Dalla poesia alla paesologia

di Franco Arminio

per Elena e Gianni

Ho pubblicato la mia ultima raccolta di versi una decina di anni fa. In questo periodo ho scritto tante di quelle che usualmente si chiamano poesie e ho tentato molte volte di metterle insieme in un nuovo libro. Il risultato non mi ha mai convinto. Ho provato anche a fare una raccolta che mettesse insieme testi inediti e testi pubblicati in volume e il risultato è stato ancora più sconcertante.
Così mi sono fatto l’idea che oggi la poesia possa solo essere presentata a piccole dosi o nascosta in altri organismi. Nei miei due ultimi libri in prosa compaiono molte poesie e mi sembra che stiano bene. Il prossimo libro sarà tutto in versi, sono versi che però hanno fin qui vissuto sempre in forma di prosa. Quando me li leggeva il mio amico Mimmo Scarpa la sua cura maggiore era proprio nel depennare le frasi liricheggianti. È curioso che alla fine venga fuori un libro di poesia (almeno secondo il parere di un bravo poeta come Umberto Fiori) proprio grazie a questo sistematico espianto del poetico dalla pagina.

Forse nell’era dell’autismo corale il poeta lirico, quello che canta un albero e poi l’amata e poi i mali del mondo, quello che si pone come atleta del sentimento, come guida alla bellezza della sua presunta interiorità, appare poco credibile. Manca ai libri di poesia lo spazio essenziale della nostra vita, che è lo spazio delle abitudini e manca quel senso della vita come fiato comune. Il poeta lirico aveva senso quando bisognava aprire crepe, vie di fuga nello spazio comunitario. Ma nel momento in cui la comunità è solo una parola e ogni uomo si fa dio, nel momento in cui il privato diventa il nume perfino delle scelte economiche in tutti i sistemi politici, non credo che abbiano necessità le migliaia di raccolte di versi in cui ogni poeta fa pressione per segnalare la sua “eccezionalità”.

La letteratura oggi deve essere profondamente ancorata alla vita normale, deve raccontare le giornate bianche, la stanchezza, lo sfinimento di stare nel mondo della tecnica e delle merci, con un corpo che non sa più darsi uno sguardo sereno e un passo lieve.

In questo clima le richieste di aiuto del poeta sulla base della sua peculiarità, il suo bisogno di amare ed essere amato appaiono un po’ loschi, e il suo affidarsi agli altri avviene solo nel senso di garantirsi la loro fuga. È inesorabile, non resiste nessuno. Ed è strano che le poesie funzionano come forme di proliferazione e tutela dell’esilio anche quando sembrano andare verso l’altro, anche quando sembrano pronte a raccogliere l’altro.

Allora io adesso scrivo sperando di fallire, sperando che le parole producano un’alterazione della loro stessa natura e si facciano lievito, carne, corpo, fiato che posso respirare insieme agli altri. Faccio questo parlando della paura della morte (niente di più privato, niente di più comune) e dell’agonia dei paesi. Parlo di questa terra-carne che continua a ferirmi, parlo di questo muro contro cui ogni giorno sbatto la testa (il mio corpo che vaga nei paesi: uno sposalizio necrofilo, coi confetti delle rovine come bomboniera).

La paesologia è una disciplina che sta all’incrocio tra l’etnologia e la tanatologia. Le strade, le piazze che attraverso sono camere ardenti. Raccolgo ormai da anni il lamento funebre sul paese che non c’è più. Sono il cronista di un funerale senza fine, perché la salma del paese non si può inumare. Anzi, assisto a varie operazioni di maquillage dell’abbandono, di restauro della cenere. La mia politica è restare qui, avvitarmi, estenuarmi. Ogni giorno faccio l’autopsia dal vivo, come se vivere fosse solo un modo di esplorare la morte della vita. Scrivo per vedere ciò che nessuno vuole più vedere, perché l’autismo corale produce questa cecità e gli occhi devono condurre una vita molto spericolata perché possa ancora venirne fuori qualche visione.

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67 Commenti

  1. i poeti
    non
    capiranno
    perché i poeti
    sono quasi tutti intelligenti
    e per questo
    non servono
    a niente

  2. Sempre alto il livello di Franco Arminio, maestro in quella cosa che gli psicoanalisti chiamano sviluppo della capacità negativa. Molti futuri psicoterapeuti dovrebbe andare alla sua scuola piuttosto che inseguire improponibili training di analisi

  3. Presterei particolare attenzione a queste “parole” di Arminio:

    “Allora io adesso scrivo sperando di fallire, sperando che le parole producano un’alterazione della loro stessa natura e si facciano lievito, carne, corpo, fiato che posso respirare insieme agli altri. Faccio questo parlando della paura della morte (niente di più privato, niente di più comune) e dell’agonia dei paesi. Parlo di questa terra-carne che continua a ferirmi, parlo di questo muro contro cui ogni giorno sbatto la testa (il mio corpo che vaga nei paesi: uno sposalizio necrofilo, coi confetti delle rovine come bomboniera). ”

    Alla fine siamo noi
    i veri paesi.

  4. Finalmente risorgi dal tuo letargo creativo. E senza il libro pare… hai fatto un tentativo nuovo. Beh, l’occasione per rileggerti e infliggerti il tormentato passaggio, ancora del tempo sul corpo e sulla terra.

  5. “Le strade, le piazze che attraverso sono camere ardenti. Raccolgo ormai da anni il lamento funebre sul paese che non c’è più. Sono il cronista di un funerale senza fine, perché la salma del paese non si può inumare.”

    La prima volta che invio un commento ad un tuo pezzo. Quanta “reale” poesia in certe riflessioni: condivido tanto di quanto scrivi.

    In me ad accrescere la pena è l’esser partito dal paese, l’aver tradito il lascito dei padri. Pure, in ciò che scrivo, non v’è mai stato un reale distacco (ma so che è un’autoillusione…).

  6. Mentre stavo leggendo il bello scritto di Franco Arminio, il mio gatto ha fatto cadere dalla scrivania i pezzi in prosa di Robert Walser (quodlibet).E’ un caso? Certamente un caso non è, anche se questo caso è proprio un gran bel caso.
    Se ogni tanto apriamo questo libro, secondo me siamo già sulla buona strada.
    Perchè non provare?

  7. il punto è l’autismo di massa.

    arminio l’ha capito ma questo non basta a evitargli la sofferenza.

    incredibile che i suoi libri siano praticamente introvabili.

  8. il cuore di tutto è sempre bisaccia, il paese di arminio. altro che maremonticittàd’arte
    andare a bisaccia in pellegrinaggio, ecco un’idea per il fine settimana

  9. IL cuore di tutto è sempre bisaccia, il paese di ARMINIO. andare a BISACCIA in pellegrinaggio, ecco un’idea per il fine settimana

  10. “Arminio mi parlava di Walser già vent’anni fa, quando non lo conosceva nessuno”

    Beh, questa poi… Einaudi l’ha pubblicato nel ’61.
    Ma davvero qua tutti possono dire qualsiasi cavolata.

  11. “Quando me li leggeva il mio amico Mimmo Scarpa la sua cura maggiore era proprio nel depennare le frasi liricheggianti.”

    E qualche post più sotto tutti danno addosso all’editor.
    Beata coerenza!

  12. Anch’io sono stato colpito in particolare da questo pezzo:

    “Allora io adesso scrivo sperando di fallire, sperando che le parole producano un’alterazione della loro stessa natura e si facciano lievito, carne, corpo, fiato che posso respirare insieme agli altri. Faccio questo parlando della paura della morte (niente di più privato, niente di più comune) e dell’agonia dei paesi. Parlo di questa terra-carne che continua a ferirmi, parlo di questo muro contro cui ogni giorno sbatto la testa (il mio corpo che vaga nei paesi: uno sposalizio necrofilo, coi confetti delle rovine come bomboniera). ”

    Detto altrimenti: il corpo è ciò che resta al soggetto quando ha perduto tutto. Il soggetto è allora innanzitutto uno sguardo sul proprio corpo, una scoperta della propria singolarità. La società si impadronisce del corpo, ma è proprio a partire dal corpo che il soggetto trabocca oltre i limiti del sociale. Il corpo è sempre dalla parte buona; da quella cattiva sta un corpo separato dall’individuo che tuttavia è il suo corpo.

    E prima: “con un corpo che non sa più darsi uno sguardo sereno e un passo lieve”.

    Quando incrocio qualcuno per la strada, uomo o donna che sia, ho raramente l’impressione che sia bello, che viva il proprio corpo, che ne abbia un’esperienza. Il corpo non è una somma di gambe, viso, petto, è un insieme. La nozione corpo è minacciata dalla mercificazione della sessualità. Basta guarda i manifesti pubblicitari per rendersi conto di come l’attenzione si fissi in maniera feticistica su una mano, sui seni, su una testa.

    E continua: “Ogni giorno faccio l’autopsia dal vivo, come se vivere fosse solo un modo di esplorare la morte della vita. Scrivo per vedere ciò che nessuno vuole più vedere, perché l’autismo corale produce questa cecità e gli occhi devono condurre una vita molto spericolata perché possa ancora venirne fuori qualche visione”.

    In passato, le speranze di realizzazione sembravano grandi perché trovavano la loro misura in un altro mondo. Si trattava di raggiungere il cielo. Oggi è impossibile salire al cielo, cioè fare ingresso nel mondo del senso. Non c’è più alcuna garanzia di eternità, e la vetta da raggiungere è la coscienza di sé in quanto soggetti in grado di resistere al male e capaci d’amore

  13. Gentile Arminio lei dice che “manca ai libri di poesia lo spazio essenziale della nostra vita”. Se io però leggo una poesia di Baudelaire questo spazio lo trovo, se leggo una poesia di Montale lo stesso, se leggo Caproni, Zanzotto, ecc.. Se leggo insomma delle vere poesie scritte da autori consapevoli e padroni del mezzo. Il fatto è che buona parte dei libri di cui lei parla non sono scritti da poeti; e, mi spiace dirlo, neanche lei lo è a giudicare dalle sue (non) poesie che ho letto.

    Cordiali saluti.

  14. Penso che non si possa educare alla poesia.
    La poesia devi averla dentro per saperla riconoscere, come devi avere “occhi” per “vedere”.
    La poesia la senti solo se hai sentito la “poesia” dentro te e la riconosci subito, quando ti passa accanto, perchè non necessita di fatica, la fatica intelletttuale, ma solo di “ascolto”, di fiducia e allora la poesia “vera” si svela immediata, ti folgora, ti dà piacere, un piacere fisico non solo mentale, ti manda in apnea per un attimo o più attimi se sei allenato, ti mette in movimento, da ferma.
    Vabbè, sono due pensierini fumati, ma ci tenevo a salutarti e baciarti.
    La funambola

  15. il settimo giorno dio si riposò. arminio prese il suo posto. e creò l’irpinia.

  16. Scriverò una lunga lettera ad arminio. Dirò che non deve aspettarsi niente da nessuno. deve
    nascondersi,
    sparire. non ci sono uomini né donne che possano minimamente stargli vicino.

  17. farsi vedere, no? secondo me, con un po’ di sforzo, uno può ancora farcela.

  18. Arminio dice la verità e la dice in maniera suggestiva. Per questo lo stanno ammazzando. Lo ammazziamo perfino noi che gli facciamo i complimenti.

  19. L’ Arminio, il Franco, quello vero che pulsa e vive attraverso la morte che nelle vesti di femmena gli si agita dentro.
    Il Grezzo Franco della parola perduta, mentre il silenzio è la comprensione maggiore.
    Sei il mio Grezzo di una scrittura dalle fondamenta sicure, radicate in origini d’appartenenza.
    Le viscere mentre scendi dal piedistallo e ti accomodi sulla poltrona.
    Quella morbida che calma i sensi.
    Dal mio piedistallo un regalo:
    Da ” Artisti all’asta 2005″ unica edizione.

    BEI TEMPI

    Il bello di
    Quei tempi
    Era che io non c’ero
    A quei tempi
    Io
    Ero altrove
    Il tutto
    Si faceva a stagione
    Ed il mio inguine bruciava
    Come il resto circostante

    Ma al bel da chi bei temp
    L’ era che mi ac sera mia…a chi bei temp
    A seri da tut altra banda!!
    As fava tut a seconda ad la stagion…e..
    Sicom a serom d’ istà…mi a brusava…
    A gheva li scalmani… come tut e tuti dal rest

    Le stagioni
    Non erano
    Frenetiche
    Ma io
    Ribollivo
    Sotto l’ennesimo
    …..strato…..
    …..di pelle….

    Li stagion i era tranquii
    A g’era mia presia da scavalcarli l’una con cl’ atra….
    Ma mi a continuava a boiar…..ag me na pignata ada fasoi!!!…
    In pu se am son anca strinada la facia cun cla mora ca ciuciava!!!!!ciocava!!!!

    Il bello di quei tempi
    Era
    Che io
    Non c’ero a quei tempi

    Al so al so ch’iera bei temp ma mi ac sera mia!!!!!

    Nel verde della natura
    Quel tuo gioco….
    Perverso….
    Nel quale tu
    Uomo d’altri tempi mi portasti
    Con le mani
    Grandi
    Rugose
    Segnate dalle stagioni
    Dal faticare nei campi
    Sapesti cogliere
    Anche
    La stagione più assente

    In mes al furmanton con cla mania da sgamar li panoci..
    Ta me fat proar ad li gra emosin…e…
    Con la to esperienza
    Di bei temp perdù
    A ta me quasi
    Fat vegnar al malcadù
    Con cli man grandi ac me du badii
    Pien da cai segnadi dali stagion…
    Da tuti cli tribuladi a sapar dal furmantun…
    A ta me fat scoprir cl’ istà calda….
    Ch a ghevi dentar da mi…

    E po’ è comicià a pioar…
    Ma…l’istà ch’ a ghevi in dal cor l’ am podea mia calar..
    Ansi..al zel e la nev im parea legna da brusar

    Piovve
    Sul tuo
    Corpo stanco ma
    Le intemperie
    Non caddero mai su di noi

    Par mi ag sema restà sol mi e ti a ricordar e conservar…
    Chi bei temp andà.. che forse…in tornarà mai pù….

    Noi
    unici
    eterni
    custodi
    testimoni
    di tempi lontani

    al bel d’ alora…
    l’era…forse che mi ag seri mia…
    com’al solit a seri persa via…
    in di me strani penser…
    a seri da tut altra banda…
    ma a nam’ricordi mia mia cun chi???….aah…forse..propria con te

    il bello di quei tempi
    era
    che io non c’ero
    a quei tempi
    io
    da solita distratta
    ero altrove
    ….con te…….

  20. sono molto perplesso. ringrazio chi si fa sentire. per gli altri non ci posso fare niente, posso solo conttinuare a scrivere…
    mi spiace che nessun poeta abbia sin qui sentito la necessità di dire qualcosa, magari anche in termini critici su questo testo. d’altra parte se ciò accadesse il mio testo sarebbe meno vero…

  21. arminio e saviano vicini. bravi entrambi. quando è così nazione indiana è la più bella pagina di cultura che c’è in italia.

  22. Forse l’autismo corale è una coperta che a suo modo c’è sempre stata, e gli occhi spericolati sono bellissimi proprio perché volano sfidando la propria assuefazione.
    Forse non possiamo fermarci dove c’è la morte, l’uomo non l’ha mai fatto e nemmeno l’arte secondo me, che cerca lo scacco finale, la vita nella vita per bruciare il nostro tempo e lasciarci ad altri.
    Arminio forse i paesi funzionano perché sotto c’è già l’erba nuova. Ma anche le città sono così.

  23. E’ un testo veramente bello, non solo per la densità/qualità delle riflessioni proposte, ma anche per il corredo di immagini, tutte materiate di esistenza, che sa evocare per dare corpo a un pensiero dolente, ma non rassegnato, a una “disperazione” che ci riguarda tutti, e dalla quale soltanto è possibile far scaturire quel nuovo “senso comunitario” che non si risolva in una ulteriore “via di fuga”.

    Io credo, Franco, che impegnarsi in una operazione del genere, spendersi in una scrittura, ferita, che dice senza enfasi la frana dei cieli e della terra, sia già una forma di “resistenza”, sia già un possibile inizio.

    L’unica “paura” che bisogna combattere, a mio modo di vedere, è quella dell’ombra, del possibile “isolamento”. E’ proprio nell’ombra che covano e poi esplodono i semi migliori; è nella condivisione anche minima, umile, elementare, che si vedono crescere le piante più resistenti. La umanissima e naturale “tensione” al riconoscimento, soprattutto in una realtà reificata e mercificata come questa, finirebbe unicamente per svilire anche la “verità” e la “sostanza concreta” del “nostro” dolore non rassegnato. E’ su forme altre di trasmissione, di condivisione, di resistenza che bisogna impegnarsi; perché è queste forme “altre” che bisogna inventare e sperimentare: a partire dalla propria pelle, sapendo fin dall’inizio che il numero delle cicatrici è destinato a crescere, a fiorire e rifiorire.

    Ecco. Continuare sulla strada intrapresa, la tua in questo caso: con la consapevolezza che chi legge, davvero, è già parte del progetto di restituzione dell’umano all’umano, del “risarcimento” dovuto a chi è creditore nei confronti di ogni storia.

    Un caro saluto.

    Francesco

  24. Cosa vuoi che ti si dica, Arminio?
    Questa è la tua esperienza e la tua opinione. Apprezzabili e vere in quanto tue.
    Ma forse non valide per altri che non hanno lo stesso bisogno di esporle qui o che forse non le condividono.
    Non si può fare discorso e dibattito su tutto.

  25. Arminio ha posto una questione precisa. Non è che si deve rispondere per forza. Però poi non ci lamentiamo che la letteratura nessuno la caca, Non c’è da dibattere nulla, c’è da venire fuori, c’è da finirla con tutti questi nascondigli.

  26. Conte cucchi e altri poeti che hanno piccole posizione di potere, piccole polverose, non girano da queste parti. Peggio per loro. Arminio c’è, loro sono fantasmi.

  27. Sono di una paese vicino a quello di Arminio. Se non ci fosse lui in Irpinia saremmo ancora più rovinati. Arminio in Irpinia è diverso da come appare qui. Da noi non fa il titano. Descrive, racconta, con enorme umiltà.

  28. Sono sicuro che molti hanno apprezzato questo testo. Sono anche sicuro che Arminio non è contento. Lui pretende molto dagli esseri umani e da se stesso.

  29. A me enzo biagi mi faceva dormire,
    ora che frana tutto mi si fa pure lui e mi commuove che un vecchio di ottantasette anni abbia ancora la vanità di apparire.
    Saviano è un bel ragazzo e i suoi occhi sono sinceri.
    Poi condivido:
    la rocca, gino, abate, un po’ ri raimo, livermone e qua e là un po’ tutti tranne iannozzi :)
    baci
    la funambola

  30. sono le quattro e venti della notte. mi sono svegliato presto. per onorare la vita e la scrittura.
    spero sempre di incontrare qualcuno, qualcosa su questa strada.

  31. Sono le 10, ho un feroce mal di testa e una fila davanti alla mia cassa e questi due secondi per lasciare un messaggio di solidarietà. Forza Franco.

  32. L’Italia letteraria /e sono solo/ è morta e Aminio non può farci niente. Da solo nessuno può farci niente.

  33. Saviano, Moresco, Arminio e gli altri che combattono sono accerchiati da una massa di gente che scrive perché non ha un cazzo da fare.

  34. espianto del poetico da una pagina.
    insistere nel rischio. un gesto coraggioso.
    come a creare la sottotraccia di un altro volto da un volto già compiuto – un estratto di altra bocca per mezzo della quale ancora tentare – il poeta – un approccio più incarnato e vivido – voci altrui incarnate che usano il poeta come medium – con l’ascolto umano perchè il poeta non cerca ma ascolta e franco sa ascoltare sa ogni pietra a memoria ascolta e si fa prigione delle intuizioni, delle idee, delle voci “altrui” sofferenti – doloranti – ma anche gioiose o pacate – furiose o morte.
    si fa prigione e scena aperta a nervi scoperti perchè ascoltare come fa lui ti scopre i nervi e li scopre a chi incrocia lo sguardo scritto che è la letteratura più vera mai asintomatica, per fortuna.
    certo. la lettura dei testi di franco fino qui richiede altrettanto ascolto – e molti, almeno dai commenti che lasciano, pensano sia tempo sprecato.
    eppure franco difende l’archetipo della coscienza, difende il parto che viene alla luce e denuncia il parto che va in cancrena a profitto degli sciacalli di cose morte da riciclare per vive
    franco nelle sue poesie mette al mondo casa per casa la fatica riconoscibile ma non riconosciuta di gente in via d’estinzione massacrata da oneri senza riscontro.
    non credo che i versi di franco siano pessimisti nel senso peggiore del termine – ma credo che invece ci sia tensione – tensione che non offre scelta – ad accompagnare il lettore a ragionare e non solo a lasciarsi attraversare dal testo fine a se stesso- e questo franco lo fa sia in prosa che in poesia, se mi posso permettere .
    franco nelle sue righe fa anche nascere bambini perchè avere il coraggio di denunciare da poeta e non da politico determinate situazioni, vuol dire anche cercare di prepararsi e aiutare gli altri a riformulare un mondo più accettabile per le nuove generazioni.
    e fin qui, va bene.
    vorrei ancora dire a franco che l’ascolto c’è.
    forse piccolo ma importante.
    ne sono convinta.
    un caro saluto
    paola

  35. lo so che c’è qualcuno, lo so, ma c’è un sabotatore in questa anima malnata che mi malmena…

  36. Franco Arminio dice che la poesia oggi può “solo essere presentata a piccole dosi o nascosta in altri organismi”. Secondo lui, un libro di poesie dovrebbe essere il frutto di un “sistematico espianto del poetico dalla pagina”. A me sembra di poter condividere tutto e, visto che ci sono, consiglierei anche di approfittare della compagnia di Robert Walser. Certo non c’è da arrivare da nessuna parte, ma forse proprio questo è il bello. Si potrebbe anche approdare dietro l’uscio di casa. Hai visto mai?

  37. Arminio mi fa arrabbiare perché non si accontenta mai di niente. Gli ho dato troppi talenti e li sta sprecando.

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