Da “dio il macedone”

di Tiziana Cera Rosco (inedito)

Dopo il confine

Guardandomi indietro
vidi le montagne
il contorno elettrico della morte precedente
ma il primo piano era la polvere
l’uguaglianza sottile del terrore
all’impatto col carbonio.
Se il pianeta fosse esploso sotto coleotteri giganti
se fosse scoppiato
come un bicipite in un talco di sangue
ora vagava glabro ad un’era successiva
e mi tenevo a te
più forte dell’angelo scardinato senza scapole
strappavo le sue ali grasse di maiale
contaminavo il donarti quello scuoio con le mani
aver picchiato tutto il lardo
fino all’ordine interno del mio braccio.
Mi pulivi il muso con il palmo
risaccato nella stoffa il seno
quando ti guardavo negli occhi una robusta capitale

sarei stata la tua spada, il tuo Astarte

io che vedevo dietro di te sempre
la forma scritta della polvere
rapprendersi nei mitra, elicotteri
fracassarti il cranio nell’immobile
ma il primo piano era la tua presa su di me
il farti trapassare a sguardo fisso
e stare illeso nella bambina che da generazioni si adempiva
frustando ad un’era successiva
il bisogno di chiedermi

come sono morta.


*

Limiti

I limiti verso cui i lati dell’impero corrono
senza profondità senza riserva
come un mare scoagulato
sotto i nostri occhi
una fuga ininterrotta di stanze
anche il tumore è qualcosa
che tenta di vivere
quando dalla torre catapultano
i pezzi delle visioni dei bambini
poi a brani i petti delle madri ammassati sopra
da dove prenderemo a consolare le creature
pregare con le mani amputate degli spiriti
braccia con cui irrobustiamo le parole dell’odio
sarà forse la sciagura del dialogo
a cui appartiene la potenza
ciò che arruoleremo nelle nostre armi
per estinguere tutto.
Perfino l’aria delle intercapedini a scomparsa degli insetti
sa che la distruzione è un sagrato tra le cose
quel Battista che esplode

una secchiata di sangue sugli stipiti.

*

Mente

Il Membro
che sfonda questa cattedrale di arrosti
è un enorme grido di agnelli
ammasso di quarti di uomo
da non vederci più nemmeno un occhio.
La vita secondo la tua volontà
dimmi cos’è la vita in questo enorme fegato
anche i rami sono stati disuccellati
perché scintilli più delle gemme
l’anfetamina con cui sbanchi le pupille delle reclute.
Sono giorni che frugo tra mozziconi di abbai
per cercare una vita afferrabile
la mano di un bambino da rimettermi dentro.

Il verbo del mio diritto su di te è Odio

la mia mano si chiamerà
“giorno del giudicare il giudice”
opprimerà la tua testa rammollita senza sesso
alzerà la cova dei canti dei bambini che hai falciato
teste di angeli scollati
canteranno tutti insieme
metalli bianchissimi agnelli
al tuo santo sonno inginocchiati.
Dovrai sigillarti le orecchie
col cerume scavato negli auricolari dei tuoi morti
cercarli come un ratto a velocità di fogna
che se tu decapiti le creature fuori dall’acqua
io me le riprenderò nell’amnio
tutte
chiamandole Iod dopo Iod
sarò incinta anche dopo morta
incinta anche di te con loro
trivellata da questo enorme membro che grida
sull’ognilluogo delle vedove.

All’interno del buio
qualcosa
illumina la Mente.

*

Vivi evidenti

Poi ci sono i vivi evidenti
i rinnovati dal mondo
riflettono quello che non hanno
come l’occulta legge della visibilità
tutto ciò che l’uomo vede
non appartiene a ciò che vede
l’altra notte nell’umido
uno di noi ha imbragato il Kalashnijcov
il buio si era liquefatto nei papaveri
uno di noi ne ha fucilato uno
e preso da un urlo a schiaffo è esploso
saltato in aria dall’interno
come avesse piombato il suo cuore.
E i vivi evidenti – ma cosa –
hanno preso ad impastare i papaveri
come un sesso promiscuo
a tagliargli le vene
zampillava sugli avambracci un enorme corpo cardiaco
e tutte le creature oltre i vivi
esplodevano al contatto
un mestruo d’artificio, un sanguinaccio
e i vivi impastavano tutto
unica grande massa carnale
poi alcuni
hanno preso a metterci dentro gli inguini
spingere nella creatura comune scaricare
finché i loro inguini non si toccavano fra loro
e non sentivano il vento che gonfiava gli elementi
le foglie che squamavano al cemento moltiplicandosi in vermi
la notte perde sangue, mio re

l’asciugamano del mio sguardo è un taccuino

vorrei Tu fossi qui
e allora tutto cambierebbe.

*

Apparenze

A giudicare dalle apparenze
Tu non esisti
ma preso un Buco a caso
uno sprofondo
un principio decompositore del Reale
i soldati estraggono ai cadaveri
la Tua sembianza
il carattere di un abbandono comune
del resto lo fanno comunque
crederci, le cellule dico
le molecole del nostro cervello contraggono vincoli
anche quando ci rincontrammo
che qualcuno a guardarmi
vedeva di Te un morto che non arretra
chè a giudicarti dalle apparenze Tu non esisti
e entravo nel Buco del Caso
che qualcuno a riprendermi
estraeva la sembianza del tuo Abbandono Nucleare
e del resto ora che ci penso
lo fai comunque
promettere ciò che non mantieni dico
ora che sei un casuale argomento
di incompatibilità col vero
in fondo non ho dimenticato
Tu sei morto in pieno giorno
che ti hanno visto poi solo le donne
le conosco le donne e quella puttanella
che suscita forme erette dal vuoto
le molecole del resto lo fanno comunque
entrare in una apparenza a caso
infilare nel buco decompositore del Reale.

Da questa parte della catastrofe
tutto sembra una questione di scomparsa.
Scrivo venti volte al giorno
lungamente
preparo l’appello del mio bestiario
i gigli in cui non sei comparso.

In base a quale sacrificio fisico
dimmi
susciterò la conseguenza di una reversione.

*

Stringerci

I pantaloni da maschio tesi come un tricipite
di fronte a un fiore che mi ha terrorizzato
i figli acrobati e il loro sudore scintillante
le pagine del quaderno a galoppo di Kalashnijcov
che slaccia la prateria che sono
sangue a scoppio ficcato in mani e leggi
di un dio che cospira in ogni polvere.

Sono la stessa guerra che ero da bambina.

L’oro del lago
squarcia la vulva folta delle montagne
mentre cucio la mia.

Dovresti stringermi.

Tra poco il mio cuore esploso
tingerà ogni cosa.

*

Viva a te

Lo sguardo completo dell’astro
la transumanza dei destini
forse è una Sacra Scrittura corretta al presente questo Dubbio
l’enorme scomparto della materia smembrato da fitte
siamo noi la luce
corridoi che ricompongono i vertici
mappa di questo sorgere
la catena con cui proviamo le mani dei ritorni in vita.

Ti sfilo il ferro dal corpo.

Dei giorni del mondo metallico
ricordo la vecchiaia di quando
ci scambiavamo parole urgenti in piedi
e il mio diritto su di te era un castigo.

Tutti i doveri e i compiti sono innesti, torti
io sono forte a te più di una figlia tirata a sangue
vicinissima

viva a morire
come dopo morta.

*

Assoluzione

Quando fallirò sulla mia grazia
come un’idiozia che brucia
dove tutto è suturato
quando l’estensione del perdono
sarà radere al suolo ogni cosa
il clima, le conseguenze
il debuttare di solo sole
ed io sarò riferita alla tappa da cui dipendo
questo Guardiano
per un dovuto passaggio di consegne
si toglierà dal collo il mio ombelico
a prescindere dall’evoluzione delle scelte
come un fatto appena innaturale

– forse una severa questione di tempo –

lo riappenderà al mio
e dando conto di un ragionato apprendistato
estrarrà la mia Assoluzione
dall’imbattibile attesa di una Colpa.
Tutta questa faccenda di perdono, Alessandro,
è mondo, applicazione
quel campo di apparenze da cui estrarre
il lavoro tipografico di Accapo.
Quale sia la Scrittura, traduzione, lingua a fronte
serpente che morde serpente
è la strategia testuale dei miei giorni, vuoto

elevato a Giorno Vero.

***

Tiziana Cera Rosco (Milano, 1973) ha pubblicato i libri Calco dei tuoi arti (Lietocolle, 2002), Il sangue trattenere (Atelier, 2003), Lluvia (Lietocolle, 2004) e l’intervista a cura di Maurizio Casagrande In Un Gorgo Di Fedeltà (Il Ponte del Sale, 2006).

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17 Commenti

  1. potente trama a sostegno dei demoni che qui men che meno relegati – piuttosto al centralino di una ricerca che parte dall’intimo e si usa estroiettato per aderire all’esterno, molto esigente e coraggiosa.
    necrologio dell’esse- re in terra
    testamento mitralico su un tavolo operatorio ingombro dai polpastrelli anestetizzati di troppe passioni soffocate tra le quali l’autrice scomunica e scollega e reinventa gesti e apparizioni vivide e rivelatrici-
    intra ed extra – moenia liturgiche e loro precisa posizione nel tempo spazio luogo – anche cima anche tempestosa – più verticale che orizzontale – più discesa che ascesa che poi per i piedi si sale al buonsenso del credo.
    con questa storia – queste storie in cui le donne entrano
    sempre con le loro quattro bocche – le loro tante retine compulse – il loro corpo/corpi di cui hanno e non hanno e hanno paura – culla – per dire anche padre per non dire altro o per dire che l’autrice – Tiziana che non conoscevo e mi pregio adesso di leggere i suoi testi – è un pregio si per me –
    fa del suo fegato un portapenne del sesso una casa temporanea senza ristrutturazioni e dove la reazione alle emozioni è così violenta quanto tanto la tensione di attraversarle – mai di ignorarle – per raggiungere Altro.
    Tiziana usa ogni strumento dei suoi sensi – scrive senza sottotitoli, e scrive bene a mio il suo sentire.
    poesie che ordinano le impronte e allontanano dalla scrittura una volta lette – ed è un bene – per poterle ripensare e indossare-
    un saluto e a rileggerla.
    paola

  2. Non sono Cara Polvere, insomma siamo diversi, io e lei, e dunque dico una sola cosa: queste poesie sono semplicemente eccezionali. Grazie davvero ad Andrea per averle postate.

  3. Mi associo a coloro che mi hanno preceduto.
    La violenza delle immagini (‘sarò incinta anche dopo morta’: !) sta montando sempre di più nella produzione di Tiziana, sempre di più si ha, ho la sensazione che il paesaggio si pieghi plasticamente e tragicamente sull’uomo come un caos-leviatano (di sangue/sperma/etc.), per stritolarlo, eliminarlo. Ed è questa la domanda che le vorrei fare, se fosse – come spero sia – qui, in ascolto: come immagini la salvezza (non la fuga), se la immagini, dall’imminente esplosione del pianeta, ‘come un bicipite in un talco di sangue’?

  4. Nel mio piccolo “le” cerco, l’ho sempre fatto. Credo sia compito di ogni lettore che si rispetti, senza pregiudizi o preclusioni. Solo ciò che è valido davvero contribuisce a spezzare il cerchio dell’omologazione. Anche, e soprattutto, nel campo della poesia. Grazie comunque del consiglio.

  5. La lucidità di tiziana c.r. di guardare al guardiano cui si attribuisce il credito di sguardo supremo sopra il sorvegliato, mi richiama il senso di povertà legato all’incerta visione che spinge ognuno a cercare in sé il proprio guardiano; un proprio sguardo altro che con suprema albagia rassicuri il sorvegliato che va bene la propria congenita irrisoluzione . Bellissimo questo far sentire chi legge guardiano e sorvegliato, questo far pensare l’assoluzione un giorno possibile …c’è da chiedersi se un poeta assolto è ancora capace di poesia.
    Viviana

  6. TOrno oggi dalla francia, un viaggio che mi ha risorato mentre l’ho seguito e che qui oggi a milano, con un temporale che sembra dover far crollare tutte le pecore, pare lontano mille miglia.
    Volevo ringraziare Andrea (come poco prima della stazione), Michelangelo, Luigi e gli ascolti che non conosco.
    Dio Il Macedone è ancora (perche non è terminato) un campo di puro limite e pura battaglia per me…e Caro Luigi, la salvezza ho smesso di immaginarmela da un po’… perchè a giudicare dalle apparenze, da questa parte della catastrofe, tutto sembra una questione di scomparsa e il mondo organizza a piccole prese l’illuminazione dell’Assenza.Qui si passa da un braccio di rendentore ad un altro ma è sempre il muscolo del mio che tiene non sa nemmeno oramai cosa. Forse hanno ragione i maschi a fare tutto un campo di competizione. La lotta è il muscolo che tiene le proprie incompetenze e le proprie speranze, proprio come la vita tutta sporca di polvere e sudore, impanata come una cotoletta, ma con una rabbia ed un perdono gia pronti al vuoto che ad interrogarli saremmo presi da terrore come quando si incontra un amato appena appena dopo morto, vicinissimo, li li eppure….
    Ora devo staccare, ha preso a catapultare ettolitri di acqua, ci sono i panni già lavati che non se la meritano.
    Buona lettura ad ognuno.
    E grazie ancora.
    Tiziana Cera Rosco

  7. questo per me è una scenegiatura. Un credo “profano”, per forza a moda capovolta: Dio padrone, “usa gli uomini, come gli uomini usano animali da macello.” Distante capriola con i ritmi dell’anticipo e dell’accadrà. L’alienata che anelita ad alienare (ma non è verò). Un contribbuto alla diversificazione e allo specifico, un troppo specifico che sa di finta, di vorrei: Di… dichiaro ciò che non farò. Credo proiezione. Avrei preferito che dicesse “Ho amato più di un Dio”. Libera di Animare L’animismo e rapportarsi veramente, con esso. Quando succederà, le stelle e i pianeti, saranno solo giocattoli e la carne, sarà solo fresca e presente. (non posso dire che non mi piacciono, scrivo quello che vedo) Niente è più forte e denso, di una donna ed il “suo” segreto.

  8. Grazie a te Tiziana, è stato un piacere. Ho letto anche le altre poesie che mi hai dato, ti scrivo appena posso.

    Ciao

    Andrea

  9. io me la immagino un po’ cosi, un po’ come una sceneggiatua. C’è una scena iniziale, un antefatto e tutto un discorso sul perdono come il radere al suolo ogni cosa dopo che si è talmente compresa da non vederne piu il male o il bene. Finisce con una distruzione cosi come era iniziato. Ed è per me un’accettazione profonda come quando uno uscendo dal portone vede catapultare a schiocco di pioggia cadaveri da ovunque e neanche alza lo sguardo per vedere da dove, perchè è tutto come una grande perdita dall’ogniluogo della mente.
    oggi a milano c’è il sole, adoro la metereologia che varia dove spesso le parole immobilizzano legioni di spostamenti.
    Tra poco cinema Spiderman 3, quello nero. Che sia Dio o un supereroe i miei figli ed io, come l’altra estate tra le foglie in abruzzo, aspettimao di essere afferrati un buio.
    tiziana

    p.s. caro andrea, aspetto. un bacio

  10. so che rendo polemica ma saprai comprendere. Gioco e giocare dinanzi al vero, è un tantino più lungo. Comunque è affermare un gioco vecchio. Gira tre volte attorno allo stesso scudo, e picchia tre volte a terra con la lancia, ti sorprenderai della congiunzione ed allora non più orizzonti e giocattoli, ne più limitare. Caricarsi, è anche partire. E’ non vedo, altro che un bel giro tondo. Coraggio, qualcuno deve ritornare ed iniziare.

  11. me la immagino io la Cera Rosco tutta armata, bellissima e dura come un guerriero. Più erotika di così…

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