veline.
    Io di case editrici ne conosco dall’interno sia come autore che come collaboratore almeno una decina, e l’articolo di Santi mi fa ridere.

    La vita è dura, certo, ma è ALTRIMENTI dura.

  17. Scusate se mi ripeto, ma c’è una confusione definitoria in sto dibattito che crea un casino iniziale. “Editor” da noi si usa in due sensi diversi.
    1) responsabile editoriale, colui/lei che sceglie di libri da pubblicare
    2) colui/lei che si occupa del editing di un testo. In alcuni casi si tratta della stessa persona, molto spesso di un redattore, collaboratore esterno, o come nel caso di Perroni- di un agente.
    Sovraponendo i due significati si crea automaticamente l’impressione di strapotere.
    Aggiungo solo che temo che questi discorsi di cui non condivido l’analisi di fondo, a furia di essere ripetuti, possano avere il sapore delle promesse che si autoavverano.
    Per il resto, sono invece parecchio d’accordo con l’ultima considerazione di Valter Binaghi.

  18. Senza offesa Moliterni, ma lei chi cazzo è? Per me, uno che non sa nemmeno copiare il mio nome (che, se ci si mette d’impegno, non è difficile, le assicuro).
    Faccia un po’ d’esercizio, su, hop hop hop…

  19. Ah, poi questa storia del *macrotesto* mica dev’essere obbligatoria. Ci sono scrittori di un unico grande libro. Vede, lei è un sentimentale. Con la letteratura il sentimentalismo c’entra come i cavoli a merenda. In più, sono d’accordo con lei che Saviano è solo all’inizio: infatti ha pubblicato un solo libro. E’ proprio vero che lei scopre l’acqua calda, come è vero che ha studiato. Bravo.
    Per il resto, lei che ne sa di cosa penso io di me stesso e del mio lavoro ancora tutto da eseguire?

  20. Asciugare il testo. Da quando hanno inventato la lavasciuga il mondo non è più lo stesso. E pensare che c’è un austriaco pazzo come Hermann Nitsch che insozza le tele col sangue di vitello. Se gli italiani non fossero dei cattolici di provincia, forse riuscirebbero a vincere la loro stitichezza. Ed ad essere anche citati all’estero.

  21. Bravo. Citi un austriaco. Gente che più provinciale non si puo’. Meno male che esistono i Morgillo che li citano.

  22. Sì Helena, e poi esistono le riunioni di redazione. Dunque è bene chiarire una volta per tutte, prima che mi si venga a parlare, oltre che di Parise, di Dumas padre e figlio.

  23. guarda che puoi scancellare i commenti ripetuti, era un errore non voluto, credimi. e comunque grazie per i consigli e le considerazioni. f.

  24. Hermann Nitsch è un artista europeo di fama internazionale. Non stiamo parlando di Piperno. Che al di fuori dei salotti romani nessuno conosce. All’estero. Quindi moderare i toni. E la supponenza del provinciale che vive nell’indistinto.

  25. Moderali tu i toni, ciccio. Conosco Nitsch come le mie tasche. Ma trovo irritanti i cabarettisti che giocano sulle cose serie.

  26. “asciugare”, Morgillo, asciugare.
    O come preferisco dire io “sfoltire”.
    Non lo vede anche lei che lo stesso commento ripetuto quattro volte è di troppo? Bè, a volte capita anche nei romanzi.
    L’autore a volte ha la diarrea.

  27. In UK il lavoro dell’editor e’ molto rispettato e il fatto che gli Arts Studies (oltre che Creative Writing) siano veri e propri corsi universitari la dice lunga sulla differenza di approccio col nostro Paese: qui si sfornano professionisti dei media, in Italia studiosi. Sto provando a scrivere poesia nella nuova lingua e trovo abbastanza fastidioso il continuo riandare e sottolineare gli esercizi di base: punto di vista, controllo della voce, svolgimento-esecuzione del tema, scelta del metro; forse perche’ noi siamo abituati a considerare queste robe come di talento invece che di progressiva educazione e progressivo migioramento. Qui poeti anche affermati non si sognano di contraddire il parere dell’editor, fatti salvi i ruoli diversi. Se volete cimentarvi a costo zero con tale approccio, c’e’ la serie mensile dei Poetry Workshop sul Guardian: http://books.guardian.co.uk/poetryworkshop/ anche solo leggere quelli passati rende l’idea.

  28. sei un grande, morgillo. stigmatizzi a tutto spiano l’autoreferenzialità, l’onanismo e il malcostume letterario imperante, a partire da quello dei blog, e poi ne apri uno nel quale riversi, per il colto e l’inclita, pagine indimenticabili dei tuoi tanti capolavori.

    complimenti.

  29. Grazie Giuseppe Cornacchia del link. Questo dovrebbe tagliare la testa al toro.

    “I nostri autori non vengono tradotti al’estero”. Di chi parla? Faccia i nomi. Tutti? Metà? Il 90%? A volte un libro non viene tradotto perchè non ha venduto abbastanza sul suo mercato, lo sai ciccio? E allora l’editore straniero lascia perdere. Oppure è l’editore (italiano) che non si sbatte abbastanza per esportarlo. Oppure si tratta solo di soldi: i diritti sono troppo cari.

  30. Forse solo io (magari errando) ho letto nelle parole dell’articolo di Flavio dell’ironia, come a dire che neppure lui ci crede veramente a questa figura dell’editor moloch.
    In fondo la cosa centrale che scrive è che il discorso s’è spostato dal testo al paratesto, come se la critica fosse ormai incapace di lavorare sui testi, per una farraginosità dell’armamentario cultural-ideologico ormai del secolo scorso, e quindi cerca una via d’uscita onorevole criticando ciò che ruota attorno al testo, facendo sociologia della letteratura, non critica letteraria.
    Se, per assurdo, davvero i testi fossero manipolati a tal punto dagli editor, mi viene da dire, e allora? E anche se fosse? Non è dell’opera finita che dobbiamo parlare? Non è del romanzo, chichessia l’autore, che dobbiamo discutere? Insomma, ho la sensazione che molta della critica non lo capisca più questo romanzo contemporaneo e allora lo debba denigrare, incapace com’è di non entrarci in risonanza. (non voglio, però, essere generico scadendo nel luogo comune della assenza “tout cour” del critico: io, solo qui su NI, per fare un esempio, spesso leggo cose di altissimo livello critico, e lasciatemi fare i nomi di Garufi o di Rizzante, per una volta, che scrivono da posizioni spesso differenti, ma sempre attente e arricchenti, per me).
    Ma ora vi lascio, devo scrivere una email alla mia traduttrice spagnola…
    ;-)

  31. Sono serissimo. A me fanno tenerezza quelli che, asciugata la prosa dei loro autori, li lanciano nel firmamento delle Lettere, senza riuscire a piazzarne 2000 copie sul mercato, nonostante le comparsate televisive, gli eventi mondani e le recensioni sui giornali. La mancanza di reattività da parte del lettore archetipico italiano è frustrante.

  32. @ gianni biondillo
    La paraletteratura non ha bisogno di  critici ma di lettori. I consumatori italiani non sanno ancora a quale potere stanno rinunciando. O forse non sono ancora messi nelle condizioni di poter esercitare con consapevolezza le loro istanze  culturali
     

  33. A lui fanno tenerezza gli editori. Come se a un morto ammazzato facesse tenerezza il proprio killer.
    Vado a dormire anch’io, ‘notte.

  34. Come Gianni Biondillo, anch’io non riesco a non prendere il pezzo di Flavio Santi come ironico. Altrimenti, davvero, la semplificazione e schematizzazione di ciò che descrive sarebbe spinta a tal punto da fargli perdere qualsiasi contatto con la realtà.

    Un paio di considerazioni veloci:

    – Da dove viene tanta sicurezza che oggi un Proust o un Balzac non verrebbero pubblicati? Anche prescindendo da una fondamentale questione preliminare (ovvero: ma se Proust o Balzac scrivessero oggi, scriverebbero nello stesso modo?), io credo che sia loro sia, per fare un nome ancora più impegnativo, un Musil, avrebbero oggi più possibilità di essere pubblicati di quella che hanno avuto ai tempi loro. E non perché gli editor di oggi siano più bravi, ma semplicemente perché oggi si pubblicano molti più libri di allora. Inoltre, ogni editor sogna di scoprire il proprio Proust o Musil, per assurgere a gloria eterna e imperitura (cosa credete, anche gli abominevoli editor hanno un cuore…). Tra l’altro, giusto per curiosità, qualcuno può citare, senza tema di essere coperto di ridicolo, uno scrittore odierno del calibro di Proust o Musil che sia rimasto inedito?

    – Premettendo che un editor nel proprio lavoro sbaglia spesso, è inevitabile e bisogna avere l’umiltà di ammetterlo (un buon editor non è uno che non sbaglia mai – Gide a suo tempo rifiutò la Recherche per la NRF, ma questo non ne fa un cretino – bensì semplicemente uno che ogni tanto la imbrocca), mi rifaccio alla mia esperienza personale: più di una volta mi è capitato di cercare di convincere un autore che questo o quell’aspetto del suo testo non funzionavano, senza riuscirci col risultato che la modifica non veniva poi fatta (io mi sono dato come regola di non imporre mai interventi di editing, o riesco a persuadere l’autore o il testo resta com’è); ma poi, uscito il libro, gran parte delle critiche di recensori e lettori puntavano regolarmente l’indice su quell’aspetto rimasto immutato.

  35. la paraletteratura … beh non male, forse è una costruzione modellata su paraculo …
    Oppure su paratesto in base a quello che circola intorno alla letteratura e quindi anche l’editor e l’editore ecc. e allora sì ha bisogno anche di critici o pseudo critici, di quelli che NON criticano mai.
    Poi potrebbe essere un mot-valise: letteratura con il paracadute e quella davvero ha bisgono di critici.
    Poi c’è quella che chiamano letteratura e senza parà, e, sempre che esista, quella forse avrebbe bisogno di Scrittori prima che dei lettori, naturalmente parlavo di scrittori reali perchè di gente che scrive in italia ce n’è talmente tanta che si è mangiata già da un pezzo tutti i lettori, la rete, è vero, ne ha creati di nuovi, ma anche loro incominciano a non poterne più visto le bufale ogm che la e-paraletteratura ha loro fornito in questi pochi anni.
    Poi c’è la letteratura a punteggi e scatti di anzianità … e urgerebbe una riforma della letteratura magari chissà qualcuno ci penserà e allora sarà divertente davvero
    geo

  36. @O.C, non infastidirlo. si è tanto arrabbiato, l’effe.k, che, come potrai vedere, ho fatto marcia indietro, mi sono fatto piccolo piccolo. (eppure l’ho pregato di eliminare l’errore involontario dei messaggi in serie). sono tornato in silenzio a sedermi tra i banchi. del resto, mi ha detto ‘sei un imbecille, ragazzo’. mi ha fatto notare che ho scoperto l’acqua calda dicendo che saviano è all’inizio perchè ha scritto solo un primo libro. ma io dicevo che proprio su questo sembra si sia sorvolato nel dibattito critico e bellettristico sulla sua opera. il mio era giusto un discorsetto sulla vexata quaestio dello stato di crisi e di ambiguità nella quale galleggia inerme (non tutta) la critica letteraria odierna, stato del quale questo posto, con (non tutti) i suoi rappresentanti, è davvero lo specchio fedele. insomma, qui pare che molti si sentano i contini di turno, gli steiner del momento. ma, ripeto, chi lo conosce(va) effe.k? chi, di grazia? il ruolo degli editor, ok. e il ruolo dei critici? che ne è della lucidità critica e della capacità di dare giudizi di valore con equilibrio e tenuta e coerenza, stroncando o meno? che ne è, meglio ancora, del ruolo degli scrittori-intellettuali, come li chiama ancora qualcuno? e cioè che ne è della funzione di coloro che non soltanto scrivono testi, artigiani della scrittura, ma possiedono un metodo, instaurano genealogie, incrociano linguaggi e stili, temi d’inchiesta e orizzonti teorici, generi e codici per seguire ed eventualmente influenzare l’agenda culturale e politico-culturale della società italiana, di qua da vetrine e vetrinette, stampa cartacea e on line? ecco, mi chiedevo, siccome fk non è (ancora) uno di questi scrittori (a venire), non è sciascia e nemmeno berardinelli, o chi per loro, credevo fosse giusto ricordarglielo, invitandolo ad assumere posture meno saccenti, aggressive, presuntuosamente e pretestuosamente sarcastiche e sprezzanti (lui, solo come esempio). mi sa che a me fk mi insegna, e non ce n’è bisogno, solo i modi mafiosetti del radical chic che si crede un grande se scimmiotta il brutto ceffo della città vecchia. statti bene.

  37. Mi pare che il commento di Jacopo De Michelis meriti attenzione. Evitiamo, ve lo chiedo sinceramente, di rotolare nella insulsa polemica (e parlo per tutti, anche di Franz, che tende spesso ad accendersi). che poi dare del radical chic a Franz, oddìo… sto ancora ridendo.

  38. Dai, ragazzo, se usi espressioni come “vexata quaestio” – tanto per dirne una- a un radical chic come me, a un mafiosetto in posa come me, a un imitatore come me, puoi solo far venire da ridere. Ti ricordo che sei stato tu a sparare qui per primo contro il sottoscritto, pieno di idee maldigerite sui manualetti che ti periti evidentemente di ripassare prima di buttare i tuoi commenti. Senti questa: la letteratura si impara sulla strada, non sui libri.

    Santoro, l’ho capito che sei un duro. Soprattutto di comprendonio.

    Gianni, io vado avanti fino in fondo, o fino a che non mi rompo i coglioni; mi conosci. Io tendo ad accendermi quando leggo cazzate, dichiarazioni queste sì presuntuose, quando leggo – in filigrana o in esibizione – della mancanza di rispetto.

  39. fk: “quando leggo – in filigrana o in esibizione – della mancanza di rispetto”: se uno si firma OC, OOC, CCP, FM, FFMM, tu, per favore, per proseguire, se proprio vuoi rispondergli, rispondi @OC, ad OOC, eccetera, non altrimenti. se uno non ti convince ma già ti sei scaldato, raffreddati, non intercalare con nomignoli tipo ‘ciccio’ le tue risposte. se uno, per sua fortuna, non ha ancora i capelli bianchi, non dargli del ‘ragazzo’ per liquidarlo come fossi in un film di scorsese. ok, grande uomo? grazie, buon proseguimento.

  40. Se uno per sua fortuna non ha ancora i capelli bianchi? Ma sei matto? Io ho cominciato ad avere vero successo con le donne da quando ho cambiato colore!
    Ah, se tu dire me “quello chi cazzo è” io rispondere “ragazzo” e a te, ragazzo, andare ancora di lusso.

  41. scusate, ma quanti cazzo di ‘fm’ ci sono in rete? datevi una regolata, fate una riunione e assegnatevi un numero di targa, che vi possa almeno distinguere. qui non si capisce più una beata fava…

    adesso manca solo che iannozzi usi pure lui il nick ‘fm’. o lo usa già?

  42. @fk
    volevo dire: e chi cazzo è (quello che chiama ‘ciccio’ chi non gli va a genio; quello che fa tanto il di più e non è esattamente pietro citati nè philip roth)?
    dicevo che se uno per gli stracavoli suoi si firma per esempio O.C, tu: uno: puoi anche non rispondergli; due: se gli vuoi rispondere (sembrando pietro citati), e sai chi si ‘nasconde’ dietro quel nick, non dovresti spiattellare il suo nome, o cognome. sa di uno che si sente assai e che fa un piccolo ‘sfregio’. io, per esempio, so che il tuo fk sta per le tue iniziali. ti ripondo, se mi va, continuando a usare le tue iniziali. che non sono (ancora) propriamente quelle di pietro citati, o del philip roth di casa nostra. dunque, ti direi e ti dico da signor nessuno quale sono (fm), di abbassare la tua cresta incanutita. questo per dire, da sentimentale liceale, che gli ambienti intellettuali vanno misurati (anche) su questioni di posture, di pose, di ‘prossemica’. ho finito i compiti, buona serata

  43. Grazie per la lectio magistralis, fm.
    Io che mai sarò (e lo so per certo, conosco i miei limiti) il Citati e il Roth da te tanto evocati, ti chiedo, umilmente: ma se siamo questa congrega di anonimi segaioli, che ci vieni a fare qui? A sporcarti le manine? Ma ne vale la pena darci tutte queste perle, a noi porci autoreferenziali? ;-)

  44. @biondillo
    peccato che a mio parere c’è qualcuno che perlopiù si salva (per forma e sostanza), tipo inglese, o rizzante, o che ne so, e qualcosa almeno la dice, apparendo poco ma bene. altrimenti il suo dire non farebbe una grinza (visto come parlo magistralis?). saluti e tanta considerazione per la sua autostima, sperando di poter raggiungere un giorno la sua, di stima. cordialità

  45. cavolo ma fm fk gb non erano tutti amici?
    ora si danno del lei …
    che succede?
    Ed è vero che ci sono molti fm e altrettanti fk?
    e chi è morgillo che ha già offeso tutti … compreso me?
    e perchè fm (o uno degli fm) lo difende così tanto, solo perchè lo hanno chimato ciccio?
    E che è un’offesa ciccio?
    boh i misteri della rete.
    suvvia fate i bravi altrimenti arriva l’editor anche nel lit-blog e …
    un saluto cicci belli …
    geo

  46. Maliverni, (fm è Francesco Marotta, informati) sei palesemente scorretto. Basta leggere tutta questa rissa virtuale per accorgersene. ei venuto qui attaccandomi senza conoscermi. Guarda che noi esistiamo anche fuori di qui, eh?
    Guarda, io m’incazzo proprio, perchè sono quelli come te, con la puzza sotto il naso, che inquinano l’ambiente. Io non faccio finta di fregarmene come fa la maggioranza, non faccio il superiore, io tiro calci e pugni, per ora virtuali, ma spesso mi prudono le mani – anche se non è questo il caso, non ancora almeno.
    Non ti dico altro. Se io sono nessuno, tu sei il nulla liofilizzato in una bolla d’aria.

  47. Georgia, cara, perchè non perdi veramente MAI , proprio MAI l’occasione? Quale? Quella di far riposare le dita. Chiaro no? Vatti a fare un giro, ogni tanto, Firenze è tanto pittoresca e suggestiva, soprattutto in primavera. Dài, che l’ora del dilettante è scaduta da un pezzo. (E questo è valido anche per Maluiverni o come cazzo si chiama).

  48. ah ah ah ah fk incazzato lo trovo veramente irresistibile
    NON sono a firenze,
    ma chi sarebbe dilettante? tu o io?
    per essere definiti dilettanti bisogna scegliersi un settore dove si reputa di essere professionisti … io non ne ho, quindi manco dilettante, come d’orrico ha definito coetzee, posso definirmi. Tu invece sei un professionista … e allora?
    però … e lo accenno senza dirlo … a me sembrava che ti stavo difendendo ;-) ok ok ok vo’ a far riposare le dita … hai ragione

  49. @fk
    Krautenahuer (fm non ha un copyright), non mi chiamo Maliverni. continui come hai iniziato, e per questo ho iniziato io: uno ad esempio si firma O.C.; tu per ripondergli gli spiattelli in pubblico il suo vero nome. rispondi su questo, se proprio vuoi continuare con me. insieme a tutto il resto che ti contraddistingue qui e ora, il tuo è teppismo paraintellettuale di bassa lega. buon lavoro.

  50. Sono affari miei, il perchè. Cazzi miei, meglio. E non voglio continuare con te.
    “Teppismo paraintellettuale di bassa lega”. Avresti potuto scrivere: “Teppismo intellettuale di bassa lega”. Il “para” è pleonastico. Krautenhauer me lo dicevano alle medie. Vedi di crescere. Buono studio.

  51. cazzi tuoi, grande uomo. il prefisso ‘para’ indica allo stesso tempo prossimità e distanza da un concetto. sei contemporaneamente vicino e lontano dall’essere un ‘intellettuale’ (tra i tanti) e un teppista (tra i tanti). impara ad esprimerti e a comportarti, buone cose

  52. avevi scritto ‘vaffanculo’…. coi potenti mezzi dell’ITC della redazione hai subito cassato. tu puoi cassare. chi è che si arrampica sui vetri? eppure eri tu se non sbaglio che postava e presumibilmente amava, come me, piero ciampi. tipo la sua ineffabile ‘adieu’. un po’ di educazione…. con amicizia, f.

  53. Ho cassato perchè mi sono accorto di avere esagerato. Ma se vuoi ci ripenso, Moliterni. E posso spingermi a fondo, molto a fondo. Molla la presa, te lo consiglio. E non salutarmi con amicizia, fammi il piacere di risparmiarmi la tua ironia. Tu non mi rispetti. Per me questo basta e avanza.

  54. ti rispetto franz krauspenhaar, ti leggo e se mi piaci o mi dai stimoli per riflettere e imparare te lo dico pure. ma te lo giro come consiglio davvero modesto, senza ironia: per favore non alzare la cresta in generale e nel particolare, e non mancare tu di rispetto per primo (O.C., eccetera). saranno pure imperscrutabili cazzi tuoi, ma se è così stai messo un po’ maluccio. e, come dici tu, tra ieri e oggi non mi andava di far finta di niente. saranno pure cazzi miei. possiamo finirla qui, ma se vuoi l’ultima parola, prego, accomodati.

  55. @ georgia
    Scusi, signora, io non ho leso la dignità e l’integrità di nessuno. Difficilmente riconosco autorità a qualcuno, ma non gli vieto di certo di esercitarla. Anche perché, come potrei?

  56. A me piace la definizione di Antonio Franchini che avete citato: “Così anche delle grandi opere si finisce con l’avere un giudizio diverso, quando le si è seguite nel loro farsi, come se, visti dattiloscritti, anche i futuri capolavori portassero sempre con sé le stimmate della debolezza, l’inerme fragilità che accompagna ciò che non è sempre esistito, ma un giorno è venuto al mondo, è nato”.
    Mi piace perchè penso che un libro porta davvero con sè la propria debolezza e l’inerme fragilità, sia che si tratti di un capolavoro, sia che non sia un capolavoro. Mi domando invece come possa mantenere un fondo di verità se venisse manipolato da un’altra persona che non sia l’autore, e riporto in merito a questo la famosa affermazione per cui non si mette una toppa di stoffa nuova su un vestito vecchio.
    Mi piace anche l’idea di Flavio Santi, che un libro è un niente gettato su una scrivania, perché penso che un libro se è ben fatto abbia le carte in regola per giocarsela da solo, la partita con l’editore o con l’editor, o con il più antico stampatore.

  57. A me piace la definizione di Antonio Franchini che avete citato: “Così anche delle grandi opere si finisce con l’avere un giudizio diverso, quando le si è seguite nel loro farsi, come se, visti dattiloscritti, anche i futuri capolavori portassero sempre con sé le stimmate della debolezza, l’inerme fragilità che accompagna ciò che non è sempre esistito, ma un giorno è venuto al mondo, è nato”.
    Mi piace perchè penso che un libro porta davvero con sè la propria debolezza e l’inerme fragilità, sia che si tratti di un capolavoro, sia che non sia un capolavoro. Mi domando invece come possa mantenere un fondo di verità se venisse manipolato da un’altra persona che non sia l’autore, e riporto in merito a questo la famosa affermazione per cui non si mette una toppa di stoffa nuova su un vestito vecchio.
    Mi piace anche l’idea di Flavio Santi, che un libro è un niente gettato su una scrivania.

  58. Moliterni, non è che voglio l’ultima parola. Te la cedo volentieri, anzi, sempreché tu voglia cambiare un po’ atteggiamento. A me pare che se c’è qualcuno qui che deve abbassare la cresta quello sei tu. Davvero. Credo ti sfugga questo piccolo particolare. Che io sia pieno di difetti, anche caratteriali, è cosa nota. Che io non sia il Philip Roth di casa nostra nè tantomeno Pietro Citati (mai aspirato a fare il critico, tra l’altro, solo il modesto narratore) è cosa piuttosto evidente. Insomma, non hai detto nulla di particolarmente nuovo nè rilevante, se non affermando che preferisci Inglese e Rizzante a me e a Biondillo. Sulle opere narrative di Rizzante non sono però edotto, a me risulta che non abbia scritto libri di fiction, perlomeno finora. Così Inglese, che si distingue per essere un ottimo critico e poeta. Dunque saranno pure stati cazzi tuoi farmi sapere il tuo pensiero con quella che io – e penso non soltanto io – considero arroganza (equivalente dell’alzare la cresta, mi pare) e però sono cazzi miei risponderti puntualmente. Sono disposto a confrontarmi con te su altri argomenti e anche in altre sedi, e ben volentieri con altri toni; l’importante, a mio davvero modesto avviso, è partire col piede giusto. Quello del rispetto. Altrimenti siamo punto e daccapo.

  59. Comunque io qui ci vengo perché mi diverto.
    Prima la prendevo seriamente, ora non più.
    Che ci vuoi fa’, so’ de coccio.
    Buone cose.

  60. krauspenhaar, mi riprendo l’ultima parola. nessuno ti ha mai detto che hai dei modi arroganti? ne dubito. io lo divento solo quando mi ci imbatto virtualmente o nella quotidianità. dunque, sei tu che, ancora una volta, metti in uso comportamenti discutibili. del tipo, tra i tanti – e sono 4-, il mancare di rispetto verso una sottoforma di privacy come quella di firmarsi O.C, o chi per lui, e di aspettarsi che si risponda a questo o ad altri nick, senza sgarbi e sgarri. tanto più che questo O.C, ormai, come vedi, ha solo voglia di divertirsi. spero ci siamo chiariti. alla prossima.

  61. ho sentito dire che si pubblicano circa centotrenta titoli al giorno. Che il fatturato complessivo di tutta l’editoria (fatturato non utile) è pari ad una sola impresa farmaceutica italiana. Qualche migliaio di milioni di euro. Levato costi e distribuzione rimane ben poco. Credo che i libri dovrebbero essere venduti nelle farmacie, pagando solo il tichet naturalmente. Sarebbe opportuno recensire le case editrici, invece che gli autori e sapere così della famosa linea editoriale e cosa significhi.

  62. bravo michele.
    si potrebbero anche vendere farmaci nelle librerie. oppure abbinarli ai libri. che ne so: a gomorra si potrebbe abbinare qualche calmante, magari anche a buttafuoco. poi si potrebbe fare uno scaffale di antidepressivi, per gli scrittori bocciati dagli editor. se compri rossana campo ti danno insieme anche il viagra. se compri binaghi, degli anticoncezionali. restringenti per travaglio. e così via.

  63. Franz, attempato paraculo, qua la mano! (Se vuoi ti giro anche i miei secondi nomi: Francesco, Paolo, Michele; il mio posto di lavoro, i dati anagrafici, eccetera). Saluti

  64. O.C., lui continua (forse un po’ ghignante) a paraculare me, io continuo pacifico a paraculare lui (come m’insegni). manco fosse arcangelo leone de castriiiis.

  65. eh sì, rosalina, sapessi che bello quando si digita in due nella stessa stanza e sullo stesso computer e si fa finta di non conoscersi nemmeno. che cari, questi eterni fanciullini pascoliani. e chi sa quante risate e strizzatine d’occhi. che carini!

    qualcuno ha visto sandra milo?

  66. @eva, ecc.: eeesatto, come no! ora, però, dando uno sguardo rapido agli altri post, tipo a quello di inglese, ti accorgi senza dietrologia che se uno si firma giusco gli si risponde giusco, tash=tash, morgillo=morgillo ecc. qui, se uno si firma fm, non fm=fm, ma fabio, molitazzi, molivarni, molicazzi. parlo solo di ‘forma’. qualcosa di elementare, altro che paranoie sofisticate. saluti cordiali.

  67. come vedi, cadi esattamente nello stesso errore che imputi agli altri.
    io mi chiamo eva risto, non ‘eva, ecc.’
    non ti sembra?

  68. questo fm è il classico bue che dà del cornuto all’asino. o è un asino che dal cornuto al bue, tanto è uguale. al confronto iannozzi è un benefattore dell’umanità e angelini un unto dal signore.

  69. commento illuminante. ogni tanto questo sitting targets passa da qui, dopo aver sbrigato le sue faccende, scrive al massimo 3 righe e va via. liberissimo, ci mancherebbe. un’epifania.

  70. “Il vero problema in questo paese non è che non si pubblicano scritture pregevoli e impegnative accanto a libri di più facile intrattenimento, ma che la quasi totale eclisse dello spazio critico non permette più di evidenziare le une dalle altre”.

    Sono molto d’accordo con Walter Binaghi: la proliferazione di libri è un fatto centuplicato dalla rete che, oltre a trattare di scrittori ‘istituzionalizzati’ e spesso a pubblicizzare chi pubblica per editori a pagamento, crea continuamente nuovi scrittori. è come se si sia perduto un filtro autorevole. qui tutti sono/siamo diventati scrittori, nel senso etimologico del termine: solo perché “scriviamo”.
    E la critica, le recensioni ‘vere’ sono rare.
    Un esempio stupido, ma indicativo: nella città dove vivo (ma non lavoro) grazie all’intercessione di una tizia, alcune persone che scrivono pubblicano per una casa editrice a pagamento di Roma. Pubblicano romanzi ‘sconcertanti’. Ebbene, nei giornali di cronaca locale di qui si scrivono articoli su queste pubblicazioni, manco fossero recensioni ai romanzi di Saramago.
    ma a parte la qualità dei libri, ciò che mi fa riflettere è che tutte queste persone (simpatiche, mica no) siano considerate ‘”scrittori”.
    E la gente che legge gli articoli ci crede e magari continua pure a crederci una volta acquistato e letto i libri, perché legge solo cose così. Anche perché poi, come battesimo ufficiale, fanno le presantazioni nelle biblioteche con l’assessore alla cultura. E allora si crea questa forma di indistinguibilità, questa grande marmellata: non molto differente da quella che investe realtà più grandi (l’intero mondo editoriale, i grandi giornali, la rete).

  71. lamentatevi, lamentatevi. comunque: pare che fm sia andrea barbieri. le indagini continuano.

  72. continua pure le indagini. sempre non più di due righe, mi raccomando. sitting targets, o del pensiero stitico.

  73. il mio pensiero è il distillato di grandi elaborazioni. capisci? non capisci.
    il bagno è in fondo a destra (come sempre).

  74. non capisco. come diceva mio zio ferdy, melius abundare quam deficere.
    ci distilliamo un po’ per i fatti nostri o devi continuare a spruzzarmi con l’aspensorio del tuo sottile pensare? tutto a posto, lascia(moci) perdere.

  75. lo conosco eccome lo zio ferdy. se è quello che dico io è uno che ha sempre abbondato in cilindrate, lassù a stoccarda. giusto, fm? (am dov’è, non è voluto venire?)

  76. vedo che continui a sintonizzarti, contento tu. comunque no, è una storia tutta italiana. ancora saluti.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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