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Said e il numero 9

di Marco Rovelli

“Non l’avete capito che questo è un territorio fuori dell’Italia? Qui comanda la polizia. Qui non vi sente nessuno!” Così, racconta Said, gridavano i poliziotti durante il pestaggio del 2 marzo 2003 nel CPT di via Mattei a Bologna. Grida che esponevano ciò che i migranti sanno fin troppo bene, dentro un campo: che non hanno diritti, e che ciò che fa valore sono i puri rapporti di forza. Ieri Said Imich ha ripercorso quella notte, durante l’udienza al tribunale di Bologna. Ne ha ritracciato la dinamica, così come aveva fatto altre volte, con la stessa precisione, senza smagliature, esattamente ripercorrendo quanto mi è accaduto di riscrivere in uno dei capitoli del mio “Lager italiani”. E’ stato il momento più intenso (e ancor più intenso per me che mi onoro della sua amicizia) di quello che forse è il processo più importante per un pestaggio dentro il CPT dopo quello che si concluse con la condanna in primo grado di don Cesare Lodeserto per i pestaggi nel centro Regina Pacis di San Foca, in Puglia. Stavolta imputati sono i poliziotti che infuriarono quella notte, compreso l’ispettore: è un processo importante, perché vengono finalmente alla luce di un’aula giudiziaria quelle inscrizioni totalmente arbitrarie dei manganelli sui corpi dei detenuti che sono un fatto fin troppo normale nei centri, a sentire i racconti dei migranti. La dinamica di quella notte ricorda da vicino Bolzaneto e la Diaz insieme – e del resto Genova che cosa fu, nel luglio 2001, se non un grande campo, una zona d’eccezione in cui ogni diritto era stato sospeso?

Said era in camera, quando sente delle grida dal cortile. Due ragazzi, uno russo e uno tunisino, avevano provato a scappare, e Said li vede a terra, con i carabinieri che li manganellano, finché li trascinano nel posto di guardia della polizia. Da lì dentro continuano a sentirsi le urla, e i detenuti del campo (gli “ospiti”, anzi, ché così vuole la legge) si ribellano. “Siamo in un paese civile, democratico, non si usano più i manganelli” – così dice Said, con un’indignazione quieta e ironica, al pm che lo interroga. Alcuni vanno verso il cancello, altri sulla tettoia, e lanciano bottiglie di plastica, sacchi della spazzatura e pezzi di grondaia. Dopo un po’, i due fuggiaschi rientrano, piangendo. (Ha visto i segni dei manganelli sul corpo?, chiede il pm. No, loro piangevano e basta, quali segni, i segni del manganello si vedono il giorno dopo, risponde Said. E, nella deposizione successiva, la parlamentare Katia Zanotti ha affermato di averli ben visti, quei segni, quando entrò il 3 marzo nel centro, e ha visto pure le ferite sulla testa, e il sangue sparso a terra). Ma questa protesta non poteva essere tollerata dai poliziotti, lesi nell’onore, nel prestigio, che per riaffermare la loro autorità, la loro forza, dovevano mostrare chi comanda davvero. E perciò sono entrati in assetto antisommossa, in spedizione punitiva, con l’ispettore che grida Io vi sfondo, e mantiene la parola in effetti, manganelli che aprono le teste, lacrimogeni, e poi tutti contro il muro nel corridoio, uno che ti guarda, Alza la faccia!, e tu la alzi e lui che ti sputa in faccia, così racconta Said, e poi ancora manganellate, e uno scudo che si spacca in testa a Said e il sangue che gli si spande ancor più sul volto, tanto che un poliziotto gli fa una foto col cellulare, Chi è il più bello?

Ridevano, dice Said, erano allegri, dopo la spedizione. Specialmente il numero 9, quello che nel riconoscimento di qualche tempo fa era contrassegnato con quel numero. Il numero 9 è l’asso di quella sera, dice Said, lui era quello che si divertiva più di tutti, calci e pugni che volavano. Numero 9, adeguato, proprio come per un centravanti di sfondamento. Il poliziotto numero 9 si chiama Cognitti, ed è seduto al primo banco, esattamente davanti a Said, ma Said non gli fa l’onore né di guardarlo negli occhi né di dargli un nome. Lui è, e sarà sempre, il numero 9.

C’è stato un altro momento forte, nell’udienza, ma invece della misurata intensità di Said i pochi presenti hanno potuto assistere a due tragicomiche comparsate di due crocerossini, che hanno costellato i loro discorsi di “non ricordo” e di contraddizioni, fino a farsi riprendere più volte dalla giudice stessa, che gli ha fatto presente che in una processo bisogna dire “tutta la verità”, e la reticenza può essere ragione di incriminazione. Ciò che il primo testimone ha cominciato col non ricordare era il fatto che vi fosse stata una fuga – ciò che pareva davvero far comodo alla difesa, che tende a dire che quella era una rivolta (come se, in ogni caso, quello fosse un buon motivo per massacrare delle persone). La pm gli fa rilevare un mare di contraddizioni con la deposizione resa al gip il 14 novembre del 2003, ma lui continua a non ricordare, nonostante le ammonizioni del giudice. Soprattutto, ciò che non aveva raccontato nella dettagliatissima deposizione al gip, compare adesso (questo è un ricordo che evidentemente deve aver occultato tutto il resto): il fatto che ci si trovò di fronte, in quell’occasione, a un tentativo di “fuga di massa”, fino a che la massa di fuggiaschi “prese possesso dell’infermeria” dove si trovavano attrezzi pericolosi come i bisturi. Questo ricordo compare alle domande dell’avvocato della difesa, di fronte alle quali il crocerossino non ha esitazioni, i ricordi sono precisi adesso, tanto precisi che si ricorda perfino di aver visto gente entrare nella zona infermeria “dopo l’uscita del Bui e del Tedeschi”… Eh già. Non ricorda nulla, il sangue, il motivo della protesta, gli idranti che sparano sulla tettoia, ma il Bui e il Tedeschi, quelli, come scordarli?

(pubblicato su Liberazione il 18/5/2007)

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31 Commenti

  1. Impressionante. Ma c’è da dire che viviamo in un paese dove uno straccio di processo contro questi pestaggi sbirreschi almeno s’istruisce (vedremo in giudizio). Ed è per questo che non siamo ancora arrivati ai “lager” italiani.

  2. Certo, Roberto, accade che i processi vi siano. E’ indubbio che non siamo nella Germania nazista, se è questo che vuoi dire. Però di solito nelle aule di tribunale non ci si va, per queste cose. Si tratta di casi eccezionali.
    In ogni caso, l’ho già detto, quando si parla di lager/campo si intende un concetto e una storia ben precisi, che peraltro articolo nel libro (e per questo Moni Ovadia, che inizialmente era contrario all’uso del termine lager, ha poi sottoscritto, dopo aver letto).

  3. Caro Marco,

    come sai, una cosa è articolare e spiegare, un’altra è titolare. Tante volte un titolo rischia di farti capire male.

    Fidiamoci dei giudici e, soprattutto, speriamo che la polizia italiana sia fatta anche di altri numeri di matricola.

    Grazie e buon lavoro.

  4. Che bello! I commenti vengono cancellati.

    Dicevo…

    Io so che tre delitti su tre sono da parte di immigranti, perlopiù clandestini.
    L’immigrazione è stata gestita male. Malissimo.

  5. Chiedo venia, errore di battitura: un delitto su tre.

    Così è la denuncia dal Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno alla commissione Affari costituzionali della Camera.

  6. Iannozzi, speravo in una tua resipiscenza. Ma certo non si può chiedere l’impossibile. Il tuo commento è totalmente fuori tema. Non ha nulla a che vedere con il pezzo (e non sono disposto a impiegare tempo per spiegare perché è fuori tema). Se non a quel livello di qualunquismo ellittico che rende intollerabile la presenza di un commento del genere. Certo, un commento del genere dice un sacco di cose – su chi lo fa, in primo luogo. Ma innesca delle dinamiche negative. Chi posta un pezzo, qui, è un moderatore. E’ una responsabilità che ha, e io ho deciso di assumermela. Mi chiedevo chi sarebbe stato il primo. Ecco. Ultimamente c’è un degrado che rende l’atmosfera in questi luoghi (su Nazione Indiana, ma anche altrove) irrespirabile. E questo perché accade? Perché c’è gente che ha voglia di parlare ” a prescindere”, e (se andiamo a vedere le dinamiche) è sempre questo a scatenare risentimenti, insulti, scazzi. Alla fine ci si trova con un rumore di fondo che satura l’ambiente, e quella che potrebbe essere una ricchezza di una rivista interattiva viene a trasformarsi in un motivo di ripulsa. Voglio provare a vedere come si sta una stanza dove invece si dà corso a un dialogo civile. Ecco perché ho cancellato il tuo commento: per porre la questione sul piatto, come si dice. Gradirei che accettassi questa “policy”, per cortesia.

  7. Qui c’è la Postfazione di Moni Ovadia.
    Concordo con Marco, e sottoscrivo il suo desiderio di gestire con civiltà e sensatezza una discussione difficile come questa.

  8. Marco, ho solo detto, civilmente, un dato. ***Un dato***, non ho espresso *** la mia opinione né quella di nessun altro***. Se tu vuoi leggere dell’altro, come dichiari in maniera nulla affatto gentile, diciamo così…: “un commento del genere dice un sacco di cose – su chi lo fa, in primo luogo”. Male. Per te, sia chiaro, che non accetti un dato e riesci a vederci, non ti chiedo neanche cosa.
    Sai che ti dico? E’ degradante, day after day, aver a che fare con l’ottusità di chi sente dio e il suo respiro solo perché gl’hanno regalato il modellino del camion dei pompieri. E’ degradante la violenza verbale che usi ponendoti su di un piedistallo. Parli di degrado, qui, ad opera di chi, del sottoscritto mi par di capire! I miei applausi. E le mie risate: vedrai che ci saranno tante persone ammaestrate a sputare addosso a questa mia osservazione, coprendosi il volto con la maschera dell’anonimato più vigliacco, cosa già peraltro già successa e non una volta ma decine di volte, contro di me, contro qualsiasi voce dissidente.
    Il mio commento sarebbe fuori tema! Io credo assolutamente di no. Tu hai raccontato la storia di Said. Io ho solo portato alla tua attenzione un dato, l’altra faccia della medaglia. Che non ci tieni affatto a considerare ma solo a censurare, tant’è che il primo commento l’hai cancellato, e già questo è brutto; ma più brutto e inaccettabile per chicchessia è stato il fatto innegabile che hai censurato e ti sei fatto forte del silenzio. Se non avessi replicato, nessuno avrebbe detto nulla! Non qui comunque, è presumibile, solo presumibile, pensare così. Io, nel mio piccolissimo, avrò cancellato sì e no un paio di commenti, perché interessavano terze persone. Tutto il resto della shit a me diretta, da me sul mio di blog, me la sono tenuta a futura memoria. E comunque, prima di qualsiasi atto costrittivo ho sempre avvisato, con buona misura, di cessare gli insulti. Io ti presento un ***dato***, tu che fai? Censuri il dato. Chiudi gli occhi.

    In ultimo, permettimi di dire un’ultima cosa… Non ne vale la pena, no. Perdere altro tempo con te.
    Nazione Indiana è chiusa, chiusa al dialogo: l’ha dimostrato non una volta, non due e nemmeno tre. Alla prima voce che si dice dissidente, o semplicemente non ***d’accordo***, ecco che vien giù una valanga di insulti e peggio ancora. Non credo d’aver mai usato un linguaggio sboccato, cosa che di certo non si può invece dire di altri personaggi qui in NI.

    Ora mi puoi cancellare. Buon… buon salotto.

  9. Giuseppe, non sei un capro espiatorio. Lo avrei fatto con chiunque altro. Un dato, dici. Bene. Dimmi che c’entra. Che c’entra con Said massacrato di botte. Che c’entra con quanto avviene nei cpt, con la logica che li forma. Con l’omertà della polizia. Il tuo intervento è molto chiaro: nella misura in cui sto raccontando di queste violenze, tu replichi così “Io so che un delitto su tre è da parte di immigrati, perlopiù clandestini.” Il contenuto dell’espressione, e soprattutto la sua forma è chiara. Io dico che questi sono stati massacrati, e tu rispondi che molti immigrati sono delinquenti. Quale il nesso tra le due cose? Quale tra il fatto che racconto e il dato che tu porti (laddove il dato, va da sé, deve servire a comprendere e spiegare il fatto esposto)? (E cosa significa che quel dato è “l’altra faccia della medaglia”?) Io ti sto raccontando delle botte che ha preso un ragazzo (che io conosco bene, peraltro, e questo evidentemente mi rende ancor più inaccettabile la tua frase) e tu mi rispondi che la sua “classe di appartenenza” è composta da molti delinquenti. L’unico senso possibile è questo: “ci sarà pure un motivo per questo massacro, e per quanto mi riguarda (io so che…) è che quelli là sono delinquenti”.
    Sai, io metto in conto che posso sbagliare, che posso essere influenzato dal clima troppo distruttivo che si respira in queste stanze virtuali, e che la comunicazione spesso s’incaglia. Magari c’era un senso che io non ho saputo leggere. Prova a spiegarmelo.

  10. Tu mi parli delle violenze nei CPT, che sono da condannare per quelle ragioni che hai bene espresso in questo tuo pezzo e in altri ancora. Io ti porto solo un dato, un dato che è nella relazione trasmessa dal Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno alla commissione Affari costituzionali della Camera. Lo dico adesso sperando di non dovermi ripetere: all’interno dei CPT c’è della violenza, una violenza non tollerabile sotto nessun punto di vista; tuttavia rendiamoci conto che le strade non sono sicure neanche per i cittadini siano essi italiani siano essi stranieri. E per rendersi conto di ciò è sufficiente guardare, senza doversi scomodare di andare a leggersi la relazione – cosa che comunque io farei – ai tanti accadimenti di cronaca nera (stupri, accoltellamenti mortali, regolamenti di conti, sfasciamento di proprietà, furti, e altro ancora… se questa non è violenza non so davvero in che altra maniera definirla) seppur pompati in maniera maniacale dai mass media. Però il problema della violenza nelle strade c’è; e non credo affatto sia giusto tacere che una denuncia su tre è contro dei clandestini. Molto semplicemente sto dicendo: guardiamo alla violenza che accade nei CPT, affinché i CPT possano essere al più presto solo una vergognosa pagina della nostra storia, denunciamo le violenze come hai fatto. Ce ne fossero di persone coscienti come te. Però non dimentichiamoci che la violenza non è solo nei CPT, non è solo quella delle forze dell’ordine che tirano manganellate e dove prendono prendono, perché, purtroppo, la violenza è anche nelle strade e la colpa di questa violenza è purtroppo la conseguenza d’una cattiva gestione dell’immigrazione. Far entrare tutti i clandestini non è la soluzione né potrà mai esserlo: occorrono dei controlli affinché non entrino personaggi pericolosi. Quindi, da parte mia, la mia modesta opinione è solo: sì all’accoglienza, no alla violenza, smantellamento dei CPT, ma che ci sia da parte degli organi preposti – se ce ne sono – un controllo, perché davvero non abbiamo bisogno di aggiungere alla malavita nostrana anche quella straniera. Penso sia nell’interesse di TUTTI che il suolo abitato non sia un far west, in primis per quegli stranieri onesti che cercano solamente, e giustamente, di fuggire dalla morte, dalla fame, ecc. ecc.
    Dici bene, l’aria in queste stanze, seppur virtuali, è pesante: irrespirabile per quanto mi concerne. Spero d’esser stato sufficientemente chiaro e non passibile di capziose interpretazioni da parte di chicchessia.

    Buon proseguimento

  11. Leggendo questa tagliente testimonianza di crudo realismo che ci circonda viene da chiedersi:

    ma da che parte sta la giustizia, se esiste…
    quale volto o numero ci porge?

    la violenza non ha niente a che vedere con la forza.
    s’illude lei, compiendo queste azioni meschine, di essere forte.
    ma chi sostiene il suo sguardo è più forte.

  12. Marco, ma la Commissione De Mistura che ha visitato i CPT nei mesi scorsi ha ottenuto qualche altro risultato oltre a far chiudere quello di Brindisi (mi sembra di ricordare già sottoutilizzato) e, se non sbaglio, anche Agrigento? Voglio dire, cosa succederà quest’estate nei CPT, considerando i tempi lunghissimi che si profilano per l’approvazione definitiva, dopo il passaggio alle camere, della Amato-Ferrero? Ammesso che questa legge porti qualche novità sostanziale sui CPT, dato che mi pare d’aver capito che continueranno a rinchiudere chi uscirà dal carcere e i ‘recidivi’ che verranno trovati almeno due volte senza permesso.

    Un mio amico che ha lavorato come traduttore al CPA di Palese mi diceva che per l’estate avrebbero eliminato le roulotte vecchie di 20 anni con dei container dove almeno d’estate non si muore di caldo. Ma se questo è vero, vuol dire che verrà utilizzato a pieno ritmo anche quest’anno e in futuro. Passando in treno sulla tratta Bari-Barletta, accanto alla sterminata roulottopoli di Palese si vedono carrarmati e materiale militare vario del campo attiguo. La stessa roulottopoli si trova in una zona militare.

  13. A quanto avevo letto, si dice che chiuderanno Ragusa e Crotone. Ma quando? Prima che il ddl entri in vigore ne passerà di tempo,e la strategia dilatoria (democristiana) del governo mi fa seriamente dubitare che riuscirà a passare l’iter ncessario. In ogni caso i Cpt restano anche con la nuova legge, anche se “ammorbiditi”, e resta il potere discrezionale dell’autorità amministrativa. Certo, ci sono cose positive nella legge, ma ancora molti, troppi punti critici.

  14. Le responsabilità di chi sono? Dei legiferatori che fanno pastrocchi o che fanno leggi di cui non comprendono la portata, dei polizziotti che fanno rispettare la legge e che o per indole propria o per esasperazione cedono alla violenza e commettono soprusi, degli stessi ospiti dei centri di peramanenza temporanea, che a loro volta fanno soprusi, angherie, violenze, ricatti. E allora, di chi è la colpa? Di tutti o no? Allora, dico, le denunce non sono un po’ limitate, insufficienti, inutili, se non tengono conto dei crimini, che si attuano ai livelli più bassi di quelli che si portano al cospetto della magistratura e della pubblica opinione?

  15. Rovelli si chiede chiede se esista un nesso fra la violenza nei CPT (che è giusto sia perseguita e mi pare si faccia) e l”immigrazione.
    Bella domanda. Rovelli ha qualche ipotesi?

    Personalmente non trovo così assurdo l’intervento di Iannozzi, a meno che l’obiettivo di Rovelli e Nazione Indiana, pubblicando l’articolo, sia unicamente quello di raccogliere una claque di: “Sì è vero, hai ragione. Poliziotti cattivi.”
    Sarebbe un atteggiamento stupido e né Rovelli, né Nazione Indiana mi paiono stupidi. Partiamo quindi dal presupposto, valido per tutte le persone civili credo, che menare persone indifese, quale che sia la provenienza, in Italia è un reato e come tale va perseguito.

    Detto questo non sarebbe male provare ad indagare anche l’altro lato della medaglia immigrazione e immigrati.

    Se osserviamo la storia dell’immigrazione in Italia con un angolo visuale appena diverso dal solito, corriamo il rischio di imbatterci in episodi abbastanza oscuri e poco chiari.
    La prima ondata immigratoria, quella dell’Albania e del Kossovo, portò per primi in Italia i “potenti” di quelle nazioni: ex poliziotti, ex criminali, ex dei servizi. Una marmellata esplosiva e abituata a organizzarsi e operare con gerarchie di comando precise, che mise immediatamente le mani sullo sfruttamento della prostituzione, sul traffico di droga, sui furti nelle abitazioni. Furti che, tra le altre cose, furono favoriti da una scelta scellerata (ignorata da tutta la stampa) del governo Prodi dell’epoca: inviare i dati catastali di molte regioni italiane in Albania, a Tirana, e affidarne la digitalizzazione a una società locale.
    L’unico risultato apprezzabile, assieme a dati catastali scomparsi, fu che gli ex poliziotti/criminali/servizi organizzavano i furti con le piantine delle case in mano e una conoscenza del territorio molto approfondita.
    Lo scandalo non è mai stato indagato da nessuno e la Polizia impiegò anni per capire cosa stava succedendo.

    Nell’ultimo quinquennio anni la situazione è cambiata e gli ex poliziotti/criminali/servizi/soldati arrivano da altri paesi, ovviamente mescolati con la moltitudine dei disperati. Pakistan, Irak, Tunisia, Marocco, Nigeria, Somalia e l’elenco potrebbe continuare.

    Non è giusto, e c’è un processo in corso, bastonare le persone nei CPT; credo che tutti si possa essere d’accordo su questo punto. Forse dovremmo però provare a guardare, senza condizionamenti, anche l’altra faccia della medaglia: essere immigrati clandestini non vuol dire essere santi e, dati alla mano, la tendenza all’omicidio nella popolazione immigrata in Italia è quasi 6 volte superiore rispetto alla tendenza all’omicidio della popolazione italiana.
    Per gli altri reati non va meglio; oserei dire peggio e basta scorrere i numeri del Ministero degli Interni o delle varie Procure.

    Cosa c’entra questo discorso con i pestaggi ingiusti nei CPT e i processi in corso? Forse nulla come, secondo me erroneamente, sostiene Rovelli nei suoi commenti; forse hanno qualche nesso e sarebbe interessante indagarli.

    Di certo, in tutto questo complicatissimo scenario, c’è un elemento che non possiamo dimenticare: il livello di delinquenza nella popolazione immigrata clandestina è 6 volte superiore al livello della popolazione italiana. Vorrà pure dire qualcosa.

    Blackjack.

    PS: non capisco e non ho capito il discorso sulla moderazione ai commenti fatto da Rovelli. Se si riferisce a interventi ingiuriosi, mi trova d’accordo (e le ingiurie potrebbero essere tolte editando i commenti, che si può fare), se si riferisce a interventi che esprimono, senza essere offensivi, opinioni diverse, mi trova in completo e indiscutibile disaccordo. Chiuda i commenti piuttosto se vuole solo sentire voci che si muovono sulla sua stessa linea d’onda.

  16. I poliziotti “cedono alla violenza”? poverini, con tutti i “soprusi, angherie, violenze, ricatti” che mettono in atto gli ospiti (potresti scendere nei particolari, per favore?). No, la violenza è una strategia deliberata e consapevole, messa in atto nel campo, zona dove non vige alcun diritto. I crimini non c’entrano nulla con il cpt (che noia però doverlo sempre ribadire): nel cpt ci stanno i “clandestini”, persone semplicemente prive di un permesso di soggiorno. Non criminali.

  17. Rovelli, scusa se ne parlo qui, ma in principio ho creduto che fosse una svista: hai cancellato il commento di véronique e il mio nel post del 5 febbraio, commenti civili, solo dissonanti. E’ un peccato, dico.

    Ghega

  18. Rovelli, non mi pare che qui ci sia nessuno che giustifica i pestaggi nei CPT: c’è un processo in corso e che il processo arrivi, se ci dovranno essere, a giuste condanne. Questo tanto per chiarire, almeno la mia posizione.

    Poi non capisco il tentativo di “ironia”: “poverini, con tutti i “soprusi, angherie, violenze, ricatti” che mettono in atto gli ospiti (potresti scendere nei particolari, per favore?).”

    Di quali particolari hai bisogno? Non sei in grado di provare a vedere, oltre ai giusti diritti che spettano anche agli immigrati, anche i loro doveri?
    Oppure basta essere immigrati clandestini per poter fare quello che gli pare? Basta un’occhiata ai dati del Ministero degli Interni oppure al sito della Polizia. Sono pubblici e molto più allarmanti di quanto racconta, malamente, la stampa utilizzando non un approccio serio, ma sempre e solo la scusa del caso eclatante.
    Personalmente mi sono rotto di questa cantilena da prefiche e posso assicurarti che, di questa cantilena, si sono rotti anche la maggior parte degli immigrati in Italia che cercano una via onesta: è un problema più per loro che per noi.

    Che poi nei CPT arrivino solo persone normali prive di permesso di soggiorno è tutto da dimostrare. Sicuramente la maggioranza, come sempre, sono persone disperate in cerca di una vita migliore e disposte a cercarsi una via onesta, ma non sono l’unica via. Nei CPT passano e sono passati anche gli ex poliziotti/criminali/servizi/soldati che, una volta arrivati nel nostro paese, hanno stravolto i mercati (che di mercati si tratta) della prostituzione, dello spaccio, dei furti nelle abitazioni (con tanto di piantine, valore catastale, indirizzo, dislocazione delle stanze, grazie alla pensata, costata un sacco di soldi, di quel genio di Prodi).
    Ora hanno fatto un salto di qualità e non solo spacciano, ma trafficano direttamente in droga e armi negoziando con camorra, ndrangheta e mafia.
    Senza dimenticare i soldi che incassano dai disperati che trasportano e utilizzano a copertura.

    Mi pari, nella tua buona fede, poco disposto a vedere entrambi i lati.

    Blackjack

  19. Se si fa un’analisi degli immigrati che delinquono in Italia penso si possa rimanere sconvolti. Non ho dati a cui riferirmi ma quello che so, e lo so per certo, che la gran parte dei reati commessi dagli extracomunitari sono commessi da incensurati. In parole povere arrivano qui e diventano criminali. E le ragioni sono evidenti : questo è un paese che ha una spiccata propensione al crimine, in particolare di natura finanziaria e contro il patrimonio dello stato ( quello che è di tutti non è di nessuno ), ed è facile che un extracomunitario venga arruolato nell’esercito nostrano di malfattori. I senegalesi vendono merce taroccata, i nordafricani si occupano dello spaccio, gli slavi della prostituzione, eccetera. Ma le basi da dove le prendono se non da ciò che già esiste ? Lavorano in subappalto, ecco tutto.
    Quelli che riescono a scansare la schiavitù della malavita finiscono schiavi altrove, ma questa è un’altra storia.

  20. Rovelli non censura, non modera, fa il suo dovere di redattore. Resta il fatto che se non c’è un legame diretto tra Said e gli sbruciacchiatori di pullman c’è un rapporto implicito tra i CPT e le risposte sulla sicurezza che questo governo tarda a dare. Anche perché, quando le dà, in qualsiasi modo le dà, poi arrivano gli insulti e le minacce. Se Cofferati è come la Moratti è inutile proseguire la discussione.

    Nel frattempo, mentre Minniti non esclude la matrice terroristica del sequestro di San Martino di Trecate (mah…), le regioni rosse come la Puglia fanno ottimi affari sull’energia con l’Albania; il Montenegro è diventata un’aria tax free; e il Kosovo è sempre sull’orlo del precipizio, con eventuali ricadute su tutta l’aria del Corridoio 8. Lo dico a Gilliat, guardando dal periscopio della nostra terra.

  21. “In parole povere arrivano qui e diventano criminali”. Mi sa che Bruno dovrebbe rileggersi un po’ meglio la storia degli sbarchi in Adriatico degli anni novanta (e quel che n’è seguito). Consiglio vivamente uno degli ultimi numeri di Limes, “Kosovo, lo stato delle mafie” (2006).

  22. -se non si hanno dati a cui riferirsi non si dovrebbero fare certe dichiarazioni!-

    potrebbe essere una citazione?

    Bonsoir

    Capuche

  23. Mi sembra che nessuno citi dati, perchè non potrei farlo io ? Mi sono riferito a un vissuto, a racconti, a riscontri che ognuno può fare senza consultare tabulati. A questo punto mi verrebbe da chiedere la percentuale di immigrati del Kosovo sul totale dei presenti, visto che mi si invita a leggere un libro in particolare. E invitare tutti gli altri al silenzio, visto che si parla solo con numeri alla mano.
    Non scherziamo.
    Il fatto è che non c’è nulla di assoluto. E’ vero che importiamo criminalità, è vero che spesso gli immigrati criminali lo diventano per arruolamento senza scelta, è vero che qui da noi il clima è particolarmente favorevole a chi vuole o deve delinquere.
    L’Italia è investita da una questione morale senza precedenti, mai le mafie sono state così forti, tanto da spingere il vice presidente della Colombia a chiedere maggiore collaborazione nella lotta al traffico internazionale di cocaina in mano ai calabresi, perchè da soli non ce la fanno, e noi concentriamo la nostra attenzione sui reati degli extracomunitari, dicendoci che sì, è vero, delinquono.

  24. Tanto per precisare: “A questo punto mi verrebbe da chiedere la percentuale di immigrati del Kosovo sul totale dei presenti”.

    Quel libro non spiega che i kosovari sono la nuova triade dell’Adriatico, ma che il Kosovo è il crocevia dei traffici di corpi, armi e droga, nelle mani del terrorismo etnico, del terrorismo islamico, della mafia russa e balcanica, e dei nostri compatrioti mafiosi e camorristi.

    Tanti soldini da spartire, per far passare dall’altra parte razze, individui e generi. Non i kosovari; il Kosovo. La terra straziata dall’ONU dove tra un po’ arriverà l’Unione Europea, a completare il lavoro.

  25. (Non so che dire Marco, il commento di chi si firma con il nome francese femminile l’ho letto e poi è scomparso, il mio è rimasto a lungo in moderazione e poi non è stato pubblicato, ma non conteneva, il mio commento, elementi come indirizzi ad altri siti o numeri o caratteri strani. Magari un malfunzionamento tecnico, altro non saprei dire.)

    Ghega

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marco rovelli
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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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