Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #1

di Giorgio Vasta

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Negli ultimi due mesi si è più volte tornati a discutere di editing e di sistema editoriale (qui il link a un articolo che rimanda ai pezzi che hanno dato l’abbrivio alla discussione; mentre invece qui, qui, qui, qui e qui le ulteriori evoluzioni, fino alle più recenti). Quello che mi ha sorpreso è, con le dovute eccezioni, l’omogeneità di consenso nei confronti di quelle posizioni – che si vorrebbero critiche ma risultano soprattutto paranoidi e poco informate – secondo le quali l’editing è un dispositivo di normalizzazione del testo e il sistema editoriale una brigata di cialtroni che oscillano tra l’incompetenza e l’affarismo più bieco. A sorprendere è soprattutto il semplicismo, la sbrigatività, l’ansia liquidatoria che elimina qualsivoglia possibilità di una lettura non voglio dire più “reale” ma almeno più “realistica”, meno o per nulla manichea, e quindi consapevole dell’esistenza di un contesto che è complesso e articolato e non è risolvibile in una manciata di sentenze tanto indignate e apodittiche quanto, di fatto, tragicomicamente scollegate dai fatti (che, come detto, ancora una volta sono indifferenti al nostro protervo bisogno di semplificazione e ancora una volta si permettono di essere contrastati e contraddittori).
Sorprende, ancora, la descrizione sommariamente apocalittica che si è data dell’editing. Una forma di intrusione indebita da parte di una sorta di sicario, l’editor, per conto di un mandante, la casa editrice, o meglio i suoi interessi commerciali. Questo, nella prevalenza dei giudizi e delle opinioni, è l’editing. Senza il minimo dubbio sul fatto che quello descritto sia il “cattivo” editing, che pure esiste, e non l’editing tout court. Ragionando in questo modo dovremmo fare descrizioni accuratamente parziali di un po’ tutto e dire che un negozio di frutta è un luogo nel quale si vendono soltanto le mele e basta, e altri consimili esercizi di serena inerzialità del pensiero.

Mi incuriosiscono le due allucinazioni narrative contenute in filigrana nei discorsi che sono stati fatti.
La prima corrisponde alla storia del letto di Procuste, ovvero alla storia del brigante che se ne stava appostato lungo la strada che da Eleusi portava ad Atene. Procuste aggrediva i viandanti, imponeva loro di distendersi su un letto di roccia e li percuoteva con un martello costringendoli a diventare della stessa identica lunghezza del letto. Quindi, se erano troppo bassi venivano messi in trazione e stirati, mentre se erano troppo alti venivano loro amputati piedi e gambe. Un modellamento imperioso e cruento, una forma di distruzione coatta: un regime.
L’editor, sostengono le critiche, in quanto normalizzatore si comporta come Procuste. Il letto di roccia è la logica del mercato, la regola del gusto dominante in un determinato momento, la misura più opportuna per conseguire risultati commerciali; l’editor stira o amputa, opera sul corpo dell’autore (e quindi del suo testo) costringendolo ad assumere dimensioni che non gli sono proprie (le proporzioni strategiche che il mercato impone) ma che deve giocoforza accettare. Significativo è il fatto che, secondo il mito, Procuste viene ucciso da Teseo che gli impone esattamente lo stesso supplizio che Procuste imponeva alle sue vittime. C’è quindi una circolarità: chi di normalizzazione ferisce di normalizzazione perisce.

La seconda allucinazione narrativa che mi sembra di avere avvertito nelle accuse mosse all’editing coincide con il momento della Cura Ludovico in Arancia meccanica di Stanley Kubrick. Nel caso specifico l’editing sarebbe un dispositivo di condizionamento psicologico (e l’editor, è evidente, il suo artefice-amministratore) finalizzato al ridimensionamento se non alla cancellazione da un testo letterario di ogni elemento virale ed eversivo. Obiettivo generale di una casa editrice è la reductio ad unum, l’annichilimento di ogni stortura. Attraverso il controllo di un pezzetto di mondo si controlla, metonimicamente (e nevroticamente), tutto il mondo. Così come l’Alex kubrickiano viene addomesticato (o almeno così pare) dal trattamento al quale si sottopone, allo stesso modo un editor prende in consegna un autore e si occupa personalmente, attraverso la propria scientifica stregoneria, di condizionarlo fino a stimolare in lui una nausea immediata a tutto ciò che fa eccezione e che contraddice le abitudini di lettura condivise. Nausea nei confronti del maligno e sollievo, invece, di fronte a tutto ciò che è sereno e beneducato e rassicura e non può generare neppure un barlume di crisi. Ancora una volta la normalizzazione perfetta. In questo modo l’editor compie la manutenzione di un’idea di cultura piccola piccola ma evidentemente adatta al mondo reale. E l’autore accetta tutto, bovinamente, muggendo di felicità alla prospettiva del suo nome in copertina.

Ora, indipendentemente dal fatto che si parla di un contesto, quello editoriale, e di un mestiere, quello dell’editor, che in qualche modo conosco perché mi guadagno da vivere in questa maniera, se comunque in qualsiasi altro contesto mi venisse descritto un mondo che funziona aderendo a questi meccanismi io non riuscirei a crederci (soprattutto perché quelli appena descritti – il letto di Procuste e la Cura Ludovico – non sono mondi e meccanismi ma, come detto, allucinazioni di mondi e di meccanismi). E non per una sorta di oltranzismo della incredulità ma per il fatto che l’idea per la quale esiste davvero il buono completamente buono e il cattivo completamente cattivo non mi sembra possa mai reggere in nessun caso, se non all’interno della retorica del complotto, che dal mio punto di vista tende – attraverso l’organizzazione del mondo in perseguitati e persecutori, in vittime e carnefici – a una impietosa semplificazione del mondo.
Non c’è il buono e non c’è il cattivo. Ci sono mescolamenti, gorghi, spirali, ordini e caos che si chiamano esseri umani. Ognuno di questi mescolamenti, di questi gorghi, di queste spirali, di questi ordini e di questi caos esiste davvero, è reale, e agisce. E agendo mescola tante cose diverse che comprendono il nobile così come l’ignobile. C’è tutto, davvero tutto, quindi le idealizzazioni e le demonizzazioni valgono come semplificazioni indebite, come piccole trincee nelle quali ognuno cerca riparo, alle quali domanda di ridurre il mondo a un mucchietto di regoline chiare ed efficaci per giudicarlo, subito dopo, quel mondo.

Da tutto questo l’idea di scrivere sei domande – tre assolutamente tecniche e informative, essenziali, e tre che entrano più nel merito delle recenti discussioni – e rivolgerle a una serie di editor di diverse case editrici italiane, che ringrazio per la disponibilità a intervenire. Immaginando che così i fantasmi possano essere – se se ne avrà voglia – ridimensionati e si possa, nel caso, tornare a discutere partendo da premesse più lucide e, come si dice, euristiche.

A seguire, nel prossimo post, la prima intervista.

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14 Commenti

  1. Finalmente. Era ora che facessi sentire la tua voce sull’argomento e, soprattutto, che qualcuno dicesse qualcosa di sensato contro questa assurda allucinazione collettiva (l’editor cattivo contro l’artista vessato) che pure ha occupato spazio sui blog in questo periodo. E degno di te il fatto che anziché liquidare il tutto con una semplice boutade abbia deciso di proporre dei momenti di riflessione. Bene, aspetto di leggere queste interviste ai “cattivi”.
    Nota ulteriore: aveva ragione Bourdieu quando in Esquisse d’une theorie affermava che pensare ai complotti dietro agli eventi storici è antieconomico (dal punto di vista del pensiero) e antiestetico (perché semplificatorio e a rischio ridicolo).

  2. Vorrei proporre io una prima domanda, anzi un’istanza, a Giorgio Vasta, che tra l’altro penso essere sicuramente un buon editor.
    Giorgio, nel tuo pezzo indichi alcuni link. Li conosco, ho letto quello che contengono, sono idee e approcci alla cosa piuttosto diversi diversi, tanto che alcuni li condivido e altri no. Ora il problema è che nel tuo pezzo invece trovo un solo discorso, non proprio “critico”, diciamo che si tratta di rilievi di tipo “psicologico”, e non c’è scritto chiaramente a quali idee e approcci (tra quelli linkati) tu lo rivolga. Dato che sono molto diversi, credo sia impossibile che i tuoi rilievi valgano per tutti.
    Cosa succede allora in me, cioè nel lettore?, che non trovo nel tuo discorso una sincera aderenza ai fatti.
    Potresti specificare meglio i termini del discorso in modo che possa essere a sua volta verificato?

  3. @barbieri

    Mi sembra che il pezzo di Giorgio più che ai pezzi indicati facesse riferimento (come giusto) alle discussioni in generale, generate da quei pezzi. E, in effetti, il bello dei blog è proprio l’impossibilità di distinguere i testi (i post) dall’apparato paratestuale (i commenti). Si tratta di una ricchezza del mezzo che non andrebbe sottovalutata. Come sempre. E, in effetti, era soprattutto nei commenti che emergeva questa visione asfittica e allo stesso tempo ingenua e maliziosa (quella malizia tutta italiana che vuol trovare la disonestà in ogni atto altrui) stigmatizzata da Giorgio. Anche se poi devo dire che quando l’ho letto, sono rimasto scosso dal fatto che Santi, che ha pubblicato un romanzo come L’eterna notte (difficile, tutt’altro che omologato) con un grande editore (uno di quelli che dovrebbero fare cassa anziché arte) potesse avere delle idee così critiche nei confronti del mondo editoriale.

  4. C’è questo punto in cui mi si chiede di accettare questa affermazione: “Nausea nei confronti del maligno e sollievo, invece, di fronte a tutto ciò che è sereno e beneducato e rassicura e non può generare neppure un barlume di crisi.”. E’ questo il punto di non ritorno che da lettore dell’articolo dovrei accettare? E’ vera questa affermazione? O non è vero l’esatto contrario?

  5. I link ai quali rimando hanno soltanto la funzione di indicare i luoghi nei quali si è discusso di questo argomento, niente di più, e valgono da ausilio a chi dovesse intercettare la discussione mentre è già in corso, come può capitare, e vuole recuperare quanto fin qui è stato detto.
    Per quanto riguarda il mio discorso, credo che le premesse dalle quali muove (ridimensionamento delle indignazioni generiche e del complottismo e del manicheismo) e le direzioni nelle quali vorrebbe spingersi (una impostazione non pregiudiziale del discorso), siano chiare.
    Circa l’aderenza ai fatti, davvero non so che cosa dire.

  6. Scusa Giorgio, non è vero che non esiste nel tuo pezzo un problema di aderenza ai fatti: quello che scrivi non può essere falsificato se non mi spieghi “chi” e “come” ha generato indignazioni generiche, complottismo, manicheismo ecc. (tra l’altro i tuoi rilievi sono psicologici quindi hanno bisogno ancora più di essere circostanziati). Ora capirai anche tu che sei link buttati lì non bastano, altrimenti sono portato a pensare che tu stesso, dato che fai soltanto allusioni generiche, sei a tua volta un complottista.
    Vediamo di ragionare per una volta sui fatti. Ce la facciamo?

  7. Vasta, anche lo scrittore Marco Candida ha scritto un pezzo sul suo blog dal titolo Editing Everything sull’argomento.

  8. Buona idea e buon lavoro.

    Solo un’aggiunta: perché non pensare ad espandere la ricerca anche verso altri lidi editeschi? Per esempio la revisione editoriale di testi per il web, di testi per le amministrazioni, di scritture burocratiche e professionali. Insomma, l’italiano moderno non è fatto solo di narrativa, anche se siamo in un blog letterario. Penso al lavoro di Acerboni e Raso.

    Saluti

  9. cercasi barbieri disperatamente per sforbiciare un paio di romanzi di combattimento e di sogno.

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